SERIE: i personaggi sono originali, sono tutti ed assolutamente miei, diciamo però che mi sono ispitrata notevolmente a una serie di fumetti americani, gli X men. Vivono in quell'universo ma credo che anche se non ne sapete nulla si riesce a capire lo stesso il succo della vicenda!! Per ulteriori spiegazioni domandate pure o in ml o in privato (erichmagnus@hotmail.com) che io sono sempre a disposizione


Saijinat

di Dhely

parte I


Treno.
Il suono ritmato delle ruote di metallo, il dondolio quasi ipnotico di una macchina che si avvicina alla linea dell'orizzonte senza averne coscienza. O senza dargli importanza.
Treno.
Solo un altro treno. Un altro paese, altra gente, stesso rumore, stesso ritmo. E' anche la stessa la sensazione di essere prigioniero in una gabbia da cui posso vedere la vita passare senza che mi sia concesso abbassare i finestrini e respirare l'aria che corre fuori, o scendere dal vagone per vivere.
Vivere. Parola strana per me che da mesi non faccio altro che scappare. Da un paese incantevole, da un uomo che amo, da una vita che mi disgusta, da scelte che non so prendere . . che non voglio prendere. Lo so bene, fuggire non è un modo ragionevole per risolvere i problemi perché loro, bastardi, ti rincorrono sempre e riescono anche a prenderti.
Sospiro distogliendo gli occhi dal paesaggio monotono che scorre fuori dal finestrino, fra le mie mani un libro, il dono di . . di una persona che ormai fa parte del mio passato, che alla mia partenza è arrivata di corsa, com'è il suo solito, un dolce sorriso sul volto e le mani a tendermi un pacchetto.
"Sarà un viaggio lungo, questo ti terrà compagnia."
Lucrezia. Sospiro nel pensare a mia sorella, la mia gemella, nel ricordare le parole pronunciate dentro di me quando lessi il titolo. 'Racconti Turchi'. Byron, il poeta inglese, la sua fissazione! Con tutti i poeti del mondo! Sorrido anche ora, con lo sguardo che mi cade sulla dedica, la sua calligrafia spigolosa ma regolare, armoniosa nell'insieme:
<Un giorno mi chiedesti perché mai Byron e temo che continuerai a chiedertelo, visto che non potrai più domandarlo a me. Io ti posso rispondere in un solo modo:
'E l'anima s'invola;
l'anima di colui che la pavida fuga ebbe a disdegno;
che visse, morì come nessuno sa vivere e morire!'
Il Corsaro, canto 3, I, 33-35>
Un augurio, un estremo saluto dolce e comprensivo per quelli che, come noi, fanno questo schifo di lavoro. Null'altro. Non serve altro. Abbiamo entrambi la consapevolezza che quel breve saluto, rapido e rubato in mezzo a una stazione ricolma di pendolari, identica a miriadi di altri saluti e auguri di buon viaggio che si ripetevano intorno a noi era un addio. Un addio definitivo. I lati negativi del nostro mestiere, lasciare famiglia, casa, tutto quanto, la nostra stessa vita per costruire un sogno. Un sogno in cui la nostra identità viene cambiata miriadi di volte in una vita . . so che avrei potuto scegliere di rimanere là, di non arruolarmi come agente reclutante, ma so che Lucrezia sa che ho avuto i miei buoni motivi. Non avrei più potuto continuare a spaccarmi il cuore in quel modo. Ne sarei morto. E allora meglio lontano ma comportandosi con dignità, piuttosto che strisciare come un verme sotto lo  sguardo sprezzante di un uomo che è quasi un dio . .
