Rating: Nc17 e, ah sì, il finale è leggermente splatter, come tradizione pulp impone. Spero non risulti troppo fastidioso.
Note: Questa è una piccola “guida” composta da immagini che ho fatto per il racconto.

 


Sang et sucre

di IoSonoSara

*fic scritta per il progetto letterario "Morceaux"

 

Pugno sbattuto sul tavolo. Scartoffie e tazza di caffè che volano sul pavimento. Gran merdaio di fogli, cocci e schifosa brodaglia marrone erogata dalla macchinetta. Schifosa brodaglia marrone che fa ancora più casino perché farcita di zucchero. Quattro zollette, per la precisione - perché a lui il caffè piace dolce – che naturalmente non si sono sciolte del tutto.

Da notare la sua meticolosità: il caffè lo prende amaro – fra l’altro toglie il bicchierino di plastica prima che la macchinetta cominci l’erogazione per metterci sotto la tazza – e aggiunge ben quattro zollette di zucchero Grenouille a parte.

Puttana miseria! Ma come fanno a fare uno zucchero tanto buono?!

Prova a calmarsi: ha la testa rasata fra le mani e sbuffa dalle narici dilatate. Inspira, espira, inspira, espira. Tutto inutile.

Appena si accorge del casino che c’è per terra la sua mano vola alla pistola d’ordinanza, ma prima che possa sparare ai cocci della sua tazza zebrata entra l’uomo più impiccione di tutto il Commissariato: Stephane Dupois.

“Cosa succede Ispettore, cos’è tutto questo casino?”

“Niente. Mi sono solo cadute un po’ di cose per terra.”

Dupois guarda la mano di Laurent sulla pistola d’ordinanza e aggrotta le sopracciglia.

“Non aveva mica intenzione di sparare ai cocci della tazza?”

Come cazzo ha fatto a capire quello che avevo in mente?

Ometto perspicace il Sovrintendente Dupois, sulla quarantina, molto devoto alla famiglia e al lavoro e a tutte quelle cose che si dicono delle ‘brave persone’.

“Se si sta chiedendo come ho fatto a capirlo… beh, dopo otto anni che lavoro con lei riesco un po’ ad immaginare cosa le passi per la testa.”

Ometto molto perspicace e con una bellissima rossa ventenne come figlia.

Laurent annuisce assente.

La banda dei Muppets sta facendo impazzire tutti. Non si preoccupi, non è l’unico a dare di matto qua dentro.”

Laurent abbozza un sorriso tirato.

“Adesso me ne vado, che magari ha bisogno di stare un po’ da solo. Però non prenda a pistolettate la tazza, va bene? Fra un’oretta le mando qualcuno a pulire. Buona giornata, Ispettore.”

Laurent ricambia con un cenno e appena Dupois esce dalla stanza si prende di nuovo la testa fra le mani.

‘La banda dei Muppets’. Sette omicidi in nemmeno tre mesi dei quali l’ultimo soltanto un paio di giorni fa.
Nessun movente.
Nessuna traccia.
Niente che possa collegare le sette vittime fra loro, neppure la modalità dell’omicidio.
Niente di niente.
Solo sette polaroid raffiguranti Miss Piggy, Kermit e Gonzo in compagnia del cadavere della vittima. Troppo preciso per essere un autoscatto, il che significa che c’è sicuramente almeno un’altra persona che fa parte della banda. Ma nemmeno dalle foto sono riusciti a ricavare niente.

Sette omicidi perfetti.
Nessuna traccia.
Solo quelle foto a prenderli per il culo.
Il messaggio è chiaro: “Vi lasciamo una nostra foto, tanto non ci prenderete mai.”

Quindi è normale che là dentro non sia l’unico a dare di matto.

Ma Laurent Darrieux ha un ulteriore punto a suo sfavore: lui odia i Muppets sin da quando era bambino. O meglio, non li odia e basta, ne ha una paura fottuta.


***


Nessuna traccia.
Niente di niente e visto che i poliziotti sono praticamente fermi con le indagini si è permesso di farne un po’ per conto proprio. Giornalismo investigativo insomma, era sempre stato il suo sogno ed eccolo qui, finalmente, a realizzarlo.
Ma non aveva scoperto nulla.
Dalla polizia era riuscito a sapere solamente che gli assassini vanno in giro ad ammazzare la gente con delle maschere e dei costumi da Muppets: Kermit, Miss Piggy e Gonzo, per la precisione. Ma nessuno li ha mai visti di persona. Sanno questo semplicemente perché i mostriciattoli lasciano sempre una polaroid sulla scena del delitto che li raffigura insieme al cadavere della vittima di turno.

“Troppo precise per essere autoscatti, quindi c’è sicuramente almeno un’altra persona che fa parte della banda.” Queste erano state le parole che gli aveva detto in un italiano senza accento quell’Ispettore pelato.

“Per il resto nessuna traccia. Nessun movente. Nessuna pista. Niente che possa collegare le sette vittime fra loro.” Aveva concluso lo strano poliziotto dagli occhi troppo azzurri e vestito come un ragazzino.

