Che possibilità ha, un povero granello di sabbia, di
poter arrivare dove vuole? E una volta arrivato, cosa può fare, un
granello di sabbia, per riuscire a farsi notare?
Sono morto. Ero morto. Ma
la morte, è solo un altro inizio, uno dei tanti che costellano l’eternità.
E come ogni inizio, subito ci si trova spaesati. Sono morto. La morte mi
ha reso sabbia. Sono un piccolo granello di sabbia. Come ad ogni inizio,
subito mi sono sentito spaesato. Ero, e sono, vittima di un continuo
mescolamento del tutto, e nel mescolarsi senza sosta, neanche un profumo
si riesce a catturare, e tutto sembra ancor più sfuggevole, ancor più
inafferrabile, inconsistente ed incomprensibile. Ci si sente un niente,
nel tutto.
Invisibile ed inservibile.
Inutile. Mi sono sentito peggio del peggio e mi sono disperato nello
scoprire che non posso piangere. Mi sono sentito un niente, poi mi sono
accorto che lo ero davvero. Il brutto è, che si è un niente, circondato da
miliardi di altri niente… ti rendi conto che sei anche qualcosa meno di
niente.
No, nessuno ti nota. La
gente bada all’insieme, che si chiama sabbia. Spiaggia. Non veniamo mai
notati, noi, granelli di sabbia. Beh, a dire il vero, a volte c’arrivo
vicino all’essere notato. Quando rimango incollato sulla pelle accaldata
di qualcuno, e m’infilo con lui nel suo letto, e sento il sangue
scorrergli sotto le vene, da quanto sono vicino alla pelle, e sento il
cuore battergli nel petto, da quanto ci sono vicino, e io mi struscio su
di lui, quasi cerco di ferirlo, ma gli provoco solo prurito. Solo in
questi momenti noi, granelli di sabbia, arriviamo a prendere una forma più
o meno reale nel pensiero del dormiente. Ma, in fin dei conti, siamo solo
una seccatura di qualche settimana al mare.
Una volta non ero un
granello, no, ero carne. Muscoli, ossa e tendini, e giocavo a basket. Oh,
quella sensazione, quando prendevo la palla, in quei pochi secondi che
precedevano alla fine della partita, e la forza dentro di me, e il
desiderio, in me, di centrare quel canestro da tre punti per poter
vincere, e la paura di sbagliarlo, e la gioia, di avere quella palla tra
le mani, e quel cesto, a mezz’aria…
Non m’importava se la
palla entrava o no, beh, importava anche quello ma, era quella cosa,
quell’intorcolamento delle budella, prima e durante i palleggi che facevo
fare a quella palla… ero io, e l’energia.
Poi c’era lui, e lui c’è
ancora. Non importa le forme diverse, la materia che ci compone, o il
fatto che io possa o meno piangere, ma lui c’è.
Quando sono morto, lui
c’era.
Quando sono divenuto
sabbia, lui c’era.
E lui c’è… c’è, c’è, c’è!
Nel battito assente di un cuore mancante, sotto questo mio essere polvere
di roccia, lui, c’è!
Io e lui eravamo vincenti
in campo. Io e lui eravamo sole nel cielo. Ma, alla fine, tutto non conta
nulla quando si è in due. Tutto non conta nulla, eccetto quel due… e che
due…
Lui c’era quando io sono
morto.
Lui c’era quando sono
diventato sabbia. Ma lui non lo sa.
E che speranza ha, un
granello di sabbia, di poter abbracciare ciò che in vita era stato il suo
amore?
Una volta però, ci sono
riuscito.
Sono stato trasportato dai
venti, sono finito nell’oceano e poi sono ridivenuto polvere di spiaggia.
E poi ho volato, e sono piovuto, e sono stato trasportato, e sono
scivolato, mi sono annoiato nella calura estiva e mi sono divertito nel
turbinare di una tempesta invernale. E poi, come per magia, la crudeltà
del destino più incomprensibile, me l’ha fatto rincontrare. Un miraggio
non avrebbe avuto tanta bellezza. Come quando il sole sorge, dopo un mese
di grigia tempesta. Non fu facile. Non fu facile riuscire ad arrivargli
vicino, ma il vento mi fu amico, e gli arrivai sul collo.
L’ho baciato senza che lui
se ne accorgesse.
Sentivo il suo calore,
l’agitarsi dei suoi capelli neri. “Max”, gli ho sussurrato. “Max”. Ma con
che voce, un granello di sabbia, può farsi sentire da chi ama? Lui non
poteva udirmi, ma mi accontentai, mi accontentati di restarmene
accoccolato tra due muscoli, nel suo tepore corporeo. Sentivo il suo
profumo, non con le narici che non ho, ma con qualcosa che Dio mi ha
lasciato, e che un tempo chiamavo ‘anima’.
Non mi staccai da lui.
Finii nella sua camera, al terzo piano di un hotel al mare.
Poi ci fu l’acqua, la
doccia. L’ultima doccia assieme.
Scivolai giù,
seguendo le linee che gli modellavano il corpo. E niente fu più
eccitante. Un gusto d’incenso nell’aria.
Lo percorsi tutto, immerso
nel mio pianto inesistente, in attesa di cadere.
Gli scivolai di dosso,
come le lacrime del suo pianto quando mi perse. Ma io sono qui.
Sono in una nuova
spiaggia, ora. Attendo. Attendo le volontà che mi governano, e un vento
propizio.
Ma viaggerò ancora. Forse
riuscirò a scivolargli addosso un’altra volta.
… forse…
… un’altra volta...
-Fine-
DISCLAIMER: tutto questo piccolo universo sabbioso,
compresi i personaggi, l’ho inventato io con le mie manine e con la mia
pazzia crescente… infatti mi piace molto!!!
Voglio dire un grande
grazie a tutti quelli che mi
leggono, a tutti quelli che mi hanno contattato, a tutti quelli che
leggono le mie creazioni ancora in carta, grazie al mondo, al fuoco e a
Lady Bow… grazie a tutti!!!
Ciao, ciao…