Scelta
d’amore
-Kaede’s
Diary-
“Che merda ‘sta pioggia!” mastico a mezzavoce,
ingoiando un paio d’imprecazioni, mentre mi aggiusto una maglia troppo
piccola –di almeno due taglie- per me. “Ciao, Kit.. cerca di dirmi che tu stai bene.. perché oggi ho già fatto il pieno di sfighe, intesi??” l’avverto, strattonandomi furioso una manica.. “Stamattina la sveglia non ha suonato.. e mia madre era già uscita per andare al lavoro.. quindi ho saltato la colazione, per non aggravare su un ritardo già mostruoso di suo.. pioveva, e l’ombrello mi si è rotto, per una raffica di vento troppo forte..” -porca troia- “dicono sia in arrivo uno Tsunami, per stanotte, al massimo domattina, verso l’alba.. e intanto piove che Kami la manda..” … “Sono arrivato a scuola bagnato come un pulcino.. ma dimmi te: tutte le mattine incontro Mito per strada.. proprio oggi, quello, doveva diventare puntuale??” ma mi sente.. oh, sì che mi sente!! “Come se non bastasse, il prof mi ha sbattuto fuori
dall’aula, per 13, miserissimi minuti di ritardo.” “Ne converrai con me che non sia stato esattamente
un inizio idilliaco, nh? Alla seconda ora, la professoressa Mitaka mi chiama fuori alla lavagna.. mi ha silurato alla terza domanda.. non sapevo nemmeno di cosa stesse parlando..” Oh, Kami.. se mia madre viene a saperlo, mi strozza.. e un brivido freddo mi scorre lungo la schiena, facendomi venire la pelle d’oca.. mi stringo d’istinto la stoffa contro, ma sento un sinistro rumore, come a presagire uno strappo del tessuto.. che merda.. Passo forsennatamente le mani sulle cuciture, fino a sentire una lacerazione dietro la spalla destra.. ma che cavolo posso farci se è TROPPO piccola?? Sbuffo, mentre l’incazzo lascia posto alla
desolazione: “Mettiti comodo: non ho mica finito..” l’invito, accavallando
a mia volta le gambe, ma un altro suono molesto mi dissuade dal mantenere
questa posizione.. i pantaloni mi arrivano –a farla grande- ai polpacci.. Sorrido. Ma se io fossi un tappo, non potrei giocare a
basket.. Se non fossi tanto imbisciato, potrei anche trovare i lati comici della faccenda.. “Alla quarta ora ho consegnato il compito in bianco..
m’ero scordato che ci fosse il test di geografia.. a pranzo, quando sono
arrivato in mensa.. –sì, perché nella fretta ho scordato il bento a casa-
avevano già razziato tutto.. mosso a compassione, Takamiya mi ha regalato
uno dei suoi panini, già mezzo morsicato.. e una polpetta di riso,
preparata con amore dalla nonna centenaria di Noma.. sembrava cemento
armato, altrochè!!” “Durante gli allenamenti, Mitchi mi fa un passaggio
veloce.. talmente preciso che mi è finito in faccia, perché io ero
distratto.. quello stupido baciapiselli… poteva avvertire, no?! “E direi che potrebbe bastare, non fosse altro che
-venendo qui- proprio all’entrata dell’ospedale, a due passi dalla porta
(quand’ero già convito di essere arrivato) parte un’ambulanza a gran
velocità, con le sirene spiegate e tutto il resto.. è partita, sì..
centrando in pieno l’immensa pozzanghera tra me e lei.. lì non c’ho più
visto.. se non fosse stata un’emergenza, avrei rincorso l’autista e poi
-lui- sì, che avrebbe avuto bisogno di un’ambulanza!! Scuoto la testa, come a cancellare la mia odissea.. per oggi, io ho già dato. “Eppure, sai..” –ghigno- “Potrei anche tenermela..
magari per Halloween.. oppure.. Mmh.. Chissà.. ho sempre desiderato
giocare a ‘paziente e dottore’..” gli sussurro, allusivo. Che cazzo di pensieri idioti.. morirei di vergogna, prima ancora di riuscire a capire come sfilarmi questa camicia di forza!! E poi non credo che lui voglia ancora sentir parlare
di medici e infermieri, una volta uscito da qui.. Mi alzo con cautela dalla poltroncina, sperando di
poter restituire questi indumenti con una parvenza simil-originaria..
30 Settembre. Giovedì. “A scuola, tutto ok. “E’ meno peggio di quel che si crede.. ci picchiavamo per gioco.. e poi, da soli, ci lasciavamo anche andare..”
