Il figlio del Sakura

parte VIII

di Haruka

capitolo 10

L’anno scolastico riprese senza problemi allo scadere delle vacanze, ma fu un anno molto particolare.

L’avvenimento clou fu chiaramente il matrimonio di Hokuto che si festeggiò dopo un anno di minuziosi preparativi, ben due volte! La prima con rito tradizionale nella dimora dei Sumeragi, per far contenta la nonna, la seconda con rito civile in un albergo affittato per l’occasione, per permettere ad Hokuto di sfoggiare il suo vistosissimo abito bianco con tanto di velo.

Verso l’estate una vacanza a Sendai con la zia portò alla rivelazione dei sentimenti dei due "fratelli". Torhu lì per lì si sentì mancare, poi con il tempo se ne fece una ragione anche perché non tollerava che Seishiro approfittasse della situazione per erigersi a paladino dei suoi figli e riuscisse a tenere Fuma sempre con sé. Kotori ci rimase un po’ male, anche lei, e per qualche tempo fece i capricci e tenne il muso a Kamui, il quale in un certo senso godeva delle attenzioni di Fuma più di lei. Poi entrò in scena un fantomatico "fidanzatino", come insisteva a chiamarlo la madre, e la ragazza fu completamente assorbita da questa faccenda.

Il treno che unisce Kyoto a Tokyo con un’ora divenne per Fuma una terza casa, quasi ogni venerdì sera prendeva il diretto finito il doposcuola e andava da Kamui per poi tornare a casa la domenica sera. Più di rado accadeva il contrario, perché Torhu diceva che non si poteva permettere il biglietto del treno due volte al mese, mentre Seishiro poteva pagare benissimo quello del figlio tutte le settimane. Questa era un’ottima scusa per avere il suo "ometto" a casa praticamente ogni settimana e per controllare cosa combinassero quei due assieme.

La scelta più dura, alla fine, fu quella dell’università. Seishiro insisteva perché la frequentasse a Kyoto, Tohru a Tokyo, ma il nuovo appartamento dove si erano trasferiti dopo la morte di Saya non aveva una stanza in più. Seishiro pensò di averla spuntata ma saltò fuori che Yuto si proponeva ben volentieri di ospitarlo a casa sua. Subaru dalla sua taceva e aspettava l’evolversi della situazione. In quel bel clima da guerra fredda, Fuma pensò bene di tentare l’esame di ammissione sia a Kyoto, sia Tokyo. Che fosse il destino a decidere!

Il giorno della consegna dei diplomi il ragazzo si ritrovò a sedere quasi per caso accanto a Shigure Himura, la sua prima e ultima fidanzata. Non si erano quasi più parlati dopo le vacanze estive, ovvero da quando la storia con Kamui era di dominio pubblico. Ci fu un leggero imbarazzo, poi dopo la cerimonia fu lei a prendere l’iniziativa e a chiedergli come ricordo il primo bottone della divisa, immaginando già a chi toccasse di diritto il secondo, quello del cuore. Fuma fu ben lieto di accontentarla. Poiché Shigure non avrebbe frequentato l’università, si ripromisero di fare di tutto per rimanere in contatti.

Alla fine arrivò il giorno tanto atteso e temuto della prova d’esame d’ammissione. Rientrando a casa, Fuma annunciò che avrebbe preferito lavorare come meccanico piuttosto che dover riprovare l’anno dopo. Inutile star a raccontare la ramanzina che gli servì Subaru sentendolo parlare a quel modo. Gli ricordò che sua madre aveva messo da parte i soldi per mantenerlo agli studi dal giorno in cui era nato, che suo padre si era laureato con ottimi voti, che addirittura suo zio Yuto era riuscito a prendersi il famigerato "pezzo di carta". A Fuma gli venne il sospetto che il ragazzo non vedesse l’ora di rispedirlo a Tokyo. Subaru invece desiderava solo che riuscisse negli studi, li dove lui per lavoro aveva dovuto rinunciare. Alla fine, dopo un anno e mezzo di convivenza, ci si era pur affezionato a quel ragazzaccio!

La lettera con i risultati dell’esame a Tokyo arrivò per prima, seguita dall’arrivo di Torhu, Kotori e Kamui. Siccome il padre e la zia temevano possibili imbrogli da parte dell’uno o dell’altra, si decise di aprire le due buste insieme alla presenza di tutta la famiglia riunita. Fuma trovò che fosse un’esagerazione, Subaru che era un bel modo per riunirsi tutti insieme come non era mai accaduto. Arrivò pure Yuto ma senza Kanoe, che era in crociera sul Nilo (o così disse il marito). La mattina che giunse la seconda busta, c’era anche Hokuto che trafficava in cucina chiacchierando del più e del meno con Kotori e Torhu ad un passo dall’ucciderla se non smetteva di riferirsi a Fuma come al suo "nipotino" o peggio ancora come "Fu-chan". Subaru era in giardino quando il postino lo richiamò sventolando una lettera.

- Quella che attendeva con ansia!- gli disse ridendo- Speriamo che siano buone notizie!-

- Speriamo!- sorrise ed entrò in casa. Vedendolo con la lettera in mano, Seishiro corse di sopra a grandi passi, seguito da Yuto.

Fuma era ancora a letto o meglio era a letto ma non per dormire. Kamui, che divideva la camera con lui, aveva trovato un modo molto stimolante per farlo svegliare. Il padre, preso dall’euforia, neanche bussò e spalancò la porta mostrando trionfante la busta. Li trovò comodamente buttati sul letto a baciarsi. Non si era ancora abituato a certi atteggiamenti un po’ "liberi" del suo bambino con quel nanerottolo, perciò iniziò ad urlare.

- Che cavolo state combinando?! Kamui leva le tue mani da mio figlio!- inutile dire che non erano certo le mani di Kamui a dargli fastidio. Meno male che Yuto arrivò subito e gli mise una mano sulla bocca.

- La busta dell’università, Fuma!- sghignazzò il biondo- Vestiti prima che salga Torhu! E tu, Seishiro, rassegnati all’idea che stai invecchiando!-

Il figlio si passò una mano tra i capelli fissando suo padre con una faccia sconsolata e Kamui gli rubò un bacio.

- Non sei curioso di sapere cosa ne sarà di te?!-

- Secondo me è più curioso lui!- rispose indicando il padre che continuava a rigirare la busta tra le mani.

- Forza muoviti!- incalzò Seishiro mentre il ragazzo si stiracchiava tutto beato- E poi, si può sapere perché devi dormire senza la giacca del pigiama? Guarda che fa ancora freddo! Ti prenderai un malanno!-

- Indovina un po’!- scherzò il figlio divertito al massimo dal contegno del padre.

- Possibile che non pensi ad altro?!-

- Tale padre, tale figlio!- gli rispose appoggiando la fronte contro la fronte dell’altro uomo, ormai avevano la stessa altezza- Vediamo che dice la lettera- la prese in mano e fissò l’altro un po’- Non cambia niente, qualsiasi cosa ci sia scritta?-

Seishiro gli diede un bacio sulla fronte e lo trascinò giù in soggiorno così in pigiama com’era.

Si riunirono tutti in salotto e tutti fissarono il ragazzo mentre apriva l’una e l’altra lettera. Alla prima fece una faccia compiaciuta, alla seconda storse il naso. Controllò un paio di volte le buste e poi ancora il contenuto. Torhu stritolava un fazzoletto nella mano, Seishiro si accese una sigaretta e nessuno osava interrompere il silenzio della lettura. Quando Fuma appoggiò le due lettere sul tavolo con un’aria tutt’altro che divertita, Hokuto azzardò un "e allora?", ma il ragazzo la ignorò e si rivolse a Subaru.

