Scelta
d’amore
-Kaede’s
Diary-
By elyxyz
Capitolo
14
(In corsivo, il diario di Kaede)
POV di Hana.
“Ho dormito poco e male, stanotte. Sai, Volpe?”
So che è solo colpa mia, e che devo togliermi questo peso dallo stomaco.
“Kit, senti… prima della cronaca della partita, beh,
io…” farfuglio, insicuro.
Ok. Un profondo respiro.
Butto fuori tutta l’aria dai polmoni.
“Ho parlato con Ayako.”
Stop. Ho sganciato la bomba.
…
“Ti avevo avvisato, no?! …che lo avrei fatto,
intendo…” mi giustifico, distogliendo lo sguardo.
…
“Ieri mattina, dopo gli allenamenti, e prima di
venire qui da te..
Ho chiamato Haruko, per farmi dare l’indirizzo.
Che almeno faccia la vice-manager per qualcosa, oltre che per sbavare più
da vicino dietro a te..
Ho accampato una scusa, e mi sono fatto dire dove abita lei.”
Una zona della città che non conoscevo.
Sapevo solo che era in un quartiere residenziale.
“Quando mi sono trovato davanti al cancello di casa
sua –casa, che eufemismo!- ci sono rimasto di sale: sulla targhetta
dorata era inciso il nome ‘Miyamoto’… mi sembrava una coincidenza fin
troppo spinta lì, Kitsune, sono ingenuo -a volte- non fesso.”
Mi zittisco, ricordando il mio stupore, neanche tanto
giustificato. Un dubbio lo avevo avuto, il sentore di qualcosa.. ma di lì
a poco ne ho avuto la conferma.
“Una cameriera è venuta ad aprirmi, e ho chiesto di
parlare con Ayako.
Mi ha guardato storto, come spesso succede, non ero certo vestito di tutto
punto…
Dopo due ore al campetto, sicuramente non potevo sembrare il principe
azzurro venuto dalla sua bella…” sorrido; che magra figura..
“Aya è venuta fino alla porta, sorpresa di trovarmi
lì.
Mi ha fatto entrare ed accomodare in un salottino, molto intimo.
Prima ancora di aprir bocca, mi sono ritrovato in mano una finissima tazza
di porcellana, con del the di cui ignoravo nome e provenienza, ma con –di
sicuro- un’origine ben più nobile della mia..”
Arriccio il naso, in un moto involontario di fastidio.
“Le ho spiegato perché ero lì.
Se lo aspettava, mi ha risposto.
Che sarei venuto a cercarla, prima o poi.”
“Volevo arrivasse il momento giusto. Per questo, ho
atteso.” Mi ha spiegato.
….
“Le ho detto del diario.
Di quello che c’è scritto su di voi, almeno fin dove ho letto..”
“Non ne è sembrata affatto sorpresa, anzi.
E mi ha raccontato un sacco di cose, del fatto che vi conoscete quasi da
sempre, o, almeno, da molti anni.
E che Miyamoto-san non è in realtà suo padre. Bensì il suo patrigno.
Che i suoi hanno divorziato quando lei era ancora piccola, e che sua madre
si è risposata poco dopo, con il socio e migliore amico di tuo padre.
…Che stupidaggine!
Ti sto raccontando cose che sai già, volpaccia.” Constato.
E la mente vaga, scardinando i miei ricordi recenti,
ponendomi di fronte ad una realtà che non posso più ignorare.
Accarezzo con la punta della scarpa il bordo di un
tappeto persiano di valore inestimabile, credo.
Ayako mi guarda indulgente, silenziosa, aspettando che io assorba e
digerisca una quantità industriale di informazioni che ti riguardano, la
riguardano, e –talvolta- vi riguardano.
Mi ha sfilato di mano una tazza ancora intatta, sostituendola con un’altra
di calpis.
Deve leggere gratitudine, nel mio sguardo, perché sorride benevola, in
risposta.
Non sono tipo da the elaborati, io.
So che siamo giunti ad un punto in cui anche io devo
scoprire le carte.
Racimolo un po’ di coraggio, esalando:
“Non lo so… quando abbiamo smesso di odiarci…”
“Lui non ti ha mai odiato…”
La guardo, ed è seria.
