PARTE: 6/?
NOTE: Cesare e Lars mi appartengono, mentre Erik e Pietro sono della Marvel e non ci guadagno nulla a farli agire così . . anzi, temo che se lo sapessero i signori americani mi ammazzerebbero ma che devo farci? Io mi diverto così!! Ah, anche se mi pare che qui non ci sia chissà che fan mega sfegatato degli XMen, sappiate che Pitro è un po' . .ehm . .ooc, cioè, il suo carattere descritto qui l'ho proprio inventato io! Ma diiiiooooo quanto è sexy e pieno di infinite possibilità uno così e me lo trattano sempre come una calzetta sporca! Io mi arrabbio tutte le volte, ecco, ma qui lo riscatto! Forza Pietro, dimostra di essere degno figlio di tuo paparino, di avere i cog##oni dei Lensherr!!!
Ah! N.B.: Erik=Magneto!!!!





Saijinat

di Dhely


Bene. La mia sconfitta l'ho festeggiata ieri, adesso cerchiamo di rimettere in piedi il vero Cesare. Rileggo la mail che ho appena terminato di digitare al pc e sogghigno inviandola. Sono sempre io, nonostante tutto, il folle che si gioca la vita ad ogni respiro, che disdegna la morte fino all'estremo . . ah! Messa così sembro proprio il perfetto protagonista di un romanzetto rosa. E adesso . . adesso attendiamo la risposta, o meglio, la reazione. Non mi aspetto qualcosa di preciso, a dire il vero, ma so come funzionano le cose . . e niente sarà più come prima. Vedo Lars avvolto in una mia camicia sporgersi dalla stanza da letto, arrossisce vedendomi, cercando una frase, qualcosa da dirmi. Lo blocco sollevando una mano.
"Va' a vestirti e trova un modo per passare il pomeriggio senza disturbarmi - lui annuisce, io mi alzo lasciando cadere a terra l'accappatoio, sono ancora umido, la mia pelle scintilla alla luminescenza che proviene dallo schermo del pc - Io ritorno in piscina a far un po' d'esercizio."
Solo silenzio alle mie spalle, solo silenzio ovunque, nell'immensa stanza.
Stanza? E' una piscina olimpionica a otto corsie con tanto di trampolini all'interno della villa. Era un centro d'addestramento speciale, questo, e presumo lo sia ancora ma è una fortuna che non ci sia nessuno in questo periodo. Anche la palestra è favolosamente attrezzata, solo che non mi piace fare ginnastica, il nuoto mi è molto più congeniale. Basta un tuffo ed è come se fossi in un altro mondo, mi serve poco per abituarmi ad esso.
L'acqua è il mio elemento, mi accarezza e lo sforzo ad ogni bracciata si annulla in quello che è tanto simile ad un abbraccio. I muscoli mi dolgono per un po', si sono raffreddati e mal sopportano ricominciare subito con la zavorra ai polsi e alle caviglie ma non mi preoccupo, di grave qui non mi può succedere nulla, se si eccettua un crampo.
Non c'è nulla che mi calmi, mi rilassi e mi distenda i nervi come nuotare, mi aiuta a riflettere, a ritrovare energie mentali, a costruirmi un equilibrio interno troppo spesso stravolto dalle mie passioni. Solo un paio d'ore fa mi odiavo per essermi meschinamente ubriacato, per essermi fatto prendere dallo sconforto, per essermi arreso ancor prima che fosse venuto il momento; ora riesco a vedere le cose con distacco, ho preparato un piano d'azione, ho stabilito una linea di comportamento, ho deciso di rischiare come ho sempre fatto finora. Adesso tutto mi appare chiaro, è come giocare a scacchi, mossa e contromossa, sto sacrificando la torre per mettere al riparo il re . . rischio calcolato, il mio, mi viene bene farlo quando sono calmo e freddo come ora, è una mia dote che è sempre stata molto apprezzata dai superiori e che più volte mi ha salvato la vita. Ora è una di quelle volte in cui devo dare il tutto per tutto, in fondo le mezze misure non mi sono mai piaciute.
E una bracciata dopo l'altra scandisce il tempo dei miei pensieri, del mio cuore, è così che improvvisamente ho saputo cosa fare, è così che ho deciso cosa volevo diventare, che era meglio provare il tutto per tutto piuttosto che sopravvivere in una indifferenza che non rende giustizia a tutti gli sforzi fatti per essere qui, ora.