O la polizia parigina è troppo stupida o è ‘la banda dei Muppets’ che è troppo intelligente. Dopo due mesi sono ancora al punto di partenza. Certo, neppure io ho scoperto niente ma non dispongo certo di tutti i loro mezzi.

Claudio posa la tazza di caffè, rigorosamente senza zucchero – lui odia lo zucchero – sul tavolo e guarda fuori dalla finestra del suo appartamento.

Che primavera di merda a Parigi, quella di Firenze sarà sicuramente migliore. Anche perché le mezze stagioni sono le uniche vivibili in quella città.

Si accende una Marlboro rossa e pensa agli eventi che lo hanno portato lì: uno stagista depresso, la propria arroganza e la conseguente cazzata, ulteriore cazzata da parte del ragazzino. Il caos come risultato finale.

Benché sia Eugenio che Nicole – in primis – e poi, a seguire tutti gli altri gli avessero detto che non era stata colpa sua, la coscienza continuava a mordere troppo violentemente e troppo spesso. Quindi aveva fatto in modo di farsi mandare come inviato a Parigi già da dicembre, lasciandosi dietro dei colleghi disperati e un ragazzino troppo stupido in coma.

Perché proprio Parigi?
Perché qualsiasi posto in Italia sarebbe stato troppo vicino a Firenze e perché Nicole gli aveva fatto una testa così con i suoi viaggi a Parigi, mettendogli addosso un po’ di curiosità. In fondo il francese è l’unica lingua che conosce e non lo parla poi così male.

Così ormai sono cinque mesi che abita lì, riflette, spegnendo la sigaretta nella tazza adibita a posacenere. Ha seguito tutto il caso de ‘La banda dei Muppets’ e non ha in mano niente, neanche dopo tutte le ricerche fatte.

“Le indagini su ‘la banda dei Muppets’ brancolano ancora nel buio” sarà questo l’attacco per il suo pezzo giornaliero sul caso. Il solito, insomma.

Ma non si dà ancora per vinto: prima di scrivere lo stesso pezzo rigirato in modo da farlo sembrare originale e infarcito di opinioni tanto autorevoli quanto inutili e superflue per renderlo interessante, vuole tornare sull’ultima scena del crimine. Un capannone abbandonato poco fuori Parigi.

Puoi credere nel buio quando la luce mente.

Mentre sta uscendo di casa con il casco della moto in mano, gli viene in mente questo verso di una poesia di Montale. Non c’entra nulla con tutta la faccenda, forse, ma Claudio non riesce a levarselo dalla testa.


***


Laurent Darrieux non è tranquillo.

Finché non prendono quella banda di psicopatici come potrebbe esserlo? Già sono terrificanti in TV, figurarsi ritrovarsene uno in carne ed ossa davanti. Che poi quei coglioni si limitassero a mettersi delle maschere… No! Sono vestiti completamente da Muppets e da quello che ha potuto vedere dalle foto l’effetto è alquanto convincente. Soprattutto per quella zoccola di Miss Piggy con quel suo lugubre paio di bocce. Non la toccherebbe nemmeno per tutta la neve sequestrata negli ultimi sette mesi.

Una striscetta, però, gli farebbe proprio piacere in questo momento visto che Il-Grande-Ispettore-Darrieux se la sta facendo sotto per una paura infantile che si è portato dietro per troppo tempo.

Arriva la donna delle pulizie a raccogliere i cocci e tutto il troiaio zuccheroso che c’è per terra.

“Buongiorno Ispettore.” Dice la donna a bassa voce con un sorriso timoroso.

“Buongiorno.” Borbotta Laurent alzandosi per uscire.

“Stia pure comodo, faccio in un attimo.” Si affretta a precisare la donna.

“Stavo andando a prendere un caffè. Il mio come può vedere…” Spiega Laurent indicando con la testa il casino marrone sul pavimento.

La donna accenna un altro sorriso imbarazzato e poi si affretta a svolgere il proprio lavoro.

Laurent esce e va in terrazza a fumarsi una sigaretta. Il caffè lo prenderà dopo che la donna sarà uscita, visto che le zollette sono nel suo ufficio.

Fuma la sua Lucky Strike rabbioso come se, mordendo il filtro, potesse spezzare il collo a tutti gli stronzi di quella banda contemporaneamente. Lo morde e succhia quasi il fumo dalla sigaretta. Quando poi la spegne il mozzicone è ridotto ad un coagulo di rabbia e saliva.

Levatemi la caffeina e la nicotina e allora sì che sarò davvero un uomo morto. Posso rinunciare al sesso e alla neve per un po’, ma il mio pacchetto giornaliero di Lucky Strike e i miei cinque caffè non me li dovete togliere.

Macchinetta.
Caffè lungo.
Amaro.
0,35 €.
Click.
Tac.

Cazzo! Devo prenderlo dal bicchierino di plastica visto che ho distrutto la mia tazza da ufficio.

Bzzz.
Tac.
Odore di caffè.

