PARTE: 5/?
NOTE: tutti i personaggi qui presenti sono i miei, escluso Erik, ma tanto si
vede talmente poco . . (sig sob...)
Saijinat
di Dhely
Socchiudo piano gli occhi di fronte alla luce che mi colpisce in pieno,
steso su questo letto ampio, troppo ampio per me solo ma anche così
incredibilmente confortevole . . soffoco uno sbadiglio nel cuscino. Sono in
una villa grande, grandissima, fuori Pietroburgo, destinata al riposo degli
'inviati' dopo una missione particolarmente stressante, per riprendere le
forze e attendere i nuovi ordini. Uno stato nello stato, una piccola isola
assolutamente indipendente che è stata comprata con dollari sonanti. Un
enormità di dollari sonanti . . ma si è tranquilli e al sicuro, qui.
Sorrido abbassando le palpebre, non faccio altro che dormire in questo
periodo ma solo io so quanto ne ho bisogno . .
E con il sonno arrivano i sogni, le sensazioni.
Eccolo che arriva, eccolo che la sento. Una mano forte posata sulla mia
spalla che mi sospinge avanti e mi indirizza lungo quei corridoi asettici
che sembrano quelli di un avanzatissimo ospedale. Invece è un centro
d'addestramento per quelli come me.
Sento il calore di quel tocco irradiarsi sotto la divisa, fondersi con la
mia pelle e lo strano odore fresco d'ozono e muschio, d'ossigeno elettrico e
d'aria rarefatta d'alta montagna invadermi i gangli nervosi. So già che
questo aroma, questo calore, questa sensazione non lo dimenticherò mai. La
prima e ultima volta in cui Erik mi ha toccato. Sento il suo potere
avvolgere anche me, sento la sua forza, la sua sicurezza, la sua orgogliosa
e inarrivabile solitudine, naturale derivazione della sua indiscutibile
superiorità su tutti noi.
Non sono mai stato così al centro dell'attenzione di tutti, ma con una
persona simile che mi cammina al fianco . . mi viene indicata la mia stanza,
Erik mi lascia da solo senza un'altra parola anche se so che non ce n'era
alcun bisogno. Che si fidi di me è palese, mi ha scelto di persona perché
fossi addestrato nel nostro miglior centro perché in futuro ricopra
incarichi dirigenziali.
La stanza è piccola, bianca, di una semplicità spartana, ha un che di
platealmente marziale ma, in effetti, non mi aspettavo nulla di meno.
L'altro letto è già occupato, c'è una piccola sveglia sul comodino e un
paio di libri sulla scrivania alla mia destra, per il resto la candida
pulizia di quella stanza doppia è immacolata. Sbuffo: peccato, ho sempre
preferito stare solo, soprattutto da quando ho scoperto quanto possano
infastidire i miei poteri e che reazioni spropositate possano avere le
persone spaventate.
Sbuffo di nuovo gettando la misera sacca che contiene tutti i miei averi sul
letto ed è allora che la porta della stanza si apre. Un ragazzo che
dimostra a occhio la mia età, i lineamenti marcati, capelli color del miele
e un incancellabile sorriso perenne dipinto sulle labbra, un ragazzo di
Berlino Ovest che parla un tedesco con un orribile accento slavo, un ragazzo
dotato, un mutante che è in grado di annullare o offuscare i poteri altrui
solo con la semplice presenza.
Axel.
E tutto quanto sfuma crollando in un buco nero dove il tempo accelera e
ritrovo solo immagini sparse, solo brandelli dispersi, solo remote
sensazioni. Quando il mondo ritorna a fuoco, vedo i suoi occhi castani a
pochi palmi dai miei, il mio furore che m'incendia l'anima, il suo sorriso
impallidito dalla discussione, la sua solita faccia tosta che gl'impedisce
di chinare il capo anche se sa benissimo di avere sbagliato, anche se . .
"Sei bello."
Cosa? M'immobilizzo dal troppo stupore, mai mi sarei aspettato che se ne
sarebbe uscito con una cosa simile, ma Axel è serio, serio come non è mai
stato e si avvicina di un passo verso di me, nella inusitata solitudine
delle docce della palestra dove entrambi siamo stati confinati fino a
quest'ora per scontare la pena per . . per una sciocchezza tale che già non
me la ricordo più. Ma so bene una cosa: sono io quello che ha fatto ciò
che non dovevo, io e non lui . . lui che centra, maledizione? Che diavolo
centra? Sempre tra i piedi, sempre a gironzolarmi intorno, sempre a darmi
contro, ci siamo anche picchiati; in una parola non ci sopportiamo, tutto
qua. E adesso questa uscita. Sono bello. Mi verrebbe da rispondergli che non
lo sono né più né meno del primo giorno in cui ci siamo incontrati, in
cui gli sono stato affibbiato come compagno di stanza, ma questo è
pretendere troppo dalle sue limitate capacità mentali.
Indosso solo un paio di slip, il torace umido, mentre lui ha un asciugamano
a cingergli i fianchi, ma dopo tutto ogni giorno facciamo la doccia insieme
agli altri, sappiamo bene come siamo fatti, non è una novità. Non capisco
per questo una sorta di imbarazzo che gli ha colorato il viso. Fatti suoi.
Sono bello? Penso proprio di sì, le ragazze mi sono sempre corse dietro e
pure qualche bel maschietto di fronte al quale non mi sono mai tirato
indietro. Possibile che Axel se ne sia accorto solo ora? Pare di sì. Mi
stringo nelle spalle e gli volto la schiena, seccato, irritato oltre ogni
dire, il silenzio come risposta più umiliante che so trovare così su due
piedi..
Mi tocca una spalla, lieve, io trattengo appena un ringhio fra le labbra.
Non dovresti essere qui! Non hai fatto proprio nulla, tu; il colpevole sono
io. Hai voluto essere punito insieme a me per che cosa? Un improvviso
spirito di solidarietà? Pena?
"Non ho bisogno che qualcuno si addossi una parte delle mie colpe. So
sopportare il peso delle mie azioni da solo."