- Ti devo parlare!- neanche gli diede il tempo di rispondere e lo trascinò in cucina. Tohru, Yuto e Seishiro fecero a gara per impossessarsi delle lettere.

- Che succede?- chiese Sumeragi un po’ agitato.

- Ti ricorderai benissimo che l’anno scorso di questi tempi abbiamo avuto una discussione molto stimolante tu ed io…- Fuma lo fissava dall’alto con quel suo sorrissetto ironico, Subaru si limitò a incrociare le braccia e a reggere il colpo in arrivo- Ti avevo detto che avrei fatto l’università a Tokyo, anche se in tutto questo casino messo su dalla zia e da papà non hai detto nulla, non ci vuole un genio per capire che una soluzione in tal senso non ti dispiacerebbe-

- Io non…- l’altro uomo cercò di protestare ma non ci riuscì.

- Comunque, a Tokyo non mi hanno preso, perciò altri quattro anni di convivenza…io e te, ci stai?-

- Ormai dovresti saperlo…ci sto!-

Fuma avrebbe voluto aggiungere ancora qualcosa ma in quel momento entrò Kotori che venne ad abbracciarlo.

- Me lo sentivo, sapevo che non saresti più tornato a casa da noi. Ma non ti allontanare ulteriormente!- la ragazzina tirò su con il naso e fissò il fratello che la sorreggeva- Non te ne andare!-

- In che senso "non te ne andare"? Dove vuoi che vada, Kotori-chan?-

- Non lo so, ma sento che ti stai allontanando e presto non ci riconosceremo più!-

Fuma le accarezzò il capo e per un attimo provò la stessa sensazione dell’abbracciare un pezzo di ferro, disorientato dovette costringersi a guardare quella testolina piena di ricci appoggiata sul suo petto e ripetersi che quella era Kotori, era sua sorella e le voleva bene. Suo padre era fermo davanti a lui e lo fissava impassibile, incrociarono gli sguardi e l’espressione dell’uomo mutò.

Dopo le inevitabili lamentele di Tohru e il broncio che Kamui tenne per un po’, si passò ai festeggiamenti e si festeggiò fino a tardi. Solo il giorno dopo padre e figlio trovarono un po’ di calma per parlare a quattro occhi. Seishiro non lesinò lodi e complimenti e Fuma si limitò a stare a sentirlo mentre blaterava annuendo ogni tanto. Poi gli prese la mano e gli disse con voce piana.

- Devo andare a Tokyo per dare la bella notizia alla mamma e vorrei che venissi con me. Quante altre occasioni avremo per stare insieme?-

- Poche- si disse l’uomo mentre lo abbracciava, un abbraccio stretto come se avesse paura che potesse svanire dalla sua presa- Ti devo parlare- Seishiro non lo guardò negli occhi perché quegli occhi lo fermavano sempre ma lo strinse tanto da poterne sentire il battito del cuore-…di me, della nostra famiglia…di te-




 

Quella sera si decise di restare a casa e Kotori e Hokuto passarono più di un’ora davanti ai fornelli in una specie di competizione culinaria. Tohru sedeva su una sedia leggendo il giornale, Fuma guardava la televisione sul divano e Kamui se ne stava accoccolato contro di lui con la testa appoggiata tra l’incavo del collo e la spalla. Yuto si sedé accanto al nipote e presero a parlare del più e del meno e quando ad una sua battuta fu presa in mezzo anche la donna si finì a parlare di quello che il ragazzo più temeva: la sua infanzia. Anche Subaru fu attratto dalla parlantina del biondo: a tutt’oggi sapeva così poco di Seishiro prima del loro incontro. Chiuso l’ambulatorio, Sakurazuka si unì al gruppetto e si sedé sulla poltrona prendendo Subaru sulle ginocchia. Improvvisamente sembrava di vivere dentro una cartolina di Natale, dove tutti erano felici e sorridenti, e lo erano, bastava evitare di focalizzarsi sulle cose che gli davano fastidio. Ovvero Seishiro non pensò dove si stesse strusciando il nanerottolo, Fuma non pensò dove fosse seduto Subaru, Torhu evitò di pensare ai figli e Yuto a Torhu!

- Dai, Yuto-san, continua!- lo pregò Kamui visto che Fuma era riuscito a farlo tacere.

- Su, Kigai-san, ci racconti!- aggiunse Subaru sorridendo- Non ce lo vedo Seishiro alle prese con pannolini e poppate!-

- Neanch’io!- rincarò Torhu che non perdeva mai occasione per sottolineare la più piccola delle debolezze dell’uomo. Sakurazuka si mise a ridere e il figlio divenne ancora più rosso.

- Bisogna ammettere che Saya era proprio una strana donna! Pur di uscire lasciava un bambino così piccolo alla nostra mercè-

- Ma non aveva neanche vent’anni, è normale che desiderasse uscire ogni tanto!- intervenne Fuma.

- Oh, ma faceva benissimo…- rispose il padre sorridendo.

- …ci andavi di mezzo tu, non lei!- rise forte lo zio- Il nostro gioco preferito era il "ruba-pupazzo". Saya arrivava e rovesciava tutta le cose del moccioso sul letto di Seishiro, quando se ne andava, Sei ed io iniziavano a far sparire tutti i giocattoli, uno ad uno. All’inizio questo tordo qua presente neanche se ne accorgeva, poi quando ne rimaneva uno o due cercava di trattenerli, quello era il pezzo forte, alla fine rimaneva senza giocattoli e ci fissava senza capire finché apriva i rubinetti!-

- Dovevo divertirmi da matti, eh zio?!- ghignò il ragazzo fissandolo torvo.

- Oh, ma ti leggevamo anche le favole, sai?!-

Subaru fissò il suo uomo poco convinto.

- Beh, non proprio le favole, ho letto da qualche parte che i bambini piccoli non capiscono cosa gli leggi, l’importante è il tono della voce che si usa!-

- Così ti leggevamo gli articoli delle riviste di sport, o di quelle assurdità sugli extra-terrestri che comprava Seishiro!-

- Questo spiega un sacco di cose di te!- scherzò Kamui ma Fuma non volle accogliere la provocazione.

- A tavola!- Kotori aprì la porta e Hokuto portò la pentola con il riso. Tutti si alzarono e si radunarono intorno al tavolo.

Si iniziò a mangiare in silenzio, lasciando che fossero piatti e bicchieri a fare rumore e tutti gustarono i manicaretti. Fu solo al dolce, la torta ai fagioli rossi di Hokuto, che si riprese il discorso di prima.

- Yuto-san- esordì Kotori tornando a sedersi- mi sono persa i racconti di prima…-

- Non ti sei persa niente!- intervenne irritato il fratello maggiore.

- Sta zitto! Lei lo sa come ha fatto la mamma a innamorarsi di Seishiro-san? Che diamine ci avrà trovato?-

- "Innamorarsi"! Non esageriamo con i termini!- saltò su Tohru.

- Sei-chan doveva essere un gran figo da ragazzo!- esclamò Hokuto.

- Lo sono anche adesso!- protestò l’interessato- Vero, amore?!- Subaru si limitò a ridere di gusto.

- Oh, si, non era male, anche se io ero il più figo di tutti!- Yuto si pavoneggiò, non c’era nulla di più gratificante per lui di farsi bello davanti ad una platea in ascolto, specie se composta di donne.

- Che coppia dovevate essere!- grugnì Tohru rivedendo i due uomini davanti a lei ragazzi in perenne ritardo per le lezioni su un vecchio motorino rubato. Non che fossero cambiati tanto in 18 anni!

