Scelta d’amore

-Kaede’s Diary-

By elyxyz


Capitolo 18

(In corsivo, il diario di Kaede)

 

POV di Hana.  


Sono un idiota.
Da almeno 20 minuti mi ritrovo con la mano a mezz’aria, senza trovare il coraggio di bussare a questa dannata porta.
Ogni volta che mi avvicino, che sfioro il legno, la forza mi manca e mi ritrovo a indietreggiare sempre un po’ di più.
Sospiro, per l’ennesima volta.
Mentre le dita stringono un po’ più forte la costola del diario. 
 

Va a finire come ieri sera, che me ne sono stato qua davanti per quasi un’ora, per poi sapere –grazie al gesto di pietà di un’inserviente- che il dottor Kawata non era di guardia, e che quindi sono riuscito solo a fare la figura del cretino.
 

E invece eccomi qui, a tentennare un’altra volta.
Gemo, espirando lentamente. 

Qua facciamo notte di nuovo, e di sopra c’è Kaede che mi aspetta..
 

Una mano mi distrae dalle mie logoranti incertezze, posandosi sulla mia spalla.

Mi volto, incuriosito e sorpreso.
Kawata-san, davanti a me. 

Che mi sorride, come sempre, benevolo.
 

Mi prendo a calci mentalmente, quando lui mi chiede se ho bisogno di parlargli.
Annuisco, in risposta.
Tutti i bei discorsi che mi sono preconfezionato sono andati a male.
Il mio cervello li ha già buttati nella spazzatura.
Non li posso recuperare. 

E lui intanto mi fa accomodare, prendendo posto dietro la sua scrivania.
Non so da dove partire, e ho il tremendo terrore che potrei decretare un punto di non ritorno, facendo quello che sto per fare.

Io una buona stella non ce l’ho, spero solo di non sbagliare.

Apro il diario e glielo porgo, restandomene zitto.
Non è da me, lo so.
‘La scimmia urlatrice’ mi definisce la mia volpe.
Ma non ora. 
 

Lo prende, guardandomi interrogativo.

“Legga. E’ importante.” Gli spiego.

Annuisce in risposta, e lo fa.
Si prende tutto il tempo che gli serve.
Un’eternità o due, chi lo sa? 

Poi riporta il suo sguardo su di me, aspettandosi una domanda.

“Ne terrete conto?” bruciano, queste parole, prima e dopo aver lasciato le mie labbra.

“Tecnicamente…. No.” –è il suo responso- “Rukawa-kun è minorenne… non ha diritto di scelta..”

“Ma è la sua chiara volontà!!” ribatto, alzando di molto il tono.

“Non è così semplice, Sakuragi-kun…”

–replica lui, sospirando paziente, come se io fossi tonto, e cercasse di farmi ragionare su una cosa ovvia.
Mi rendo conto che non lo fa con cattiveria.
Probabilmente io sono davvero ottuso.
E lui avrà spiegato una cosa così migliaia di volte. Fino alla nausea.- 

“E’ il suo tutore legale a decidere per lui… se ce ne fosse bisogno, verrà messo al corrente di questo desiderio di Kaede, ma l’ultima parola spetta a lui, purtroppo.”

Sento i muscoli contrarmisi di riflesso, come poco prima di una rissa.
E’ un meccanismo involontario, ormai, dettato dall’istinto di protezione sviluppato nel corso degli anni.
Stringo i pugni, vorrei mettermi a gridare. 

“Non me ne frega un cazzo di cosa pensa questo suo responsabile fantasma!!
E’ mai venuto -lui- almeno una volta, a guardarlo in faccia??
A vedere come si è ridotto??
A tenergli compagnia?? 

COME CAZZO FA AD AVERE POTERE DECISIONALE SU UNA PERSONA DI CUI NON VUOLE NEMMENO INTERESSARSI??!!” urlo, scattando in piedi.

Ho rotto gli argini.
Preparate i sacchi di sabbia.
Illusi.
Non serviranno. 

“Calmati!! Per favore!!!” –m’invita lui, con tono fermo- “Non dimenticare che è solo un’ipotesi!”

