SERIE: i personaggi sono
originali, sono tutti ed assolutamente miei, diciamo però che mi sono
ispitrata notevolmente a una serie di fumetti americani, gli X men. Vivono
in quell'universo ma credo che anche se non ne sapete nulla si riesce a
capire lo stesso il succo della vicenda!! Per ulteriori spiegazioni
domandate pure o in ml o in privato (erichmagnus@hotmail.com) che io sono
sempre a disposizione
Saijinat
di Dhely
parte II
Tendo le gambe soffocando
uno sbadiglio, il mio zainetto buttato per terra subisce appena gli
scossoni dei vagoni silenziosi e velocissimi della metropolitana, mi
scosto appena dalla fronte una ciocca di capelli mentre due ragazzine
sedute di fronte a me ridacchiano tra loro parlottando e arrossendo. Il
fantasma d'un sorriso mi stropiccia le labbra, poi uno sbuffo e ringrazio
il cielo di essere arrivato, ho voglia di respirare un po' d'aria, di
smettere di inalare il fetore di questa umanità puzzolente e affannata.
Che schifo.
Scendo a una fermata di distanza da quella per il mio albergo, c'è un bel
parco, ho voglia di respirare ossigeno ed è un incanto passeggiare
attraverso queste infinite bancarelle in cui, incredibilmente, vendono
miriadi di fiori. In Russia tutti questi fiori!
Per un attimo mi ricordano i piccoli mercati raccolti e colorati di Roma,
pieni di alti vasi bianchi e boccioli profumati, che dovevamo attraversare
io e Lucrezia per tornare da scuola. E' stato lì che l'ho incontrato.
Lui.
Erik.
Sento ancora il suono della risata di Lucrezia nelle mie orecchie, era
sempre così felice, mi parlava di un ragazzo che le faceva la corte, mi
chiedeva consigli e poi, di colpo, si era fermata davanti a un misero
mazzetto di mughetti, quasi timido tra tanti fiori grandi e colorati. Io e
lei, entrambi quasi maggiorenni, avevamo sempre troppi pochi soldi fra le
mani per riuscire pure a risparmiarli, figurarsi se avessimo potuto
comprare quel mazzetto di fiori. Ma qualcun altro li comprò per lei; un
uomo impeccabilmente vestito, d'alta sartoria, probabilmente cucito su
misura, un completo chiaro come i suoi capelli, la camicia azzurra
ghiaccio, come i suoi occhi, due gocce d'ozono chiarissimo e scintillante,
e altrettanto freddi, come magneti parevano riuscire ad attirare tutto
l'universo al loro interno. Per un attimo scomparve tutto dentro di me.
Scomparve Roma, il mercato, la scuola, mia sorella al mio fianco,
scomparve pure la coscienza che avevo di me stesso. Per un attimo
esistette solo lui in tutto l'universo
. . in tutti gli universi possibili.
Da quel momento iniziò a governare la mia vita, la nostra vita.
Da quel preciso momento, io fui suo.
Ma qui, in Russia, di mughetti non ce ne sono. Ovviamente. L'età dei
sogni è finita, non c'è più nessuno che compare per magia alle mie
spalle per soddisfare i piccoli sogni di ogni giorno. Ora i miei sogni non
sono più piccoli, ora sono cresciuti, sono diventati più grandi di me.
Vorrei poter dire che i miei sogni sono diventati quelli della nostra
razza ma non ci riesco ancora e, credo, un sano egoismo me lo impedirà
sempre. No, i desideri sono ancora sempre e solo miei solo che . . solo
che ora sono ben più costosi, a loro devo e voglio sacrificare molto di
più. Moltissimo. Sono pronto a sacrificare tutto.
Per Erik, per i suoi occhi . . a volte mi chiedo fin dove posso spingermi
e mi spavento solo all'idea. Ma ci sono altre cose che mi spaventano ancor
di più: gli abissi della mia ambizione, le vette della mia arroganza.
Respiro a fondo l'aria così profumata e almeno al sole in cielo riesco a
sorridere. Mi dovrei forse vergognare? Ciò che sono è il frutto di ciò
che ho voluto diventare. In questo lavoro quelli che normalmente vengono
definiti 'difetti' sono un tesoro, me ne sono accorto, li ho sviluppati,
ammaestrati e ora sono quell'arma meravigliosa che mi trovo fra le mani.
