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e, ah sì, il finale è leggermente splatter, come tradizione pulp impone.
Spero non risulti troppo fastidioso.
Note:
Questa è una piccola “guida” composta da immagini che ho
fatto per il racconto.
Sang et sucre
di IoSonoSara
*fic scritta per il progetto
letterario "Morceaux"
Pugno sbattuto sul tavolo. Scartoffie e tazza di caffè che volano sul
pavimento. Gran merdaio di fogli, cocci e schifosa brodaglia marrone erogata
dalla macchinetta. Schifosa brodaglia marrone che fa ancora più casino
perché farcita di zucchero. Quattro zollette, per la precisione - perché a
lui il caffè piace dolce – che naturalmente non si sono sciolte del tutto.
Da notare la sua meticolosità: il caffè lo prende amaro – fra l’altro toglie
il bicchierino di plastica prima che la macchinetta cominci l’erogazione per
metterci sotto la tazza – e aggiunge ben quattro zollette di zucchero
Grenouille a parte.
Puttana miseria! Ma come fanno a fare uno
zucchero tanto buono?!
Prova a calmarsi: ha la testa rasata fra le mani e sbuffa dalle narici
dilatate. Inspira, espira, inspira, espira. Tutto inutile.
Appena si accorge del casino che c’è per terra la sua mano vola alla pistola
d’ordinanza, ma prima che possa sparare ai cocci della sua tazza zebrata
entra l’uomo più impiccione di tutto il Commissariato: Stephane Dupois.
“Cosa succede Ispettore, cos’è tutto questo casino?”
“Niente. Mi sono solo cadute un po’ di cose per terra.”
Dupois guarda la mano di Laurent sulla pistola d’ordinanza e aggrotta le
sopracciglia.
“Non aveva mica intenzione di sparare ai cocci della tazza?”
Come cazzo ha fatto a capire quello che
avevo in mente?
Ometto perspicace il Sovrintendente Dupois, sulla quarantina, molto devoto
alla famiglia e al lavoro e a tutte quelle cose che si dicono delle ‘brave
persone’.
“Se si sta chiedendo come ho fatto a capirlo… beh, dopo otto anni che lavoro
con lei riesco un po’ ad immaginare cosa le passi per la testa.”
Ometto molto perspicace e con una
bellissima rossa ventenne come figlia.
Laurent annuisce assente.
“La banda dei Muppets sta facendo
impazzire tutti. Non si preoccupi, non è l’unico a dare di matto qua
dentro.”
Laurent abbozza un sorriso tirato.
“Adesso me ne vado, che magari ha bisogno di stare un po’ da solo. Però non
prenda a pistolettate la tazza, va bene? Fra un’oretta le mando qualcuno a
pulire. Buona giornata, Ispettore.”
Laurent ricambia con un cenno e appena Dupois esce dalla stanza si prende di
nuovo la testa fra le mani.
‘La banda dei Muppets’. Sette
omicidi in nemmeno tre mesi dei quali l’ultimo soltanto un paio di giorni
fa.
Nessun movente.
Nessuna traccia.
Niente che possa collegare le sette vittime fra loro, neppure la modalità
dell’omicidio.
Niente di niente.
Solo sette polaroid raffiguranti Miss Piggy, Kermit e Gonzo in compagnia del
cadavere della vittima. Troppo preciso per essere un autoscatto, il che
significa che c’è sicuramente almeno un’altra persona che fa parte della
banda. Ma nemmeno dalle foto sono riusciti a ricavare niente.
Sette omicidi perfetti.
Nessuna traccia.
Solo quelle foto a prenderli per il culo.
Il messaggio è chiaro: “Vi lasciamo una nostra foto, tanto non ci prenderete
mai.”
Quindi è normale che là dentro non sia l’unico a dare di matto.
Ma Laurent Darrieux ha un ulteriore punto a suo sfavore: lui odia i Muppets
sin da quando era bambino. O meglio, non li
odia e basta, ne ha una paura
fottuta.
***
Nessuna traccia.
Niente di niente e visto che i poliziotti sono praticamente fermi con le
indagini si è permesso di farne un po’ per conto proprio. Giornalismo
investigativo insomma, era sempre stato il suo sogno ed eccolo qui,
finalmente, a realizzarlo.
Ma non aveva scoperto nulla.
Dalla polizia era riuscito a sapere solamente che gli assassini vanno in
giro ad ammazzare la gente con delle maschere e dei costumi da Muppets:
Kermit, Miss Piggy e Gonzo, per la precisione. Ma nessuno li ha mai visti di
persona. Sanno questo semplicemente perché i mostriciattoli lasciano sempre
una polaroid sulla scena del delitto che li raffigura insieme al cadavere
della vittima di turno.
“Troppo precise per essere autoscatti, quindi c’è sicuramente almeno
un’altra persona che fa parte della banda.” Queste erano state le parole che
gli aveva detto in un italiano senza accento quell’Ispettore pelato.
“Per il resto nessuna traccia. Nessun movente. Nessuna pista. Niente che
possa collegare le sette vittime fra loro.” Aveva concluso lo strano
poliziotto dagli occhi troppo azzurri e vestito come un ragazzino.