Mi tranquillizzo di forza, lasciandomi cadere a peso morto sulla poltrona.
Il suo sguardo accondiscendente mi fa sentire ancora più in colpa, per questa mia scenata: 

“Io.. io.. mi spiace… ecco.. non… non avrei dovuto urlare…” biascico, ricomponendomi. 

“Comprendo il tuo rammarico, e la tua giustificata indignazione… ogni giorno, nel mio lavoro, dobbiamo fare fronte ad aventi spiacevoli come questo.. ad un’assurda burocrazia, e a tutto quello che ne consegue…” motiva, con una smorfia amara di disgusto.
E’ il suo turno di sfogarsi, questo. 

Una parte di me si sente sollevata, di fronte a queste confidenze.
Mi fa sentire meno solo, davanti a questa cosa più grande di me. 

“Comunque ricorda, Sakuragi-kun, è presto per preoccuparsi… è bene che tu me ne abbia parlato, ma tu devi continuare a sperare che lui si risvegli… non sei stato forse tu a dirmi che smetterai di crederci, solo quando arriverà il momento. Né prima, né dopo?”

Annuisco, sempre più convinto.
Con l’intenzione di chiedergli nuove informazioni sul decorso della mia Kitsune.
Nello stesso istante, un lieve bussare ci distrae.
Entra un giovane medico, che si rivolge al suo senpai, informandolo del fatto che è atteso nell’ambulatorio n°7, per un consulto.
Sollevandosi, il dottor Kawata sembra ricordarsi di me, ancora lì seduto. Zitto.
Fa delle veloci presentazioni, definendo il suo kohai come punta di diamante del suo staff.
Prima di andarsene, invita il suo assistente a delucidarmi l’andamento della malattia di Kaede. 

“Chiedigli qualsiasi cosa tu voglia sapere…. Sumai-san segue personalmente con me il caso Rukawa, quindi è aggiornato in tempo reale.” Spiega, congedandosi.

Mi ritrovo, mio malgrado, in imbarazzo, davanti a questo estraneo.
E lui non tenta nemmeno di dissimulare un moto di fastidio, di fronte allo sgradito comando del suo mentore. Tuttavia rimane in attesa, paziente.
Mi scruta, per qualche istante, invitandomi in modo annoiato ad essere conciso. 

Antipatico. 

“Co… come sta Kaede?” perché ho balbettato?
Questo sciocco saputello non mi mette certo in soggezione..

“Situazione stabile.” Risponde succinto lui, andando ad accomodarsi sulla poltrona del suo superiore.

Mi chiedo se possa davvero premettersi tutta questa libertà, o se sta contravvenendo alle regole, e sono talmente assorto in questi miei pensieri, che solo quando lui riprende a parlare, noto che ha tra le mani il fascicolo di Ru.

“Condizione invariata. La frattura al femore sinistro e alla tibia sono in fase di saldatura, da cosa rivelano le ultime lastre.”

“Frattura?” ripeto, sorpreso.

Lo vedo sollevare un sopracciglio, infastidito per la mia interruzione.
“Frattura composta del femore sinistro, in tre punti e incrinatura fibulare con interessamento dei legamenti, dovuta -si desume- al peso della moto cadutagli addosso.” Recita, leggendo un referto, affiancato ad una grande lastra. 

Io nemmeno lo sapevo!!
Pensavo che tutti i suoi problemi fossero alla testa.. 

“Quelli più grossi, sì.” Replica lui.
E solo ora mi accorgo di non averlo meditato, ma espresso, il mio pensiero. 

“Altri 25 giorni di gesso, e un’adeguata terapia di riabilitazione, e fra 6 mesi ricomincerà a saltare come un grillo…”

Che cazzo fai il simpatico??

Mi sta indisponendo, quest’uomo.. poi un pensiero mi colpisce: il sinistro..
E’ il piede con cui stacca da terra nel tiro in corsa!
Merda.. 

Ignorando le mie riflessioni personali, l’altro riprende: “Gli ematomi più estesi si stanno riassorbendo nei tempi corretti, e la maggior parte di loro è già scomparsa.” 