Silenzio mente riprendo a vestirmi, Axel tossicchia appena.
"Da solo contro il mondo, eh, italiano? Molto romantico!"
La sua solita voce da sbruffone . . per un pelo non lo prendo a pugni.
L'istinto c'è ma so che un altro sgarro nella stessa giornata mi costerebbe
caro e non posso permettermi di sprecare nessuna opportunità. Chiudo la
porta dello spogliatoio alle mie spalle, Axel mi guarda andarmene con una
punta di panico dipinta sul viso e anche se non riesco a capirne il motivo
mi scrollo. L'idea che comunque fra al massimo mezz'ora me lo ritrovo in
stanza mi fa venire il voltastomaco ma non posso farci proprio nulla. Questo
idiota, chissà cosa avrà mai voluto dimostrare con questo suo
comportamento da scemo.
Piedi nudi sbattono contro il pavimento quando sto per chiudere la porta
della stanza alle mie spalle. Se lo beccano a correre per i corridoi senza
la divisa in ordine lo sbattono ai lavori forzati . . come se poi
m'importasse di lui! Il problema è che esistono compagni di stanza ben
peggiori di Axel per cui, sinceramente, non so che augurarmi.
Non mi volto neppure quando lo sento entrare, dopo tutto ho imparato come è
fatto il suo brutto muso eppure lui, al posto di approfittare della mia
assoluta mancanza di voglia di attaccar briga, prosegue impavido nel suo
tentativo di farmi saltare i nervi. Tituba un attimo poi si schiarisce la
gola, la voce che trema.
"Hei, Cesare, guarda . . mi . . mi spiace . . ma . . posso chiederti
una cosa?"
Mi volto verso di lui, la luce sbieca dell'abat jour sul mio comodino rende
gli angoli della stanza pieni di ombre strane e la divisa che ho preparato
sullo schienale della sedia per domani mattina ha i bottoni che brillano
come se fossero gli occhi di una tigre in agguato.
"Chiedi."
Tentenna di nuovo, di nuovo tossicchia, poi abbassa il capo. "E' vero
che tu . . insomma . . che sei . ."
Lo vedo arrossire anche in quella penombra e poi 'sento' quel che vuole
dirmi. La cosa non mi strappa che un ghigno feroce.
"Frocio? Temo per te che René abbia ragione. - gli volto ancora la
schiena, posando al loro posto gli stivali appena lucidati - Ma non temere,
non ho mai violentato nessuno."
Il suo sussulto è tanto forte che lo percepirei chiaramente anche se non
possedessi alcun potere empatico. Sinceramente questa domanda me l'aspettavo
molti mesi prima, il fatto che abbia atteso fino ad ora potrebbe essere un
bene ma . . bhè, non m'è mai importato molto di quello che pensa la gente
di me e di Axel non me ne frega proprio un accidente di niente.
Mi si avvicina, la sua voce è appena un sussurro. "Non intendevo
quello . . quello che hai capito . . "
Ipocrita.
"Non so cosa avrei dovuto capire, sta di fatto che domattina ho il
primo turno di guardia e ho bisogno di dormire, per cui le seghe, mentali o
meno, vedi di fartele da solo. Grazie."
Lievemente a doppio senso, gli snocciolo un sorrisino sardonico che dovrebbe
inchiodarlo lì e invece Axel fa finta di nulla e mi fissa dritto negli
occhi. "Sei bello."
Sospiro sollevando un sopracciglio: dove vuoi andare a parare, bello mio?
"Lo so, non c'è bisogno che me lo dica tu."
Lo guardo, sento chiara la sua agitazione che non riesce a tenermi nascosta
neppure con il suo potere, sbatto piano gli occhi sforzandomi di capire . .
mi domando se lui ne sia consapevole . . Axel mi posa con leggerezza una
mano sulla spalla, poi la fa scendere lentamente verso il petto, mi sfiora
un capezzolo prima che lo blocchi appena sopra le costole.
"Non . . non volevo . . " deglutisce a vuoto, rosso come un
peperone.
"Non dirmi cosa non vuoi fare, dimmi cosa vuoi."
Si lecca le labbra in silenzio poi scuote il capo, confuso, io rido piano,
mi avvicino di un passo e lo bacio. E' teso, nervoso, ma cede quasi subito
capitolando sotto l'assalto delle mie labbra e della mia lingua. Non mi
aspettavo un simile fuoco in lui, da questo devo forse presumere che il suo
sarcastico atteggiamento non era altro che un modo per nascondere
l'attrazione che provava per me? Non sono nato per fare lo psicologo, no.
Gli lecco il collo, affondando le dita nella morbida massa di capelli color
miele, folti e setosi fra le mani, lo sento tremare come una foglia e forse
questa potrebbe essere l'ultima possibilità che ha di tirarsi indietro . .
non voglio. Affondo i denti nella sua pelle, gli faccio arcuare il collo
all'indietro e tremare anche l'anima: so come far sciogliere le persone come
lui. Mi viene da ridere, perché mai mi devo sempre ritrovare in questa
situazione di merda, in cui devo insegnare come fare al verginello di turno
che, come al solito, mi si avvinghierà addosso stile cozza giurandomi amore
eterno?
Ma lui cede ed arretra e cade sotto i miei assalti, ed è come burro fra le
mani, è come tirare i fili di una marionetta, è . . guidarlo in un
universo sconosciuto conoscendo già le sue reazioni. Lo faccio arretrare di
nuovo, crolla sul letto con un sussurro e lo seguo immediatamente, le labbra
appiccicate alle sue, i denti che gli si conficcano nella carne, la lingua a
solleticargli il palato, il morbido aroma di Axel, lievemente intossicante,
che inizia a riempirmi le narici, i polmoni, la pelle.
Delizioso.