Buono, per quanto possa essere buono il caffè di una macchinetta.

Ufficio.
Scrivania.
Secondo cassetto a partire dall’alto.
Zollette Grenouille.
Cartine verdi con una graziosa ranocchia stampata sopra.
Una.
Plop.
Due.
Plop.
Tre.
Plop.
Quattro…

“Cazzo!” urla Laurent trattenendosi a stento dal ripetere la scena di un’ora prima.

Perché le sue zollette di zucchero preferite devono chiamarsi ‘ranocchio’ e averne uno stampato sulla carta che le avvolge?! Perché lo nota solo adesso e, soprattutto, in un momento delicato – per non dire di merda – come questo?!

Fottuti pazzi, gli stanno stravolgendo la vita! Adesso non si può più nemmeno gustare un caffè in pace.

Basta, è deciso! Andrà sul luogo dell’ultimo delitto e anche se è stato setacciato da cima a fondo dalle fighette della scientifica fino al giorno prima troverà qualcosa – qualsiasi cosa – per inchiodare quei figli di puttana e sbatterli dentro senza nemmeno passare dal via.

Giubbotto di pelle infilato in tutta fretta. Chiavi della Twingo in mano e giù a rotta di collo per le scale. Sirena accesa e via con “Walkin’ on sunshine” a tutto volume in mezzo al traffico dell’ora di pranzo peggio di Samy Naceri per le strade di Marsiglia in “Taxxi”.

È incazzato ed euforico però qualcosa gli dice che deve essere prudente. Quindi appena esce dal traffico spegne sia sirena che musica e si avvicina ad una velocità normale al capannone.

Ghigna, ma il suo è un ghigno nervoso, e sussurra:

“State attenti pezzi di merda perché l’Ispettore Laurent Darrieux sta venendo a prendervi ed è incazzato peggio delle vecchiette sull’autobus.”


***


È mezz’ora che Claudio sta girando attorno al capannone e non ha ancora trovato nulla.

Aspetta, cosa c’è là per terra… zollette di zucchero? Cazzo. Ogni volta che ho avuto a che fare con lo zucchero non mi ha mai portato nulla di buono. Non è un buon segno.

Le schiaccia con un piede arricciando il naso in segno di disprezzo e fa per andarsene. Ma non fa in tempo a girarsi che sente un forte dolore alla testa e poi è il buio più completo.


***


Laurent arriva sgommando, molla la Twingo azzurra nei pressi del capannone e scende con un balzo estremamente atletico per un uomo della sua età. Corre verso l’entrata ma si ferma prima.

Ci sono delle zollette di zucchero schiacciate per terra.

Non è mai un buon segno quando lo zucchero – il mio amato zucchero – viene disprezzato in questa maniera…

Un colpo sul retro della nuca e poi più niente.


***


Cazzo, che male alla testa.

Non si sente così da quella volta che, disperato, aveva sbattuto ripetutamente la testa contro il muro perché quelli di “Striscia la notizia” non solo avevano reiterato la frase ‘siamo un telegiornale satirico’ ma avevano pure detto di fare giornalismo investigativo.

Gabibbo di merda!

Apre gli occhi ma non vede molto bene, gli sembra di guardare attraverso un mosaico tanto ha la vista sfocata.

Ma dove sono? Le mani… sono legato?

Piano piano la vista gli si schiarisce e quando volta la testa per guardarsi intorno riconosce una faccia già vista…


***


“Ce ne hai messo di tempo per svegliarti, eh?” Gli chiede Laurent in italiano con un sorriso storto.

“Dove siamo?”

“Dentro il capannone.”

“E adesso che si fa?”

“Aspettiamo.” Risponde Laurent cercando di nascondere il nervosismo. Se dovesse uscirne morto da tutta questa storia sarebbe una delle morti peggiori, se non la peggiore, che gli potesse capitare: ucciso dai Muppets.

“Aspettiamo cosa?”

“Non lo so.”

“Bel pulotto.”

“Scusa?”

“Intendo, aspettiamo che ci ammazzino?”

“Forse.”

“Fottiti.” Poi aggiunge piano, “Estragon”.

“Guarda che io mi chiamo Laurent.”

Claudio rotea gli occhi.

Ma che razza d’ignorante è? Non conosce nemmeno “Aspettando Godot” di Samuel Beckett? Pensare che è stato pure scritto in questa città!

“Lascia perdere.”

“Sì, ma tu non ti rivolgere più a me con quel tono e soprattutto ricordati il mio nome.”

“Tutto ciò è surreale. Cerchiamo almeno di comportarci come si comporterebbero delle persone normali nella nostra situazione: ovvero rinchiusi dentro ad un capannone, probabilmente da una banda di assassini, con mani e piedi legati e che non sanno cosa li aspetta ma non faticano ad immaginarselo. O almeno, il più intelligente di loro non fatica.”

Laurent ignora tutta la seconda metà del discorso: “E come dovremmo comportarci?”

“Boh, forse le persone normali di solito piangerebbero e si divincolerebbero cercando di sciogliere i nodi e fuggire.”