Annuisco, perché capisca che lo sto seguendo.

“Le costole incrinate si stanno risaldando, ma per questo ci vuole tempo…”

Devo essermi rabbuiato, perché lo vedo fermarsi, e guardarmi.

“Nella disgrazia, direi che è stato molto fortunato… un paio di fratture e nulla più.”

Ti sembra poco??

“Non è rimasto sfigurato per miracolo..”

Mi sfugge un gemito.

“A quella velocità… senza casco, per giunta..” calca, di proposito.

“Se… se quel giorno… avesse portato il casco…” ipotizzo, lasciando il pensiero a metà.

“Casco?” mi fa eco lui.

“Oggi, sarebbe ugualmente in coma?” mi faccio violenza, nel chiederlo.

“Chi può dirlo?!
Magari non avrebbe avuto un trauma cranico di queste proporzioni, ma talvolta i motociclisti restano paralizzati a vita, per il troncamento del midollo spinale, dovuto al casco…” 

Assimilo in silenzio queste ultime notizie, quando il medico che ho di fronte irrompe in un soliloquio provocatorio -a mio avviso- molto fuori luogo:
“Cosa sarebbe peggio? Una vita in coma o un’esistenza su una sedia a rotelle? O forse addirittura in un letto, paralizzati dal collo in giù??”

Scuoto le spalle in un moto di stizza.. cosa c’entra Kaede con questi inutili sofismi?
…perché… perché non lo riguardano, vero?

Devo avere un’espressione penosa, perché la sua -di riflesso- sembra contrita, forse per il modo brutale con cui mi ha messo al corrente di quello che potrebbe accadere alla persona che amo, sempre che si svegli..

Raccolgo coraggio, o forse solo disperazione, mentre gli sussurro: “Rimarrà paralizzato a vita?”

Se ne sta zitto.
Maledizione! Non parla.

“E’ presto per dirlo. Credo che il dottor Kawata ti abbia già spiegato che solo dopo il suo risveglio potremo quantificare effettivamente i danni subiti, non prima.. anche in assenza di lesioni ‘fisiche’ evidenti, non possiamo escludere un interessamento neuronale, una compromissione cerebrale.”

“Questo mi era già stato detto.” –ammetto- “Ma nessuno mi aveva accennato alle fratture, o alla possibilità di paralisi..” mi rammarico.

“Penso che dipenda dal fatto che la guarigione delle sue ossa sia per noi una cosa scontata, ‘meccanica’ parlando in modo pratico… quello che desta il nostro interesse scientifico è la sua scarsa reazione ai nostri stimoli.. non che si possa fare poi molto: è il tempo, la cura migliore, e il nostro peggior nemico.”

“Io… io cosa posso fare, per lui?” chiedo, sconfortato.

“Gran poco, in realtà.” -Decreta, sospirando.- “Non è assolutamente dimostrato che una stimolazione adeguata favorisca il recupero della coscienza. Strategie come: musiche preferite, carezze o parole, suoni o odori familiari non sortiscono alcun effetto comprovato.
Potrebbero essere utili quanto dei pizzicotti o degli schiaffi, o dei profumi sconosciuti.

Dopo il ripristino della coscienza, invece, è molto utile creare un ambiente personalizzato, per favorire la sua riorganizzazione neurologica, in contesti ben calibrati, e le personea che gli sono vicine -familiari, amici- sono indispensabili, per la rieducazione, per arrivare a ricostruire significati e storia.”

“Che io gli parli o meno, che io ci sia o no, a lui non serve a nulla, quindi?” realizzo, ferito.

Mi scruta, reprimendo malamente uno sbuffo.

Dove cazzo è finito il dottor Kawata??
Io voglio parlare con lui, non con questo sapientone presuntuoso!!! 

“Ripeto: non abbiamo prove certe né di benefici, né d’impassibilità.”

“Nh.”

“Il suo coma in stato vegetativo persistente fa ancora sperare in un miglioramento.
Da questa condizione ci si può -per il momento- riprendere; tuttavia i criteri statistici suggeriscono poche chances, in tutta sincerità.”