Lo amo. Questo è un fatto tanto chiaro che mai, neppure nei momenti più bui mi è venuto in mente di dubitarlo. Ha avuto tempismo, questo lo devo ammettere: è entrato nella mia vita proprio quando, come miriadi di miei coetanei, avevo più bisogno di una figura carismatica alla quale ispirarmi.
Non avevo un padre al quale ribellarmi, morto quando ero troppo piccolo per capire e del quale conservo solo lontani ricordi, solo una madre troppo occupata a crescere me e mia sorella e Lucrezia stessa, con la sua inspiegabile, arcana saggezza che poteva sì farmi saltare i nervi ma che amavo troppo e che aveva sempre consigli così preziosi che non potevo davvero odiare.. Ero solo il piccolo delinquente della scuola, la mia rabbia la scaricavo sui miei compagni, su quelli che avessero immeritatamente più di me, mi dicevo che no, come quei tranquilli e stupidi deficienti non sarei mai diventato . . in effetti il tempo mi ha dato ragione. Erik mi ha dato un modello da seguire, mi ha mostrato cosa significasse essere un uomo . . ora so che era solo un'accezione del termine ma allora mi pareva di poter finalmente mettere piede in un nuovo universo. Mi trattava da uomo, da pari, mi insegnava come comportarmi, mi poneva delle sfide . . alcune le ho vinte altre no ma non è e non fu importante. Seguì la mia vita e quella di Lucrezia, le nostre scuole, l'università meravigliosamente affrontata in più l'addestramento fisico e psicologico. Il fatto di essere un mutante cambiò tutto in un battito di ciglia, i suoi occhi mi imprigionarono per sempre.
Anche per Lucrezia fu semplice fidarsi di lui, dopo tutto non avevamo altri che lui.
Lo amavo con l'ingenuità di un ragazzino, ora lo amo con la disincantata certezza d'un uomo che sa che non sarà mai ricambiato. Tendenzialmente omofobo com'è credo che mi ucciderebbe con le sue mani se osassi dirgli *fino a che punto* vorrei essere suo, d'altra parte è troppo potente per potermi anche solo immaginare al suo fianco. L'unico posto che mi spetterebbe sarebbe quello di zerbino e un tipo come Erik non se ne fa niente di uno straccio per i pavimenti per cui, in qualunque direzione il mio sentimento volesse trovar concretizzazione, verrei schiacciato o ignorato. L'unica strada che mi rimane perché sia mio, e stranamente l'ho capito solo oggi,, è essere alla sua altezza. E' essere *come* lui. Perché se io fossi lui, ebbene, solo così mi apparterrebbe. Solo così sarebbe davvero mio. Stringo i denti aumentando il ritmo delle bracciate. Non solo essere *degno* ai suoi occhi, come ho fatto finora, ma essere come lui, *essere lui*, diventare lui in modo che sia finalmente solo mio . . Follia? Può darsi ma la mia intera vita è fondata su questo e non ho intenzione di rinnegare ciò che è stato e ciò che ho scelto. Finisco l'ennesima vasca, sto per ritornare indietro, quando vedo Lars correre agitando una mano.
"Cesare! Ti vogliono al telefono, è urgente!"
Sbuffo lanciando un'occhiata al cronometro che ho al polso: un'ora e mezza di nuoto . . mai che uno possa allenarsi in pace! Esco dalla vasca sollevandomi sulle braccia, mi siedo sul bordo con un sospiro di nervosismo e afferro il telefono senza fili che Lars ha con sé. Lui sembra terrorizzato, è bianco come un cencio, gli occhi spalancati per un timore senza nome . . mi ritrovo a pensare che sta bene vestito con quella semplice maglietta a collo alto e un paio di pantaloni più scuri, non si vede neppure uno dei segni che gli ho lasciato addosso . .
"Cesare! Maledizione a te e a quella puttana che ti ha messo al mondo!"
Sogghigno riconoscendo la voce aspra e urlata che proviene dal telefono.
"Wolf. Anche per me è un piacere risentirti." Wolf. E' il nome in codice del Responsabile per le Operazioni dell'Europa, un pezzo grosso. Allora la mia mail ha davvero scomodato l'intera gerarchia . . bene.