“A cosa servirebbe? Nel migliore dei casi sono lì all’uscita con le pistole puntate.”

Claudio rimane spiazzato dalla domanda e non risponde.

“Tu hai visto troppi film.”

“Almeno io li ho visti.”

Laurent digrigna i denti. Quel giornalista italiano arrogante ha cominciato a rompergli le palle.

“Cosa intendi?”

“Beh non mi sembri una persona, come dire, particolarmente colta”.

“Sinceramente non mi è mai interessato molto essere una persona, come dire, particolarmente colta.”

Claudio non sa che rispondere.

Touchè, pensa Laurent.

“Però parli molto bene l’italiano.”

“E non solo, honey.”

“Sai parlare anche l’inglese?”

“Esattamente, honey.” Risponde Laurent con un sorrisetto.

“Come mai?” Chiede Claudio incuriosito.

“Beh, mia mamma è americana, della California per la precisione, e fino ai vent’anni ho abitato a Nizza e lì l’italiano si sente parlare spesso, quindi è andata a finire che l’ho imparato.”

“Beh, sono sorpreso.”

“Io sono un uomo pieno di sorprese, ricordatelo.” Dice Laurent ambiguo, poi aggiunge: “E tu?”

E tu cosa?”

“Parli benissimo il francese. Come mai?”

“Beh, io l’ho studiato, non l’ho certo imparato per osmosi.”

Claudio non sa perché ma quel pulotto lo istiga a dare risposte acide. Troppo sicuro di sé, troppo arrogante. Un po’ gli assomiglia e forse è questo che lo mette a disagio.

Laurent sta un momento in silenzio e poi esplode.

“Senti, testa di cazzo! Io ti massacro di botte, io ti sbatto dentro! Non dimenticarti che sono un Ispettore di polizia!”

Claudio non si scompone e, anzi, dice con un ghigno: “E come, con mani e piedi legati?”

Laurent ammutolisce davanti all’evidenza. Muppets e giornalisti. Cosa potrebbe esserci di peggio? Forse sua nipote Linda a cui salvare di nuovo il culo perché, dopo avere rubato circa settanta loghi della Renault (evitando però di mutilare la Twingo azzurra dello zietto) questa volta si era messa a rubare quelli della Peugeot?

“No, sul serio, che si fa?”

“Te l’ho detto, si aspetta. Anche perché mentre ero svenuto mi hanno tolto di dosso qualsiasi cosa potesse essere d’aiuto.”

“Cazzo.”

Proprio in quel momento la porta si apre e tre figure si stagliano in controluce.


***


“La smettete di parlare in quella lingua incomprensibile, per favore?” Gracchia una voce femminile, se così si può definire, proveniente da dietro una maschera da maialina.

“Kermit, Gonzo, avete visto che bella sorpresa? Adesso ci sarà da divertirsi.”

Laurent è sbiancato e non riesce a muoversi. Claudio stringe i denti fino a sentirli scricchiolare.

“Non vi uccidiamo, tranquilli. Vogliamo solo divertirci con voi. Vogliamo farvi divertire così tanto che la morte vi sembrerà una gran cosa in confronto.” Dice con una voce melliflua la tizia vestita da Miss Piggy.

Poi continua con un enfasi fin troppo forzata: “Desidererete morire, c’implorerete di ammazzarvi, di togliervi la vita con tutte le vostre forze ma noi non vi daremo la soddisfazione.”

Laurent deglutisce. Claudio ghigna, sa che sarebbe meglio stare zitto e non provocarli, vista la loro posizione, ma non riesce a trattenersi.

“Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida. Cosa che, tanto, non otterrai.” Cita a memoria in un perfetto francese.

“Cazzo dici stupido!” Riesce a sputare lì, sottovoce, Laurent.

“Eh?” Chiede Miss Piggy piegando l’enorme testa di lato.

Claudio si morde l’interno della guancia e continua con un sorriso nervoso: “Beh, sembra una frase che c’è in ‘Reservoir dogs’ di Tarantino. Solo che voi volete solo torturarci senza ammazzarci e il tizio invece vuole torturare il poveretto per poi ammazzarlo.”

“Coglione, non mi sembra il momento di mettersi a fare il critico cinematografico. Ma tu la bocca non la sai proprio tenere chiusa?!” Gli urla Laurent in un misto di rabbia, stupore e paura.

“Ha ragione lui, sai? Allora vediamo un po’: tu sei Claudio Pratesi, hai quarantaquattro anni, sei un giornalista, italiano, hai abitato tutta la vita a Firenze e poi, cinque mesi fa, ti sei trasferito qui perché per colpa tua il tuo stagista è finito in coma. Ah… fra l’altro odi lo zucchero.”

Claudio e Laurent sgranano gli occhi, increduli.

“Come… lo sai?” Chiede Claudio basito.

“Beh, zuccherino, ho le mie fonti come voi avete le vostre per i rispettivi lavori.”

Chiaramente Miss Piggy è il capo della banda, pensa Laurent anche se non parla: è letteralmente paralizzato dalla paura.

