Scelta
d’amore
-Kaede’s
Diary-
Oggi piove. Oggi è domenica.. magari, domani. Percorro il corridoio del terzo piano, che sta
diventando –mio malgrado- a me familiare. Non posso farci nulla. “Dovrei entrare lì dentro.” Le rispondo. “Tra cinque minuti. Per cortesia, ripassi.” M’informa, e se ne va verso il ripostiglio. Mi fermo qua fuori, appoggiato al muro. Penso e ripenso, mentre l’ansia sale. Saito-san mi chiama, interrompendo il corso dei miei
pensieri. “Che succede?” le chiedo, allarmato. “Non è niente, Hana-kun!” –mi tranquillizza lei,
sorridendo- “Kaede sta bene.” “Ma un’infermiera mi ha detto di stare fuori… di ripassare dopo..” espongo, contrariato. “C’è qualche problema con la vena della sua flebo… fa la capricciosa.. dobbiamo variarne la posizione, e… beh, si è rotta una sacca di fisiologica sul letto.. lo stiamo cambiando, ecco tutto..” “Devo proprio restare qui?” chiedo, sperando che mi dica di no. “Sì. Le inservienti stanno ripulendo la stanza, e poi
devo ripristinare i suoi farmaci.” “Aspetto qua, ok?” è la mia proposta, sperando che non le sia d’impiccio. “Andrà benissimo. Ti avverto io, quando lo potrai vedere.” E sparisce dietro la sua porta, carrello appresso. Una decina di minuti dopo, sfilano davanti a me due signore, uscendo dalla sua camera, con spazzoloni, e strofinacci, un secchio e tutto l’armamentario. Mi ignorano. E poi le segue Saito-san e una collega, che spinge il
carrello di poc’anzi. Mi fa impressione, realizzarlo. Quante volte, le mie mani si sono sporcate del suo
sangue? “Adesso puoi entrare. Abbiamo finito.” Mi dice, gentile. Non posso fare a meno di seguire il suo movimento
verso il cestino dei rifiuti, vicino a noi, al suo piede che pesta il
pedale, a lei che si disfa dei guanti usati. Perso dietro alle sue movenze calme, ma sicure, mi
sono imbambolato. “Konnichiwa, Kitsune!” gli dico, sedendomi, giusto per ostentare un po’ di allegria. Il pavimento è ancora un po’ umido, si nota. Gli accarezzo la mano, stando attento a non sfiorare
il tubicino. “Ciao, amore..” gli ripeto piano, in un timido sussurro. “Un bagno fuori programma, eh?” scherzo, per
sdrammatizzare.
20 Luglio. Martedì. “Ho ricevuto una telefonata
dalla segreteria della Tomigaoka: dovevo andare a ritirare alcuni
documenti e scartoffie varie, che mi ero scordato, a quanto pare. Del resto, non avevo scelto io di frequentarla:
Miyamoto-san ne aveva parlato in modo entusiastico ai miei, e anche Ayako
era stata iscritta lì, l’anno prima. “Studente modello da sempre, eh?” lo prendo in giro. “Ci ho messo mezz’ora a trovare l’ufficio. Non so perché, ma per il ritorno ho fatto un giro
diverso. “Lui.” Ripeto, rabbuiandomi. “Stavo per andarmene, ma non ho resistito. Ho dato
una sbirciata in palestra. E’ strano. Ma qui è diverso. Lui. Ricordo ancor’oggi, come fosse ieri, il nostro primo incontro. Il terzo giorno del nuovo anno scolastico. “Kaede Rukawa!” mi ha chiamato una voce
sconosciuta. Ho aperto gli occhi, e mi sono trovato davanti
lui, che mi sorrideva, di buonumore. “Nh.” gli ho risposto. Il suo sorriso si è allargato, ma non aveva nulla
di derisorio. “Ti aspettavo, Rukawa.” – mi ha detto, limpido-
“Grandi cose, mi aspetto da te.” E la stretta si è fatta più salda. “Bene!” -ha replicato, con sguardo benevolo- “E adesso vai a metterti in fila con gli altri.” mi ha incitato, con una pacca d’incoraggiamento sulla spalla. Matsui Nagarekawa. Gran parte di quello che so, lo devo a lui. Le sue parole, in quella sera di fine febbraio, negli spogliatoi, sono ancora conficcate in me. “Vorrei che fossi tu, il mio successore, alla