O la polizia parigina è troppo stupida o è
‘la banda dei Muppets’ che è troppo
intelligente. Dopo due mesi sono ancora al punto di partenza. Certo, neppure
io ho scoperto niente ma non dispongo certo di tutti i loro mezzi.
Claudio posa la tazza di caffè, rigorosamente senza zucchero – lui
odia lo zucchero – sul tavolo e
guarda fuori dalla finestra del suo appartamento.
Che primavera di merda a Parigi, quella di
Firenze sarà sicuramente migliore. Anche perché le mezze stagioni sono le
uniche vivibili in quella città.
Si accende una Marlboro rossa e pensa agli eventi che lo hanno portato lì:
uno stagista depresso, la propria arroganza e la conseguente cazzata,
ulteriore cazzata da parte del
ragazzino. Il caos come risultato finale.
Benché sia Eugenio che Nicole – in primis – e poi, a seguire tutti gli altri
gli avessero detto che non era stata colpa sua, la coscienza continuava a
mordere troppo violentemente e troppo spesso. Quindi aveva fatto in modo di
farsi mandare come inviato a Parigi già da dicembre, lasciandosi dietro dei
colleghi disperati e un ragazzino troppo stupido in coma.
Perché proprio Parigi?
Perché qualsiasi posto in Italia sarebbe stato troppo vicino a Firenze e
perché Nicole gli aveva fatto una testa così con i suoi viaggi a Parigi,
mettendogli addosso un po’ di curiosità. In fondo il francese è l’unica
lingua che conosce e non lo parla poi così male.
Così ormai sono cinque mesi che abita lì, riflette, spegnendo la sigaretta
nella tazza adibita a posacenere. Ha seguito tutto il caso de
‘La banda dei Muppets’ e non ha in
mano niente, neanche dopo tutte le ricerche fatte.
“Le indagini su ‘la banda dei Muppets’ brancolano ancora nel buio” sarà
questo l’attacco per il suo pezzo giornaliero sul caso. Il solito, insomma.
Ma non si dà ancora per vinto: prima di scrivere lo stesso pezzo rigirato in
modo da farlo sembrare originale e infarcito di opinioni tanto autorevoli
quanto inutili e superflue per renderlo interessante, vuole tornare
sull’ultima scena del crimine. Un capannone abbandonato poco fuori Parigi.
Puoi credere nel buio quando la luce mente.
Mentre sta uscendo di casa con il casco della moto in mano, gli viene in
mente questo verso di una poesia di Montale. Non c’entra nulla con tutta la
faccenda, forse, ma Claudio non riesce a levarselo dalla testa.
***
Laurent Darrieux non è tranquillo.
Finché non prendono quella banda di psicopatici come potrebbe esserlo? Già
sono terrificanti in TV, figurarsi
ritrovarsene uno in carne ed ossa davanti. Che poi quei coglioni si
limitassero a mettersi delle maschere… No! Sono vestiti
completamente da Muppets e da quello
che ha potuto vedere dalle foto l’effetto è alquanto convincente.
Soprattutto per quella zoccola di Miss Piggy con quel suo lugubre paio di
bocce. Non la toccherebbe nemmeno per tutta la neve sequestrata negli ultimi
sette mesi.
Una striscetta, però, gli farebbe proprio piacere in questo momento visto
che Il-Grande-Ispettore-Darrieux se
la sta facendo sotto per una paura infantile che si è portato dietro per
troppo tempo.
Arriva la donna delle pulizie a raccogliere i cocci e tutto il troiaio
zuccheroso che c’è per terra.
“Buongiorno Ispettore.” Dice la donna a bassa voce con un sorriso timoroso.
“Buongiorno.” Borbotta Laurent alzandosi per uscire.
“Stia pure comodo, faccio in un attimo.” Si affretta a precisare la donna.
“Stavo andando a prendere un caffè. Il mio come può vedere…” Spiega Laurent
indicando con la testa il casino marrone sul pavimento.
La donna accenna un altro sorriso imbarazzato e poi si affretta a svolgere
il proprio lavoro.
Laurent esce e va in terrazza a fumarsi una sigaretta. Il caffè lo prenderà
dopo che la donna sarà uscita, visto che le zollette sono nel suo ufficio.
Fuma la sua Lucky Strike rabbioso come se, mordendo il filtro, potesse
spezzare il collo a tutti gli stronzi di quella banda contemporaneamente. Lo
morde e succhia quasi il fumo dalla sigaretta. Quando poi la spegne il
mozzicone è ridotto ad un coagulo di rabbia e saliva.
Levatemi la caffeina e la nicotina e allora
sì che sarò davvero un uomo morto. Posso rinunciare al sesso e alla neve per
un po’, ma il mio pacchetto giornaliero di Lucky Strike e i miei cinque
caffè non me li dovete togliere.
Macchinetta.
Caffè lungo.
Amaro.
0,35 €.
Click.
Tac.
Cazzo! Devo prenderlo dal bicchierino di
plastica visto che ho distrutto la mia tazza da ufficio.
Bzzz.
Tac.
Odore di caffè.