Burro fra le mani, si scioglie e si plasma a mio piacere . . mai paragone fu
più azzeccato. La giacca se l'è allacciata in fretta, con nulla sotto,
guaisce quando la mia lingua gli sfiora un capezzolo e quasi urla quando gli
stringo le dita sul cazzo: sta per venire nei pantaloni. Riderei se non
fossi troppo preso, mi chino su di lui e lecco e succhio e mordo e accarezzo
e lo tratto come se fosse uno strumento musicale a corda: ogni tocco un
suono diverso, una nuova sensazione. Lui chiude gli occhi, occhi di giada
liquida, si passa le mani sul petto, cerca di toccarmi ma io sono troppo
lontano; gli sfilo i pantaloni e gli slip con un gesto secco. Mi struscio
contro di lui come un gatto, il suo corpo duro di muscoli ben più del mio
reagisce alla perfezione, mugola piano infilandomi le mani sotto la t-shirt
a sfiorarmi la schiena, stringe le mascelle e io rido in un sussurro
prendendogli il cazzo fra le mani. Axel sussulta spalancando gli occhi quasi
terrorizzati, quasi curiosi per la mia risata o per il mio movimento? Gli
sorrido conciliante.
"Allarga di più le gambe."
Lui annuisce in silenzio ed esegue socchiudendo gli occhi.
"Sei . . sei ancora . . vestito . . " Ha già la voce rotta,
sorrido anche se non credo possa vedermi.
"Non preoccuparti per me, ti assicuro che non è il caso."
La pelle dell'interno coscia è fresca e morbida, lo sento tremare mentre
gioco con i suoi testicoli, il suo cazzo gonfio e duro che indica il cielo.
Mi sto eccitando ma devo avere pazienza .. da quanto è che non lo faccio
come dico io? Con il culo duro di un uomo? Mi lecco le labbra iniziando a
sfiorarlo piano, delicatamente. Potrei anche farlo urlare, piangere,
pregare, ma mi manca solo che si accorgano pure di questo e poi sono a
posto. Aumento la pressione e il ritmo, Axel si contorce sotto il mio
massaggio, artiglia le lenzuola, si morde un labbro e socchiude gli occhi.
"Ce . . Cesare . . "
Io sorrido. "Cosa, Axel?"
Aumento la presa, lui inghiotte un singhiozzo scuotendo il capo. "Mi
fai... venire . . fra poco se . . se continui così . . "
Un gorgoglio strozzato di dolore e gli occhi spalancati di fronte al mio
ghigno. Sei in una posizione troppo vulnerabile per farmi incazzare, Axel,
tengo in mano . . mhm . . i tuoi 'gioielli'. Se non te ne fossi ancora
accorto vediamo di chiarire la cosa una volta per tutte.
"Tu mi verrai in mano, mio caro. - riprendo ad accarezzarlo, non mi
piace che si raffreddi. La pelle morbida e sudata delle cosce, del ventre,
il suo bel cazzo che solletico solo con la punta delle dita - Io non sono
una di quelle troiette che ogni tanto ci facciamo, non faccio pompini, non
infilo la testa fra le gambe di nessuno, non m'inginocchio davanti a
nessuno. . tantomeno davanti a te."
La carezza s'è fatta più rapida, con il palmo intero della mano, lui
trema, sbatte il capo sul cuscino, sta per venire. Bene. Anch'io mi sento un
po' stretto in questi pantaloni. Lo prendo per una spalla e lo faccio
voltare su un fianco. Noto bene la sua occhiata lievemente angosciata ma un
mio sorriso sembra bastare a quietarlo, o forse è la mia mano che si fa più
rapida . . non lo so e non me ne frega niente.
"Ce . . Cesare . . co . . cosa . ."
"Non ti preoccupare, sono io il finocchio del gruppo, no? So bene come
si fa."
Vorrebbe rispondere ma non gliene lascio il tempo. Esplode tremando,
mordendo il cuscino per non urlare, il suo seme mi cola sul palmo, tra le
dita, viscido e tiepido mentre si rilassa lentamente, i suoi muscoli resi
lucidi dal sudore si lasciano andare, il suo respiro tende a ritornare a un
ritmo normale . . se glielo permettessi lo farebbe. Invece quasi urla dallo
spavento quando lo penetro con un dito utilizzando il suo sperma come
lubrificante mentre con l'altra mano mi slaccio i pantaloni. Axel mi fissa
quasi allucinato, so bene che se si muovesse di scatto con intenzioni
battagliere potrebbe anche farmi male visto che è molto più muscoloso di
me ma è appena venuto, è stanco, disorientato, temo. Mi lecco le labbra,
adesso tocca a me.
La mia mano fa appena in tempo a fuoriuscire da lui che lo riempio con ben
altro. Axel chiude gli occhi di botto, la mandibola contratta e un ghigno di
dolore dipinto sul volto. . quel che m'aspettavo, dopo tutto. Affondo in lui
con pochi colpi, è stretto ed eccitante il suo calore profumato, ha il viso
rigato di lacrime e le spalle ampie sussultano per i singhiozzi. Non ha idea
del piacere che mi da' . . no . . si agita appena sui fianchi.
"Mi . . mi fai male . . "
Io rido tirandogli i capelli verso di me. "Stai fermo, faccio tutto
io."
Lui tenta di ringhiare, gli esce dalle labbra solo un sussurro gorgogliato,
insieme di dolore e una punta di piacere.
"Mi fai male!"
M'immobilizzo dentro di lui, lo guardo riprendere fiato, cercare una sorta
di strana compostezza, poi mi guarda: ambra i suoi occhi, una luminosità
annebbiata dal dolore, dal piacere, dallo stupore quando gli sfioro una
guancia. "So di farti male ma dopo tutto tu hai avuto il tuo piacere.
Non ho forse diritto anch'io al mio?"