1° Ottobre. “Ore 21.00. Dopo aver visto Hana. “Avremo modo di approfondire, dai..” lo consolo, riconoscendo in me la medesima sfiancante attesa. “Devo controllarmi.. NH.. sembra facile, ma..” “Nessuno l’ha mai detto..” “Ci siamo ritrovati davanti allo Shohoku, e siamo
andati al campetto in riva al mare.. sembra quasi un gioco del Destino,
che io e lui dobbiamo –per forza- stare sulla spiaggia, per condividere
qualcosa.. Ci siamo allenati nei passaggi fin dopo l’imbrunire, e poi siamo andati in un chiosco a prenderci un gelato.. e a fare due passi..” “Cavolo!! I quattro passi c’erano, pure le
chiacchiere e i gelati.. mancava solo…” e arrossisco, mentre un’immagine
-non esattamente casta- mi si proietta in automatico.. eccheccavolo!! Ho
16 anni, e potrei tirar fuori la menata della tempesta ormonale, e tutte
le altre tiritere.. il mio è solo un normale desiderio di
approfondire ciò che sento per lui, anche sul piano fisico.. niente di
più.. “..con lui che ricordava la nostra rocambolesca
fuga, la sera della Festa della Dea, a Miyako.. e il gelataio un po’
pazzo, con i gusti dai nomi strani.. “Sì.. ma alla fine mi seguivi, in queste mie tirate.. certo.. ammettiamolo pure: per concessione della tua magnanimità, ma poi.. sbuffando, sì.. ma lo facevi.. e non dimmi che c’era ‘spirito di martirio’, perché non ti crederei..”
2 Ottobre. Sabato. “Ore 11.20. Oggi è una giornata
piena. “Poteva mangiarselo, invece di dartelo..” –intervengo, acido- “..o andare a fare amicizia con un platano, così…” sospiro. Lo so che non è colpa sua, e che la mia è cattiveria
gratuita.. ma è più forte di me.. E non venitemi a propinare le solite stronzate sul
casco.. sulla sicurezza, e quant’altro.. o fatalismi che mi hanno riempito
le orecchie fino alla nausea.. ‘doveva succedere.. era Destino’.. C’è un delinquente a piede libero. Ecco l’unica verità. Accidenti!! mi è salito l’incazzo.. Chiudo il diario, posandolo sulla poltroncina al mio posto, mi dirigo alla finestra, e fuori piove.. piove sempre di più.. Chissà se i miei vestiti si sono asciugati? Il vetro mi riporta un’immagine di me quasi comica, questo verde menta a fare contrasto con i miei capelli, le maniche fin quasi ai gomiti, e.. usciamo da qui, devo fare due passi.. Nei corridoi, la gente mi guarda, tra l’incuriosito e il fastidio, credendomi –con buona probabilità- un paziente dello psichiatrico sgattaiolato fuori reparto, senza permesso.. e finito qua, chissà come. Mi trattengo dal rispondere a tono ai più sfacciati, oggi non è giornata, lo sapevo.. Una ragazza, forse una kohai, mi viene incontro,
trattenendo a stento un risolino di scherno.. Una senpai di Saito-san mi agguanta per un gomito, giusto un attimo prima che io compia una strage, e mi schiaffa in mano la mia roba, ancora tiepida dall’asciugatura. Deve leggere gratitudine, nel mio sguardo, perché mi
ricambia con un sorriso materno, indirizzandomi nel box visita 2. In quel momento, nasce in me il bisogno di parlare con Kawata, e pondero l’idea di chiederle se sa se c’è.. o se devo discuterne con Saito-san.. ma lei è già andata via, prima ancora che me ne accorgessi.. altra formichina di quest’immenso formicaio.. …. Mi cambio, sospirando di piacere. I miei abiti,
puliti e asciutti.. addirittura caldi.. i miei vestiti.. Ripongo l’uniforme e gli zoccoli che mi hanno
prestato, nel contenitore accanto alla porta, e poi mi dirigo alla ricerca
di Saito-san.. la trovo vicino all’accettazione, in astanteria, intenta a