Sono consapevole che ora sono qui grazie a quell'incontro nel quale il mio
destino è stato marchiato da quel paio di occhi di ghiaccio più bollente
della lava, ma so anche altrettanto bene che mi sono impegnato per avere
un ruolo simile. Ho lottato, ho fatto le scarpe a colleghi, ho ammazzato
nemici, ho obbedito, ho deciso come condurre la mia vita. E ora sono qui.
Sono soddisfatto?
Sì, per ora. Ma la scalata non è che appena all'inizio.
Sorrido gentilmente a una vecchia che mi porge un mazzo di garofani
meravigliosamente screziati di viola scuotendo il capo.
Improvvisamente al mio fianco una radio urla una notizia allarmata e
allarmante che genera sgomento e timore tra le persone che mi circondano.
Io non capisco ma so di cosa si tratta: un attentato. Hanno assassinato il
Ministro degli Esteri in una visita ufficiale.
Mi accendo una sigaretta e mi metto a camminare piano verso l'albergo. Che
stupidi, gli umani! Si uccidono tra loro, rafforzando noi, comprano le
nostre armi, usano i nostri specialisti, suicidandosi in stupidi attentati
kamikaze.
Che squallore.
Ripenso all'esplosivo, ai mughetti, alla ragazza seguita oggi e al fatto
che ho quasi fame tutto insieme, mentre l'ascensore veloce arriva al nono
piano.
La mia camera . . ho proprio bisogno di una doccia e poi . . poi chissà.
Non sopporto i locali troppo turistici ma, d'altra parte, sono l'ideale
per non dare nell'occhio. E non dare nell'occhio è il mio lavoro.
Il mio lavoro: non so se odiarlo od essergli riconoscente, il capro
espiatorio di qualunque mio malumore ed è, al contempo, fonte della mia
fortuna. Non avrei intenzione che finisca tutto qui, comunque. .
La serratura elettronica trilla quasi felice riconoscendo la mia tessera
magnetica e la porta scivola sui cardini in silenzio. Che strano, non mi
hanno fatto la stanza . . bah, classica organizzazione russa! A volte mi
domando proprio come siano riusciti a mandare degli uomini nello spazio se
non a calci nel sedere. Mia sorella direbbe: classica mentalità da
occidentale snob, e riderebbe. Le sue risate sono le cose che mi mancano
di più.
La tenda chiusa, tutto è avvolto nella penombra e maledizione che non
trovo l'interruttore della luce! Bho, non è certo una piazza d'arme, dopo
tutto, arrivo in due passi alla finestra e con un colpo secco lascio che
la luce del sole mi attraversi. Ho giusto il tempo per una doccia, gli
ordini e poi la cena. Chissà dove mi invieranno.
Lo zaino l'ho lasciato accanto alla porta e . . un lieve mugolio.
Io scatto. Non sento pericolo ma una presenza . . fisso il letto, le
lenzuola sfatte, tutte appallottolate intorno a una figura che indossa il
*mio* pigiama! Chi . . un lampo . . quel ragazzo . . Lars.
Mi passo una mano fra i capelli, nervoso. Questo qui dorme! Sono le cinque
del pomeriggio, stamattina aveva giurato che se ne sarebbe andato dopo una
doccia, e adesso dorme!
Lo prendo per una spalla e lo scuoto con malagrazia, lo sento quasi guaire
nel sonno, stringendosi le gambe al busto come se si volesse proteggere,
poi sobbalza, un fascio di nervi che scatta e me lo trovo seduto e
spettinato, anzi proprio arruffato, gli occhi spalancati in un muto urlo
di terrore col mio pigiama, davvero troppo grosso e lungo per uno
scricciolo come lui. Mi vede irritato, di fretta e con uno sguardo che so
non essere dei più concilianti, non mi stupisce il suo atteggiamento
sparuto, da bambino colto con le mani sporche di marmellata.
"Che fai ancora qui?"
Non c'è rabbia nel mio tono, ho imparato che di solito non è producente,
no, solo noia, una punta di irritazione e poi tanto disprezzo sfumato.
Come immaginavo, va tutto a segno.
Lars trema visibilmente, si abbraccia le gambe e arrossendo china il capo.