Chiudo il libro e fisso il mondo fuori di lì che scorre, indifferente ai capricci di un bambino viziato, perché quando si ha fame cosa volete che sia la noia e l'angoscia? Il dolore è lo stomaco vuoto, il prurito delle pulci; il pensare al domani un lusso per coloro che sanno già cosa mangeranno la sera. Io e la mia cultura, i miei studi, il mio cervello . . qui non sopravviverei più di due giorni senza le mie carte di credito e i miei marchi tedeschi. Chi posso mai prendere in giro? Vagare per l'Europa per capire l'Europa . . che ipocrita menzogna! Lo vedo dal finestrino, io e i miei alberghi occidentali, i treni prenotati, i viaggi aerei in business class. Null'altro. Eppure mi credono, mi credono tutti. 
La Russia, ora, e prima le pianure dell'Europa Centrale, Praga, l'Ungheria, Kiev, la Polonia, Varsavia e poi Mosca, ora in corsa per San Pietroburgo. Ho visto le Alpi e i Carpazi, pianure sterminate della Slesia e della Galizia, il terreno acquitrinoso della Polesia e del Volga, ampio e pacifico in questa torrida estate moscovita. Tanti nomi, tante lingue, un'unica miseria ormai introvabile da noi, la povertà dignitosa di chi pare destinato ad essa e cerca di sopravvivere non svendendo il proprio nome, l'unica cosa di valore che rimane loro.
Poveri, miseri umani.
Uno squallido paesino disteso lungo la ferrovia, catapecchie con le mura di lamiera ondulata, come il tetto, in una terra dove la temperatura media è sotto zero da novembre ad aprile.
Poveri, squallidi umani.
Mi stropiccio gli occhi, dev'essere la luce strana di questo sole che sembra finalmente decidersi a tramontare solo ora che sono quasi le 23, ma ci vorrà ancora un'ora abbondante prima che cali del tutto sotto l'orizzonte . . una cosa a cui non pensavo mi sarei mai abituato e invece . .
Una figura vestita di grigio-verde si avvicina lungo il corridoio stretto, non mi volto neanche, infilo una mano nella tasca della camicia di jeans che porto aperta su una t shirt immacolata ed estraggo il passaporto. Tre ore di viaggio senza soste e con i finestrini piombati e siamo già al sesto controllo. La cosa mi darebbe un po' sui nervi se non fossi certo della perfezione dei miei documenti. Ovviamente falsi, ma questi imbecilli non se ne accorgerebbero neppure se andasse della loro insulsa vita. Uno sbuffo, il mio, neanche mascherato; le forze dell'ordine qui non brillano certo per educazione e non temo a ripagarli con la stessa moneta, dopo tutto un turista occidentale che chiama l'ambasciata è solo foriero di guai per cui una sana, bilaterale indifferenza è il massimo che si possa sperare da entrambe le parti.
Silenzio, la figura si ferma al mio fianco, scruta il passaporto a lungo . . troppo a lungo .. non me l'ha ancora tolto dalle mani per controllare il visto. Mi volto circospetto e rimango di sasso. Non è un militare! Indossa solo una casacca mimetica, la bandiera tedesca cucita su una manica, i bottoni aperti sul petto nudo, le mani calcate nelle tasche di un paio di jeans scoloriti e i capelli, lunghi e lisci, biondi come un'alba sulla steppa, tenuti legati da un elastico sulla nuca. Il volto glabro è bianco, i lineamenti fini che non paiono propri della razza russa e regolari sono tutti tesi a fissare il mio passaporto, e le labbra a sillabare in silenzio delle parole scritte in un alfabeto che non è il suo. Poi, come un lampo a squarciare quelle iridi profonde e chiare da parere quasi aliene, il sole che si riflette su di un ghiacciaio perenne:
"Cesare."
La voce sicura sorride della conquista, io, stranamente, avvampo a quel tono . . quegli occhi . . deglutisco a fatica e sussurro un 'sì', maledicendomi per quanto sono scemo. E' russo! Se io gli parlo in italiano, questo cosa vuoi che capisca?! Vero è che nonostante il mio inglese, il mio tedesco, il mio francese e il mio spagnolo, mai nessuno ha saputo utilizzare un linguaggio che non fosse quello della propria terra, ma . .