Buono, per quanto possa essere buono il caffè di una macchinetta.
Ufficio.
Scrivania.
Secondo cassetto a partire dall’alto.
Zollette Grenouille.
Cartine verdi con una graziosa ranocchia stampata sopra.
Una.
Plop.
Due.
Plop.
Tre.
Plop.
Quattro…
“Cazzo!” urla Laurent trattenendosi a stento dal ripetere la scena di un’ora
prima.
Perché le sue zollette di zucchero preferite devono chiamarsi ‘ranocchio’ e
averne uno stampato sulla carta che le avvolge?! Perché lo nota solo adesso
e, soprattutto, in un momento delicato – per non dire di merda – come
questo?!
Fottuti pazzi, gli stanno stravolgendo la vita! Adesso non si può più
nemmeno gustare un caffè in pace.
Basta, è deciso! Andrà sul luogo dell’ultimo delitto e anche se è stato
setacciato da cima a fondo dalle fighette della scientifica fino al giorno
prima troverà qualcosa – qualsiasi cosa – per inchiodare quei figli di
puttana e sbatterli dentro senza nemmeno passare dal via.
Giubbotto di pelle infilato in tutta fretta. Chiavi della Twingo in mano e
giù a rotta di collo per le scale. Sirena accesa e via con “Walkin’ on
sunshine” a tutto volume in mezzo al traffico dell’ora di pranzo peggio di
Samy Naceri per le strade di Marsiglia in “Taxxi”.
È incazzato ed euforico però qualcosa gli dice che deve essere prudente.
Quindi appena esce dal traffico spegne sia sirena che musica e si avvicina
ad una velocità normale al capannone.
Ghigna, ma il suo è un ghigno nervoso, e sussurra:
“State attenti pezzi di merda perché
l’Ispettore Laurent Darrieux sta venendo a prendervi ed è incazzato peggio
delle vecchiette sull’autobus.”
***
È mezz’ora che Claudio sta girando attorno al capannone e non ha ancora
trovato nulla.
Aspetta, cosa c’è là per terra… zollette di
zucchero? Cazzo. Ogni volta che ho avuto a che fare con lo zucchero non mi
ha mai portato nulla di buono. Non è un buon segno.
Le schiaccia con un piede arricciando il naso in segno di disprezzo e fa per
andarsene. Ma non fa in tempo a girarsi che sente un forte dolore alla testa
e poi è il buio più completo.
***
Laurent arriva sgommando, molla la Twingo azzurra nei pressi del capannone e
scende con un balzo estremamente atletico per un uomo della sua età. Corre
verso l’entrata ma si ferma prima.
Ci sono delle zollette di zucchero schiacciate per terra.
Non è mai un buon segno quando lo zucchero
– il mio amato zucchero – viene disprezzato in questa maniera…
Un colpo sul retro della nuca e poi più niente.
***
Cazzo, che male alla testa.
Non si sente così da quella volta che, disperato, aveva sbattuto
ripetutamente la testa contro il muro perché quelli di “Striscia la notizia”
non solo avevano reiterato la frase ‘siamo un telegiornale satirico’ ma
avevano pure detto di fare giornalismo investigativo.
Gabibbo di merda!
Apre gli occhi ma non vede molto bene, gli sembra di guardare attraverso un
mosaico tanto ha la vista sfocata.
Ma dove sono? Le mani… sono legato?
Piano piano la vista gli si schiarisce e quando volta la testa per guardarsi
intorno riconosce una faccia già vista…
***
“Ce ne hai messo di tempo per svegliarti, eh?” Gli chiede Laurent in
italiano con un sorriso storto.
“Dove siamo?”
“Dentro il capannone.”
“E adesso che si fa?”
“Aspettiamo.” Risponde Laurent cercando di nascondere il nervosismo. Se
dovesse uscirne morto da tutta questa storia sarebbe una delle morti
peggiori, se non la peggiore, che gli potesse capitare: ucciso dai Muppets.
“Aspettiamo cosa?”
“Non lo so.”
“Bel pulotto.”
“Scusa?”
“Intendo, aspettiamo che ci ammazzino?”
“Forse.”
“Fottiti.” Poi aggiunge piano, “Estragon”.
“Guarda che io mi chiamo Laurent.”
Claudio rotea gli occhi.
Ma che razza d’ignorante è? Non conosce
nemmeno “Aspettando Godot” di Samuel Beckett? Pensare che è stato pure
scritto in questa città!
“Lascia perdere.”
“Sì, ma tu non ti rivolgere più a me con quel tono e soprattutto ricordati
il mio nome.”
“Tutto ciò è surreale. Cerchiamo almeno di comportarci come si
comporterebbero delle persone normali nella nostra situazione: ovvero
rinchiusi dentro ad un capannone, probabilmente da una banda di assassini,
con mani e piedi legati e che non sanno cosa li aspetta ma non faticano ad
immaginarselo. O almeno, il più intelligente di loro non fatica.”
Laurent ignora tutta la seconda metà del discorso: “E come dovremmo
comportarci?”
“Boh, forse le persone normali di solito piangerebbero e si divincolerebbero
cercando di sciogliere i nodi e fuggire.”