Mi sforzo di essere gentile con lui: “Mi faccia un quadro più completo, per favore.”

“Esistono 4 gradi di coma: il primo, lieve. Il secondo, chiamato ‘semicoma’.
Il terzo, ‘profondo’ e un quarto: dépassé, o ‘morte cerebrale’.
Purtroppo dal coma irreversibile non ci si risveglia. E anche quando il coma è reversibile, uscire senza danno da tale condizione non è cosa da poco.

Innanzitutto ci vuole tempo: non è corretto parlare di risveglio nei termini di un immediato ripristino della coscienza; l’evoluzione naturale di un danno cerebrale implica infatti un percorso sfumato attraverso condizioni di coscienza ridotta, progressivamente crescente.
Ma non è detto che il tempo aggiusti tutto: a volte i progressi portano al recupero di una completa lucidità, a volte si arrestano agli stadi intermedi. A volte non ci sono progressi, e il cervello muore.

Aprire gli occhi e uscire dalla fase comatosa non significa essere coscienti: c’è uno stato di apparente contatto con l’ambiente, infatti, detto vegetativo o ‘di vigilanza’, nel quale compaiono risposte motorie non volontarie, mediate dall’attività sottocorticale.

Al contrario, la distruzione dei tessuti comporta la diagnosi di ‘coma trapassato’ o ‘morte cerebrale’.

In quel caso, non c’è davvero più nulla da fare. Ma nessun medico si sognerà mai di ‘staccare la spina’ prima di aver accertato la necrosi dei tessuti del sistema nervoso centrale.”

Fine della sua saccente, accademica lezione teorica, fatta sulla pelle di Kaede.

Mi risollevo, ancora in parte intontito, da tutto quello che mi ha propinato.
Mi gira la testa…

Lo saluto brevemente, ringraziandolo del suo tempo.
Troppo scosso, per rendermi davvero conto che quest’uomo non merita la mia gratitudine.

‘Staccare la spina’.
HA DETTO ‘STACCARE LA SPINA’ COME SE PARLASSE DI SCARPE DA BUTTARE!!!

Mi viene da vomitare.

Scuoto la testa per snebbiarmi la mente, ma la nausea non passa.
Aumenta.
Accelero il passo, cercando come un dannato il primo bagno libero.

Sto quasi per passare oltre, quando la targhetta mi richiama indietro.

Apro la porta di peso, giusto in tempo.
E non so ancora come, infilo la testa nel water e vomito l’anima.
La testa mi pulsa, mille aghi conficcati dentro, aghi incandescenti.
Lo stomaco brucia, come se avessi inghiottito acido corrosivo. 

Mi accascio per terra, stremato, di fianco al lavandino, cercando di reprimere gli ultimi conati.
Mi passo di riflesso una mano sul viso.
Lacrime.
Non me n’ero accorto.
….

Rimango lì, per un tempo indefinito, a fissare le mie dita umide di sale, come se non fossero parte di me, come se non sapessi cosa sono.
Non riesco a smettere. 

Mi scappa un singhiozzo.
Avevo promesso di essere forte davanti a Kaede. Non di essere forte. E basta.

“MALEDIZIONE!!!” è il ringhio ferito che mi esce.

“MerdamerdamerdamerdamerdamerdamerdaMERDAMERDAMERDAMERDA!!!!” Si ripete la mia testa, le mie labbra, in un mantra di crescente impotenza, mentre i miei pugni hanno deciso di ribellarsi al pavimento, colpendolo senza pietà.

Merda.

Sto facendo i conti con qualcosa più grande di me, e mai, come ora, mi pesa la mia solitudine.

Parlarne con Yohei, con gli altri… non servirebbe.
Ho l’esatta certezza che non mi capirebbero.
Non hanno i mezzi per comprendere.
Non ne faccio una colpa. 

…con mia madre.
Forse, lei.
Lei, che ha perso papà, lei che ha imparato a portare il peso del suo dolore…
A non lasciarsene schiacciare. 

Vorrei mia madre, qui. Adesso.
La vorrei… non riesco nemmeno a trovare la forza per alzarmi. 