- Allora come è successo che poi è nato lui?- tuonò Kotori indicando Fuma con la punta dei bastoncini che teneva in mano.

- Tutto merito mio! In fondo, Fuma-kun, sei una mai creazione!- sorrise mellifluo il biondo.

- In che senso?- Subaru lasciò la mano che Seishiro gli aveva ghermito e entrò nel vivo della conversazione.

- "L’incontro" l’ho organizzato io!- rispose fiero di sé l’uomo fissando l’amico con la coda dell’occhio.

- Chissà, papà, quante volte ti avrà ringraziato!- commentò cattivo Fuma facendo dondolare all’indietro la sedia.

- E che ne sapevo io che la metteva incinta!- si difese lo zio.

- Non è da te, Seishiro, una simile sbadataggine!- Fuma lo chiamò per nome non a caso, sapeva benissimo quanto lo facesse arrabbiare.

- Ho pensato che se proprio dovevo avere un figlio, era meglio averlo con una donna molto bella!- Sia il figlio che il compagno lo guardarono di traverso.

- A diciassette anni, sbronzo come sarai stato, ti sei messo a fare un discorso così articolato?!- Il figlio non aveva tutti i torti!

- Non ero sbronzo!- Seishiro si sentì un po’ a disagio a parlare di quella fatidica notte davanti a Subaru, a Fuma e a Tohru!

- Eri ciucco perso! Pensavo saresti rimasto a vomitare in bagno per tutta la vita!- Yuto aveva sempre così tanto tatto! Meno male che Fuma sembrava non prendersela.

- Insomma- gemette Kotori- così non capisco niente! Yuto-san dal principio!-




 

Ottobre 1981, quartiere di Shinjuku, distretto Kabukicho, Tokyo

All’uscita di scuola due ragazzi con la divisa dell’istituto superiore Furinkam si fermarono sotto un albero ormai spoglio. Uno reggeva le cartelle, l’altro si stava accendendo una sigaretta, operazione non facilissima visto il vento che tirava.

- Odio questo periodo dell’anno!- gemeva uno dei due con i capelli castani chiari, resi ancora più chiari dalla luce del meriggio che lo colpiva alle spalle. Era alto, magro, il viso imberbe da bravo ragazzo e l’apparecchio ai denti. Spostò indietro la ciocca ribelle che gli ricadeva sugli occhi castani e incominciò a camminare. L’amico rimase un po’ indietro gustandosi la prima boccata di fumo, poi con pochi passi gli fu accanto e gli sfilò una cartella da sotto il braccio.

- Non dirlo a me!- sbuffò infine- Non mi reggo in piedi dal sonno!- coprì appena uno sbadiglio.

- Hai "lavorato" anche ieri sera?- Ci fu una certa ironia nella parola "lavorato", come se il biondo non ci credesse. L’altro mugolò qualcosa come un si, mentre frugava le tasche in cerca dell’accendino, quella maledetta sigaretta non voleva saperne di stare accesa! Sorrise quando lo trovò. Era un ragazzo alto, con le spalle larghe, i capelli neri lasciati lunghi sulla fronte come per coprire gli occhi, castani, profondi e inquietanti. Il viso pallido non aveva un difetto. Sorrideva spesso e rideva forte per ogni scemenza e di scemenze con il suo compagno di banco ne facevano tante.

- Non sfottermi sempre, Yuto! E’ una cosa che riguarda la mia famiglia!-

- Che piagnone che sei! The e poi negozio di dischi?- e mentre l’uno lo mandava al diavolo e l’altro se la rideva beato, un gruppo di ragazze li superò voltandosi più volte per guardarli.

- Oche!- grugnì il moro che aveva un po’ la fama del misogino.

- Racchie!- concluse il biondo dopo averle analizzate per bene- Non perderei mai il mio tempo con una del primo anno!-

- Yuto, non credo che verrò con te al negozio di dischi, devo studiare, se non lo avessi notato siamo sotto esame!-

- Lo so: gli esami di mezzo anno! Che stress! Allora solo the e poi a casa mia a studiare, però Sei, stavolta, non raccontare a Tomoe-chan quelle storie sui bambini divorati dagli orchi! Non ha dormito per tre giorni!-

Si fermarono al passaggio a livello aspettando che passasse il treno e lì Yuto notò una ragazza della loro scuola che mogia mogia teneva la testa bassa.

- Hey, Saya-chan, brutta giornata?-

La ragazza, una biondina tutta ricci, alzò appena il viso poi scosse la testa sperando che la conversazione finisse lì. Conosceva Kigai perché l’anno precedente erano stati nella stessa classe e poi era molto popolare tra le ragazze della scuola. Lei, però, lo trovava arrogante e spaccone, certo mai tanto arrogante quanto il suo amico, "mister tanti sorrisi". Non si ricordava come si chiamasse, si era trasferito nella loro scuola da quell’ anno, dicevano che vivesse da solo, senza genitori.

Yuto notò che lo sguardo di lei si era posato un secondo di troppo su Seishiro e gli venne una geniale idea.

- Saya-chan, ti va se usciamo noi tre assieme? Stavano andando a prendere un the!-

- Ti sarei grata se mi chiamasti per cognome, Kigai-san!- Alzò il volto e piantò i suoi occhi scuri sul biondo con l’intenzione di incenerirlo. Seishiro pensò subito che fosse molto bella.

- Vieni, Saya-chan!- disse allora il moro facendo l’eco al suo amico. Lei lo fulminò a sua volta.

- Ma come ti permetti di chiamarmi per nome, senza neanche presentarti!- Seishiro adorò letteralmente quel cipiglio battagliero.

- Scusa tanto! Io sono Sakurazuka Seishiro!-

Le tese la mano ma il passaggio a livello si era alzato e lei si allontanò a gran passi, poi quando fu abbastanza lontana gridò con quanto fiato in gola- Monou Saya!-

- Le piaci!- fu il commento di Yuto.

A Seishiro scappò suo malgrado un "è carina!" e Yuto iniziò a gongolare e per tutto il tragitto fino alla caffetteria e poi a casa continuò a dirgli di invitarla fuori.




 

Dopo tre giorni da quell'incontro al passaggio a livello, visto che a parole non otteneva nulla, Yuto si recò da Saya e le disse- Sakurazuka, quel mio amico, è un po’ timido e non trova il coraggio per chiedertelo perciò sono venuto io a organizzare l’incontro, ti va?-

Saya rimase incerta sul da farsi, quel ragazzo era carino, ma le stava antipatico e poi le non aveva occhi che per…L’oggetto dei suoi pensieri passò proprio in quel momento, i capelli corvini sciolti sulle spalle, il passo deciso, lo sguardo penetrante…Si strinse forte al braccio di Kigai e quando quella persona fu a portata di orecchio, rispose al ragazzo.

- Molto volentieri! Uscirò con Sakurazuka, quello alto e moro della seconda F, con molto piacere. Si vede che ho fatto colpo su di lui tre giorni fa tanto da invitarmi per la seconda volta! Non gli dirò di no!- e più parlava e più alzava la voce per farsi udire. Tutto la scuola seppe dell’appuntamento ma l’unica persona a cui doveva interessare aveva continuato dritto per la sua strada senza neanche rallentare il passo. Saya si sentì veramente depressa. Yuto non capì che bisogno c’era di urlare a quel modo e di ripetere tutti quei particolari, ma non gli interessava. L’importante è che fosse riuscito a combinare un appuntamento al suo amico Seishiro, che in quei giorni era parecchio fuori forma.