“A cosa servirebbe? Nel migliore dei casi sono lì all’uscita con le pistole
puntate.”
Claudio rimane spiazzato dalla domanda e non risponde.
“Tu hai visto troppi film.”
“Almeno io li ho visti.”
Laurent digrigna i denti. Quel giornalista italiano arrogante ha cominciato
a rompergli le palle.
“Cosa intendi?”
“Beh non mi sembri una persona, come dire, particolarmente colta”.
“Sinceramente non mi è mai interessato molto essere
una persona, come dire, particolarmente
colta.”
Claudio non sa che rispondere.
Touchè, pensa Laurent.
“Però parli molto bene l’italiano.”
“E non solo, honey.”
“Sai parlare anche l’inglese?”
“Esattamente, honey.” Risponde
Laurent con un sorrisetto.
“Come mai?” Chiede Claudio incuriosito.
“Beh, mia mamma è americana, della California per la precisione, e fino ai
vent’anni ho abitato a Nizza e lì l’italiano si sente parlare spesso, quindi
è andata a finire che l’ho imparato.”
“Beh, sono sorpreso.”
“Io sono un uomo pieno di sorprese,
ricordatelo.” Dice Laurent ambiguo, poi aggiunge: “E tu?”
“E tu cosa?”
“Parli benissimo il francese. Come mai?”
“Beh, io l’ho studiato, non l’ho
certo imparato per osmosi.”
Claudio non sa perché ma quel pulotto lo istiga a dare risposte acide.
Troppo sicuro di sé, troppo arrogante. Un po’ gli assomiglia e forse è
questo che lo mette a disagio.
Laurent sta un momento in silenzio e poi esplode.
“Senti, testa di cazzo! Io ti massacro di botte, io ti sbatto dentro! Non
dimenticarti che sono un Ispettore di polizia!”
Claudio non si scompone e, anzi, dice con un ghigno: “E come, con mani e
piedi legati?”
Laurent ammutolisce davanti all’evidenza. Muppets e giornalisti. Cosa
potrebbe esserci di peggio? Forse sua nipote Linda a cui salvare di nuovo il
culo perché, dopo avere rubato circa settanta loghi della Renault (evitando
però di mutilare la Twingo azzurra dello zietto) questa volta si era messa a
rubare quelli della Peugeot?
“No, sul serio, che si fa?”
“Te l’ho detto, si aspetta. Anche perché mentre ero svenuto mi hanno tolto
di dosso qualsiasi cosa potesse essere d’aiuto.”
“Cazzo.”
Proprio in quel momento la porta si apre e tre figure si stagliano in
controluce.
***
“La smettete di parlare in quella lingua incomprensibile, per favore?”
Gracchia una voce femminile, se così si può definire, proveniente da dietro
una maschera da maialina.
“Kermit, Gonzo, avete visto che bella sorpresa? Adesso ci sarà da
divertirsi.”
Laurent è sbiancato e non riesce a muoversi. Claudio stringe i denti fino a
sentirli scricchiolare.
“Non vi uccidiamo, tranquilli. Vogliamo solo divertirci con voi. Vogliamo
farvi divertire così tanto che la morte vi sembrerà una gran cosa in
confronto.” Dice con una voce melliflua la tizia vestita da Miss Piggy.
Poi continua con un enfasi fin troppo forzata: “Desidererete morire,
c’implorerete di ammazzarvi, di togliervi la vita con tutte le vostre forze
ma noi non vi daremo la soddisfazione.”
Laurent deglutisce. Claudio ghigna, sa che sarebbe meglio stare zitto e non
provocarli, vista la loro posizione, ma non riesce a trattenersi.
“Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida. Cosa che, tanto,
non otterrai.” Cita a memoria in un perfetto francese.
“Cazzo dici stupido!” Riesce a sputare lì, sottovoce, Laurent.
“Eh?” Chiede Miss Piggy piegando l’enorme testa di lato.
Claudio si morde l’interno della guancia e continua con un sorriso nervoso:
“Beh, sembra una frase che c’è in ‘Reservoir dogs’ di Tarantino. Solo che
voi volete solo torturarci senza ammazzarci e il tizio invece vuole
torturare il poveretto per poi ammazzarlo.”
“Coglione, non mi sembra il momento di mettersi a fare il critico
cinematografico. Ma tu la bocca non la sai proprio tenere chiusa?!” Gli urla
Laurent in un misto di rabbia, stupore e paura.
“Ha ragione lui, sai? Allora vediamo un po’: tu sei Claudio Pratesi, hai
quarantaquattro anni, sei un giornalista, italiano, hai abitato tutta la
vita a Firenze e poi, cinque mesi fa, ti sei trasferito qui perché per colpa
tua il tuo stagista è finito in coma. Ah… fra l’altro odi lo zucchero.”
Claudio e Laurent sgranano gli occhi, increduli.
“Come… lo sai?” Chiede Claudio basito.
“Beh, zuccherino, ho le mie fonti
come voi avete le vostre per i rispettivi lavori.”
Chiaramente Miss Piggy è il capo della
banda, pensa Laurent anche se non parla: è letteralmente paralizzato
dalla paura.