guida della squadra. “Te lo giuro, CAPITANO.” “Da oggi, non sono più il tuo capitano..” mi ha contraddetto, indulgente. ‘Ti sbagli, lo sarai per sempre.’ Ricordo di aver pensato. Lui mi ha sorriso, in quel suo modo tutto
speciale, che mi faceva andare in fibrillazione, e mi ha detto: “Credi nei
segni del Destino? Beh, io sì. ..Rukawa.. vuol dire ‘Fiume che scorre’. (Non glielo confidai, ma anch’io avevo notato questa somiglianza, ancora al nostro primo incontro, quando lui chiese il silenzio e ci disse: “Benvenuti nel club, io sono Matsui Nagarekawa, e vi farò amare il basket.”) “La famiglia di mia madre si è estinta e io sono l’ultimo dei Nagarekawa, è un mio diritto scegliere che il mio successore nominale sia tu.” Ha decretato, serio. E poi mi ha abbracciato, sussurrandomi
all’orecchio: “So che non mi deluderai mai.” Non gli ho detto niente. Aveva 15 anni, allora, e una passione immensa per
uno sport, che condivideva –per affinità- con me. Ai primi di aprile del secondo anno, venne da noi
a salutarci. “L’anno prossimo voglio che sia TU ad indossare il
n°4, intesi?” mi ordinò. Andai anche all’aeroporto, a salutarlo. “Ci conto!” mi rispose, allontanandosi. Mentre la scala mobile me lo portava via, avevo la
netta sensazione che sarebbe stato per sempre. “Vuoi andare negli USA per seguirlo?” chiedo, mentre sento una morsa stringersi all’altezza del petto. “Sono passati 2 anni, da allora. Non ho più avuto
notizie da lui. Vero, poco meno di un mese dopo, è accaduta la disgrazia. “Gli devo tanto, non lo nego. Al momento vorrei andare in America per me, per
realizzarmi al meglio come giocatore, e se lo trovassi sulla mia strada,
tanto meglio. “Nulla più.” Mi sfugge, in un sussurro timoroso. “Al momento sono incasinato con ‘sta storia del
Do’aho…ma è tutto più difficile con questa scimmia strana.. ..Forse non è vero. Non parlo di quelle smorfie deficienti che fa all’oca, o per dimostrarsi gradasso.. parlo di quelle dopo uno slam dunk, dopo una vittoria.. quelle che mi fanno sentire orgoglioso di lui..” “Orgoglioso di lui..” ripeto. Orgoglioso. Di. Me. “Volpe, non so che dire.. da quello che scrivi, lui sembrerebbe un capitolo chiuso della tua vita. Ma se in realtà non fosse così?” -chiedo, scombussolato.- “Io potrei anche convivere con il fantasma di questo ‘Nagarekawa’, e farmene una ragione, ma prima dovremo parlarne seriamente, perché tu sai che io sono geloso.. e non potrei sopportare di vivere nel dubbio che.. che.. beh, che tu, rivedendolo, scopra di provare ancora qualcosa per lui..” esalo, pregando -col cuore in mano- di sbagliarmi.
…continua.
Note dell’autrice: - Per prima cosa, né la storia né i personaggi di Slam Dunk sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia. - Piccola curiosità: nel vol. 23 di SD Collection, i
ragazzi del Toyotama interpretano –apparentemente sbagliando- il cognome
di Kaede, leggendo ‘Nagarekawa’, anziché ‘Rukawa’. - La storia
si snocciola in numerosi capitoli, ma si è GIA’ CONCLUSA. - Chiunque
desideri leggere l’intero racconto in tempi più brevi rispetto a quelli di
aggiornamento, può contattarmi al solito divano blue navy:
elyxyz@libero.it per ricevere i capitoli restanti. - Per
ulteriori note e chiarimenti doverosi, vi rimando all’ultimo capitolo. Arigato (_
_) elyxyz
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