Mi muovo bruscamente, Axel non riesce a trattenere un gemito, riprendo il
mio movimento, avanti e indietro, un ritmo preciso come una danza, come a
seguire i battiti di un invisibile metronomo che regola l'armonia del mio
corpo, il cuore, i polmoni, le vene e il cazzo che pulsa dentro Axel e si
gonfia e gode e spruzza il suo seme . . il mio seme caldo dentro di lui come
un incredibile battesimo, l'imposizione di un marchio . . Axel è mio . . Un
attimo, un attimo appena mi concedo di assaporare quel tiepido piacere che
mi avvolge, che mi penetra nei muscoli, nelle ossa, nel cervello, poi con un
sospiro esco da Axel, mi rimetto in piedi e riesco anche a non barcollare
neppure un po'.
Mi allaccio i pantaloni voltando la schiena al letto su cui ho appena finito
di scopare il mio compagno di stanza il quale sta lottando per smettere di
singhiozzare poi mi schiarisco la voce e mi dirigo verso il minuscolo bagno
privato che ci è concesso: un water e un lavabo, la doccia è in comune,
tutto quanto è in comune ma un minimo d'intimità fortunatamente ce l'hanno
lasciata. Mi lavo le mani accuratamente, poi il viso, intravedo nello
specchio il riflesso dell'uomo nudo steso sul letto e reprimo un moto di
schifo. Se avrà voglia tirerà su il suo bellissimo culo e verrà fin qui a
darsi una rinfrescata, se no sono fatti suoi.
Mi spoglio buttando sul pavimento i vestiti, m'infilo il pigiama e sono
sotto le coperte, uno sbadiglio soffocato e mi volto appena verso Axel che
mi fissa, muto e incredulo, senza parole da dirmi.
"Posso spegnere la luce?" la mia domanda tranquilla lo spiazza.
Tentenna un sì, poi piomba in un silenzio che so non durerà a lungo,
soprattutto nel buio che ci circonda rapidi.
"Cesare?"
"Che vuoi."
Silenzio. Lo sento voltarsi tra le lenzuola poi mettersi seduto sul bordo
del letto.
"E adesso? Cioè . . so cos'è successo, ma . . "
Davvero? Te ne rendi davvero conto? Io credo di no, non me l'avresti
permesso, altrimenti.
"Adesso niente, Axel. - la mia voce diventa di ghiaccio - Puoi far
finta di nulla o denunciarmi al nostro superiore. Tu che dici?"
Si prende la testa fra le mani, confuso. " Come puoi pensare che io
farei una cosa simile! Io . . "
"Sei uno scemo, Axel. Non ci sono altre soluzioni, se non te ne sei
accorto.
Potresti benissimo denunciarmi, anzi, sarebbe intelligente, così saresti al
sicuro da future ritorsioni. Dopo tutto lo sai anche tu che Erik è omofobo."
Erik . . sono proprio stanco, è la prima volta che lo chiamo per nome di
fronte agli altri, anche se è stato lui ad addestrarmi ciò non mi da' il
diritto di sfoggiare una tale confidenza. Axel però sembra non averci fatto
minimamente caso.
"Cosa . . come diavolo mi stai giudicando? - ha il tono di una persona
che è stata mortalmente offesa nei suoi sentimenti più sacri. Patetico. -
Non sai neanche cosa provo per te."
Sbuffo scattando a sedere, il mio sguardo è tagliente come l'acciaio ed è
decisamente fortunato a non poterlo vedere nel buio.
"Non m'interessa quel che provi, Axel! Ti ho scopato, punto. Non farti
strane idee, l'ho fatto perché ne avevo voglia e pure tu non sembravi
troppo disgustato all'idea. Null'altro."
"E se ti dicessi che . . che sono innamorato di te?"
Cado a peso morto sul letto. "Questi sono cazzi tuoi. Penso che sei un
perfetto idiota ma, dopo tutto, sei liberissimo di rovinarti la vita a modo
tuo. Sappi solo che se da questo momento inizierai a rompermi i coglioni . .
- silenzio, un silenzio di ghiaccio che sa di minaccia inespressa - . . puoi
solo sperare che abbia voglia del tuo culo qualche volta ancora."
Axel non risponde, ha capito, ho una brutta, una pessima fama che non è
immeritata, sa bene che se volessi potrei rendergli al vita un inferno e lui
. . bhè, si è innamorato proprio della persona sbagliata.
Silenzio, il silenzio vuoto di una notte che non vede la speranza, in nessun
luogo. Il silenzio di una persona che vede il suo cuore che sanguina a
morte. Il silenzio di chi vede il proprio futuro troppo grande per essere
macchiato dalla presenza di qualcuno che non sia strettamente
indispensabile.
Silenzio, il silenzio freddo di una notte d'inizio autunno, riscaldato
appena dalla morbida luce di una candela, reso ancor più gelido dalle mille
capocchie di spillo che sono le stelle scintillanti in un cielo limpidissimo
come un opale. Il silenzio cantato di chi rende omaggio a una vita vecchia
che si sta lasciando alle spalle e che dà il benvenuto alla nuova via che
sta per iniziare a percorrere.
Silenzio.
Il silenzio di una stanza tutta per sé, grande, più grande di quanto sia
davvero necessario.
Il silenzio degli infissi con tripli vetri.
Il silenzio di una pianura sconfinata non coltivata battuta dai venti del
Mar Baltico.
Il silenzio di quel cielo sconfinato che brilla sopra di noi, al di là di
quelle finestre chiuse che mi fanno sentire un carcerato . . Sbatto le
palpebre e esco piano dal sogno, dai ricordi in cui il sonno mi ha gettato,
sbadiglio e mi rotolo giù dal letto. Un colpo rapido con la mano fra i
capelli e mi scosto quel ciuffo che mi va sempre sugli occhi, sorrido al
cielo che si intuisce ventoso e mi dirigo verso il bagno.
Ho tempo per una doccia lunga, lenta, non ho fretta, non ho nulla che mi
opprime. Mi faccio la barba e mi ritrovo a canticchiare nonostante odi a
morte la schiuma al mentolo, quasi sorrido a quel me stesso che mi fissa
dallo specchio. Tendo le braccia sopra il capo, sciolgo i muscoli, indosso i
pantaloni della tuta che avevo posato sulla sedia la sera prima e apro la
porta.