"Izviniti . . "
Uno sbuffo in risposta da parte mia, indico la poltrona su cui aveva
passato la notte precedente "Non ho chiesto le tue scuse, ti ho
chiesto perchè sei ancora qui."
Lars deglutisce, tentenna poi sospira.
"Avevo sonno . . era . . era da tanto che non dormivo al coperto e
poi, quando sei andato via di corsa per . . per il lavoro, c'era qui il
tuo letto e io . . io . . "
Odio le persone patetiche.
"E c'era bisogno d'infilarsi il mio pigiama? - lo vedo tremare di
nuovo, stringendosi nelle spalle ma non gli permetto di dire altro. Guardo
l'orologio e maledizione sto solo perdendo del tempo
prezioso.-Spogliati!"
Non lo guardo neanche, entro in bagno e apro l'acqua ben calda, tappo la
vasca e mi allungo verso il bagnoschiuma. Mi sono proprio stufato! Non
sono nato per fare il baby sitter, vediamo di utilizzare Lars in qualche
modo utile visto che è ovvio che non ha alcuna intenzione di mollarmi. Lo
sento alle mie spalle, i piedi nudi che battono sulla ceramica del
pavimento.
"Cesare . . scusami davvero, solo che avevo sonno e . . e il tuo
pigiama . . io . ."
Tace. Non ha parole. Ovvio. Non ci sono parole per dire quello che sento
agitarsi dentro di lui. Solitudine, paura, un universo vuoto e freddo, il
bisogno di sentire qualcuno, qualcosa vicino ma in un modo che non ho mai
provato, il desiderio di annullarsi pur di trovare un sole intorno a cui
gravitare, un punto fermo, qualcuno che ti dica sempre cosa è giusto fare
e cosa no. La disperata ricerca di un appiglio . . e il profumo del mio
corpo, il calore che ho lasciato fra le lenzuola le ha percepite come
surrogato di ciò che cerca.
Sorrido.
Povero umano!
Mi volto verso di lui senza alcuna espressione, il suo corpo nudo sembra
ancora quello acerbo di un ragazzino, bello e proporzionato come una
statua greca, la pelle bianchissima e quegli occhi azzurri, chiari,
trasparenti . . non riesco a definirli di ghiaccio perché sono dolci e
morbidi, di una smarrita gentilezza . . occhi di cielo di una tenera
primavera, ecco.
"Vuoi un lavoro?"
Lo vedo sobbalzare, sento stupore e confusione, poi diventa
improvvisamente serio. "Un lavoro? Ma ieri sera hai detto . ."
"Ti offro un letto, cibo fin che ne vuoi, abiti decenti, in cambio
voglio che tu faccia quel che ti dico."
Cibo, vestiti, l'offerta lo sconcerta ma vedo la tentazione di un tetto
sopra la testa, niente più notti passate per strada, niente più
pavimenti come materassi, niente fame, attrarlo come una luce la falena.
"Ma sarai solo tu il mio xazajin?"
Mi ci vuole un attimo per leggere dentro di lui, il significato di quella
parola, qualcosa di molto simile a un padrone. Il padrone di una
industria, di una macchina o di una persona; tutto il mondo è paese. Lui
ha bisogno di un sole intorno a cui ruotare per vivere? Bene. Io sarò
quel sole.
Non mi può mentire perché leggo dentro di lui, se mi tradisse lo
ucciderei, non ha poteri e non rappresenta alcun pericolo per un
appartenente della razza superiore quale io sono. E' una scelta che può
essere accettata anche dai miei superiori, dopo tutto si sente nell'aria
l'inizio di una caccia e uno così potrebbe essere d'importanza strategica
non indifferente.
Gli indico la vasca. "Lavati. Tu pensa ad ubbidire, del resto non
devi preoccuparti."
Si aggrotta e per la prima volta, mostra di possedere un minimo di spina
dorsale. "Non voglio avere tanti xazajin!"
Gli sorrido appena.
"Non ne avrai. Le persone con cui parlo a te non interessano, non
fare domande, non chiedere ciò che non puoi avere, fai il bravo e avrai
tutto quello di cui hai bisogno. Tutto qui. Le regole sono semplici,
no?"