All’intervallo per il pranzo, Seishiro fu informato del fatto che quel sabato sera alle otto avrebbe dovuto trovarsi sotto casa Monou per portare Saya-chan al "Lanterne Rosse" dove era stato prenotato un tavolo.

- Ma che razza di locale è?- chiese dubbioso Seishiro conoscendo benissimo i posti che Yuto frequentava.

- Ma che ti preoccupi! E’ un posto delizioso!-

- Si, come no! Comunque, Yuto hai fatto i conti senza l’oste, io stasera ho da fare, impegni inderogabili!-

- Anche la tua vita sess…ehm, sentimentale è inderogabile! Hai 17 anni, sei nel fiore delle tue pulsioni ormonali, io ti organizzo un super appuntamento con una delle sventole più quotate della scuola, e tu ti metti a fare il difficile?!? Seishiro, ma fammi il piacere!-

Seishiro rimase dell’idea che non sarebbe andato all’appuntamento, ma dopo la quinta telefonata di Yuto decise che tanto non aveva di meglio da fare. Così senza neanche capire veramente il perché, si ritrovò sotto casa di Saya alle otto in punto. Era una casetta a schiera bianca con il giardinetto davanti e la cancellata bianca. Citofonò e mezzo secondo dopo la ragazza schizzò fuori dalla porta.

- Non entro neanche a salutare i tuoi genitori?- chiese Seishiro. Yuto gli aveva spiegato che per far bella figura è bene sempre dire qualche parola gentile alla madre e rassicurare il padre sull’orario del rientro.

- No, lascia stare. Mio padre pensa che esca con un'altra persona-

- Ah- fu l’unico commento che sfuggì al ragazzo.

- Non ci rimanere male ma mio padre è un uomo all’antica- (Così all’antica che tempo dopo l’avrebbe cacciata di casa a male parole- nda)- Dove andiamo?-

- "Lanterne Rosse"- rispose il ragazzo controllando la piantina che Yuto aveva preparato segnando in rosso il tragitto da percorrere.

- Non sarà uno di quei posti equivoci che frequenta Kigai-san?-

- Non ne ho idea!-




 

Naturalmente il locale era proprio uno di quei posti equivoci che frequentava Yuto. Nonostante avesse solo diciassette anni, quando non portava l’apparecchio e si vestiva con gli abiti del padre lo prendevano tutti per uno studente universitario e molte ragazze più grandi se lo portavano dietro in questi posti, o meglio lui proponeva il posto e quelle pagavano il conto. Quando furono davanti al locale videro un tipo con una giacchetta rossa e la fascetta in testa che attirava i clienti.

- Yuto mi ha detto che l’estate alza i soldi lavorando così!- disse Seishiro indicando l’uomo.

- Non entreremo mai, ci voglio 21 anni per frequentare questi locali- sbraitò Saya.

- Non penso che a Yuto sia sfuggito un simile dettaglio!- ghignò l’altro.

Infatti il butta fuori li fece entrare dal retro chiedendogli di salutargli tanto quella "canaglia" di Yuto. Seishiro sapeva di essere un ragazzo fuori dalla norma, ma Yuto lo batteva su tutta la linea. Il locale era arredato in stile orientale. A terra dei tappeti rossi e le pareti in carta di riso erano illuminate dalla tenue luce delle lampade rosse in carta di riso, anch’esse. Una signorina con un abito alla coreana li condusse al loro tavolo. C’erano dei morbidi cuscini in seta stesi sul tatami e altri più grandi appoggiati intorno alla parete di fondo a mo’ di divano. Sul tavolino in legno di ciliegio fu appoggiata una bottiglia di sakè, due bicchieri e degli antipasti di mare. Si trovavano separati dagli altri avventori dai dei separé in legno e carta di riso, poi una tenda rossa era stata lasciata tirata e la signorina spiegò loro che se non volevano essere disturbati potevano chiudersi dentro tirando la tenda. Disse ancora che il tavolo era loro riservato per tutta la notte e chiese cosa volessero mangiare. In breve alla coppietta fu chiaro che si trattava di un locale a metà tra il ristorante e una casa di gheishe. Il posto era frequentato da alcune coppie e da molti uomini che accettavano la compagnia delle signorine. Alcune vestivano modernamente, altre erano delle vere gheishe. Seishiro rimase incantato dieci minuti buoni a fissare il tavolo di fronte dove una di queste sta servendo il thè e tre uomini secondo l’antico rituale. Saya, invece, si gustò la scenetta tra due innamorati che si scambiavano effusioni finché non realizzò che uno dei due non era una donna vestita da uomo, ma un uomo vero! Era la prima volta che vedeva degli omosessuali e lo disse a Seishiro. Lui rispose che era la prima volta anche per lui e ne risero. Con quella risata la serata si aprì bene, continuò meglio con il cibo, ottimo e abbondante, e si concluse in maniera del tutto inaspettata per entrambi. Alla fine il vino aveva sciolto la lingua a tutti e due e scoprirono che avevano molte cose in comune. Saya pensò che Seishiro non fosse poi tanto antipatico e che quel sorriso arrogante le piaceva. Seishiro pensò che si era annoiato tanto in questi ultimi giorni per via degli esami da preparare e poi era attratto da Saya in maniera che non si spiegava. Fin da quando era bambino aveva avuto un grossa passione per le cose belle, gliela aveva trasmessa sua madre, di solito desiderava possedere quel dato oggetto e distruggerlo. Questa volta desiderava Saya ma gli sembrò un vero peccato concludere un pasto così abbondante con schizzi di sangue ovunque, e poi cosa avrebbe detto a Yuto? Che aveva ucciso la ragazza che gli aveva rimediato perché era molto bella? Gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia dandogli dell’idiota, tanto per cambiare! Gli girava troppo la testa per concentrarsi sul maroboshi. Istintivamente accarezzò il braccio nudo della ragazza, la pelle era morbida e vellutata, bianca, i capelli chiari e fini ricadevano con grandi boccoli sulla pelle e la luce delle lanterne tremolava proprio sopra la sua spalla. In vita sua non aveva mai veduto nulla di simile. Saya gli sorrise. Seishiro aveva perso il suo eterno sorriso e la fissava come se fosse un quadro o una statua. Saya si sentì un po’ a disagio ma continuò a sorridere. Nessuno mai l’aveva degnata di tanta attenzione. Il locale era delizioso, tranquillo, la luce era bassa. Gli sarebbe piaciuto essere lì con qualcun altro e l’alcool le faceva sembrare tutto ovattato. Con un cenno fermò la cameriera e si fece portare un’altra bottiglia di sakè. Non si era mai ubriacata in vita sua e moriva dalla voglia di farlo. La signorina arrivò, posò la bottiglia e prese i piatti del secondo. Stava per chiedere loro se volevano il dolce ma dagli sguardi che si lanciavano capì che in arrivo c’era altro. Con un ultimo scupolo chiese- Serve altro?- La ragazza scosse i suoi lunghi capelli per far cenno di no- allora chiudo?- e tirò la grossa tenda rossa. Verso quell’ora della serata quasi tutte le tende rosse erano state tirate.

- Soli soletti!- sentenziò Saya versando da bere per sè e per Seishiro.

- Già!- commentò lui mandando giù di colpo il contenuto del bicchiere.

- Soli nel senso che non c’è nessuno che ci faccia compagnia…- parlando così la ragazza si riferiva a quello sguardo fiero che non si era mai fermato a guardarla e Seishiro pensò al suo ruolo, al suo dovere nei confronti del Sakura maledetto.

- Allora facciamoci compagnia- azzardò il ragazzo. Saya rise forte e lo tirò per il colletto della camicia.