Un altro sorriso e il biondo mi snocciola un "Italiano? Peccato, non capisco la tua lingua. Parli inglese?" con un perfetto accento Oxford.
Io annuisco, sempre in silenzio. Sembro proprio uno scemo! Forse lo sono, dopo tutto. Lui si presenta, si chiama Lars, nome di origine scandinava perché sua madre era di Stoccolma, io continuo a guardarlo incantato mentre chiacchiero educato del più e del meno.
E' per un paio d'occhi simili a questi che non ho più avuto la forza di sopportare un incarico fisso e stabile in Italia ma mi sono reso disponibile per questo cazzo di vita, con l'unica copertura della storia di uno studente universitario che si prende un periodo di riposo per girare l'Europa, col vero scopo di trovare altri come noi . . No! Non devo neppure pensarlo, ci sono, fra i nemici, persone in grado di leggere i pensieri. Taccio e sorrido. Di fronte a quegli occhi freddi e remoti mi sono sempre sciolto, ho sempre fatto tutto quello che mi ordinavano, solo che di solito quello che voleva lui non coincideva con i miei desideri. Non ha mai coinciso.
Purtroppo Lars sembra consapevole che penso ad altro, fa per andarsene . . ma sì, dopo tutto ci manca solo questo qui!
Però i suoi occhi . . e poi io, dopo tutto, magari lui è . . è come noi. E' il mio lavoro, trovare gente come noi.
Palle! Lo so che sono palle, ma ho bisogno anch'io di parlare con qualcuno di amichevole, ogni tanto; di sognare che, almeno una volta nella vita gli occhi di Erik si posino su di me in questo modo. Non come il nostro inflessibile e perfetto capo, il nostro meraviglioso e inossidabile condottiero, ma come . . come . .
"Scusami, non avevo intenzione di disturbarti."
Sorrido passandomi una mano fra i capelli, a volte mi dimentico ancora di non averli più lunghi, e scuoto il capo "Non mi disturbi affatto, anzi, è un piacere fare due chiacchiere. Ero solo perso nella contemplazione del panorama."
Lars si stringe nelle spalle "Piuttosto monotono. Sembravi più immerso in chissà che pensieri lontani."
Uno scompartimento vuoto, lo invito ad entrare, sono stufo di stare in piedi e poi, quella meraviglia di ghiaccio e oro . . mi redarguisco da solo, scherzosamente, ma non c'è nulla da fare, sono già in caccia.
Lui mi segue. Il mio lavoro consiste nel giudicare le persone e vedo chiaramente che lui qualcosa ha capito ma finge indifferenza. Un giocatore o un inesperto finto ingenuo? Chi vivrà vedrà.
Lascio cadere il libro e lui pare riconoscere prima il ritratto in copertina che il titolo e il nome dell'autore scritto in caratteri che non gli sono soliti. Byron era decisamente matto ma pare molto più conosciuto di quel che pensassi.
"Ti piace la poesia?"
Mi siedo comodo davanti a lui mentre lo studio sfogliare il libro, il capo chinato da una parte, lo sguardo affascinato.
"Abbastanza - mento - Il mio preferito è l'inglese 'Paradise Lost' del Milton"
Lars solleva lo sguardo stupito e pieno di luce. Incantevole.
"Non sono cose semplici. Né . ."
Mi accorgo che gli sfugge la parola, si aiuta con un gesto della mano, io annuisco "Diffuse presso il grande pubblico."
Lui annuisce e ripete una parola russa che non capisco, poi prosegue. "Sei un tipo complesso e colto!"
"Anche tu, visto che sai di cosa parli."
Lo vedo arrossire di colpo chiudendo il libro dopo aver notato la dedica a penna.
"Dev'essere bello che qualcuno ti regali un libro. E' un dono che racchiude molto amore."