Che merda…

Mi sollevo, non so quanto sono rimasto così.
Ho dimenticato l’orologio negli spogliatoi, nella fretta di venire qui.
Mi sciacquo il viso, occhi rossi.
Kami, che faccia.. 

Sospiro, decidendo che è tardi, che devo andare da lui.
 

Ripasso davanti allo studio del dottor Kawata, e realizzo che non gli ho neanche parlato di Maeda-san. Se chiedere o meno il suo aiuto.. 

Oggi, non se ne parla proprio. Io, lì dentro, non ci rimetto piede.
 

Quando arrivo davanti alla porta di Ru, mi fermo per prendere fiato, sistemandomi la divisa.
Forse dovevo aspettare un altro po’, prima di uscire da quel bagno..

Sto per abbassare la maniglia, quando una voce, dal timbro stranamente familiare, mi colpisce.
Non riesco a sentire cosa sta dicendo, so solo che mi stupisce, sentire questa parlata, qui dentro. 

Entro, senza nemmeno bussare.
E, come per magia, la sua figura mi appare.
 

“Mamma!? Che ci fai, qui??!!” esclamo, sorpreso e disorientato.

Lei si solleva dalla poltroncina di fianco al letto, venendomi incontro..

“Ho accompagnato la nostra vicina per una visita, e sapevo che eri qui, pensavo di fare un salto per salutart.. vi.” Si giustifica, riassettando la gonna.

“Ah.” E’ l’unica cosa che trovo da dire, ancora troppo frastornato.

“Non volevo sembrare inopportuna, credimi!” si scusa, come se la sua presenza potesse arrecare disturbo, a me o a lui.

Me la ritrovo davanti, troppo in fretta, mentre mi scruta per capire se sono arrabbiato.

“Hana..?”

Distolgo lo sguardo da lei.
Troppo tardi.

“Hana, che c’è?” chiede, aggrappandosi alle mie braccia.

“Niente, ma’.” Mento, divincolandomi.

Non sono mai stato bravo a mentire. Men che meno, con lei.

Mi ritrovo le sua dita strette sul mento, e lei che mi forza gentilmente, dirigendo i miei occhi verso i suoi.

“Perché hai pianto?” semplice domanda.
L’argine sta crollando di nuovo.

Mi mordo il labbro per non ricominciare.
Mentre sento le lacrime salire, spietate.

Mi ritrovo abbracciato a lei, come cento, mille volte da bambino.
L’ultima volta, quando è morto papà. In una stanza come questa.
Troppo simile a questa.

Non fa più domande, ora.
E’ la mamma del Tensai, sa quando deve smettere.
E quando farmi ricordare che in fondo non sono ancora un uomo, non ancora.
E che -una madre- resta una madre sempre.
Sempre. 

Che se è lei, ad ascoltare il mio pianto, è un po’ meno duro lasciarsi andare.
Lasciarsi consolare. 

Desideravo lei.
E lei, come per magia. E’ arrivata.

 

…continua.

 

Note dell’autrice:

- Per prima cosa, né la storia né i personaggi di Slam Dunk sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

- Ritengo opportuno ricordare che si farà spesso uso di termini medici, per descrivere la situazione clinica di Kaede. Per rendere tale descrizione più realistica possibile, mi sono documentata in modo scrupoloso, consultando diversi testi di medicina e anatomia, e compiendo ricerche nel web.
D’altro canto, anche tenendo conto che ogni paziente è un caso a sé stante, il decorso del quadro clinico –pur rispettoso di una certa coerenza pseudorealistica- è una mia scelta personale, ai soli fini narrativi.

- La storia si snocciola in numerosi capitoli, ma si è GIA’ CONCLUSA.

- Chiunque desideri leggere l’intero racconto in tempi più brevi rispetto a quelli di aggiornamento, può contattarmi al solito divano blue navy: elyxyz@libero.it per ricevere i capitoli restanti.
Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.

- Per ulteriori note e chiarimenti doverosi, vi rimando all’ultimo capitolo.

Arigato (_ _)

elyxyz


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