- "Mister grandi sorrisi" vediamo se quelle labbra le sai usare anche per altro?- e lo baciò. Non era la prima volta che baciava qualcuno, solo due anni prima aveva baciato una donna molto molto bella…ma Saya gli parve ancora più bella e continuò a baciarla e a baciarla finché non la rovesciò fra i cuscini del sedicente divano.




 

Quando riaprì gli occhi vide Saya che armeggiava con i bottoni della camicetta, lei lo fissò di traverso e poi gli sorrise.

- Mi hai perso un bottone, idiota!-

- Scusa!- sghignazzò lui ancora intorpidito dal vino e sconvolto da tutte le sensazioni che aveva provato. Se quello era il sesso, allora era una cosa che gli piaceva parecchio!

- Mi sono addormentata anch’io- disse lei tornando a sdraiarsi, lui sollevò un braccio e poi le abbracciò le spalle- e ho sognato…un ragazzo alto, moro, con gli occhi castani. Ti assomigliava tanto che sembrava tuo fratello-

- Io non ho fratelli!-

- Però i suoi occhi erano caldi e pieni di vita, non come i tuoi!- con una mano gli spostò la frangetta dagli occhi e lo guardò molto intensamente. Solo allora Seishiro si ricordò che non stava più indossando la sua maschera, il suo sorriso che lo difendeva dagli altri uomini. Si mise a ridere, guadagnò la posizione a sedere e con un respiro più profondo tornò pienamente padrone di sé.

- Forse era tuo figlio- continuò la ragazza.

- Ma io non ho figli- le rispose lui sfoggiando il suo sorriso da primo della classe.

- Non importa, non giorno avrai anche tu dei figli, no? Difficilmente mi sbaglio, ho la capacità di vedere il futuro nei sogni di tanto in tanto. Quando un giorno ti capiterà di incontrare questo ragazzo, ricordati di me che te lo avevo detto!-




 

Seishiro quegli occhi castani caldi e profondi li avrebbe incontrati tempo dopo incastonati nel visetto roseo e paffutello di un neonato fra le braccia della sua prima e unica donna. Da quel giorno imparò ad ascoltare le premonizioni di Saya.




 

Yuto raccontò la storia a modo suo, Seishiro aggiunse e corresse quello che l’amico si inventava di sana pianta e Torhu metteva bocca riportando la versione di Saya. Alla fine Kotori capì solo che quei due si erano ubriacati e che poi era nato Fuma. Subaru fu lieto di come Seishiro mantenesse la buona norma di andarci cauto con gli alcolici, sicuramente memore di quella avventura. Hokuto ne disse di tutti i colori sul modo in cui Seishiro si era comportato e avrebbe detto anche di più se non ci fossero stati presenti i figli e la compagna della diretta interessata. Fuma non disse nulla, quella storia la conosceva a grandi linee ma non gli era mai piaciuta sentirsela raccontare, preferiva il racconto della sua nascita. Alla fine, però, visto che tutti si aspettassero che dicesse qualcosa decise di prendere in giro il padre.

- Il castigo che meritavi Seishiro per aver approfittato di una povera ragazza ubriaca!-

Il padre lo fissò di traverso, lo avrebbe preso a pizze quando faceva così.

- La mamma ed io siamo stati sempre ben felici di quello che è successo-

- "La mamma ed io" è un concetto che non esiste, Seishiro-san!- sbraitò Tohru.

- Quante altre donne hai fatto ubriacare, Seishiro?- lo apostrofò duro Subaru.

- Ma che c’entri tu?! Avevi 7 anni all’epoca- si difese l’uomo.

- Sei un caso clinico, vecchio mio, ma eri ubriaco anche quando infastidivi Subaru-san?- Yuto lo fissò un po’ prima di scoppiare a ridere.

- In quel caso, direi che l’ubriaco era Subaru-san!- concluse Fuma alzandosi da tavola. Presto tutti si alzarono e la serata continuò in salotto.

 

 

capitolo undici

Seishiro osservava i movimenti del suo compagno nascondendosi sotto al giornale, non si perdeva il più piccolo gesto, la minima inclinazione del capo, però non lo ascoltava era così preso dalla sua osservazione che non badava a cosa Subaru gli dicesse.

- Seishiro, ma mi ascolti?!- protestò in fine il ragazzo gettando le camicie che aveva tra le braccia sul letto e osservandolo con aria arrabbiata.

- No, per niente!- sorrise l’uomo mettendo via il giornale. L’altro mise il broncio e gli diede le spalle. Ripose le camicie nella valigia mentre continuava a protestare per il suo comportamento infantile. Seishiro rise ancora e continuò a fissargli le spalle esili. Il giorno dopo sarebbe andato a Tokyo con Fuma, glielo aveva promesso, ora però non riusciva a concentrarsi su altro che sul corpo magro di Subaru. Era da un po’ che ci pensava, quella era un’occasione unica, irripetibile e solo l’idea lo eccitava da matti, peccato che Subaru non sembrava essere in vena. Si alzò e gli cinse la vita con le braccia.

- Subaru-kun, lascia perdere quella valigia…-

- Seishiro, falla finita!- tagliò corto il ragazzo dandogli una gomitata nello stomaco- Non hai fatto altro che perdere tempo per tutto il pomeriggio, domani alle sei devi partire e la tua valigia non è pronta, oltretutto la devo preparare io…-

Subaru non era proprio in vena! Sakurazuka, però, non si arrendeva facilmente! Mentre il ragazzo si avviava in bagno, lo prese di peso e lo rovesciò sul letto per poi essergli sopra in un baleno.

- Subaru-kun…- lo pregò con la sua vocina vogliosa, per tutta risposta l’altro spostò il volto e immobile attese che si levasse di dosso. A Seishiro non gli era mai piaciuto costringerlo, se proprio non ci stava bisogna rassegnarsi, così si spostò di lato e lo lasciò andare. Subaru terminò di fare la valigia, scese giù in cucina e al suo ritorno lo trovò che lo fissava con aria determinata al centro del letto.

- Che vuoi?- gli disse acidamente. Sperava che si fosse rassegnato, proprio non se la sentiva, aveva lavorato in mattinata.

- Voglio fare l’amore con te!- lo disse con una tale enfasi che Sumeragi fu preso completamente alla sprovvista. Si contavano sulla punta delle dita le volte in cui glielo aveva chiesto così apertamente. Di solito lo circuiva con il suo fare seducente.

- Sei…Seishiro!- balbettò come se avesse ancora 18 anni, mentre questi gli offriva un braccio teso per raggiungerlo al centro del materasso.

- Non aver paura, se non vuoi dimmelo, smetterò!- i suoi occhi smeraldo si velarono immediatamente di lacrime, quelle parole lo commuovevano sempre, anche a distanza di anni.




 

Giugno 1992, casa Sumeragi, quartiere di Shinjuku, distretto Kabukicho, Tokyo

- Non aver paura, se non vuoi dimmelo, smetterò!- le mani che lo stavano accarezzando si fermarono e quell’unico occhio nocciola lo fissò con serietà. Subaru non voleva che si fermasse, capiva benissimo che Seishiro era un uomo e aveva bisogno dei suoi sfoghi e lui non voleva essere da meno, però aveva paura, una paura matta che l’altro non trovasse appagante stare con lui, in quel modo. Aveva appena 18 anni e tutto quello che sapeva in materia di sesso era molto vago, sentiva di volerlo ma l’idea che Seishiro avesse più esperienza di lui lo metteva in uno strano imbarazzo, lo faceva sentire inadeguato, ancora più infantile e ingenuo del solito. Avrebbe voluto dargli tutto se stesso, ma temeva di non essere all’altezza. Poco importava se l’altro uomo gli ripeteva che per certe cose ci vuole pratica e all’inizio tutti si sentono un po’ scemi. Era sicuro che Seishiro non si fosse affatto sentito scemo quando lo aveva fatto la prima volta

- Continua- sussurrò con voce fioca. Non voleva che smettesse ma d’altra parte non voleva che andasse troppo in là, oltre quel limite che, riteneva, non permettesse più ripensamenti. Si tese quando sentì una mano accarezzargli le gambe. Seishiro si tirò su a sedere e incominciò a riabbottonare la sua camicia.