Ho fame. La scoperta dell'esistenza di questa sensazione è quasi un piccolo
miracolo per chi, come me, di solito vive tutto proiettato al di fuori di
se', attento a cosa fa e dice chi mi cammina al fianco. Ho sempre pochissimo
tempo per me, per cosa mi dice il mio corpo, per prendermi un po' di tempo
solo per . . per sentire di avere fame. Sorrido crollando sul divano
nell'ampia sala con il caminetto che troneggia dietro un piccolo tavolino
basso. La cucina dev'essere da qualche parte, è vero, ma c'è il sole che
entra dalla finestra, e qui i suoi raggi mi colpiscono in pieno. Assorbo
tramite la pelle questo calore incantevole, così algido rispetto a quello a
cui sono abituato, a quello in cui sono nato, ma il cielo d'Italia . .
nessun posto al mondo ha un cielo come c'è a casa mia .. Mi schermo gli
occhi con un braccio quando sento una presenza sporgersi nella stanza ma non
mi muovo. Qui non c'è pericolo, questo è un porto franco, uno dei pochi
luoghi ove non devi guardarti le spalle e non ho intenzione di sprecare un
briciolo d'energia in più di quella che sia strettamente necessaria.
"Cesare! Sei sveglio!"
La voce acerba di Lars, sento il suo sorriso affiorare tra le sue parole,
immagino i suoi occhi nella mia mente e mi si arricciano le labbra. Non ho
bisogno di guardarlo per vederlo. La sua presenza si fa vicina, leggera e
sottile pare non riuscire a formare uno schermo abbastanza denso per i raggi
del sole, socchiudo gli occhi voltando il capo di lato. Un paio di jeans
stinti, un maglione bianco portato sulla pelle nuda, e il suo solito sorriso
mezzo spaventato.
"Lars."
Cerco di essere gentile e forse ci riesco. Lui sospira e si siede sul
pavimento ai miei piedi, ripiega un braccio sul bordo del divano e ci
appoggia sopra il mento per guardarmi in viso, sorride.
"Axel, quando se ne è andato, mi ha detto di non disturbarti, che
avresti dormito a lungo. Adesso stai bene?"
Io annuisco piano poi sospiro lasciando andare all'indietro il capo, chiudo
gli occhi e muovo appena una mano.
"Immagino che non ci sia una moka in cucina. - sospiro quasi affranto.
Ammazzerei davvero per un caffè come si deve - Fammi un tè."
Si muove piano, a suo agio. "Certo. Ma ci sono solo miscele
russe."
Mi stringo nelle spalle. Non è male come sapore, per lo meno non hanno la
mania di infilarti tè verde in qualunque miscela.
"Va bene. Lo voglio nero e forte. Portamelo qui."
Lui si muove, un fruscio lieve nel silenzio che invade la casa, poi si
ferma, credo che si volti verso di me e mi fissa. Un lungo momento, sento i
suoi occhi su di me, camminarmi sulla pelle, sento il calore che
trasmettono, mille dita leggere a sfiorarmi il corpo, le mie cicatrici.
"Non . . non vuoi niente da mangiare? Sono due giorni che dormi."
Due giorni. Mi aspettavo di meno. Una mossa rapida, mi metto a sedere con
uno sbuffo. Lascio che i miei capelli neri mi cadano sul viso, addocchio
Lars da una strana angolatura, da sotto in su, lo vedo tremare colpito dal
mio sguardo verde e trasparente come uno smeraldo che so contrastare molto
accanto ai capelli scuri come la notte.
"Cosa c'è?"
Spalanca gli occhi chiarissimi e confusi, si stringe le braccia al petto che
risalta sotto il maglione bianco, trema appena e le sue labbra diventano
rosse come due fragole. Interessante reazione. Sorrido muovendo appena il
capo.
"Scu . . scusa?"
"Da mangiare, intendevo."
Lui sospira passandosi una mano fra i capelli, fili d'oro che ha lasciato
sciolti sulla schiena, e questa volta sorride davvero, un sorriso
scintillante e trasparente come quello di un bambino.
"Quel che vuoi! La cucina è fornita, posso prepararti tutto quello che
desideri!"
Sembra entusiasta. E' vero, quasi mi ero scordato che aveva lavorato come
cameriere e cuoco presso chissà che famiglia ricca. Sono certo che abbiamo
una diversa concezione del cibo, io e lui. Trasparente com'è, vedo il suo
cuore, per lui un buon pranzo è un dono, è un piacere, è un qualcosa di
importante. Per me il cibo è carburante, e spesso una scusa per contattare
persone. Non comprendo il piacere del cibo, lo so, me ne rendo conto, spesso
mi dimentico anche di mangiare solo perchè ho altro da fare. Mi annoio a
perder tempo seduto dietro un tavolo, preferisco qualcosa che si ingoi in
fretta, magari pure in piedi, qualcosa di semplice, che non mi occupi tempo
con la digestione. Ho passato anni a pranzare con pane, burro e miele o con
un piatto di pasta in bianco, ma quest'ultima solo quando c'era mia sorella
che me la preparava, se no, una bistecca ai ferri era più che sufficiente.
Riuscirei a fare impazzire qualunque medico dietologo sulla faccia della
terra! L'idea mi strappa un sorriso, sospiro a Lars.
"Sì, qualcosa da mangiare. Ma fai tu, che sia pronto in dieci
minuti."
Lui rimane sgomento. "Dieci minuti? Ma non . . non posso farti nulla di
. . buono in dieci minuti!"
Mi viene davvero da ridere, credo di guardarlo, per una volta, con un
briciolo di dolcezza. E' così preoccupato per me... "Andiamo, Lars. Non
dirmi che non esiste in questa casa una bistecca! O dei
biscotti. Latte e biscotti andrebbe benissimo, per esempio."
Lui mi guarda a metà fra lo sconvolto e il disgustato.
"C'è . . sì, della carne c'è . . una bistecca al sangue . . -
annuisco
secco, lui scuote il capo - ma come contorno . . "
Muovo una mano. "Non preoccuparti. Guarda in freezer se ci sono dei
surgelati che vanno benissimo, altrimenti credo che sopravviverò lo
stesso."