“Si è limitato a recitare la parte che tu gli avevi
chiesto di interpretare..”
E il peso di tutto il significato nascosto dietro
questa frase mi schiaccia inesorabilmente.
I miei occhi devono essersi dilatati d’incredulità.
No.
Di sorpresa.
Meglio.
Lei fa vagare lo sguardo attorno a sé, decidendo se
continuare o meno.
Poi guarda la mia espressione affranta, e ha già preso la sua decisione.
“Abbiamo parlato di te, io e Kaede, una sera di
qualche mese fa.
L’ho trovato seduto sulla panca degli spogliatoi.. ancora mezzo svestito,
i capelli gocciolanti, le mani in mano, sembrava stanco.
Era lì, che fissava il tuo armadietto, e non si era accorto che io ero
entrata da mezz’ora.
Non ha mai distolto il suo sguardo da quello sportello.
Come se lì ci fossero le risposte che lui aspettava.
Gli ho posato la maglia della tuta sulle spalle. E
lui si è riscosso dalla sua trance.
Mi ha solo guardato.
E ho letto tanta confusione, in quello sguardo.
E paura.
Gli ho chiesto cosa provasse per te….
Ma gli ho ingiunto di non rispondermi.
Che la risposta era a se stesso che doveva darla, non a me.
“Aya…” mi ha detto.
Sono ritornata dentro e l’ho abbracciato.
Erano due anni che non si lasciava toccare da me.
Se ti chiedi se ha pianto, la risposta è no.
Kaede Rukawa non piange mai.
Esistono altre lacrime, che non si possono vedere.”
Annuisco. Lo so fin troppo bene, purtroppo.
“Forse lui ti ha sempre amato, anche se non se ne
rendeva conto…
Ma sei l’unica persona a cui ha concesso di avvicinarsi, di interagire con
lui dalla morte dei suoi genitori.
Di te si interessa, è innegabile.”
Le sue parole mi rimbombano ancora adesso, in testa.
Tutta la notte, a riviverle.
A sezionarle, a sbranarle, una ad una.
Parola per parola. Sillaba per sillaba.
Consapevolezza.
E’ il suo nome.
Adesso.
Per un tempo indefinito rimango zitto, assorto per i
fatti miei.
La pompa del respiratore scandisce gli attimi, come fossero un’eternità.
“Mi ha ringraziato, per quello che sto facendo per
te.
Non ha motivo di farlo.
Ma non ha voluto sentire ragioni.
“Solo il Tensai può convincerlo a svegliarsi!” mi ha
detto, convinta.
Ho annuito, un po’ più sereno.
La cameriera è venuta ad avvisare che il pranzo era
pronto.
Ayako mi ha invitato a restare, a mangiare con lei.
Ho rifiutato.
Dovevo passare da casa a cambiarmi, e poi venire da
te..
E lei mi ha abbracciato, sulla porta.
Poi ha minacciato castighi per 100 anni, se non mi
fossi presentato agli allenamenti, il giorno dopo.
L’ho salutata con un sorriso.
Uno di quelli da Tensai.
Mi è arrivata una sventagliata, che ancora adesso non ho capito da dove
fosse partita.
Mah. Ayako è fatta così.
Un bastone.
Una carota.
Due colpi di harisen.”
“Spero non ti arrabbierai, con lei, soprattutto.
Credo sia profondamente convinta che sia stato un bene, rivelarmi le cose
che mi ha confidato.
Quindi dovrai vedertela con me, intesi?!”
L’occhio mi cade sul block-notes ‘Perché picchiare il
Tensai…’
L’ho ritrovato lì, su una mensolina, dopo il suo trasferimento in questa
stanza.
E’ ancora bianco, lo so.
Senza quasi accorgermene, do voce ai miei pensieri:
“Forse dovrei cominciarne uno, con i motivi per picchiare una volpe… ma
quando ti sveglierai, non avremo tempo per queste stronzate… recupereremo
-giorno e notte- ogni istante perso.”
PERSO.
Se mi fossi dichiarato prima, non saremmo ridotti così.
Non staremmo vivendo un amore virtuale.