“Per essere più precisi noi sappiamo tutto
di voi, dalla cosa più stupida a quella più importante. Forse l’unica cosa
che non sappiamo è che mutande indossate oggi.” Dice Gonzo da dietro la sua
maschera.
“Esatto.” Interviene Miss Piggy, “Kermit, tesoro, puoi illustrare
all’Ispettore Darrieux che cosa sappiamo di lui, invece?”
“Con piacere, mia cara!” Dice Kermit con la sua solita voce allegra.
“Allora, Laurent Darrieux. Quarantotto anni. Francese da parte di padre e
americano dalla parte della madre. Sei nato a Nizza ma poi, verso i vent’anni
ti sei trasferito a Marsiglia e sei entrato in polizia. Otto anni fa te ne
sei andato anche da lì perché per colpa della tua così detta ‘testa calda’
un tuo collega è stato ucciso sul molo. Ami lo zucchero, soprattutto le
zollette Grenouille.” Fa una piccola pausa, abbassa lo sguardo verso i suoi
piedi palmati e poi lo rialza ridacchiando. “Sì le zollette Grenouille, che
buffa coincidenza, vero? E a proposito di buffe coincidenze… sappiamo che
sei terrorizzato dai Muppets. Sei veramente un tipo strano però!”
Parla uno vestito da pupazzo!
Pensa Laurent, ma non dice niente; a differenza di Claudio sa che è molto
meglio starsene zitto, e poi è davvero terrorizzato, quindi gli farebbe
troppa fatica parlare. E, soprattutto, capirebbero che ha paura. Quindi tace
così evita di provocarli e magari ci fa pure la figura del duro che non si
spaventa davanti a nulla. Beh, magari questo no visto che sanno già che lui
ha una paura fottuta di loro.
Miss Piggy si avvicina di qualche passo.
“Avete molto in comune voi due, non trovate? Soprattutto per la gente che
avete ammazzato o rischiato di ammazzare.”
Si avvicina a Claudio e gli dà un calcio nelle costole tanto forte che lo fa
volare, senza fiato, addosso a Laurent facendo cadere a terra entrambi.
“Questo è per il tuo atteggiamento arrogante. Però trovo che siate molto più
carini così vicini. Formate davvero una bella coppia.” Detto questo la
maialina scoppia in una risata grottesca.
“Che volete da noi veramente?”
Chiede Laurent da terra con Claudio addosso che si sta sforzando di
riprendere fiato.
Un calcio del genere le costole te le
frattura, brutta puttana.
“Tutto bene?” Gli sussurra velocemente in italiano.
“No, cazzo!” Risponde Claudio tossendo e rotolando giù dal suo petto in modo
che si possano entrambi alzare.
“Ve l’ho detto! Vogliamo solo divertirci con voi. Vogliamo farvi desiderare
la morte così tanto che dopo il vostro unico obiettivo sarà quello di
trovarci per vendicarvi. Niente di più frustrante perché non ci riuscirete
mai. Noi sappiamo tutto di voi ma voi di noi non sapete nulla. Insomma per
fartela breve vogliamo umiliarvi due volte.”
“Ma perché proprio noi?!” Chiede Claudio adesso che ha ripreso a respirare
normalmente.
“Perché siete i primi due ficcanaso che ci sono capitati sotto mano e noi
odiamo i ficcanaso.” Dice Gonzo
muovendo su e giù il becco con l’aria di uno che ha le sue ragioni per fare
certe cose. Per quanto possa comunicare una maschera.
“E poi,” interviene Kermit “dovreste ritenervi onorati: siete i primi a
vederci dal vivo. A parte,
naturalmente, le vittime che, mi dispiace per loro, non possono raccontare
quest’esperienza a nessuno.”
Scoppiano tutti e tre a ridere in una lugubre risata.
Laurent e Claudio si guardano negli occhi con un misto di paura e stupore.
“Adesso dobbiamo andare tesorini, devo incipriarmi il naso e fare tutte
quelle cose che fanno le signorine. Ma non vi preoccupate, si divertiranno
con voi Waldorf e Statler. Esatto, avete capito bene! Sono loro gli altri
membri della banda che cercate disperatamente d’individuare dal primo
omicidio. Buon divertimento, zuccherini.”
Kermit e Gonzo li salutano con la mano. Poi tutti e tre voltano loro le
spalle, aprono il portello del capannone per richiuderselo subito dopo alle
spalle.
Se riuscissi ad andare fuori potrei vederli
in faccia quei bastardi, pensa Laurent,
alla fine non possono di certo andare in
giro per Parigi vestiti così!
“Qualsiasi cosa tu stia pensando, a meno che non sia un modo per farci
uscire da qui ora, è una pessima
idea.”
“Come fai a saperlo?” Chiede Laurent fra il basito e l’incazzato.
“Lo vedo dal tuo sguardo. Non ha nulla di razionale.”
“Parla quello che per tutto il tempo non ha fatto altro che provocare quei
tre. Ma che cazzo ti passava per la testa? Non lo sai che in situazioni come
queste, soprattutto quando si ha a che fare con dei malati di mente di
questo livello, bisogna fare di tutto per farli rimanere calmi?”