Annuisce in silenzio, sembra meditare qualcosa, forse su quanto siamo strani
noi che veniamo dall'ovest, o che bestie strane sono i mutanti o va' a
sapere. Non m'importa. Se avessi dovuto cucinare io, probabilmente non avrei
mangiato, è una fortuna avere al seguito uno come Lars . .
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Poso il ricevitore del telefono come se fossi una macchina, non provo nulla,
non riesco a sentire nulla dentro di me, né fuori, le orecchie sono piene
di
ovatta, odo solo il ronzio del mio sangue e il tremare del mio cuore che è
piombato all'incirca all'altezza della bocca dello stomaco. Cerco di
sbattere le palpebre per schiarirmi almeno la vista, ma gli occhi sono
aperti su niente, non riesco a metterli a fuoco su nulla, solo una
nebbiolina d'indistinti colori mi avvolge mentre nella mia mente vorticano
parole, notizie, scoperte . .
. . e rabbia . .
. . e furia . .
. . ho bisogno di bere. L'angolo bar della sala è ben fortino ma in questo
momento non me ne frega nulla, la prima cosa che mi capita in mano è una
bottiglia piena di un liquido bianco, scritte in cirillico che non mi sforzo
neppure di interpretare. Ho bisogno di sentire dell'alcol che mi morda la
gola e il cuore, ho bisogno di sentirlo in circolo, ho bisogno che mi
uccida, che mi faccia affogare. Un bicchiere pieno, di quelli da whisky,
ingoiato di botto, come se fosse acqua. E sento il fuoco che mi riempie le
viscere ma so che non basta, sento che non serve altro che a svegliare la
rabbia, l'impotenza, la drammatica, assoluta disperazione che sento dentro,
sciogliersi come neve al sole.
Un altro bicchiere. Disperata ingordigia di dimenticare, di bruciare, di
annullare tutto e tutti.
Lo sapevo che non sarei stato nominato capo della sezione russa della
Confraternita, ne so troppo poco del paese, non conosco tutti gli agganci,
non conosco bene la situazione, mi mancano gli appigli a cui afferrarmi per
non cadere. Sapevo che il posto sarebbe andato a qualcun altro, magari anche
meno palesemente 'straniero' che non me. Va bene, questo non è un problema.
Questo lo accetto, è ragionevole, è . . giusto.
Ma . . un altro bicchiere. Il mondo vorrei che ondeggiasse ma non lo fa, la
mia rabbia fa evaporare l'alcol prima che mi raggiunga le vene e il
cervello? Bhè, vorrà dire che questa volta mi prendo un'ubriacatura di
quelle storiche che ci lascerò la pelle che tanto ormai chissenefrega più
di
qualcosa. Perché, cazzo! L'avanzamento di grado mi spettava! Era mio!
Doveva
essere mio! Ho fatto un lavoro perfetto, meraviglioso, lo so io come lo
sanno tutti. Non ho fatto uno sbaglio negli ultimi cinque anni, non ho mai
disobbedito, non ho mai fallito, sono diventato poco meno che perfetto, a me
danno gli incarichi più delicati, più importanti, quelli in cui bisogna
mostrare più sangue freddo e intelligenza e dopo un capolavoro simile cosa
mi vengono a dire? Non avrò una promozione, fra una settimana verrò
trasferito per un incarico di routine in America ed Erik si è pure
rifiutato
di incontrarmi per darmi spiegazioni in merito al fatto della sua promessa
rimangiata!
Un altro bicchiere ingoiato di fretta, che schifo. Anche se fosse alcol
denaturato avrebbe lo stesso sapore ma non m'interessa. In America! Che ci
vado a fare, io, in America? Un trasferimento simile di continente per un
lavoro come il mio significa ripartire da zero, ricominciare tutto da capo,
non conosco nessuno, devo ricostruirmi il mio circuito di informatori, devo
mettermi a cercare gente, a sistemare mutanti di fiducia nei punti
strategici per moltiplicare le piste e per non far sì che un errore porti
subito a Erik. Devo capire di chi fidarmi e di chi no, devo andare ad
elemosinare notizie, contatti, incontri con i vari capi delle
organizzazione, capire i problemi presenti, cercare di anticiparli . . è un
suicidio . . mi hanno tagliato fuori del tutto . . in America! Che cazzo
vado a farci in America, io!
Mi schianto sul divano, la bottiglia in una mano, il bicchiere vuoto
nell'altro. Quanti anni fa ho fatto quel maledetto errore? Quasi dieci,
ormai. E sono rimasto indietro rispetto ad Axel e agli altri, ma pensavo di
aver scontato la mia pena, di aver dimostrato che un errore di gioventù non
significa diventare qualcuno di cui non potersi assolutamente fidare in
futuro. Sono bravo! Sono il migliore! Lo so. Singhiozzo penosamente .. spero
che non ci sia quell'idiota di Lars in giro, mi manca solo farmi vedere in
uno stato simile da uno schifoso genezero e poi . . bah, che importa. Il
bicchiere lo getto per terra, s'infrange in mille schegge, vorrei che fosse
altrettanto semplice distruggere il mio cuore, un'umiliazione del genere
come posso reggerla? La bottiglia è ancora mezza piena e la bevo a canna .
.
un sorso, lava fusa che mi cola in gola, e brucia, e taglia, e fa male . .
ma non uccide, non uccide ancora. No, non ancora . .
Erik non mi ha voluto vedere. Erik ha deciso che è tempo sprecato
ricevermi.
Erik ha altro da fare che incontrare uno come me, in fondo alla scala
sociale, solo . . uno come tanti. Sono il migliore? Può darsi, ma lui non
mi
tratta come tale. Erik non ha mai mancato a una promessa, se l'ha fatto è
perché . . perché per lui non sono all'altezza. A questo punto non lo sarò
mai. Mai.