I suoi occhi si velano un poco, per un attimo mi sembra un cucciolo abbandonato che quasi si perde nella camicia di due taglie più grandi, solo ora mi accorgo di quanto sia giovane e pulito. 21 anni, non di più, solo 7 di differenza da quanti ne ho io ma adesso mi paiono un'eternità. Così ingenuo . . sorrido sfiorandogli una gota, chissà se capisce dove andremo a finire? Chissà se si rende conto fin dove lo porterò?
"Me l'ha regalato mia sorella gemella, prima che partissi."
"Tua gemella? Dev'essere molto bella . . "
Si accorge tardi di quanto si è sbilanciato, arrossisce e tenta di dire qualcos'altro ma il mio sguardo glielo impedisce. Un sorriso, appena velato da parte mia e sento il suo cuore saltargli in gola, mi sto divertendo, è così semplice giocare con lui. Sento paura, timore, curiosità anche agitarsi dentro quella testolina bionda, lo vedo fissare i miei occhi verdi scintillare pericolosi come l'assenzio, come il veleno, so che sta già cadendo, precipitandoci dentro . . com'è semplice farlo cadere nella trappola . .  Arriccio appena i bordi delle labbra, socchiudendo le palpebre e chino di lato il capo mentre mi passo le dita fra i capelli neri, quelle aliene sfumature azzurre proprie del cielo siderale che lo rapiscono e già non sembra più in grado di replicare altro.
Lo vedo scuotersi, il timore sciogliersi in un dolce rossore sulle gote, gli occhi spalancarsi, deliziato, poi, consapevole di ogni cosa si morde il labbro e china il capo, ha ancora il libro in grembo, lo apre nervoso e fissa le parole stampate, nere su bianco, come se fossero una qualche arcana ricetta magica. Sorrido di nuovo, come mi fa bene al cuore stare al fianco di una persona così . . semplice! Con un sospiro divertito mi alzo e mi siedo al suo fianco.
"Hai detto di non conoscere l'italiano e questo è tutto un libro tradotto. Leggo io per te."
Lo vedo sollevare lo sguardo, timido e incantato, annuisce piano.
"Mi piacerebbe . . qui in Russia non è . . semplice trovare libri di autori occidentali. Ma se è un disturbo, io . ."
Gli rispondo con uno dei mie più smaglianti sorrisi, conosco bene la mia espressione, in questi frangenti, somiglia a quella di un felino che sta per saltare sulla preda. La mia preda, però, non sembra accorgersene.
"La poesia è un piacere che andrebbe gustato in compagnia. - chino di nuovo il capo e poso le mani sulle sue che tengono ferme le pagine, trema. Lo tiro appena verso di me ma non gli permetto di scappare, intreccio le dita alle sue come per bloccarlo lì ma non sembra saper reagire in qualche modo. 
Languido e tremante, sembra la creatura più indifesa del mondo. - Dove vuoi che traduca?"
La mia voce un sussurro, il suo orecchio è a pochi centimetri dalle mie labbra, Lars con il capo ostinatamente chinato come per una strana sorta di pudore. Come se potesse nascondere quelle sue deliziose labbra che si stanno inumidendo e il suo sguardo che so si sfoca a fissare parole ignote come greche delicate sulla carta bianca. Non c'è risposta, le nostre ginocchia si toccano per un attimo, sento la scossa che gli percorre il corpo e abbasso gli occhi sul foglio.
Che coincidenza! Il passo del Giaurro che preferisco, che me lo sento quasi tagliato addosso! Sospiro appena, a volte si dice la sorte. .
"Se del volto il pallore o l'ardore delle vene,
se il labbro che il fremito conosce e il lamento ignora,
se il cuore è in pezzi e la mente in delirio, -  un sospiro che non dovrebbe mi sfugge dalla labbra, sembra davvero la mia situazione attuale, ma perché mai a Lars dovrebbe importare una cosa simile? Lo vedo incantato, il volto sollevato, la bocca socchiusa come a bere le mie parole, il mio tono di voce suadente lo avvolge come in una tela di ragno . . mi sfugge un sorriso, il solito sorriso che uso per abbindolare le persone e lui sembra assorbirlo da ogni poro. -
l'audacia delle imprese e la vindice spada,
se tutto quello che ho provato e provo ancora.
sian dell'amore il segno, così fu l'amor mio,
e mostrato io l'ho con mille prove amare. - ah! Erik . . se anche solo immaginassi che tutto questo, tutto quello che ho sempre sopportato e continuerò a fare, lo faccio non per il sogno e per l'ideale ma per te . .