- Seishiro, io… scusa, io…- balbettò il diciottenne in preda ad una crisi isterica.

- Non ti scusare, Subaru, è tutto a posto- gli rispose Sakurazuka con un sorriso incoraggiante.

- No, io…io lo voglio, Seishiro, davvero!-

- Si, lo so, lo voglio anch’io, semplicemente non è ancora il momento giusto! Non ti preoccupare- gli scompigliò i capelli e lo baciò sulla fronte- Allora, vuoi mangiare qualcosa?-

Il momento giusto arrivò, poi, in un pomeriggio di pioggia senza che nessuno dei due lo avesse programmato.




 

- Dimmi che lo vuoi anche tu- gli disse ancora l’uomo attirando il suo capo moro fra le braccia. Subaru rimase fermo per un po’ lasciandosi coccolare ripensando alle innumerevoli volte in cui aveva riposato la testa sul suo petto, all’odore di tabacco e acqua di colonia della sua pelle, ai suoi capelli come seta che lo solleticavano, al suo fisico possente e sudato dopo l’amore. Si buttò sulle coperte fissando quell’unico, invitate occhio nocciola.

- Voglio fare l’amore con te!- gli rispose in fine sorridendo e chiuse gli occhi, ma contro le sue aspettative l’uomo non gli ghermì le labbra per un bacio, bensì saltò giù dal letto e chiuse con cura la porta.

- Non vorremmo che un certo studente universitario si svegli!-

Subaru si mise a ridere e attese che Seishiro lo raggiungesse.

Quella sera fecero l’amore come se fosse la prima volta. Seishiro si avvicinò a lui come se il suo corpo fosse immacolato, come se stesse maneggiando un oggetto sacro. Il suo sguardo trasmetteva passione e desiderio, venerazione, amore. La sua pelle tremava e le sue labbra sembravano volersi cibare di lui. Ogni gesto lento, appositamente prolungato, le parole dolci misurate attentamente come se potessero rovinare quella atmosfera quasi mistica. Subaru si lasciò andare completamente (non sempre riusciva a farlo), si abbandonò ad un desiderio che gli parve più grande di loro come se quello che stavano facendo non potesse bastare a placarlo. Sentiva che Seishiro era agitato per qualche motivo e ogni volta che lo amava lo faceva con maggiore foga, quasi con rabbia ma poi i suoi occhi correvano a incrociare quelli del ragazzo per rassicurarlo, per legarlo a se ancora come preso dalla paura che potesse svanire dalle sue braccia. Sprofondando il capo nel suo petto lo riempiva di baci e languide carezze, strofinava il viso contro la sua pelle e ne respirava l’odore, ormai acre e penetrante. Lo amò con una tale disperazione che Subaru sentì la sua anima disintegrarsi per quel dolore. Seishiro non gli permise di parlare, di chiedere spiegazioni, lo baciò finché non lo vide vinto dal sonno, quando ormai albeggiava. Lo lasciò abbandonato tra i cuscini e accuratamente lo ricoprì con le lenzuola. Pochi minuti prima delle sei sentì qualcuno alla porta.

- Papà?-

Indossò la giacca e diede un ultimo bacio al suo amato, poi uscì. Il figlio lo accolse con uno sbadiglio e lui lo degnò di una rapida occhiata. Si era fatto grande, alto, con larghe spalle, era diventato un uomo più in fretta di quanto avesse desiderato. Sgarbatamente gli disse di montare in macchina e aggiunse solo qualche altra frase quando necessariamente indispensabile. Fuma non capì il perché di quel comportamento, riteneva di non aver fatto nulla di sbagliato, ‘sta volta.

- Papà, ma che c’è? Se non ti andava di venire, non c’erano problemi…solo quando te l’ho chiesto sembravi così contento di venire…-

- Sta’ zitto!- gli ruggì contro più arrabbiato di quanto avesse voluto. Non era colpa di Fuma se le cose era evolute in tal senso, per la prima volta in vita sua ammise di aver lasciato correre troppo tempo.

- Ma papà…-protestò ancora il ragazzo.

- Ci sono cose che devi sapere e c’è un unico posto dove te le possa dire, fino ad allora fammi il favore di stare zitto!-

Il figlio, anche se con la sensazione di star subendo un grave torto, ubbidì, pian piano lasciò che le palpebre si facessero pesanti e scivolò in un sonno confuso. Seishiro lo osservò con un pizzico di tenerezza quando si fermò per fare benzina, preferì lasciarlo dormire perché anche se era così alto e possente, ai suoi occhi era ancora un bambino e gli venne in mente la prima volta che lo aveva tenuto in braccio e di come avesse pensato che fosse troppo piccolo per essere vero e ora era troppo grande per essere preso in braccio e gli parve un grande peccato.




 

Luglio 1982, ospedale di Shinjuku, Tokyo

Seishiro entrò con aria circospetta nella grande sala d’ingresso. Non gli piacevano gli ospedali e neanche le sorprese, invece Saya-chan gliene aveva fatta una bella grossa, a quanto aveva capito! Tutto quello che sapeva era che aveva partorito alle prime luci dell’alba e che stava abbastanza bene da telefonare per dirgli di venire subito. Non gli aveva detto altro e lui c’era rimasto male, non sapeva cosa aspettarsi. Chiese ad un infermiere e si ritrovò in un corridoio percorso da donne in cinta, da parenti con fiori e padri nervosi. Bussò ed entrò. Lei era seduta sul letto con i capelli raccolti in una treccia bionda, una vestaglia a fiorellini, era tanto bella, come sempre. Teneva in braccio qualcosa, lo stringeva al petto. Era qualcosa di piccolo, roseo. Saya si voltò e gli sorrise calorosamente, sembrava così felice e serena.

- Non ti avvicini?- gli disse invitandolo con una mano, lui ubbidì. Fissò quel "qualcosa" per un attimo interminabile: si muoveva. Aveva una testolina scura e da un vestitino bianco uscivano delle braccine e delle minuscole gambe, minuscole dita, una boccuccia senza denti si attaccava con forza al seno di lei, il nasino sembrava perfetto, gli occhi erano chiusi.

- Ha una fame!- la voce della ragazza lo riportò alla realtà.

Così "quello" era il frutto di una notte brava a bere troppo sakè.

- E’ un maschio?- di tutte le cose che voleva dirle, non gli venne in mente altro.

- Si, un maschietto di 3 kg e 34 cm-

- Così poco?-

- E’ piccolo ma sano!- si risentì la madre.

Seishiro si ritrovò suo malgrado a contare le dita per vedere se c’erano tutte.

Possibile che un essere così piccolo fosse vivo? Possibile che provasse delle emozioni, che fosse dotato di intelligenza, istinto di sopravvivenza?

Quel "qualcosa" emise un gemito stridulo quando decise di essere sazio.

Seishiro decise che gli piaceva, era bello, di suo gusto, ma come immaginava nulla di più. Pensò a che effetto potesse provocare in lui la sensazione del braccio che perfora quel corpicino e gli sembrò che non sarebbe stato differente rispetto a calpestare un fiore.