Forse non saresti nemmeno qui.
QUI.
Questa consapevolezza mi mozza il respiro.
Se non avessimo litigato, quella sera…
Se non te ne fossi partito, incazzato…
Se avessi messo il casco, forse… forse…
Oh, Kami….
Mi bruciano gli occhi.
E’ colpa di questo neon, ne sono certo.
Cazzo... ho preso il raffreddore… faceva freddo
fuori, sì…
Un singhiozzo.
Mi metto la mano sulla bocca.
Per trattenerlo.
E’ già scappato.
Almeno, quelli dopo, no.
Non è singhiozzo, Do’aho. E’ un singulto.
La mano in bocca, per cercare di trattenere le
lacrime.
Mordo a sangue una nocca, ma serve a poco.
A niente.
Mi ritrovo a piangere addosso a lui.
Merda. Merda. MERDA.
Mi ero ripromesso di non farlo più davanti a Kaede.
Di non lasciarmi andare allo sconforto.
Ci sono tre piani prima dell’uscita.
Non ci arriverei mai.
Sto imparando ad essere forte.
Ci sto provando, giuro.
Ma nessuno mi ha mai insegnato come si fa.
….
Una mano mi accarezza piano, lentamente.
Affonda tra le ciocche della mia testa.
E’ piacevole, è rilassante.
Mi piace.
Non ricordo dove sono, né con chi, ma va bene comunque.
Non so perché. Ma in questo momento mi va bene tutto.
La mano si ferma, posandosi sulla mia spalla.
No! Che peccato… è durato troppo poco.
Non so quanto: qualche istante, diverse ore?
Non lo so.
Ma è sempre troppo poco.
Una voce.
Sento una voce che mi chiama. Da lontano.
No, per favore.
Lasciatemi qui, ancora un po’.
In questo buio rassicurante, in questo bozzolo avvolgente di calore.
Sto bene, qui. Chiedo forse troppo?
La voce si fa più vicina, ignorando la mia supplica.
E prende forma in un volto, appena apro gli occhi.
Mi sono addormentato.
E’ la prima realtà a cui sbatto contro, destandomi.
Saito-san è davanti a me. Una mano ancora sulla mia spalla.
Sbatto le palpebre, smarrito.
Mi bruciano gli occhi. Sento la pelle delle guance tirare.
Mi sorride, non parla.
Farfuglio qualcosa, non so cosa.
Lei capisce la mia confusione.
Non faccio niente per mascherarla.
Sono ancora travolto da me stesso, anche solo per provarci.
“E’ ora che tu vada a casa, Sakuragi-kun.” Mi
consiglia.
Ma so che è un ordine.
Annuisco in risposta, strofinando un palmo sulle
palpebre.
A lei basta, perché annuisce, comprensiva, e se ne
va, lasciandomi il tempo di raccattare un po’ di dignità.
Non so nemmeno per quanto ho pianto.
Sul lenzuolo c’è una macchia ancora umida.
“Scusa, Volpe…”
Mi sono addormentato.
….
Non ti ho neanche detto che oggi hanno riaperto la
palestra, dopo il restauro… le tue fans mancavano tutte, tranne Ru-Ka-Wa.
Quelle hanno l’abbonamento in prima fila, temo…
Non ho letto neanche mezza pagina di diario, oggi…
“Kami!.. Sono proprio un do’aho…” mi rimprovero.
Scusa, Volpe..
Domani cercherò di essere meno debole, vedrai..
Tornerò ad essere il Tensai, lo prometto.
A lui…
…o a me?
…continua.
Note dell’autrice:
- Per prima
cosa, né la storia né i personaggi di Slam Dunk sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro,
da parte mia.
- La storia
si snocciola in numerosi capitoli, ma si è GIA’ CONCLUSA.
- Chiunque
desideri leggere l’intero racconto in tempi più brevi rispetto a quelli di
aggiornamento, può contattarmi al solito divano blue navy:
elyxyz@libero.it per ricevere i capitoli restanti.
Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.
- Per
ulteriori note e chiarimenti doverosi, vi rimando all’ultimo capitolo.
Arigato (_
_)
elyxyz
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