"Taci, razza di scarto genetico! Si può sapere cosa t'è saltato in mente?!
Lord Magneto dopo aver letto la tua mail s'è chiuso nel suo ufficio e ha fatto rimandare ogni altro appuntamento!"
Ti brucia, eh, lurido tirapiedi che io possegga la password per inviare direttamente mail a Erik e fargli telefonate personali mentre tu no?
"Immagino che stia ricalibrando le sue decisioni."
"Sei pazzo! Le sue decisioni non sono passibili di revisione, soprattutto per causa tua! Se fossi in lui ti condannerei a morte per una cosa simile, sciagurato arrogantello senza rispetto!"
"Ma tu non sei lui, grazie al cielo. E so benissimo cosa sto facendo... oltretutto, se non ricordo male, non è a *te* che devo spiegazioni, no? Ti devo forse ricordare che non sono ai tuoi ordini?" Perché nonostante il tuo titolo e la tua boria, io e pochi altri lavoriamo alle dirette dipendenze di Erik e tu non ci puoi fare proprio nulla.
Lo sento grugnire poi un sospiro sbuffato che sembra un risolino "Giovincello arrogante, quando Milord ti avrà fatto a pezzi e avrà gettato al tua carcassa agli avvoltoi, sarò ancora qui a ridere! Questo è quello che significa non essere abbastanza intelligenti."
Intelligente per lui sarebbe stato accettare una 'collaborazione', pochi di quelli del mio corpo hanno rifiutato una simile protezione, io invece non sopporto avere come superiore persone che non stimo e anche se la cosa mi avrebbe evitato delle grane ho preferito farne a meno. Non vendo le mie informazioni e la mia vita a un imbecille simile. "Può darsi, Wolf, può darsi. Scusa se ora ti saluto ma ho cose serie da fare che stare a sentirti. A meno che tu non abbia chissà che rivelazione da farmi . . "
La mia è una battuta, il mio tono sarcastico pensavo facesse cogliere chiaramente la cosa, invece Wolf prosegue come se nulla fosse "In effetti avrei una proposta - un attimo di silenzio che vorrebbe servire a creare tensione, poi riprende a bassa voce - Forse posso ancora mettere una buona parola per te presso Milord, in cambio potresti collaborare con me nelle tue missioni.." Collaborare vuol dire avere l'appoggio dei tuoi uomini e dividere con te il merito delle missioni e le informazioni. Un modo perfetto perché tu aumenti il tuo potere ma io non sono un vigliacco, ce l'ho sempre fatta da solo, continuerò sulla mia strada o morirò nel percorrerla.
"Non ho bisogno di te, non quanto tu abbia bisogno di me, per lo meno. Non è offrendo così poco che puoi sperare di conquistarmi alla tua causa."
"Ti offro la vita, lurido bastardo! - urla, urla sempre. Ha un pessimo controllo di sé - Cos'altro vuoi?"
Io rido "Non possiedi nulla che possa interessarmi, Wolf. Rassegnati una buona volta, non sarà mai ai tuoi ordini."
Chiudo la conversazione con un mezzo sorriso e poi porgo il telefono a Lars, lì impalato, tutto intento a fissarmi. Stringe fra le mani quel telefono con una forza tale che sembra volerlo fare a pezzi "Cesare? - sembra così spaurito che mi viene naturale cercare di rassicurarlo con un sorriso pallido - Ti ho . . ti ho messo nei guai? Per . . per ieri notte, intendo."
Mi viene da ridere mentre mi alzo in piedi e mi dirigo gocciolante verso l'asciugamano "Non essere sciocco! Non c'è nulla che tu possa fare in grado di farmi avere dei problemi. - mi butto l'asciugamano in testa, sfregandomi i capelli - Ti assicuro che non ho la tendenza a fare il buon samaritano."
Lui singhiozza a capo chino poi si asciuga gli occhi col dorso della mano "Oh Cesare!" sussurra appena, io mi stringo nelle spalle.
"Andiamo, non fare il bambino!"
Forse sono stato meno brusco di quello che sono solito fare, fatto è che Lars scoppia a piangere gettandosi fra le mie braccia "Ho avuto tanta paura!"