Ho ucciso, sono pronto a morire per te, e tu . . sospiro di nuovo . . tu niente. Erik non centra adesso, qui. Adesso c'è Lars, questo delicato, ingenuo Lars che si perde sempre di più nella mia voce, in parole che non sono mie, nei miei occhi, nei miei sguardi, nei miei gesti. . -
E io non sapevo, è vero, quel che fosse lamento o sospiro,
io sapevo soltanto ottenere o morire.
Ebbene, io muoio, ma il mio amore ho posseduto;
ora avvenga ciò ch'è destino, felice sono stato.
E dovrei maledire la sorte ch'io stesso mi cercai?"
Per un attimo il cervello viene solcato dall'idea che sarebbe bello che questo fosse l'epitaffio sulla mia tomba. Per un attimo, ovvio. Non avrò tombe, non ci sarà comunque il mio nome sopra la lapide, nella mia vita dovrò cambiare identità almeno una ventina di volte, figurarsi se mi sarà concesso morire col mio nome . .  Il mio sorriso di sbieco rimane fisso, si addolcisce vedendo Lars confuso, avvinto dall'emozione del nostro contatto e del suono della poesia che gli gocciola nell'anima come fiele mortale. I suoi incantevoli occhi si appannano appena e vedo una unica, solitaria lacrima solcargli piano una guancia.
Tendo una mano verso di lui, con la punta delle dita gli sfioro una gota e mi bacio poi i polpastrelli che gli hanno asciugato la pelle liscia e morbida.
"Che spreco, - sussurro fissandolo negli occhi - una perla così preziosa perduta in un luogo simile. ."
Lo sento sobbalzare, stupito, pronto a ritrarsi, spaventato di quanto oltre le cose siano andate ma le mie mani a coppa intorno al suo viso lo inchiodano al mio sguardo, lo vedo tremare ma non fugge più, aspetta le mie labbra tremando appena, gli occhi lucidi dalla passione. Perché gli occhi di Erik non mi hanno mai guardato così? Sento il dolore squassarmi il cuore e chissenefrega se per qualche tempo m'illuderò di stringere non Lars bensì lui, l'uomo che amo più della mia stessa vita. E lui non lo sa neppure . .
Né Lars, né Erik. Ho il coraggio di ammazzare un uomo a mani nude, guardandolo negli occhi, ma non sono mai riuscito a dirglielo.
Il sapore di Lars è delicato, una sferzata gelida, sa di muschio la sua pelle ed è morbida, incantevole sotto le dita. Cede cadendo all'indietro, la schiena premuta contro la plastica dei sedili in finta pelle. Gli strappo di dosso la camicia, a un certo punto sento una cucitura che cede; non m'importa. Ha un petto meraviglioso, sodo, duro, muscoloso ma non troppo, la pelle tiepida sa di . . mhm . . lievi sentieri umidi sull'addome mi portano al suo capezzolo. Lo sento mugolare piano, musica per le mie orecchie e quando serro i denti quasi urla, artigliandomi le spalle. Rido staccandomi da lui che è sudato, ansante, meraviglioso con quell'espressione di muta condiscendenza mista ad una specie di preghiera; gli passo una mano fra i capelli di seta, biondi, che si riempiono delle mille sfumature del tramonto che entra dal finestrino. Gli occhi liquidi di Lars mi fissano, quasi mi supplicano, e io sento quel dolore dentro, quel dolore che nasce ogni volta in cui Erik mi guarda. Cosa avrei mai dato perché fosse lui a guardarmi in quel modo?