Annuisce in silenzio e sento lo stupore quando mi vede andarmene chiudendo
la porta. Pensava che lo volessi come amante! Che mente limitata!
Ovviamente una persona così plasmabile mi sarà utile in molti modi ma
non ho certo bisogno di lui perché qualcuno mi scaldi il letto . . bah,
è troppo ingenuo. Nel mondo in cui lo sto per portare lo faranno a
brandelli.
Peggio per lui. Finchè posso ho intenzione di approfittarne.
Bene, questo è un problema volto alla risoluzione, adesso occupiamoci
delle cose davvero serie. Appoggio il computer palmare sulla scrivania e
attendo l'attivazione della connessione via satellite. Il *nostro*
satellite, ovviamente; tutti nostri contatti, i rapporti e gli ordini
viaggiano così, il modo migliore per tenere tutto sotto controllo e per
proteggerli.
Redigere il rapporto mi occupa una manciata appena di minuti, invio tutto,
anche le immagini riprese con la videocamera e attendo l'arrivo degli
ordini.
Non mi arriva una mail, ma mi si apre una finestra di dialogo immediato.
Bene, un mio superiore vuole parlare con me. Avrà saputo di Lars . .
sospiro. Quel ragazzo continua a darmi solo dei problemi ma posso davvero
farlo diventare una pedina utile.
*/Cesare.
*/Signore. Rapporto inviato, esito negativo.
*/C'è altro.
Non c'è il punto di domanda, ciò significa che non è una richiesta. Non
ci si dimentica mai niente.
*/Ho arruolato un genezero, Signore.
Silenzio.
*/Me ne assumo totalmente la responsabilità, Signore.
*/Di questo non c'era alcun dubbio.
*/Sissignore.
Mi lecco le labbra. Che freddezza immane. Sembra . . ma no, non è
possibile.
*/Si hanno notizie dell'inizio di una caccia. Non fare mosse avventate,
non voglio vadano sprecati tutti gli anni che ho impiegato ad addestrarti.
Il mio cuore sobbalza e quasi mi si incastra in gola. Erik! Pensavo fosse
il mio capo sezione, e invece . . invece c'è Erik dall'altra parte dello
schermo e io non ne ho riconosciuto il tono delle frasi! Deglutisco e
ritorno calmo, non è questo il modo di comportarsi con un superiore,
tanto meno con lui.
*/Non tema, Signore.
Un altro lungo, struggente silenzio. Immagino i suoi occhi farsi piccoli
mente riflette su qualcosa, piani e decisioni, oppure legge rapido un
rapporto.
*/Cesare?
*/Sissignore.
*/Ho un'informazione riservata per te: nella nostra organizzazione c'è un
doppiogiochista. Ho un incarico prioritario da affidarti: trovalo e
uccidilo. Per questa missione non hai referenti, non hai superiori, sei
autorizzato a prendere tutte le misure che riterrai necessarie. Non ho
tempo per occuparmi di quello che accade in Russia ma c'è un salasso
sulla compravendita delle armi. Troppe retate. Ti invio i dati.
Deglutisco di nuovo, quelle lettere bianche lampeggiano ritmate nel mio
cervello, insieme a una splendente consapevolezza: c'è aria di
promozione!
Mi lecco le labbra, l'occasione che aspettavo da tanto.
*/Signore, la missione di reclutamento vorrei poterla tenere per
copertura.
*/E' sempre stata una copertura.
Null'altro. Mi arrivano dei file poi il collegamento viene bloccato, io
non so far altro che star lì come uno scemo a fissare il minuscolo
display a cristalli liquidi, di una tecnologia che gli umani neppure
sognano. Ma non sto contemplando quella meraviglia tecnologica che ho fra
le mani, no. Sto pensando. Ho davanti agli occhi quella strana espressione
propria di Erik, le sue labbra appena piegate in un fantasma di un sorriso
e le sue iridi scintillanti quasi divertite di fronte al mio stupore che
non avrei mai potuto nascondere. Non a lui. Non a Erik.
Erik che mi sta offrendo su un piatto d'argento la possibilità di un
salto di carriera che non avrei mai sognato. Erik che . . si fida . .
l'idea mi agita e mi riempie di orgoglio e di felicità. Mi ricompongo
immediatamente.
Dopo tutto devo ancora mostrarmi degno di lui.