Singhiozza rumorosamente sul mio petto, strappandomi un ghigno. Lo prendo per le spalle e lo faccio allontanare di un passo, lui mi guarda, la vista annebbiata dalle lacrime e trova solo un'espressione impietosa e dura. "Non hai ancora capito come funzionano le cose, qui. Tu sei solo un genezero, non vali niente, a nessuno importa di te, non sei ancora morto solo perchè sei mio e ho deciso che mi servi. A nessuno interessa come ti tratto né quel che ti faccio, nessuno verrà a tirarti fuori di qua, ben pochi saranno quelli che ti rivolgeranno anche solo la parola. Non sei niente, capito? Niente. E non sopporto che mi tocchi."
Trema sotto il mio sguardo poi china il capo sussurrando appena delle scuse e obbedisce al mio gesto secco della mano, allontanandosi senza un'altra parola. Il corpo sottile e snello scompare flessuoso dietro la porta e mi ritrovo a pensare a quello che è successo la notte precedente. Non mi va di barare con me stesso, non posso dire che mi ha fatto schifo: Lars è un amante fenomenale, puoi fargli o chiedergli qualunque cosa e lui ubbidisce con entusiasmo. Poi, per quello che gli ho fatto io . . cosa dire? Anche su questo argomento non mi va di mentire a me stesso, l'ho forse picchiato perché qualcuno ha picchiato me quand'ero come lui? No, l'ho picchiato perché ne avevo voglia, perché ho trovato eccitante l'idea di possedere il potere d'infrangere e sporcare un corpo efebico simile a una statua greca come quello di Lars, perché mi piaceva sentirlo piangere, perché avevo voglia di scoparlo così . . tutto qui. Ci ho solo giocato un po', è un genezero delizioso, davvero notevole . . mi ritrovo a sorridermi d'amarezza nello specchio: che schifo d'uomo sono diventato? Certi sentimenti dovrebbero essere propri solo delle bestie mentre io sono un homo superior!
Riprendo ad asciugarmi i capelli, ora è in ballo ben più che la mia purezza d'intenti, non mi gioco la carriera e né la vita, perché di morire non ho paura ma il ricordo che lascerò dopo di me, l'unica cosa che mi rimane di davvero mio. Lars non ha la minima importanza, lui, dalla mia razza non verrà di certo ricordato.
  _____

E' quasi sera, per terminare il libro che sto leggendo ho dovuto accendere la lampada da tavolo posta accanto al divano: meravigliosa tranquillità, il silenzio che si scioglie nella musica di Chopin, il, mio atteggiamento rilassato che non tradisce l'importanza di queste ore, il sole che si muove lento in cielo e che forse meriterebbe d'essere osservato visto che potrebbe essere la mia ultima possibilità di vederlo .. Lars corre in sala di fretta, preoccupato come non l'ho mai visto. 
"Cesare! C'è un UFO che sta atterrando in giardino!"
Sono già in piedi a metà della sua frase. Un UFO?! Un'astronave? Hanno inviato la Squadra Speciale che si sta addestrando sull'asteroide artificiale in orbita dietro la Luna per me? Ma sono impazziti? Se è la condanna a morte che mi spetta non . . mi precipito alla finestra e mi basta un'occhiata. Mi volto verso Lars con un'espressione di ghiaccio.
"E' un jet, idiota!"
Lui si fa piccolo, addossandosi a un muro. "Sembrava uno di quei cosi che fanno vedere nei film con gli alieni . . "
"Ciò ti faccia comprendere l'abisso tecnologico che separa le nostre razze!
Quello è un jet supersonico talmente avanzato che voi non vi sognate neppure ancora di inventare, e adesso chiudi il becco!"
Lui annuisce mentre indietreggio con un sospiro dopo aver visto *chi* è sceso dal jet. Lars mi si fa vicino come a cercare protezione. "Arriva il tuo capo?"
Questo non me lo aspettavo proprio . . ci metto un po' a rispondergli perso come sono nei miei pensieri. "No. E' suo . . suo *figlio*."