- Lo vuoi prendere in braccio?-

Il ragazzo si ritrovò a fissare Saya come se gli avesse chiesto di buttarsi da un ponte, ma prima che potesse protestare a voce alta, lei lo afferrò per un braccio e lo mise a sedere sulla sponda del letto poi,con infinita cura e con calma, abbandonò il corpicino che si agitava fra le sue braccia.

- Mi raccomando reggigli la testa-

Seishiro annuì e per un po’ quasi trattenne il fiato. Quell’esserino era caldo, tenero, piccolo ed indifeso. Apriva e chiudeva la boccuccia come per sbadigliare. Gli sfiorò i piccoli pugni chiusi, la testolina e il cuore gli mancò un battito. Capì, allora, che una differenza c’era, eccome, tra una cosa inanimata e quella creaturina abbandonata tra le sue braccia. Quella creatura era sua, di nessun altro. Lo stesso sangue, la stessa pelle, lo stesso nome e dunque lo stesso destino. Per la prima volta comprese veramente sua madre e ne sorrise. Fra le sue braccia viveva suo figlio e ne fu felice.




 

- Buongiorno, mamma! Sono venuto a trovarti, avrei dovuto farlo secoli fa!-

Saya Monou riposava in un piccolo cimitero scintoista da dove si dominava gran parte della città, di lei rimaneva un stele in pietra con il nome fra altre centinaia di steli in pietra con il nome. Fuma posò ai piedi della tomba un mazzo di fiori gialli, narcisi, i suoi preferiti, poi bruciò l’incenso come prescrive la tradizione, versò l’acqua sulla pietra e rimase a lungo in silenzio pregando. Seishiro rimase più indietro in piedi con gli occhiali scuri inforcati, le mani in tasca.

- Mi hanno ammesso all’università. Alla fine ce l’ho fatta! Tu ci tenevi tanto, eccoti accontentata!-

Seguì ancora un lungo silenzio poi il ragazzo incominciò a ridere cercando di non farsi vedere da altri.

- Che ti prende?- chiese irritato il padre.

- Non volevo venire a trovarla qui perché non sopportavo che di lei non rimanesse che questo, ma oggi che sono qui non mi sembra così difficile. E’ già passato un anno e mezzo…faccio fatica a ricordare certi particolari e certi giorni mi capita di non pensare a lei o di pensarla sorridente e persa nelle sue cose. E’ come se non fosse successo nulla, come se lei fosse sempre stata qui, null’altro che questo. E’ proprio di questo che avevo paura ma adesso capisco che era inevitabile, la vita deve continuare…la vita continua comunque! Però sento che lei è con me, che quello che faccio un po’ lo faccio perché lo vorrebbe lei, che quello che sono oggi lo devo a lei. Scusa se ti ho un po’ trascurato, mamma, avevo bisogno dei miei tempi!-

Seishiro sorrise.

- Hai cresciuto un ragazzaccio viziato, Saya-chan!-

- Non è vero!-

- Ora andiamo, Fuma!-

- Si, arrivo. Ciao, mamma, non ti preoccupare me la saprò cavare!-




 

Camminavano già da un po’ attraverso il grande parco di Ueno che si estendeva ai piedi della Tokyo Tower , suo padre sembrava sapere dove andare, ma per lui era solo uno slalom tra le persone sedute sotto i ciliegi, che erano in piena fioritura e mezza città sembrava essersi assembrata li sotto. Non gli era mai piaciuta tanto questa passione degli abitanti di Tokyo di fare a botte per un posticino sotto ai maestosi alberi nazionali in fiore. Trovava che fosse roba da femminucce. Era lì per lamentarsi ad alta voce per la pessima idea che il padre aveva avuto quando la sua attenzione fu rapita dal più maestoso e splendido albero di ciliegio che si ricordasse di aver mai visto e quello che era peggio ebbe come la sensazione di conoscerlo da parecchio tempo, una sensazione sgradevole! Conosceva una storia assurda che voleva che queste piante avessero mutato da bianco a rosa il colore dei loro petali per il sangue dei cadaveri di cui si cibavano.


 

"Sai perché i suoi fiori non sono più bianchi? Il sangue dei cadaveri li ha tinti di rosa!"


 

- Perché ho come la certezza che non siamo qui per caso?- chiese con voce sprezzante per rispondere al sorrisetto ironico del padre.

- Tu conosci l’esatto significato del nome che porti?-

Fuma ci pensò su cercando di ricostruire il significato degli ideogrammi. Sua madre gli aveva raccontato che il suo nome lo aveva scelto Seishiro perché era un nome molto raro. Alla fine scrollò le spalle.

- Sakurazuka ovvero il tumulto dei ciliegi…-

- Un nome abbastanza comune, no? Che c’entra? E’ da stamattina che sei strano!-

- Non so bene neanche io come incominciare questo discorso…ti ho parlato del perché i fiori siano rosa anziché bianchi?-

- Si, quando ero piccolo. Quella storia dei cadaveri!-

- Ti piacciono i ciliegi?-

- Non tanto, sono delle piante stupide, i loro petali volano ovunque…-

- Neanche lei li amava molto…-

- Lei chi?-

- Tua nonna, la donna che mi ha messo al mondo-

- Non mi hai mai parlato di lei-

- Vorresti sapere qualcosa su di lei?-

- Siamo qui per questo, per parlare della famiglia…i Sakurazuka-

- Sakurazukamori!- lo corresse con un ghignò l’uomo più anziano. Si sederono ai piedi del grande albero dandogli le spalle e osservando il via vai di gente.

- Lei, la donna che chiamavo madre era come una bambina, ad essere sincero non so nemmeno quanti anni avesse con esattezza. La prima volta che l’ho vista avevo nove anni. Non avevo mai chiesto di lei, né di mio padre. Lei sedeva sul tatami, era una stanza buia affacciata su un giardino, credo, indossava un kimono con una fantasia di fiori di camelia, disse che lo aveva messo per ricevere me. Disse che ero suo figlio e non mi è mai venuto il dubbio che potesse essere diversamente. Sorrideva, sembrava felice di vedermi, mi baciò e disse che saremmo restati assieme se mi faceva piacere. Le camelie rosse erano i suoi fiori preferiti, fin dal nostro primo incontro mi confidò che ne voleva sulla sua tomba. Le piacevano le camelie perché le ricordavano teste di uomini che cadevano a terra senza vita-

- Come?-

- Un giorno d’inverno, avevo 15 anni, lei tornò a casa dal lavoro, il suo kimono era sporco di sangue, i suoi lunghissimi capelli neri si erano sporcati anch’essi, osservando la sua benamata pianta di camelia mi disse che quello era stato il suo ultimo lavoro e che quel giorno avrei ucciso la mia prima vittima. Fin dalla prima volta mi ripeteva che io l’avrei uccisa-

- E tu l’hai fatto?-

- Me lo ha chiesto lei…disse che io ero la persona che più amava, la persona speciale della sua vita, che era felice di essere uccisa da me. Sorrideva anche mentre il suo corpo si faceva freddo-

- L’hai uccisa?!-

- E non ho provato nulla!-

Padre e figlio si guardarono negli occhi e il ragazzo finalmente seppe dare un nome a quello sguardo vuoto che ogni tanto riusciva a percepire nel padre. Seishiro non era in grado di leggere nulla in quegli occhi nocciola che tanto ammirava, avevano assunto un’espressione enigmatica tra lo stupito e l’arrabbiato.