“E l’umiliazione dove la metti?”
“Ma di che stai parlando?”
“Beh, credevo fossi un tipo orgoglioso ma probabilmente mi sono sbagliato.”
“Senti honey, sappi che io sono
molto più orgoglioso di te e di tutti i cittadini dell’Italia e della
Francia messi insieme. Però di avere l’orgoglio intatto non me ne faccio
nulla se mi ammazzano. Anch’io un tempo la pensavo così: comportarsi ‘da
duro’ sempre e comunque, anche nelle situazioni più disperate. E sai cosa ho
ottenuto? Di fare ammazzare un ragazzo che non solo era un mio collega ma
forse era anche una delle persone più care che avessi mai avuto. Quindi vedi
di stare calmo perché non credo che abbiamo avuto le stesse esperienze.”
Claudio guarda altrove imbarazzato e poi cambia discorso visto che è
chiaramente in torto.
“Secondo te usciremo veramente da qui? Ci hanno pure chiuso a chiave dentro,
ho sentito lo scatto della serratura.”
“Non lo so.”
“Avrei voluto stringere la mano a Curzio Maltese prima di morire.”
“E chi è?”
“Un giornalista italiano molto bravo.”
“Capisco.”
“E tu?”
“Io cosa?”
“Hai qualche desiderio da realizzare prima di morire?”
“Nessuno.”
“Nessuno? Beh, è triste.”
“Forse ho già tutto quello di cui ho bisogno. Non hai pensato a questa
evenienza?”
“Insomma, sei felice?”
“Beh,” inizia Laurent imbarazzato, non è abituato a parlare di certe cose
“in questo momento specifico no. Ma diciamo che di solito, forse, lo sono.”
Il portellone si apre di scatto e, per un breve momento, la luce entra
dentro, forte, ma viene richiuso subito.
“Ci pensiamo noi a rendervi completamente infelici adesso!” Esclama una voce
gracchiante che scimmiotta quella di un anziano.
Waldorf e Statler, completamente vestiti di nero, sono all’entrata e
guardano nella direzione di Laurent e di Claudio con un sorriso che è tutto
fuorché rassicurante.
***
“Alla fine ci siamo.” Sussurra Claudio e subito dopo soffia l’aria fuori
dalle narici dilatate per la paura.
Laurent ha deglutito così tante volte che ormai non ha più saliva in bocca.
La lingua sembra cartavetrata e ha come una morsa alla bocca dello stomaco.
Il cuore gli batte tanto forte come se gli stesse per venire un attacco di
tachicardia.
“Pare proprio di sì.”
Le due ombre sulla porta cominciano a muoversi verso di loro. Claudio
struscia sul culo e si avvicina a Laurent. Il contatto fisico di certo non
gli salverà la vita però almeno un po’ di conforto glielo darà.
“Allora Waldorf,” inizia quello alto e magro, “tu quale prendi?”
“Allora vediamo. Devo ragionarci un po’ su.” Aggiunge l’altro basso e
tarchiato.
“Sì, ma vedi non metterci molto come al solito a decidere.”
“Cosa intendi dire?”
“Che ogni volta che faccio fare a te la polaroid ci metti mezz’ora a
decidere da che angolazione scattarla.”
“Caro Statler, non mi sembra il caso di litigare su argomenti così futili.
Abbiamo degli ospiti che ci stanno aspettando quindi evitiamo di essere
scortesi in loro presenza.”
“Va bene, però decidi in fretta che non abbiamo tempo da perdere.”
Fra tutti i pupazzi Waldorf e Statler sono
quelli più grotteschi ed inquietanti, riflette Laurent,
adesso capisco perché quella zoccola ce li
ha lasciati per ultimi a mo’ di ciliegina sulla torta.
Waldorf ha una faccia tonda e piena con al centro un naso a palla. Non ha
praticamente sopracciglia e ha un paio di baffi canuti come i pochi capelli
che ha in testa.
Statler è il suo esatto contrario. Ha una faccia lunga e magra con un naso
aquilino molto pronunciato. Non ha baffi ma in compenso ha delle folte
sopracciglia – grigie come i capelli - tanto folte che sono unite fra di
loro.
“Ecco!” dice Waldorf battendosi la mano di gomma piuma chiusa a pugno sul
palmo aperto dell’altra.
“Hai deciso?” Chiede Statler speranzoso.
Speranzoso è il tono perché il grugno è quello di sempre.
“Sì, e ti spiego anche il mio ragionamento.”
“Sei sempre così dannatamente perfezionista.”
“Lo prenderò come un complimento. Comunque, io mi prendo il giornalista e tu
il poliziotto. Insomma, tu hai una faccia più minacciosa, vuoi mettere
essere torturato da un Muppets che tanto temi con tanto di eterno grugno? È
una doppia sofferenza.”
“Ottimo ragionamento, collega.”
“Non c’è di che. Ci mettiamo al lavoro?”
I due uomini, spaventati, si avvicinano ancora di più l’uno a l’altro.