Erik non mi riceve, non mi riceverà, sta partendo adesso e ha rifiutato ad
Axel un incontro con me per spiegarmi . . e cosa poi avrebbe dovuto
spiegarmi? Ha dato semplicemente i miei ordini ad Axel, a voce, e lui me li
ha riferiti. Perché mai dovrebbe incontrare di persona tutti quelli a cui
deve dare degli ordini? Erik . . come puoi . . come può . . non ho parole,
la mente brancola nel buio, nella nebbia che s'è fatta più fitta, più
densa
e non trovo parole, ci sono solo sentimenti a cui non riesco a dare nome, e
un dolore, un dolore immane urlato senza voce che mi strappa il cuore e
l'anima a brandelli . . mille lame che mi fanno a pezzi, che tagliano pezzi
di me e li gettano al vento, il nulla che sono si mostra identico al nulla
che mi circonda.
Una mano su una spalla. Per un attimo penso di essere ritornato al sogno,
quel contatto protettivo e incoraggiante insieme, quella fiducia tiepida e
nascosta in quel misero gesto, poi mi accorgo che no, quel tocco è ben più
lieve e fresco, poi mi scivola sulla fronte e mi scosta i capelli
appiccicati dal sudore.
"Cesare? Cesare che è successo?"
Una voce dolce, spaventata, preoccupata. Per me. Ringhio rimettendomi in
piedi, credo di dondolare ma non m'interessa, un'altra sorsata di vodka, un
ghigno nell'inghiottirlo poi un'occhiata furiosa su Lars, impaurito,
tesissimo, che mi fissa con le mani strette in grembo fra le mani, gli occhi
spalancati e resi liquidi dall'agitazione.
"Nulla che t'interessi!"
Sento la mia voce resa aspra dalla rabbia e dall'alcol, la gola mi fa male,
contratti i muscoli come quando si è troppo furiosi per urlare la propria
ira. So di non riuscire a capire bene, so di non avere il controllo di me
stesso in questo momento, di solito è un'idea che mi terrorizza, ma ora . .
ora che importa? A me nulla . . Un'altra sorsata e mi volto, dando le spalle
a quell'inutile rifiuto tremante. Voglio stare solo, voglio stare in pace e
l'ultimo dei miei desideri è vedere questo scemo che mi fissa con aria da
chioccia. Nessuno mi ha mai regalato niente, nessuno mi ha mai aiutato,
nessuno si è mai preoccupato di me, perché mai dovrebbe iniziare ora?
Perché
le cose cambierebbero adesso? Cosa è successo, cos'ho fatto per meritarmi
una cosa simile? Nulla, proprio nulla. Un paio di passi e mi trovo davanti
alla mia stanza, la porta si spalanca di scatto, sento i cardini
scricchiolare e non m'interessa. Passi che mi seguono, Lars mi è ancora
alle
spalle.
"Cesare, dio mio . . dimmi . . c'è qualcosa che posso fare . . "
"Vattene!"
Ci vuole tanto a capirlo? Cosa devo fare ancora per scrollarmi di dosso
questa pulce fastidiosa? Come posso fartelo capire, piccolo idiota che non
sei altro? Si avvicina e mi circonda la vita da dietro con le sue braccia,
sento la guancia di Lars premere contro la mia schiena nuda.
"No, Cesare . . guardati . . come stai . . non posso lasciarti così .
. tu
hai bisogno . ."
Una gomitata, uno strattone barcollante, quando mi volto so di avere
l'espressione di una furia, lui arretra di un passo, bianco come un cencio
in viso, forse trema anche ma non me ne accorgo.
"Non ho bisogno di un cazzo di nessuno! Tantomeno di te, lurido
genezero
schifoso, per cui fuori!"
La mia stanza! Questo è nella mia stanza senza avermi chiesto il permesso!
Ho ucciso degli uomini per una cosa simile, ho un eccessivo senso del
possesso, un incredibile idea della segretezza e del bisogno di spazio
vitale . . questo è *mio* e se qualcuno me l'invade è un nemico. Lars
stringe i pungi lungo i fianchi, adesso sì che lo vedo tremare come una
foglia, ma stringe i denti.
"Non ti lascio solo."
Un manrovescio, tutta la mia forza concentrata in quella mano e Lars si
ritrova per terra, l'angolo della bocca che sanguina, io che troneggio su di
lui come una divinità furiosa. Sono così arrabbiato che non mi sono
neppure
accorto di averlo picchiato finchè non lo vedo steso a terra, lui mi fissa,
terrore negli occhi, rannicchiato su se stesso, una mano come a coprire
l'oscenità di quel rivolo rosso che insozza il candore immacolato della sua
pelle.
"Tu non puoi scegliere . . - dico a denti stretti, sto per piangere, ho
bisogno di stare solo . . devo stare solo . . - tu devi solo ubbidire.
Vattene da qui! E subito!"
Si alza in piedi, quasi barcolla, vedo il suo sguardo riempirsi di pena, di
ombre lievi, di preoccupazione e mi sfiora la mano con cui l'ho picchiato,
infila le dita fra le mie e cerca di sorridermi.
"Non me ne vado. Ti prego. Stai male . . posso aiutarti."
Un'affermazione. Io tremo di fronte a una tale incredibile sfacciataggine.
Lui crede di potermi aiutare! Lui è convinto che io sia ridotto così per
un
motivo a cui può porre rimedio? Ma per chi mi prende? Chi crede che io sia?
Un altro sorso, la bottiglia si svuota fra le mie labbra e non faccio altro
che lanciarla contro un muro. Il rumore del vetro che va in frantumi, Lars
che si stringe a me con un lieve guaito. Non sopporto essere toccato, mi
sciolgo dalla sua stretta e lo spingo con una mano verso la porta.
"Vattene! Non c'è nessuno che può fare nulla per me!"
Non ho l'avanzamento, Erik non mi vuole vedere . . dio! Erik non mi vuole
vedere! Erik! Tutto questo per lui, per essergli vicino, perché fosse
orgoglioso di me e ora . . ora non mi vuole vedere . . mi viene da vomitare
. . Ma Lars è immobile e deciso, perché questo idiota dimostra di avere
spina dorsale proprio quando è meno il caso?