Pietro Maximoff Lensherr, nome in codice Quicksilver, il figlio primogenito di Erik, il suo successore designato, il suo erede in tutto e per tutto, il capo delle sue truppe d'assalto, il suo generale, il suo primo ministro . . queste parole non bastano, temo, lui è *il delfino*, come si diceva nella Francia del Re Sole, il futuro imperatore. Se lo dicessi a Lars gli verrebbe un infarto visto che la cosa riesce a scuotere un poco anche me. Una mossa del genere proprio non l'avevo prevista! Bhè, sopravvivrò anche a questo, dopo tutto non mi avrebbe mandato suo figlio per recapitarmi una condanna a morte per insubordinazione.
Non l'ho mai incontrato e non l'ho mai neppure visto da vicino, quando me lo trovo a due passi il mio cuore perde un colpo, non solo perché è così dannatamente bello senza avere nulla della efebica grazia di Lars; non solo perché è così sicuro e sfrontato, per nulla intimorito da me, dal mio nome e dalla 'fama' che mi porto appresso; non solo perchè quei jeans chiari lo vestono così dannatamente bene, e le mani infilate in tasca tendono la stoffa e fanno apparire quel fenomenale sedere in tutto il suo splendore, e la camicia nera di seta che porta fuori dai pantaloni cade in morbide onde e sottolinea i muscoli delle spalle, e i pettorali che s'intravedono sotto la seta, i primi bottoni lasciati aperti sulla pelle immacolata; non solo perchè è la più incredibile quantità di feromoni stipata in un singolo uomo che io abbia mai visto . . no, non solo: *è* suo padre da giovane! Gli stessi capelli color platino tagliati corti, solo due ciuffi lasciati un po' lunghi sulla fronte. Gli stessi occhi che sanno di ozono, di cielo terso di fulmini, elettricità pura e crepitante. La stessa espressione superiore, i lineamenti marcati, da uomo ma aggraziati, incredibilmente belli, solo un po' più di arroganza rispetto a suo padre, solo un carattere più di fuoco . . ma non sono differenze che rendano difficile la sovrapposizione, anzi. 
Sono terribilmente identici, sono incredibilmente . . deglutisco a vuoto .. è incredibilmente . . mi rifiuto perfino di pensarlo. E' una indicibile mancanza di rispetto nei suoi confronti per cui taccio e scatto sull'attenti.
"Signore."
Lui ha un movimento secco col capo per allontanare gli uomini che lo accompagnano in silenzio, e dopo pochi istanti i vetri della casa tremano, il jet si solleva in aria e scompare lontano nel cielo. Pietro è lì, fermo e immobile, le mani in tasca, un'espressione impenetrabile sul volto poi sospira.
"Cesare, andiamo in una stanza in cui possiamo parlare da soli."
Si sfiora un orologio sul polso che emette un flebile 'bip', stacca un collegamento probabilmente e mi segue senza più un fiato.
Pietro mi fissa dall'altra parte del tavolo, si è sporto appena verso di me nel far scivolare sul piano un paio di fogli e poi è ritornato a sedere comodo, le braccia incrociate sul petto, gli occhi illuminati da una luce scintillante e lievemente ironica. Mi basta un'occhiata ai fogli: è la mia mail, quella che ho inviato a Erik in cui spiegavo i motivi per cui mi pareva uno spreco destinarmi al lavoro in America. Mi stringo nelle spalle e faccio come lui, mi lascio cadere seduto comodo sulla sedia, in fondo mi aspettavo di dover difendere le mie idee di fronte a un tribunale.
"La mia mail."
Pietro solleva appena un sopraciglio. "Non è una mail normale, converrai con me. Sono in pochi quelli che osano contestare gli ordini di mio padre."
Annuisco col capo sforzandomi di tenere gli occhi fissi in quelli di lui. So bene quanto sto mettendo in gioco di me e so altrettanto bene quanto dipende da ciò che rispondo ora: la mia vita, il mio futuro, tutto. Ma questo gioco l'ho iniziato io, conosco le regole e . . mi è sempre piaciuto puntare forte . .
"Non era una contestazione, ho solo spiegato il mio punto di vista."
"I motivi per cui non avresti obbedito agli ordini."
Il mio volto si piega in un ghigno. Questa è una trappola tanto grossolana .. ci stiamo solo scaldando . .
"Non ho parlato di non obbedire, Signore. Ho solo portato degli elementi perché la decisione fosse analizzata da un altro punto di vista."