Claudio nasconde la testa nella spalla di Laurent che adesso può sentire il
suo respiro irregolare solleticargli la pelle bagnata dal sudore. Sarebbe
quasi eccitante se non fossero in una situazione del genere. E se non
fossero in una situazione del genere si fermerebbe a pensare che questo
giornalista è davvero un bell’uomo.
Ma adesso non c’è tempo per pensieri del genere. I due pupazzi si stanno
sfilando i guanti di gomma piuma, li ripongono accuratamente in una borsa
dalla quale tirano fuori due Luger rosa, ricoperte di perline nere e con la
parte di legno del manico rivestita da una stoffa zebrata.
Le mani sono comunque coperte da guanti neri per non lasciare alcuna
traccia.
Sono dei fottuti geni, questi! Pensa
Laurent, ma non lo fa con ammirazione, è solo rassegnato.
Statler e Waldorf si avvicinano rispettivamente a Laurent e a Claudio, li
prendono per un braccio e cominciano a trascinarli altrove, uno lontano
dall’altro.
“Ci dispiace interrompere questo momento così idilliaco fra di voi, ma noi
abbiamo un lavoro da svolgere che v’interessa in prima persona.” Borbotta
Statler.
“Facciamo un gioco!” Esclama Waldorf mollando il braccio di Claudio e
cominciano a battere le mani eccitato come un bambino.
“Adesso cos’hai in mente? Spero non un’altra delle tue stronzate.”
“Aspetta prima di giudicare.” Dice Waldorf con la voce imbronciata.
Statler muove la testa come se sotto la maschera stesse roteando gli occhi.
“Va bene, va bene dimmi cos’hai in mente!”
Ma questi stronzi battibeccano fra loro
mentre pensano a come torturarci?
Laurent e Claudio stanno pensando più o meno la stessa cosa.
“Allora, io torturo questo stronzetto facendogli mangiare un’intera
confezione di zollette di zucchero e tu tieni sotto tiro il pulotto di merda.
Appena fa anche un singolo movimento o, peggio, dice qualcosa gli spari in
un punto non vitale. Va bene? Ricordati che non li dobbiamo ammazzare.
Naturalmente se questo stronzetto non obbedirà ai miei ordini avrà lo stesso
trattamento dell’altro.”
“NO!” Gridano all’unisono Laurent e Claudio. È questione di un momento ed
entrambi si ritrovano un foro rispettivamente nel braccio e nella gamba.
Lanciano un urlo di dolore e poi si raggomitolano sulla parte ferita
singhiozzando per il dolore.
“Una coordinazione perfetta, non trovi caro Statler?”
“Non posso che concordare, carissimo Waldorf.”
“Vedete,” dice con una voce che vorrebbe essere dolce Waldorf, “questo è
quello che vi toccherà se non farete quello che vi diciamo noi. Capito?”
“E siete anche fortunati che i proiettili siano usciti. Sapete, non possiamo
lasciare tracce, quindi saremmo stati costretti a toglierveli con le nostre
stesse mani e non sarebbe stata un’esperienza piacevole…
per nessuno.” Aggiunge Statler.
Laurent e Claudio non rispondono.
“Capito?”
Ancora nessuna risposta.
Altri due colpi. Stavolta nel braccio per Claudio e nella gamba per Laurent.
“Capito?” Chiede nuovamente Waldorf con voce arrabbiata.
“Sì!” Rispondono i due uomini urlando per la doppia razione di dolore.
“Dovete rispondere quando vi facciamo una domanda.” Spiega Statler.
“Anche se vi stiamo chiedendo cosa ne pensate del tempo e del fatto che non
esistano più le mezze stagioni.”
“Capito?”
“Sì.” Singhiozzano entrambi.
“Uh-oh.”
“Che c’è Waldorf?”
“A questo il proiettile è rimasto dentro.”
“Cazzo, non potevi stare più attento?”
“Che colpa ne ho io?”
“Togliglielo.”
“Non posso farlo dopo?”
“No, rischiamo di dimenticarcene.”
“Va bene.”
Waldorf si china verso il braccio di Claudio e prima che questi possa anche
solo realizzare cosa gli sta per succedere ha le dita del torturatore
infilate nella sua ferita che stanno cercando il proiettile. Dopo avere
frugato qualche altro secondo lo tirano fuori ricoperto di sangue. Claudio
urla con tutte le sue forze. Laurent non ha nemmeno il coraggio di guardare,
ringrazia solo che a lui il
proiettile non sia rimasto dentro.
“Eccolo.”
“Bene, mettilo nella borsa. Ma adesso non usiamo più le pistole. Troppe
complicazioni. Limitiamoci solo a prenderli a calci se rompono troppo il
cazzo.”
“Perfetto, cominciamo.”
“Sì ma prima raccogli gli altri proiettili.”
“Perché io?” Protesta Waldorf.
Statler non risponde. Il suo silenzio significa chiaramente: ‘Fallo e basta,
perché fra noi due quello che comanda sono io se non l’hai ancora capito.’
Laurent è ancora ai suoi piedi che si contorce per il dolore.
Waldorf raccoglie i proiettili, li mette dentro la borsa e poi torna vicino
a Claudio. Lo prende per i riccioli corti e neri e gli mette in bocca la
prima zolletta.