riordinare alcuni flaconi di fisiologica. “Dopo il bagno fuori programma, intende??” scherzo io, ironizzando un sorriso di superiorità. Lei mi sorride di rimando, ricordando la mia faccia, quando mi ha incontrato, mentre sgocciolavo e imprecavo -senza freni- contro l’ambulanza che si stava allontanando.. “Va meglio, adesso.” Chiarisco, indicandole i miei vestiti nuovamente in sede, con un gran sorrisone. “Mi cercavi?” domanda, di punto in bianco, riprendendo ad allineare le sacche. “Vorrei parlare con il dottor Kawata, se possibile..” inizio, per tastare il terreno. Lei ci pensa su un attimo e poi, scuotendo la testa, fa: “Oggi non è possibile. Era in servizio stamattina.. ma c’è Sumai-san, se vuoi..” “No. Grazie.” Rispondo secco. E lei mi scruta, improvvisamente sorpresa per il mio repentino cambio di registro. So che è stata una reazione scortese, la mia, e che lei non ha colpa.. ma. “Preferisco aspettare domani..” mi sforzo di spiegare, ammorbidendo il tono. “Ah! Ok.. nel primo pomeriggio, lo trovi di sicuro..” mi avverte, come sempre gentile. La ringrazio, e mi incammino verso la mia camera, quando lei mi richiama, sollevando la testa dallo scaffale: “Hana-kun..” “Nh?” “E’ meglio se anticipi il rientro.. dicono che lo Tsunami arriverà a Kanagawa in prima serata..” “Va bene.. rimango ancora una mezz’oretta, e poi me ne vado..” Lei acconsente, riprendendo a fare il lavoro che aveva interrotto per colpa mia. …. Mi riaccoccolo sulla poltrona, stropicciandomi con
soddisfazione il tessuto sullo stomaco.. “Riprendiamo a leggere, ti va?” “Ore 20.45. Incazzato con Maeda come una biscia. Ma avvisare, no?? Lei si è scusata, profondendosi in mille inchini,
ma ha detto che è appena-appena andato via.. e che quindi era impossibile
rintracciarmi a casa.. Ho capito che non è colpa sua.. ma. “Non è mica la fine del mondo, sai?” -sbotto, torvo..
-“Guarda me: ho forse picchiato qualcuno, (anche se avrei avuto pienamente
ragione) per la giornata di merda che mi è capitata??” “Nh.. ok. Mi sono scusato con lei per questa mia sfuriata, e ci siamo accordati per un incontro fra 2 settimane.. se mi dà buca di nuovo, lo strozzo con le mie mani..” “EH, NO!! Prima deve esplicare la sua teoria freudiana sull’autobus!!” l’avverto, reprimendo un sorriso. “Mi ha fatto rinunciare ad una parte degli
allenamenti, quell’idiota!! “NO! NON CI ANDA..” ma a cosa serve? Gemo la mia frustrazione, a cosa serve.. dispensare consigli, ora? …. La porta si apre, e Saito-san entra, con il carrello
appresso. “Sì, beh..” –m’inalbero io, farfugliando una scusa che non sa uscire- “adesso vado..” mi giustifico. “Lei alza un sopracciglio, come quando Ayako si prepara a farmi la ramanzina: “Ma hai visto che tempo c’è, fuori??” chiede, retorica. “No, perché?” ribatto, sulla difensiva. Lei s’avvicina alla finestra, e scosta la tenda: “Buio. Notte. Tsunami già qui.” Sillaba, come se avesse a che fare con un bambino. La guardo sorpreso e un po’ costernato, avrei dovuto seguire il suo consiglio.. ma il tempo è volato, e non me ne sono accorto.. Saito sospira stancamente, avvertendomi: “Resta qua, torno subito.” E sparisce da dove è arrivata. Dieci minuti dopo, la vedo tornare con una coperta,
due panini imbottiti, una coca e un cordless in mano. “Eh?” Lei m’ignora, proseguendo: “Ma non devi muoverti da qui, né gironzolare per i corridoi, intesi??” Annuisco, in risposta. “Su! chiama casa, e avvisa che sei al sicuro.. nessuna persona sana di mente andrebbe là fuori, con questo tempaccio..” è la sua riflessione, ma non credo preveda una mia risposta. Mentre compongo il numero di casa, osservo distrattamente lei, che cambia le sacche e inietta direttamente nella vena centrale una soluzione azzurrina, e poi una rosa pallido. Quasi mi sfugge la smorfia che fa, mentre registra i suoi parametri vitali, seguendo con attenzione il tracciato. Vorrei chiederle se c’è qualcosa che non va, ma in quel momento mamma risponde, e io intavolo la conversazione con lei.. …. Restituisco il telefono, ringraziandola. Quando sta per uscire, vi è un calo di energia, e la
luce si fa soffusa. Con una mano già sulla maniglia, mi avverte: “E’ probabile che manchi la corrente, tra qualche ora.. ma non ti preoccupare: tutti i macchinari dell’ospedale sono collegati ad un generatore autonomo, quindi sarà garantita la corrente fino a domani, se servisse..” –annuisco, concentrato- “nel caso in cui, comunque, tu avessi.. mmh.. sì, insomma.. finché il peggio della tempesta non sarà cessato.. se vuoi, puoi andare in guardiola, e le mie colleghe ti terranno compagnia..” E’ un modo gentile per dirmi che, se avessi paura di