La porta del bagno si apre cigolando appena, Lars esce avvolto in una
nuvola di vapore e in un asciugamano bianco, riesco quasi a sorridergli,
di fronte a quell'espressione ancora spersa e intimidita. Adoro le persona
che hanno paura di me.
"Cosa devo fare, adesso?"
Gli indico i suoi abiti buttati sul pavimento.
"Metti su le tue cose. Hai dei documenti, no? - lui annuisce, io
penso che sarà il caso che gliene faccia ottenere degli altri ma
non ora, non è ancora tempo - Bene. Per prima cosa prendi in affitto la
stanza comunicante a questa. Poi andiamo a cercare qualcosa di decente da
farti indossare."
Lars spalanca gli occhi.
"Una stanza?"
Un clic e chiudo l'ultimo file che mi è stato inviato. Il contatto.
"Già. Il nostro patto, tu ubbidisci, io ti mantengo. E bene."
Non è convinto ma non me ne frega niente. Ho bisogno di trovare un
negozio di abiti dove trovargli cose d'alto livello. Lars scuote il capo e
si sbriga a vestirsi.
"Senti . . ma . . non è che non voglio ma non capisco . . "
Mi volto verso di lui, deciso e sicuro. Sembra proprio un bambino.
"Stasera andrai a cena con una persona, dovrai dirgli delle cose, non
preoccuparti, ho i mezzi perché io possa sentire quello che lui ti dirà
e suggerirti le risposte. Mi serve una copertura e tu sei una copertura
perfetta."
Mi tendo verso di lui e gli sposto una ciocca di capelli che gli si è
appiccicata sul volto. Continua a non essere troppo sicuro ma la cosa non
mi riguarda, gli sorrido e vedo il suo viso illuminarsi. Dopo tutto non ho
visto male, lui ha *bisogno* di me.
"E' . . è illegale, vero?"
Mi fa ridere.
"Se non lo fosse, ci andrei io, no?"
Lars china appena il capo, titubante, una domanda pesante che gli preme le
tempie e che vuole uscire ma che forse non osa. .
"Fai un lavoro così pericoloso?"
Mi stringo nelle spalle. E' il caso di dirglielo? A questo punto direi di
sì, dirgli abbastanza perché abbia qualcosa a cui pensare e non si
faccia chissà che domande. Gli prendo il capo fra le mani e pianto i miei
occhi nei suoi, sicuro, deciso, duro.
"Sono un mutante."
Lars trattiene il fiato per un attimo, poi si morde un labbro e chinerebbe
il capo se glielo permettessi. Invece lo obbligo a tenere lo sguardo fisso
nel mio. Timore, confusione, stupore. So quello che si dice in tv di noi,
so quello che nella nostra comunità si fa agli umani che, per caso,
scoprono la nostra identità, ma questa volta è diverso.
"Sei . . siete tutti fuorilegge . . "
Un sospiro, il suo. Vero. Fuorilegge. Fanno le 'cacce' per cercarci, per
trovarci, per rinchiuderci in una prigione se va bene, di solito ci
uccidono sul colpo. Gli umani hanno paura di quelli della mia razza, siamo
più potenti, siamo superiori a loro e allora cercano di distruggerci
quando siamo indifesi, da soli. Ma Erik ci ha organizzati, ci ha dato uno
scopo, ha costruito un organismo, una 'famiglia' di cui sentirsi parte, ci
ha dato una meta. Sorrido trasmettendogli tramite il mio potere sensazioni
che lo fanno calmare, voglio che capisca il più possibile, deve farlo.
"Sono un mutante." di nuovo, scandendo bene le sillabe.
"Mi . . mi ucciderai?"
Scuoto il capo. "Non fa parte del nostro patto, questo."
Un sorriso dolce gli solca il viso. Mi allontano da lui con uno sbuffo
quasi seccato. In lui c'è sollievo, desiderio, appagamento, non capisce
affatto cosa c'è in ballo in tutto questo. Sa che non lo rispetto, che
non m'interessa un accidente di lui, che è stato solo un momento di
debolezza il permettergli di dormire in camera ma . . ma dopo tutto, che
ne so, io, di lui? Chissà a cosa è sopravvissuto? Chissà da chi sta
scappando? Perché è in fuga, si vede lontano un miglio. Ma non
m'importa. Saprò con largo anticipo qualunque pericolo mi circondi, e
lui, bhè, di persone come lui, in un paese di poveri e disperati come
questo ne posso trovare altri. Forse non altrettanto belli, e vero . .