Pietro appoggia i gomiti sul tavolo, intreccia le mani e ci appoggia sopra il mento. I suoi occhi brillano sempre più pericolosi ma non mi faccio spaventare da così poco, sinceramente mi turba di più la sua somiglianza con Erik, sono pronto a morire ma con quegli occhi puntati nei miei . . "Il tuo."
"Sì Signore, il mio. Sono io che avrei dovuto andare in America, dopo tutto, e non Milord Magneto."
Il mio tono assume una sfumatura arrogante che si riverbera negli occhi, e non solo nei mie, anche nei suoi. Mi sorride di rimando. "Sei coraggioso ma la soglia fra temerarietà e presunzione è molto labile."
"Già, ma questo si può capire solo dopo aver agito.- una delle frasi preferite di Erik! ma so che non bisogna tirare troppo la corda, dopo tutto lui è *suo* figlio - Non volevo assolutamente mancare di rispetto a Milord, Signore. So che avete sempre stima nelle mie capacità ma temo che nel prendere la decisione del trasferimento mi abbiate decisamente
sopravvalutato."
Il volto impassibile di Pietro si tende in una pallida imitazione di un sorriso di scherno. "Non sapevo che nelle tue numerose doti ci fosse pure la modestia!"
Chiudo gli occhi con un sorriso, chinando appena il capo. "Non credo di essere modesto, sto solo cercando di . . mhm . . non essere offensivo."
Lui annuisce. "Bene, non lo sei stato. Ma che ne dici se adesso giochiamo a carte scoperte, io e te? Non crederai che sia venuto fin qui solo per . . per intrattenere un discorso intelligente con un maestro dell'eloquenza come sei tu, vero? Le tue doti sono ben conosciute e molto stimate da mio padre e non dimentico che la dialettica è una delle tue armi."
Mi sfioro la fronte con la punta delle dita mentre mi sporgo verso di lui, socchiudendo gli occhi. "Signore, non scopro mai le mie carte quando l'altro per primo occulta le proprie." Non sento nulla provenire da lui, né una sensazione, né un'emozione e la cosa non è possibile. C'è uno schermo fra me e lui e questo non mi piace. Incredibilmente sono stato il massimo della sincerità con lui anche se non so se se ne è accorto. Mi sorride in risposta sospirando, vedo che manda a mente un particolare che non capisco quale sia, non è un uomo, non sta parlando con me, mi sta analizzando proprio come sto facendo io. Allora sì, se n'è accorto . . mi sono sempre piaciuti gli avversari che posso considerare alla mia altezza. 
Si sfiora una tempia, sembra solo un gesto lieve per tirarsi indietro i capelli, invece mostra un piccolissimo congegno nascosto dietro l'orecchio, pochissimi centimetri quadrati di metallo scintillante. Preme probabilmente un tasto infinitesimale e mi sorride. "Te ne sei accorto! - si sfila quel parallelepipedo e lo posa sul tavolo. - Questo è l'ultimo ritrovato per schermare i poteri di voi empati."
Ecco, ora le cose vanno meglio. Sento chiaramente il suo terribile controllo d'acciaio, granitico e scintillante sotto quell'espressione diventata quasi lieve, quasi gentile. Bellissima. Sento che sa benissimo dove vuole dirigersi, sento la sua lieve soddisfazione, sembra che mi stia portando proprio dove vuole. Non importa. Ho la sensazione di poter escludere ormai del tutto il pericolo di essere messo a morte, e anche quello di essere punito. Tendo una mano e lo sfioro. Da fuori non sembra niente di particolare, liscio e metallico, un lieve gancio trasparente per appoggiarlo all'orecchio e un piccolissimo pulsante. Lo rigiro fra le dita: niente segni particolari, niente cose notevoli.
"Uno schermo notevole, davvero. Non ho ovviamente provato a forzarlo ma ha un difetto."
"E quale?"
Lo poso sul tavolo "Ho subito capito che esisteva un marchingegno che la stava schermando, Signore, e un vero congegno schermante non dovrebbe far percepire la propria presenza."
Lui annuisce. "Vero. Gli scienziati infatti l'hanno studiato per . . mhm . . 'comprimari' e non per il soggetto diretto con cui un empate dovrebbe trovarsi a parlare. Credi che funzionerebbe?"