“Per essere più precisi noi sappiamo tutto di voi, dalla cosa più stupida a quella più importante. Forse l’unica cosa che non sappiamo è che mutande indossate oggi.” Dice Gonzo da dietro la sua maschera.

“Esatto.” Interviene Miss Piggy, “Kermit, tesoro, puoi illustrare all’Ispettore Darrieux che cosa sappiamo di lui, invece?”

“Con piacere, mia cara!” Dice Kermit con la sua solita voce allegra. “Allora, Laurent Darrieux. Quarantotto anni. Francese da parte di padre e americano dalla parte della madre. Sei nato a Nizza ma poi, verso i vent’anni ti sei trasferito a Marsiglia e sei entrato in polizia. Otto anni fa te ne sei andato anche da lì perché per colpa della tua così detta ‘testa calda’ un tuo collega è stato ucciso sul molo. Ami lo zucchero, soprattutto le zollette Grenouille.” Fa una piccola pausa, abbassa lo sguardo verso i suoi piedi palmati e poi lo rialza ridacchiando. “Sì le zollette Grenouille, che buffa coincidenza, vero? E a proposito di buffe coincidenze… sappiamo che sei terrorizzato dai Muppets. Sei veramente un tipo strano però!”

Parla uno vestito da pupazzo!

Pensa Laurent, ma non dice niente; a differenza di Claudio sa che è molto meglio starsene zitto, e poi è davvero terrorizzato, quindi gli farebbe troppa fatica parlare. E, soprattutto, capirebbero che ha paura. Quindi tace così evita di provocarli e magari ci fa pure la figura del duro che non si spaventa davanti a nulla. Beh, magari questo no visto che sanno già che lui ha una paura fottuta di loro.

Miss Piggy si avvicina di qualche passo.

“Avete molto in comune voi due, non trovate? Soprattutto per la gente che avete ammazzato o rischiato di ammazzare.”

Si avvicina a Claudio e gli dà un calcio nelle costole tanto forte che lo fa volare, senza fiato, addosso a Laurent facendo cadere a terra entrambi.

“Questo è per il tuo atteggiamento arrogante. Però trovo che siate molto più carini così vicini. Formate davvero una bella coppia.” Detto questo la maialina scoppia in una risata grottesca.

“Che volete da noi veramente?” Chiede Laurent da terra con Claudio addosso che si sta sforzando di riprendere fiato.

Un calcio del genere le costole te le frattura, brutta puttana.

“Tutto bene?” Gli sussurra velocemente in italiano.

“No, cazzo!” Risponde Claudio tossendo e rotolando giù dal suo petto in modo che si possano entrambi alzare.

“Ve l’ho detto! Vogliamo solo divertirci con voi. Vogliamo farvi desiderare la morte così tanto che dopo il vostro unico obiettivo sarà quello di trovarci per vendicarvi. Niente di più frustrante perché non ci riuscirete mai. Noi sappiamo tutto di voi ma voi di noi non sapete nulla. Insomma per fartela breve vogliamo umiliarvi due volte.”

“Ma perché proprio noi?!” Chiede Claudio adesso che ha ripreso a respirare normalmente.

“Perché siete i primi due ficcanaso che ci sono capitati sotto mano e noi odiamo i ficcanaso.” Dice Gonzo muovendo su e giù il becco con l’aria di uno che ha le sue ragioni per fare certe cose. Per quanto possa comunicare una maschera.

“E poi,” interviene Kermit “dovreste ritenervi onorati: siete i primi a vederci dal vivo. A parte, naturalmente, le vittime che, mi dispiace per loro, non possono raccontare quest’esperienza a nessuno.”

Scoppiano tutti e tre a ridere in una lugubre risata.

Laurent e Claudio si guardano negli occhi con un misto di paura e stupore.

“Adesso dobbiamo andare tesorini, devo incipriarmi il naso e fare tutte quelle cose che fanno le signorine. Ma non vi preoccupate, si divertiranno con voi Waldorf e Statler. Esatto, avete capito bene! Sono loro gli altri membri della banda che cercate disperatamente d’individuare dal primo omicidio. Buon divertimento, zuccherini.”

Kermit e Gonzo li salutano con la mano. Poi tutti e tre voltano loro le spalle, aprono il portello del capannone per richiuderselo subito dopo alle spalle.

Se riuscissi ad andare fuori potrei vederli in faccia quei bastardi, pensa Laurent, alla fine non possono di certo andare in giro per Parigi vestiti così!

“Qualsiasi cosa tu stia pensando, a meno che non sia un modo per farci uscire da qui ora, è una pessima idea.”

“Come fai a saperlo?” Chiede Laurent fra il basito e l’incazzato.

“Lo vedo dal tuo sguardo. Non ha nulla di razionale.”

“Parla quello che per tutto il tempo non ha fatto altro che provocare quei tre. Ma che cazzo ti passava per la testa? Non lo sai che in situazioni come queste, soprattutto quando si ha a che fare con dei malati di mente di questo livello, bisogna fare di tutto per farli rimanere calmi?”