"Davvero mi prendi dei vestiti?"
C'è una luce quasi rapace nei suoi occhi. No, non rapace, in questo caso
sarebbero identici a quelli di Erik, no, sono venali e lievemente
squallidi, la bella maschera inizia a sfaldarsi. Meglio un ingordo, è
semplice trattare con qualcuno di cui conosci bene il prezzo. Si accorge
dei miei pensieri che, per una volta, devono essermi scivolati
tranquillamente sul viso e arrossisce. Deve avere un'anima candida, che i
periodi di privazioni non sono riusciti a squarciare del tutto.
"Dobbiamo anche lavorare, ti devo preparare e abbiamo solo cinque ore
per fare tutto. Vedi di sbrigarti."
Lui sorride di nuovo e mi getta le braccia al collo. Sembra davvero un
bambino . . un bambino un po' fastidioso a dire il vero, che non ha
assolutamente ancora imparato quale sia il suo posto in tutto questo.
All'inizio accetto con pazienza le sue labbra posarsi sulle mie, un bacio
leggero e rapido e poi la sua risata. Mi scopro a pensare che mi piace il
suo sapore, il suo modo di strusciarsi addosso come un gattino. E' un vero
peccato che sia un umano .. ma non ha paura di noi. Non di me, almeno. Gli
passo una mano fra i capelli, gli faccio tirare indietro il capo, lui cede
immediatamente, socchiudendo le labbra, lasciandomi infilargli la lingua
in bocca ad assaporare la sua saliva. Non so se si può utilizzare il
termine 'ninfomane' per un uomo, se la risposta è positiva, ho scoperto
che nome in codice affibbiare a Lars, sembra nato per scopare. Lui si
stringe ancora di più a me, mi fa scivolare le mani sotto la maglietta ma
lo blocco appena in tempo.
Non è così che si fa, no. Vediamo di insegnare l'educazione a questa
bestiolina stupida.
Il mio 'no' è freddo come una lama d'acciaio in pieno inverno, tronca
qualunque legame, lo sento quasi cadere a terra come un burattino a cui
abbiano tagliato i fili. Terrore, paura, impotenza, vedo le immagini
sfocate che gli passano nella mente, la strada, il freddo, la fame . .
Sa che non è unico, sa che posso sbatterlo fra i rifiuti appena mi gira.
Lo sa, non è scemo. Arretra in silenzio, le spalle premono contro il
muro, tremanti, sommerso dal timore e . . e dall'eccitazione . . dio mio,
questo umano è terrificante! Una vera macchina per il sesso. Ora leggo
chiaro il terrore che gli brilla negli occhi, ha paura di me.
"Fai bene ad averne."
Parlo ad alta voce, i suoi occhi si spalancano ancor di più, io ho
continuato un pensiero che gli stava passando per la testa, per lui
dev'essere sconvolgente, per me è ridicolo.
Apre la bocca, poi la chiude di scatto, senza un fiato, rimane lì,
immobile, a capo chino, sembra un postulante a chiedere l'elemosina. Ma sì,
mi va bene. Il suono di un messaggio urgente riporta la mia attenzione sul
palmare, leggo le nuove direttive poi vado a farmi una doccia.
Ho voglia di rilassarmi un po' e poi non sono abituato a dividere il mio
spazio vitale con qualcun altro . . mi viene quasi da ridere. Posso
sentire l'uggiolare eccitato di Lars nella mia testa! Ah! I pregi e i
fastidi del mio benedetto potere . . spero almeno che una sega abbia
imparato a farsela.
Mi asciugo piano, gocce d'acqua rotolano scivolando i contorni del mio
corpo reso perfetto da un allenamento costante e mirato, lo specchio
enorme del bagno rimanda l'immagine di un giovane, di un uomo . . quasi 30
anni, la cicatrice sull'anca, una bruciatura da laser. Quella volta quasi
mi facevano secco. E quei terribili tre segni, tre incisioni, netti come
di rasoi, paralleli, sulla schiena, all'altezza della spalla, lunghi un
palmo.