stare solo, devo sapere dove andare.. “Ma lei.. va a casa?” chiedo, analizzando le implicazioni del suo consiglio. “Io?” -e d’improvviso m’accorgo che sono stato un grande impiccione.- “Abito qui di fianco.. e smonto fra tre minuti..” dice, scrutando l’orologio. Mi augura una buona notte, e poi esce, trascinandosi dietro il carrello dei farmaci, mentre io riabbasso lo sguardo sulla pagina del diario, fissando la sua calligrafia minuta e regolare. Giro la pagina, e leggo la data: “3 Ottobre. Domenica.” Un inatteso brivido freddo mi scivola lungo la
schiena, e non è piacevole.. Avremo altro da fare, da domani in poi.. mi convinco. Un sacco di altre cose.. leggere il libro che lui non ha finito, gli racconterò -con più particolari- la mia quotidianità, gli allenamenti, la scuola.. magari potremmo anche studiare un po’ assieme, chissà.. e poi andrò da lui a razziare un po’ di cd, e ascolteremo della buona musica.. che piaccia anche al Tensai, però. Mi rendo conto solo adesso, del fatto che il tempo
sia passato, incurante di tutto.. quando ho iniziato a leggere il diario,
quando ho preso questa decisione, ero convinto che lui si sarebbe
svegliato prima della conclusione, invece.. distolgo lo sguardo,
stropicciandomi gli occhi, stancamente.. Ripongo l’agenda al suo posto, avvicino la poltrona al letto, il più attiguo possibile, poi mi risistemo sotto la coltre, tirandomi il plaid fin sul naso. Il ronzio del respiratore mi fa compagnia, mentre
sento la pioggia picchiettare insistentemente contro i vetri. L’improvviso fragore assordante di un tuono, caduto nelle vicinanze, mi fa sussultare, e mi maledico per la mia spontaneità, mentre sento il cuore pulsare in gola, a ritmo galoppante. Allungo una mano verso di lui, e afferro la sua,
tiepida. Sto ponderando l’ipotesi andare un attimo in bagno, prima di cedere al sonno, quando –imprevista- la luce sopra di me si spegne, lasciando posto alle insegne d’emergenza, e a quel lucore azzurrino, che ho imparato a conoscere pochi giorni fa.. Non poso impedirmi di trattenere il respiro, mentre osservo –con ansia- i monitor: le linee continuare la loro perpetua ascesa e discesa, il ticchettio costante, e il caro, vecchio ronzio del respiratore. Rimaniamo in silenzio per un tempo indefinito, noi due, e lo Tsunami a farci compagnia. Adesso, che non scorre in me l’adrenalina dell’altra sera, ammetto –almeno con me stesso- che l’ambiente è alquanto spettrale.. e la pioggia scrosciante non aiuta certo a rendere il tutto accogliente.. il vento fischia forte, sembra quasi che –da un momento all’altro- debba rompere le vetrate, con la sua furia inarrestabile… Un istante, un istante appena, ma la voglia di uscire da qui, di andare in guardiola a chiacchierare con le infermiere di turno, di passare un po’ di tempo con una persona con cui interagire, fosse anche per litigarci, mi schiaccia, e diventa impellente. Non amo la solitudine, io. Forse, Saito-san non aveva sbagliato di molto i suoi conti.. forse.. non sono così adulto, come voglio far credere.. Mi strofino gli occhi, flebilmente. diviso a metà tra il mio istinto, e il senso del dovere. E poi il mio pensiero va a lui. Che passerebbe da solo, questa notte di tempesta. E di colpo è facile decidere. “Fammi posto, Kit..” gli sussurro, sdraiandomi un po’ al suo fianco. La notte finirà prima, così.
…continua.
Note dell’autrice: - Per prima cosa, né la storia né i personaggi di Slam Dunk sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia. - La storia
si snocciola in numerosi capitoli, ma si è GIA’ CONCLUSA. - Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche. Chiunque desideri, può contattarmi al solito divano blue navy: elyxyz@libero.it - Per
ulteriori note e chiarimenti doverosi, vi rimando all’ultimo capitolo. Arigato (_
_) elyxyz
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