“E l’umiliazione dove la metti?”

“Ma di che stai parlando?”

“Beh, credevo fossi un tipo orgoglioso ma probabilmente mi sono sbagliato.”

“Senti honey, sappi che io sono molto più orgoglioso di te e di tutti i cittadini dell’Italia e della Francia messi insieme. Però di avere l’orgoglio intatto non me ne faccio nulla se mi ammazzano. Anch’io un tempo la pensavo così: comportarsi ‘da duro’ sempre e comunque, anche nelle situazioni più disperate. E sai cosa ho ottenuto? Di fare ammazzare un ragazzo che non solo era un mio collega ma forse era anche una delle persone più care che avessi mai avuto. Quindi vedi di stare calmo perché non credo che abbiamo avuto le stesse esperienze.”

Claudio guarda altrove imbarazzato e poi cambia discorso visto che è chiaramente in torto.

“Secondo te usciremo veramente da qui? Ci hanno pure chiuso a chiave dentro, ho sentito lo scatto della serratura.”

“Non lo so.”

“Avrei voluto stringere la mano a Curzio Maltese prima di morire.”

“E chi è?”

“Un giornalista italiano molto bravo.”

“Capisco.”

“E tu?”

“Io cosa?”

“Hai qualche desiderio da realizzare prima di morire?”

“Nessuno.”

“Nessuno? Beh, è triste.”

“Forse ho già tutto quello di cui ho bisogno. Non hai pensato a questa evenienza?”

“Insomma, sei felice?”

“Beh,” inizia Laurent imbarazzato, non è abituato a parlare di certe cose “in questo momento specifico no. Ma diciamo che di solito, forse, lo sono.”

Il portellone si apre di scatto e, per un breve momento, la luce entra dentro, forte, ma viene richiuso subito.

“Ci pensiamo noi a rendervi completamente infelici adesso!” Esclama una voce gracchiante che scimmiotta quella di un anziano.

Waldorf e Statler, completamente vestiti di nero, sono all’entrata e guardano nella direzione di Laurent e di Claudio con un sorriso che è tutto fuorché rassicurante.


***


“Alla fine ci siamo.” Sussurra Claudio e subito dopo soffia l’aria fuori dalle narici dilatate per la paura.

Laurent ha deglutito così tante volte che ormai non ha più saliva in bocca. La lingua sembra cartavetrata e ha come una morsa alla bocca dello stomaco. Il cuore gli batte tanto forte come se gli stesse per venire un attacco di tachicardia.

“Pare proprio di sì.”

Le due ombre sulla porta cominciano a muoversi verso di loro. Claudio struscia sul culo e si avvicina a Laurent. Il contatto fisico di certo non gli salverà la vita però almeno un po’ di conforto glielo darà.

“Allora Waldorf,” inizia quello alto e magro, “tu quale prendi?”

“Allora vediamo. Devo ragionarci un po’ su.” Aggiunge l’altro basso e tarchiato.

“Sì, ma vedi non metterci molto come al solito a decidere.”

“Cosa intendi dire?”

“Che ogni volta che faccio fare a te la polaroid ci metti mezz’ora a decidere da che angolazione scattarla.”

“Caro Statler, non mi sembra il caso di litigare su argomenti così futili. Abbiamo degli ospiti che ci stanno aspettando quindi evitiamo di essere scortesi in loro presenza.”

“Va bene, però decidi in fretta che non abbiamo tempo da perdere.”

Fra tutti i pupazzi Waldorf e Statler sono quelli più grotteschi ed inquietanti, riflette Laurent, adesso capisco perché quella zoccola ce li ha lasciati per ultimi a mo’ di ciliegina sulla torta.

Waldorf ha una faccia tonda e piena con al centro un naso a palla. Non ha praticamente sopracciglia e ha un paio di baffi canuti come i pochi capelli che ha in testa.

Statler è il suo esatto contrario. Ha una faccia lunga e magra con un naso aquilino molto pronunciato. Non ha baffi ma in compenso ha delle folte sopracciglia – grigie come i capelli - tanto folte che sono unite fra di loro.

“Ecco!” dice Waldorf battendosi la mano di gomma piuma chiusa a pugno sul palmo aperto dell’altra.

“Hai deciso?” Chiede Statler speranzoso. Speranzoso è il tono perché il grugno è quello di sempre.

“Sì, e ti spiego anche il mio ragionamento.”

“Sei sempre così dannatamente perfezionista.”

“Lo prenderò come un complimento. Comunque, io mi prendo il giornalista e tu il poliziotto. Insomma, tu hai una faccia più minacciosa, vuoi mettere essere torturato da un Muppets che tanto temi con tanto di eterno grugno? È una doppia sofferenza.”

“Ottimo ragionamento, collega.”

“Non c’è di che. Ci mettiamo al lavoro?”