Lucrezia diceva che erano altrettanto profondi. Quella volta, invece, ho
visto la morte in faccia, e la morte aveva le sembianze di un mutante,
come me, con artigli lucenti, rapido e letale, pericoloso. Il migliore in
quel che fa. Se ci penso riesco ancora a visualizzare il dolore che ho
provato, sono stato fortunato, non ha capito che ero io quello che
cercava, ero troppo giovane perché potesse davvero credere che fossi io
il capo del contingente. Lui si è lasciato sfuggire i microchip che
cercava, io ho visto morire tutti i miei compagni intorno a me, una enorme
pozza di sangue, l'anima mi è ancora ghiacciata dal terrore. Respiro
piano, a fondo, asciugandomi con lentezza esasperante, cancellando,
insieme all'acqua anche certi ricordi che non fanno bene né a me né al
mio lavoro.
Esco dal bagno, nudo. So l'impressione che il mio corpo perfetto può fare
sulle persona come Lars, per poco me lo ritrovo a sbavare, ma non si
allontana di un passo dal muro, la paura è più forte del desiderio.
Bene. E' già qualcosa. Mi volto e mi vesto davanti a lui, non riesce a
staccarmi gli occhi di dosso, l'urlo del suo desiderio nella mia testa è
quasi fastidioso ma il mio volto non tradisce nulla, lui suda lievemente e
le gote gli si imporporano. Lo faccio apposta, lui lo sa, ma non riesce a
dominarsi. Vedo il desiderio di toccarmi, di passarmi le mani sul contorno
delle costole che sporgono sul ventre, gli addominali tesi e gonfi, lo
vedo pensare di inginocchiarsi davanti a me, pregarmi di prenderlo,
piangere, strapparsi via la pelle di dosso per il fuoco che sente dentro e
invece . . invece e' fermo e immobile. Il terrore più forte di tutto
questo.
Respiro un lieve sorriso voltandomi, vestito, verso la scrivania, armeggio
intorno a una scatola di metallo ed estraggo una penna, quella che sembra
una penna, una Montblanch. Lars è curioso ed eccitato insieme, la sua
pelle ha un odore strano, un misto unico ed intossicante. Ma adesso non ho
tempo di divertirmi, non ho tempo di giocare. Gli faccio cenno con la mano
di avvicinarsi, lui lo fa, titubante, gli occhi di un cerbiatto in
trappola. Un click, la penna improvvisamente cambia, gira un perno, scatta
una molla e si mostra un oggetto che Lars non ha mai visto, scintillante e
ipertecnologico.
"Co . . cos'è?"
Sogghigno appena.
"Un microchip, sai cos'è?"
Lui scuote il capo. "Sì, ho un'idea . . "
"Non ti serve altro. Con questa cosa ti inserisco un microchip di
tessuto plastico e ceramica dietro l'orecchio, servirà a me per vedere ciò
che vedi tu e sentire ciò che ti viene detto, e a te perché ti possa
suggerire cosa dire. Per la cena di stasera." Stavo per aggiungere:
come un cane. Ma non credo che in Russia abbiano già inventato i
microchip di riconoscimento per gli animali domestici, per cui taccio. Una
ricetrasmittente? Saprà cos'è una ricetrasmittente? D'altra parte il
meccanismo è lo stesso solo che è sintonizzato non su onde radio ma
sulle onde del mio potere, per cui posso esercitare la mia empatia su di
lui anche quando è ben oltre la mia normale portata.
Lo vedo annuire in silenzio, altro timore.
"Mi farà male?"
"Un po'. - mi sfioro il collo, dietro l'orecchio e lui spalanca gli
occhi dallo stupore - Ma non è nulla di grave. Sopravviverai."
Gli punto lo strumento dietro l'orecchio destro, un piccolo rumore
sibilante, aria compressa, lui geme dal dolore ma è già tutto finito.
Neppure una goccia di sangue, il microchip è talmente miniaturizzato che
è come bucarsi l'orecchio per un orecchino, solo che questo, al
contrario di un orecchino mi potrà essere molto, molto utile
E' mio.
Sorrido, lo prendo per un braccio.
"Adesso andiamo a fare spese, ti serve un guardaroba adeguato."
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