Sospiro corrugando la fronte. "Credo di sì, Signore. Se non fossi stato così concentrato su di lei . . non ho scannerizzato se non di sfuggita le sue guardie del corpo, quando sono arrivate in casa, e avrei potuto non accorgermene. - sollevo il capo fissandolo direttamente negli occhi - Arriva qui con la mia mail, che conosco benissimo, e con questo gioiello dei nostri scienziati. Mi chiede di giocare a carte scoperte, perché?"
Lui scuote il capo, i capelli argentati danzano nell'aria che ci circonda "Io mi sono scoperto, adesso tocca a te. Mossa e contromossa, come gli scacchi. Il motivo di questa mail."
Gli scacchi. Erik, suo padre, ne è sempre stato ossessionato, e credo di averlo interessato da subito perché ho sempre adorato passare ore davanti a una scacchiera.
"Non voglio andare in USA, Signore. E quando mi è arrivato l'ordine l'ho letto come un ordine di andare a morire . . non credo di meritarlo, non con le doti che ho dimostrato di possedere durante gli anni."
Pietro mi guarda, impassibile, poi sospira. "Non verrai mandato in America. Era una prova."
Il mio controlla mi impedisce di sobbalzare, solo i miei occhi scinitllano pericolosi. "L'ho superata?"
Pietro prende in mano la copia della mail e sopira. "Hai mandato personalmente a mio padre una mail in cui criticavi chiaramente un suo ordine, hai espresso ad alta voce la tua volontà di non ubbidire a ciò che Magneto ti ha ingiunto di fare di fronte a me . . tu che dici?"
Io gli sorrido. La prova continua, pare. "Sì, l'ho superata. Sapete bene quanto valgo, sono il migliore nel mio campo, non ho mai fallito un compito, non ho mai neppure *pensato* di tradire, ho dimostrato di essere abbastanza intelligente e coraggioso per scrivere una mail simile sapendo benissimo a cosa andavo incontro, voi lo sapete. La mia era . . un . . "
Mi manca la parola, lui sorride, rapace "Una sfida, Cesare. E sì, io e mio padre abbiamo accolto la tua sfida ben volentieri. Hai dimostrato ampiamente di essere un mutante di valore e fedele, volevamo vedere fin dove avresti potuto e saputo spingerti. Ma non mi hai ancora detto perché."
Lui sorride e io gli sorrido in risposta. "Per il sogno e per la mia carriera."
"In quest'ordine?"
"Devo proprio rispondere?"
Pietro scuote il capo sospirando. "Non voglio che ti senta costretto a mentire. Ma dimmi, dove punti? Un posto di comando? Vuoi diventire un responsabile delle operazioni di un paese? Il direttore di una squadra, o anche di più?"
Io sorrido scuotendo il capo. "Non punto a così poco. Io voglio . . vorrei .. la Luna, Signore."
Avalon. La base ultra segreta sull'altra faccia della Luna su cui Erik vive, dove avvengono le riunioni di alto livello, dove si incontrano i massimi mutanti della terra . . Non una squallida 'posizione' quaggiù, dove anche i più stupidi, tramite una carriera di cieca obbedienza possono arrivare a farsi chiamare 'signore' da dei subalterni. No. Un luogo ove il semplice fatto di esservi ammesso implica . . implica tutto. Pietro capisce, ovviamente. Il massimo della pretesa, il masimo dell'aspirazione per un mutante ambizioso è questo.
"La Luna è un luogo pericoloso. Ci sono cose che, qui sulla terra, non si immaginano. Lotte di potere furiose, sotterfugi . . non ne hai idea. Ma credi di esser pronto ad affrontarlo, vero?"
Annuisco, perché mentirgli? Sarei stato uno stupido, altrimenti, a cacciarmi in una situazione simile. "Signore, se avete inventato uno strumento incredibile come questo - sollevo lo schermo anti empatia - significa che i nemici non sono solo all'esterno. Non avrebbe senso sprecare tempo e occupare geniali mutanti nella ricerca di una cosa simile visto l'esiguo numero di mutanti che dobbiamo contrastare. Sbaglio?"
"Non sbagli, Cesare, non sbagli. - sospira lievemente bonario - Avalon non è il sogno che mio padre desidera ma . . ma ci stiamo lavorando. E forse potresti essere d'aiuto lassù. Ma prima . . prima mi serve una 'spalla' per un lavoro a Berlino. Partiamo domani."