I due uomini, spaventati, si avvicinano ancora di più l’uno a l’altro. Claudio nasconde la testa nella spalla di Laurent che adesso può sentire il suo respiro irregolare solleticargli la pelle bagnata dal sudore. Sarebbe quasi eccitante se non fossero in una situazione del genere. E se non fossero in una situazione del genere si fermerebbe a pensare che questo giornalista è davvero un bell’uomo.

Ma adesso non c’è tempo per pensieri del genere. I due pupazzi si stanno sfilando i guanti di gomma piuma, li ripongono accuratamente in una borsa dalla quale tirano fuori due Luger rosa, ricoperte di perline nere e con la parte di legno del manico rivestita da una stoffa zebrata.

Le mani sono comunque coperte da guanti neri per non lasciare alcuna traccia.

Sono dei fottuti geni, questi! Pensa Laurent, ma non lo fa con ammirazione, è solo rassegnato.

Statler e Waldorf si avvicinano rispettivamente a Laurent e a Claudio, li prendono per un braccio e cominciano a trascinarli altrove, uno lontano dall’altro.

“Ci dispiace interrompere questo momento così idilliaco fra di voi, ma noi abbiamo un lavoro da svolgere che v’interessa in prima persona.” Borbotta Statler.

“Facciamo un gioco!” Esclama Waldorf mollando il braccio di Claudio e cominciano a battere le mani eccitato come un bambino.

“Adesso cos’hai in mente? Spero non un’altra delle tue stronzate.”

“Aspetta prima di giudicare.” Dice Waldorf con la voce imbronciata.

Statler muove la testa come se sotto la maschera stesse roteando gli occhi. “Va bene, va bene dimmi cos’hai in mente!”

Ma questi stronzi battibeccano fra loro mentre pensano a come torturarci?

Laurent e Claudio stanno pensando più o meno la stessa cosa.

“Allora, io torturo questo stronzetto facendogli mangiare un’intera confezione di zollette di zucchero e tu tieni sotto tiro il pulotto di merda. Appena fa anche un singolo movimento o, peggio, dice qualcosa gli spari in un punto non vitale. Va bene? Ricordati che non li dobbiamo ammazzare. Naturalmente se questo stronzetto non obbedirà ai miei ordini avrà lo stesso trattamento dell’altro.”

“NO!” Gridano all’unisono Laurent e Claudio. È questione di un momento ed entrambi si ritrovano un foro rispettivamente nel braccio e nella gamba. Lanciano un urlo di dolore e poi si raggomitolano sulla parte ferita singhiozzando per il dolore.

“Una coordinazione perfetta, non trovi caro Statler?”

“Non posso che concordare, carissimo Waldorf.”

“Vedete,” dice con una voce che vorrebbe essere dolce Waldorf, “questo è quello che vi toccherà se non farete quello che vi diciamo noi. Capito?”

“E siete anche fortunati che i proiettili siano usciti. Sapete, non possiamo lasciare tracce, quindi saremmo stati costretti a toglierveli con le nostre stesse mani e non sarebbe stata un’esperienza piacevole… per nessuno.” Aggiunge Statler.

Laurent e Claudio non rispondono.

“Capito?”

Ancora nessuna risposta.

Altri due colpi. Stavolta nel braccio per Claudio e nella gamba per Laurent.

“Capito?” Chiede nuovamente Waldorf con voce arrabbiata.

“Sì!” Rispondono i due uomini urlando per la doppia razione di dolore.

“Dovete rispondere quando vi facciamo una domanda.” Spiega Statler.

“Anche se vi stiamo chiedendo cosa ne pensate del tempo e del fatto che non esistano più le mezze stagioni.”

“Capito?”

“Sì.” Singhiozzano entrambi.

“Uh-oh.”

“Che c’è Waldorf?”

“A questo il proiettile è rimasto dentro.”

“Cazzo, non potevi stare più attento?”

“Che colpa ne ho io?”

“Togliglielo.”

“Non posso farlo dopo?”

“No, rischiamo di dimenticarcene.”

“Va bene.”

Waldorf si china verso il braccio di Claudio e prima che questi possa anche solo realizzare cosa gli sta per succedere ha le dita del torturatore infilate nella sua ferita che stanno cercando il proiettile. Dopo avere frugato qualche altro secondo lo tirano fuori ricoperto di sangue. Claudio urla con tutte le sue forze. Laurent non ha nemmeno il coraggio di guardare, ringrazia solo che a lui il proiettile non sia rimasto dentro.

“Eccolo.”

“Bene, mettilo nella borsa. Ma adesso non usiamo più le pistole. Troppe complicazioni. Limitiamoci solo a prenderli a calci se rompono troppo il cazzo.”

“Perfetto, cominciamo.”

“Sì ma prima raccogli gli altri proiettili.”

“Perché io?” Protesta Waldorf.

Statler non risponde. Il suo silenzio significa chiaramente: ‘Fallo e basta, perché fra noi due quello che comanda sono io se non l’hai ancora capito.’
Laurent è ancora ai suoi piedi che si contorce per il dolore.

Waldorf raccoglie i proiettili, li mette dentro la borsa e poi torna vicino a Claudio. Lo prende per i riccioli corti e neri e gli mette in bocca la prima zolletta.