“Mastica.”
Claudio scuote la testa.
“Ti ho detto di mangiarla. Cos’hai meno paura di me solo perché non ti sto
puntando addosso una pistola? Guarda che anche i calci, se dati nei posti
giusti, possono fare altrettanto male.”
Claudio sputa la zolletta di zucchero.
“Ah, non vuoi obbedirmi? Beh adesso mi diverto un po’ in un altro modo.”
Waldorf, sempre tenendolo per i capelli comincia così a prenderlo a pugni in
faccia, mirando principalmente alla bocca. Claudio presto comincia a sputare
sangue ma il pupazzo non si ferma. Dopo un po’ sputa anche un molare e a
quel punto Waldorf gli chiede viscido:
“Adesso ti va di mangiare gli zuccherini bravo cavallino?”
Claudio annuisce e comincia a masticare uno dopo l’altro le zollette che gli
vengono messe in bocca. Lo zucchero sulle ferite fa molto male.
Quasi quanto il sale.
Ingoia.
Sangue e zucchero: che orribile combinazione.
“Bravo, bravo… ma adesso mi sto annoiando. Cosa potrei fare? Uh, trovato!”
E subito dopo Claudio riceve un colpo così forte sul naso che non ci sono
dubbi che quel bastardo glielo abbia rotto. Visto anche quanto sangue sta
perdendo. Sangue rosso che gli cola giù dal naso, scorre lungo la bocca, il
mento, il collo e gli va ad inzuppare la camicia.
“Questo è andato.” Dice Waldorf lasciandogli i capelli e facendolo cadere a
terra con un tonfo. “Però il tuo mi sembra ancora in ottime condizioni.”
“Ci penso subito io.” Dice Statler prima di trascinare Laurent per il
braccio ferito fino a dove è Claudio.
“Perché lo hai portato lì?”
“Perché visto che sono diventati così
intimi vorranno almeno soffrire insieme.”
“Sei un inguaribile romantico sotto quella scorza dura.”
“Adesso non esagerare.” E per ribadire il concetto prende a calci le
ginocchia di Laurent finché non sente il
crack delle ossa che si spezzano.
Laurent prova ad urlare ma il dolore è così forte che gli toglie anche il
fiato.
“Poverino, non vorrei essere al tuo posto, le ginocchia sono uno dei punti
più dolorosi.”
“Anche il naso, però, lo è!” Esclama Waldorf per ribadire la crudeltà della
sua scelta in quanto ad ossa da rompere.
Statler evita di rispondergli e lancia addosso ai due uomini alcuni oggetti.
“Questa è la roba che vi abbiamo sequestrato prima. Siamo onesti noi. Adesso
vi sleghiamo così se avete abbastanza forza e fiato potete chiamare il
Pronto Soccorso. Però sappiate che se non lo fate rischiate di morire.” E
scoppiano entrambi una risata ragliata.
“Adesso noi ce ne andiamo. Non sentite la nostra mancanza, mi raccomando!
Anche perché dubito che ci rivedremo.” Dice Waldorf con la sua solita voce
che vorrebbe essere gentile.
“Ah sì, e ci portiamo via anche la corda per sicurezza. Non sia mai che
quelli della scientifica riescano a ricavarne qualcosa.
Ma Laurent e Claudio non li sentono più da un pezzo. Sono entrambi svenuti
per il dolore.
***
Laurent si risveglia tempo dopo e non sa dire esattamente per quanto è stato
svenuto. La prima cosa che vede quando apre gli occhi, ancora prima del viso
di Claudio ricoperto di sangue e contratto in una smorfia di dolore, è il
suo cellulare. Con un ultimo sforzo e con il braccio sano lo prende e chiama
il numero del pronto soccorso per chiedere aiuto.
Comunica velocemente la loro posizione e la gravità delle ferite e poi fa
cadere il cellulare a terra, esausto. Si avvicina con la faccia a quella
dell’altro e appoggia la propria fronte contro la sua.
“Claudio. Claudio, svegliati.” Sussurra con le ultime forze che gli
rimangono.
Claudio apre leggermente gli occhi. Il lato destro della sua faccia è in una
bozza di sangue.
“Anche all’inferno ti devo avere così vicino?”
“Non siamo morti stupido! Stanno arrivando i soccorsi, a momenti saranno
qui.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Non siamo morti?”
“No.”
“Io… io…” ma Claudio non riesce a finire la frase perché il groppo che ha in
gola è troppo grande.
“Non ti preoccupare è tutto finito.”
Laurent lo abbraccia con il braccio sano e lo porta più vicino a sé.
Comincia a cullarlo come farebbe con Linda. Non c’è niente di malizioso in
quell’abbraccio.
Poi con le ultime forze sussurra come fosse una lugubre ninna nanna che
nessuna mamma vorrebbe mai cantare al proprio bambino.
“Li prenderemo quei bastardi e gli renderemo tutto questo moltiplicato per
cento. Contaci.”
L’ultima cosa che sente è la risposta affermativa di Claudio vicino a lui.
Poi sviene di nuovo.
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