_____

Berlino. La *mia* Berlino. Non esiste nessun'altra città fuori dall'Italia che ami in questa manietra esclusiva. Oh sì, Parigi è incantevole, Madrid è così strana, Barcellona sembra interamente modellata dall'estro di Gaudì, Colonia è aristocratica e medievale e futuristica insieme, Vienna è una meraviglia, Londra e la sua atmosfera . . ho visitato tutta l'Europa ma Berlino è unica. L'aria che si respira, la vita che si vive, il volto della gente che s'incontra per strada è un qualcosa che non può essere spiegato, no, solo qualcosa che può essere percepito, e mi sento incredibilmente in sintonia con questa città così lontana dalla mia adorata Roma, così nuova, così scintillante di acciaio e gru e cantieri e spiazzi di terra battuta e nulla e segni della guerra ancora presenti e voglia di ricostruzione e paura di dimenticare ed euforia per la libertà e . . una mistura intossicante per un empate come me, una mistura sconvolgente per chiunque persona che non sia vissuto e nato qui.
Lars osserva tutto in silenzio dal finestrino di questa auto enorme coi finestrini scuri e l'autista mentre Pietro al mio fianco scorre pagine su pagine di quotidiani via web attendendo una informazione che attende con notevole impazienza. Quanto può essere lungo un minuto per un mutante il cui cuore batte venticinque volte al secondo? E' per questo che con lui devo interpretare in maniera lievemente diversa le sensazioni che mi invia: è normale in lui trovare nervosismo, tensione, noia anche ma mi è bastato poco tempo per 'accordarmi' a lui. Anche se non ho più l'abitudine di lavorare insieme ad altri non mi risulta difficile passare tempo al fianco del figlio di Erik . . soprattutto se gli somiglia così tanto! Mi scappa un sorriso che, ringrazio il cielo, nessuno dei due intercetta. Mi ci manca solo questo.
Postdammer Platz, l'hanno quasi finita, ormai, ma nel cielo svettano ancora una cinquantina di gru, di tutti i colori possibili, ce n'è anche una a pois! Mi ricordo di lei, è una di quelle piccole cose stupide che non riesco a non associare all'operosità di questa città, e alla sua incredibile voglia di vivere. Pietro sbuffa al mio fianco, troncando di netto la connessione poi si lascia andare contro lo schienale del sedile accendendosi una sigaretta. Lo guardo di sottecchi porgendogli la fiamma dell'accendino per farlo accendere, una boccata lenta, profonda, poi uno sbuffo di fumo riempie l'abitacolo. Avevo deciso che mi sarei limitato, ma come si fa con uno così al fianco? Un sorriso lieve e decido di imitarlo.
"Il tuo genezero non fuma?"
Io scuoto il capo osservando il piccolo Lars voltato verso di noi, un'espressione tanto dolce sul volto che verrebbe voglia di mangiarlo. "Il mio genezero fa bene attenzione a non avere vizi che non siano previamente approvati da me. - non so neppure se fumasse, prima di incontrarmi . . - Il fatto che abbia uno della sua razza alle mie dipendenze non significa che ho dimenticato qual è il suo posto nella scala biologica."
Pietro annuisce fissando Lars con una strana espressione. Come se . . lo consocesse? Mi devo essere sbagliato, questa sensazione svanisce di colpo mentre Lars si tortura le mani.
"Io . . cioè, Signore . . devo fare qualcosa anch'io in questo . . in questo lavoro, qui?"
Pietro mi guarda e io mi passo una mano fra i capelli. "E' indifferente, per me possiamo utilizzarlo, dopo tutto un punto in più coperto non fa male, oltretutto di lui non dobbiamo preoccuparci."
Pietro annuisce. "Direi che si può fare. Ma ci possiamo fidare?"
Mi ritrovo a sorridere. "Sì Signore, Lars mi appartiene e farà sempre e solo quello che gli dirò di fare."
"Ottimo." La sua intonazione non è per nulla convinta ma fuori c'è Berlino, la spalla di Pietro che sfiora la mia e l'idea di stare muovendo un passo, un nuovo passo verso la mia meta basta a farmi dimenticare tutto.




 
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