“Mastica.”

Claudio scuote la testa.

“Ti ho detto di mangiarla. Cos’hai meno paura di me solo perché non ti sto puntando addosso una pistola? Guarda che anche i calci, se dati nei posti giusti, possono fare altrettanto male.”

Claudio sputa la zolletta di zucchero.

“Ah, non vuoi obbedirmi? Beh adesso mi diverto un po’ in un altro modo.”

Waldorf, sempre tenendolo per i capelli comincia così a prenderlo a pugni in faccia, mirando principalmente alla bocca. Claudio presto comincia a sputare sangue ma il pupazzo non si ferma. Dopo un po’ sputa anche un molare e a quel punto Waldorf gli chiede viscido:

“Adesso ti va di mangiare gli zuccherini bravo cavallino?”

Claudio annuisce e comincia a masticare uno dopo l’altro le zollette che gli vengono messe in bocca. Lo zucchero sulle ferite fa molto male.
Quasi quanto il sale.
Ingoia.
Sangue e zucchero: che orribile combinazione.

“Bravo, bravo… ma adesso mi sto annoiando. Cosa potrei fare? Uh, trovato!”

E subito dopo Claudio riceve un colpo così forte sul naso che non ci sono dubbi che quel bastardo glielo abbia rotto. Visto anche quanto sangue sta perdendo. Sangue rosso che gli cola giù dal naso, scorre lungo la bocca, il mento, il collo e gli va ad inzuppare la camicia.

“Questo è andato.” Dice Waldorf lasciandogli i capelli e facendolo cadere a terra con un tonfo. “Però il tuo mi sembra ancora in ottime condizioni.”

“Ci penso subito io.” Dice Statler prima di trascinare Laurent per il braccio ferito fino a dove è Claudio.

“Perché lo hai portato lì?”

“Perché visto che sono diventati così intimi vorranno almeno soffrire insieme.”

“Sei un inguaribile romantico sotto quella scorza dura.”

“Adesso non esagerare.” E per ribadire il concetto prende a calci le ginocchia di Laurent finché non sente il crack delle ossa che si spezzano.

Laurent prova ad urlare ma il dolore è così forte che gli toglie anche il fiato.

“Poverino, non vorrei essere al tuo posto, le ginocchia sono uno dei punti più dolorosi.”

“Anche il naso, però, lo è!” Esclama Waldorf per ribadire la crudeltà della sua scelta in quanto ad ossa da rompere.

Statler evita di rispondergli e lancia addosso ai due uomini alcuni oggetti.

“Questa è la roba che vi abbiamo sequestrato prima. Siamo onesti noi. Adesso vi sleghiamo così se avete abbastanza forza e fiato potete chiamare il Pronto Soccorso. Però sappiate che se non lo fate rischiate di morire.” E scoppiano entrambi una risata ragliata.

“Adesso noi ce ne andiamo. Non sentite la nostra mancanza, mi raccomando! Anche perché dubito che ci rivedremo.” Dice Waldorf con la sua solita voce che vorrebbe essere gentile.

“Ah sì, e ci portiamo via anche la corda per sicurezza. Non sia mai che quelli della scientifica riescano a ricavarne qualcosa.

Ma Laurent e Claudio non li sentono più da un pezzo. Sono entrambi svenuti per il dolore.


***


Laurent si risveglia tempo dopo e non sa dire esattamente per quanto è stato svenuto. La prima cosa che vede quando apre gli occhi, ancora prima del viso di Claudio ricoperto di sangue e contratto in una smorfia di dolore, è il suo cellulare. Con un ultimo sforzo e con il braccio sano lo prende e chiama il numero del pronto soccorso per chiedere aiuto.

Comunica velocemente la loro posizione e la gravità delle ferite e poi fa cadere il cellulare a terra, esausto. Si avvicina con la faccia a quella dell’altro e appoggia la propria fronte contro la sua.

“Claudio. Claudio, svegliati.” Sussurra con le ultime forze che gli rimangono.

Claudio apre leggermente gli occhi. Il lato destro della sua faccia è in una bozza di sangue.

“Anche all’inferno ti devo avere così vicino?”

“Non siamo morti stupido! Stanno arrivando i soccorsi, a momenti saranno qui.”

“Davvero?”

“Sì.”

“Non siamo morti?”

“No.”

“Io… io…” ma Claudio non riesce a finire la frase perché il groppo che ha in gola è troppo grande.

“Non ti preoccupare è tutto finito.”

Laurent lo abbraccia con il braccio sano e lo porta più vicino a sé. Comincia a cullarlo come farebbe con Linda. Non c’è niente di malizioso in quell’abbraccio.

Poi con le ultime forze sussurra come fosse una lugubre ninna nanna che nessuna mamma vorrebbe mai cantare al proprio bambino.

“Li prenderemo quei bastardi e gli renderemo tutto questo moltiplicato per cento. Contaci.”

L’ultima cosa che sente è la risposta affermativa di Claudio vicino a lui. Poi sviene di nuovo.