- Due clan reggono le sorti del nostro paese, i Sumeragi che attraverso le pratiche dell’omogigetsu agiscono alla luce del sole e i Sakurazukamori che nell’ombra utilizzano le stesse pratiche ma per scopi opposti. Due facce della stessa medaglia. Anche se per l’esattezza non è preciso parlare di "clan" per i Sakurazukamori, in effetti si tratta di un solo individuo che porta questo nome, il quale ha i suoi aiutanti, certo…ma tutto sommato si tratta di una persona sola: il custode del Sakura che si ciba di uomini-

- No, aspetta, Subaru-san è un Sumeragi?!-

- Dettaglio non trascurabile, hai ragione tu! Stavo cercando di arrivarci-

- Arrivarci?! Si può sapere cosa stai cercando di dirmi? Che sei un assassino alle dipendenze di un albero?!- Fuma scattò in piedi.

- Sapevo che non avresti capito!- Seishiro sbuffò vistosamente nervoso, non riusciva mai a fargli un discorsetto come si deve a quel ragazzo!- Cerco di spiegarmi meglio. I fiori bianchi come neve del Ciliegio sono diventati rosa perché succhiano il sangue dei cadaveri seppellitivi sotto, qualcuno deve procurare il "cibo", per così dire, all’Albero. Questo qualcuno è il Sakurazukamori, ovvero il custode del tumulto di ciliegi. C’è un solo modo per succedere al Sakurazukamori, ucciderlo. Mia madre era il Sakurazukamori, quando l’ho uccisa ho preso il suo posto, io sono il Sakurazukamori-

Il ragazzo indietreggiò di alcuni passi quando si rese conto che intorno a lui non c’era più nessuno, si era fatto improvvisamente scuro e silenzioso. Il grande albero troneggiava alle spalle dell’uomo davanti a lui. Una scena che aveva sognato milioni di volte e ora sapeva anche chi era quell’uomo!

- Questo è il mio incantesimo, cerca di non perdere la testa! Ci sono ancora molte cose di cui parlare, non ti dispiace se lo facciamo qui, vero? Non mi va di cercarti per tutta la città, Fuma!-

- Che altro ci può essere ancora? Mi hai appena detto che ti diverti a far fuori la gente, tua madre in primis, per dare da mangiare ad un albero!!-

Seishiro si fece serio.

- A meno che non si tratti di Subaru-san, anche questa volta? Lui sa tutto, vero? Lui è il capoclan della famiglia a te avversa, cosa ti sei inventato per neutralizzarlo? Cosa è successo, lui ti ha scoperto e gli hai fatto un qualche incantesimo?-

- Qualcosa del genere! Hai proprio voglia di ascoltarmi?-

- Ho un’alternativa?-

- Naturalmente no! La prima volta che ho incontrato Subaru avevo 18 anni e lui nove. Mi vide uccidere una bambina, cosa gravissima perché nessuno può vedere il Sakurazukamori al lavoro e raccontarlo. Non sapevo cosa farmene di quel ragazzino così carino, quand’ecco che lui si sveglia e mi ringrazia per averlo soccorso dopo che era svenuto. Era così tenero, dolce, puro e sincero, il mio esatto contrario. Facemmo un patto: il giorno che ci saremmo rincontrati io mi sarei legato a lui per un anno nel tentativo di provare qualcosa per lui-

- Provare qualcosa? Significa che non te ne importa nulla quando uccidi?-

- Tutto mi è indifferente, un essere animato o un uno inanimato, un cadavere o un sacco della spazzatura, nessuna differenza-

- Perché non l’hai ucciso alla fine? Ha fatto differenza? Hai provato qualcosa?-

- A te posso dirlo, visto che sei mio figlio, avevo bisogno di sapere perché si fosse innamorato di me, perché nonostante gli fosse chiaro che gli avevo mentito per un anno lui era pronto a lasciarsi ammazzare e diceva di essermi innamorato di me. Avevo bisogno di sapere se c’è qualcosa di amabile in me-

- Perché non lo sapevi già? Avevi bisogno che te lo dicesse lui? Non c’era già chi te lo ripeteva tutti i giorni, chi si moriva per poter stare con te?- Fuma non sollevò lo sguardo, aveva gli occhi pieni di lacrime, non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire quanto stava male.

- No, chi?-

Il ragazzo ignorò la domanda e quando trovò la forza si asciugò le lacrime con il braccio e lo fissò con lo sguardo più gelido che conosceva.

- Taglia corto con la sviolinata, Seishiro! Perché ti sei deciso a dirmi tutto questo solo oggi? Perché in 18 anni di vita, solo oggi vengo a sapere che mio padre è un assassino privo di sentimenti? E io, io che parte occupo nella tua vita? Cosa vuoi da me?-

- Tu…tu sei mio figlio…-

- Cosa significa questo per te?-

- Tu porti il mio nome…-

- Ma non sono io la persona speciale per te, vero?- mentre pronunciava questo parole, solo allora, Fuma capì quanto gravida di conseguenze era questa affermazione- Non sono io che deve prendere il tuo posto! Forse, quando sono nato, hai pensato che ti avrei ucciso io, come è accaduto con tua madre. "Sei l’unica persona a cui permetterò di prendere il mio posto!" Pensavi questo all’inizio, no? Poi è arrivato lui, scusami, è tornato lui, lui che ti ama nonostante tutto, lui che è così diverso da te, lui senza il quale non vivi più. Hai perso un occhio per proteggerlo e hai capito che sarà lui a prendere il tuo posto, perché è lui la persona che più ami!-

Le lacrime scendevano copiose, orami, ma chi se frega, stava perdendo qualcosa di più caro dell’onore.

- Fino alla fine ho sempre continuato a pensare che saresti stato tu a prendere il mio posto, perché tu sei la mia carne e il mio sangue. Per cinque anni non ti ho voluto vedere perché in te crescesse la rabbia necessaria a uccidermi. Ti conosco non lo avresti fatto solo perché te lo chiedevo io! Poi è morta tua madre e tutto è cambiato, non potevo lasciarti solo…ho cercato di difenderti da tutto sapendo che dal nostro destino non avrei potuto-

- Non è così!-

- Credimi! Non ho da lasciarti che questa nostra maledizione! E morire per mano tua sarebbe un grande onore per me…-

- Ma qualcosa mi dice che non andrà così, che tu non vuoi affatto morire!-

- Non lascerò Subaru, non posso. Stamattina mentre lo guardavo dormire ho capito che non posso perderlo, non posso…-

- Dillo!!- tuonò Fuma colmo di rabbia- Dillo, maledizione! Uno di noi due non uscirà vivo da questo maroboshi!-

- Tenerti in braccio quando sei nato è stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita ed essere tuo padre mi ha riempito di orgoglio!- Un ramo di ciliegio si arrotolò intorno al polso del ragazzo e così intorno alle caviglie trascinandolo lentamente verso il tronco, i rami colmi di petali fremevano assaporandole prime gocce di quel preziosissimo sangue. La spalla destra gli doleva come se stesse bruciando, lì dove, sotto la stoffa della maglietta, brillava una stella rovesciata.

- Non lo dimenticherò la gioia che mi ha dato l’averti incontrato-

La mano si sollevò e le parole necessarie per l’incantesimo furono pronunciate però accadde qualcosa e i rami del grande sakura si seccarono e uno ad uno caddero a terra liberando il loro prigioniero. Due fiamme di puro odio brillarono nel volto pallido di quel ragazzo.

- Hai fatto i conti senza l’oste! D’altra parte, l’hai sempre detto tu che sono viziato e non ti ubbidisco mai!-

Il maroboshi andò in frantumi.

 



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