"Io starò qui con te! Non posso lasciarti solo, stai . . "
Stava per dire 'male', forse, ora è lui che sta peggio di me. Sono così
furioso, così assolutamente arrabbiato, distrutto, affranto, irato . . e c'è
solo lui sotto mano, si mette qui davanti e mi urla di picchiarlo, mi urla
di fargli male, anche se non se ne accorge, anche se non lo sa. E allora lo
picchio. Uno schiaffo e lui cade di nuovo sul pavimento, un calcio e si
piega su se stesso, poi è semplice, semplice come avere a che fare con un
burattino senza vita, sollevarlo per la collottola del maglione, colpirlo
sul volto, farlo piangere, e piangere e lui che non alza neppure le mani per
difendersi. Ed è semplice fargli male, è semplice segnare quella pelle
tanto
bianca, è semplice fargli male, farlo urlare . . lo sento urlare ma non
m'importa, non ci faccio neppure caso. E' semplice strappargli gli abiti di
dosso, sentirlo appena dibattersi, troppo debole e piccolo per competere con
me, è semplice farlo voltare e graffiarlo sulla gambe, sulle cosce, e
morderlo a sangue sulla schiena, sul collo, e penetrarlo come se fosse una
cosa mia come se fosse un oggetto, anche se si agita anche se sento che
piange anche se è caldo e vivo. No, è solo una bambola, una bambola su cui
riversare la mia ira, la mia frustrazione. Erik non mi vuole vedere, un
trasferimento simile equivale a una retrocessione, a un suicidio, mi
beccheranno subito in America, scoperto e inesperto come sono. E se devo
morire, bhè, morirò dopo essermi preso tutte le soddisfazioni del mondo.
Gli
strappo quasi una manciata di capelli quando gli vengo dentro, lo vedo
singhiozzare, le sue spalle sussultano ma non m'interessa.
Mi alzo in piedi, contemplo quel corpo che è diventato quasi un campo di
battaglia e se dovrei sentire una punta di rimorso, essa è ben nascosta
chissà dove. Ho voglia di . . di una bella doccia, sì, e voglio una
manciata
di sonniferi, e dormire fino a morire . . ecco cosa ho voglia. Lars si agita
appena, mugola sul pavimento, io sospiro di rimando. Gliel'avevo detto di
andarsene, lo avevo avvisato, io non sono quello che lui crede. Mi volto per
entrare in bagno e sento la sua mano sfiorarmi una gamba, leggero, delicato.
"Ce . . Cesare. . "
La sua voce è un roco sussurro di . . trattengo il fiato. Non è possibile!
Abbasso lo sguardo e lo vedo, sembra un gatto di razza, morbido e flessuoso,
il corpo perfetto si arcua come quello di un felino, si struscia contro le
mie gambe, nudo e immacolato nonostante i segni dei colpi che io gli ho
inferto. Mi bacia i piedi, le caviglie, mi accarezza la pelle, mi passa le
dita sul contorno dei muscoli dei polpacci e poi usa la lingua per seguire
le strade tracciate. Solleva lo sguardo su di me. Io lo vedo, ha un rivolo
di sangue che gli cola dal bordo della bocca ma si lecca le labbra turgide
con la punta della lingua e sorride, ha gli occhi offuscati dalla passione,
l'atteggiamento languido di un amante che ha appena raggiunto il piacere e.. e il ventre . . deglutisco . . reso lucido dal suo stesso seme! E' venuto
mentre lo violentavo! Mentre lo picchiavo! La scoperta mi lascia senza
parole e questa volta è lui a non accorgersene, arcua la testa sfregandola
sensuale contro una coscia poi mi guarda e sorride, di nuovo.
"Cesare . . ancora . . dammene ancora. - mi cinge la vita con le
braccia,
lambisce piano con le labbra l'osso dell'anca che spunta sotto la pelle
tirata del mio corpo, segue la cicatrice che incontra e si sposta verso la
natica, e lecca e bacia e si struscia e io lo guardo allucinato e lui sempre
più soddisfatto - Ti prego, Cesare . . ti prego . . "
Si accoccola ai miei piedi, un cucciolo che aspetta una carezza, si direbbe
a prima vista. A quanto pare preferisce i pugni, questo lurido schifoso... e io che rischiavo di sentirmi in colpa per una vita per avergli fatto una
cosa simile in un momento di nebulosa ubriacatura! Sfrega le gambe fra di
loro, arcua il collo all'indietro, si struscia sul pavimento, si contorce e
roco gorgoglia dal piacere. E' .. osceno. Non riesco a trovare un'altra
parola. Ma mi piace, è bello, con lui posso fare tutto quel che voglio e ho
bisogno di sfogarmi. Lui non conta nulla, è solo un genezero, è qui per
servirmi e se gode pure . . domattina lo so che vomiterò al pensiero ma . .
Uno schiaffo in pieno viso, il rumore si spande a cerchi concentrici per
tutta la villa, gli centro la guancia che si arrossa e lui mugola dal
piacere, si morde un labbro per non urlare quando lo prendo per i capelli e
lo butto sul letto, e lo mordo e lo graffio, di nuovo e di nuovo e lui geme
e gode e quando lo penetro di nuovo lui urla e singhiozza di fargli male,
che lo ama, che mi ama . . e io che so che punizione ci sarà per me domani,
continuo ad affondare, e affogo nel nebuloso, osceno piacere che mi viene da
una cosa simile, e mi nutro del suo dolore che è il suo piacere,
m'intossico
di quel veleno che mi incupisce l'anima, che sempre mi rende più simile a
un
animale, che mi fa sentire il ben misero dio di un uomo simile . . ma fa
niente. Che il mio dolore sia il suo dolore, perché l'unica cosa che voglio
è ferire, fare male, è spargere la mia sofferenza al mondo.
Per una notte, per questa notte, Lars è tutto il mio mondo.
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