In questo momento scopro che al mio cazzo non è che interessi, vuole solo un posticino umido e caldo, magari un po' strettino, in cui infilarsi. Perché non accontentarlo? Sorrido mentre mi slaccio i pantaloni, Lars mi fissa in silenzio, quando lo prendo per i capelli non dice nulla, per fortuna chiude quei suoi dannati occhi di ghiaccio che mi fanno diventare matto e annuisce appena quando gli dico cosa fare.
"Succhia." Nient'altro.
Lars non fiata, non si oppone, non si tira indietro. Non è esperto, devo essere io a dargli il ritmo, a dirgli dove mettere le mani e la cosa mi sembra comica. Sto quasi stuprando un ragazzino vergine e questo s'impegna così tanto a farmi godere che se si fosse fissato davvero non so come ne sarei uscito. Non potendo essere la sua bravura, mi chiedo se sia la mia eccitazione montata di fronte a un bocconcino e a una situazione simile oppure l'astinenza ormai di mesi, sta di fatto che sono tutto un fuoco, il mio cazzo dritto e gonfio. Mi sento gorgogliare dal piacere, basterebbe così poco per venirgli in bocca . . ma no, che cosa sgradevole!
Sorrido di nuovo tirandolo in piedi per i capelli, lo volto, facendolo cadere sul vetro del finestrino e gli strappo i pantaloni. Sussurra qualcosa, una preghiera forse, ma mi basta un'occhiata al suo culo, bello sodo e bianco che sembra quello di una statua greca per sapere già che sarà una delle più belle scopate della storia. Uno così non me lo faccio scappare.
"Ti farò male ma vedi di non urlare" Glielo sussurro appena all'orecchio ma non aspetto di avere una risposta.
Lo penetro così, a freddo, a Lars scappa un rantolo che echeggia il mio. Dio mio . . questo qui sì che è un culo come si deve . . Lars mugola piano, piange, lo so, sento che sono il primo, è terribilmente stretto quaggiù . . aumento il ritmo. L'unica cosa che il misero morso di pietà mi fa fare è abbracciarlo da dietro e iniziare a fargli un bel pompino. Dopo tutto anch'io ho cominciato così, ed è così che ho capito che mi piaceva di più il culo di un uomo e il suo cazzo piuttosto che . . oh, bhè . . Gli mordo una spalla, continua a piangere ma non me ne frega niente, gli vengo dentro dopo pochi secondi, estasi, piacere e un dolce stato di tepore m'invade.
Un altro paio di colpi ben assestati e anche il piccolo Lars mi viene fra le dita. Esco da lui piano, lo lascio scivolare a terra, inginocchiato sul pavimento della carrozza e la fronte appoggiata al vetro. Mi fa quasi pena. 
Solo quasi, ovviamente.
Forse mi farebbe più schifo se non mi avesse fatto godere così tanto . . intravedo il sangue che gli cola fra le cosce e mi stringo nelle spalle. Lo chiamo, il tono neutro e pacato deve stupirlo più della cosa in se', si volta asciugandosi gli occhi col dorso della mano, un'espressione tanto delicata sul volto da non riuscire quasi a credere che lui è quello che ho scopato fino a un momento fa.
Gli sorrido di nuovo. Come si può non farlo, bello com'è? Peccato che è un essere inferiore . . sospiro interiormente, forse potrei tenermelo come animaletto da compagnia, dopo tutto non è vietato. Erik non ne è entusiasta ma non si è mai neppure espresso chiaramente a sfavore di questa abitudine.
Che scemo che sono! Io non posso scegliere, non sono così in alto nella gerarchia da potermi permettere certi lussi. Peccato. Addestrato, Lars sarebbe un perfetto cagnolino.
Gli tendo la mano destra, gocciolante del suo schifoso sperma "Pulisci!"
Spalanca gli occhi, non so se più atterrito o stupito, ma con quelle iridi potrebbe farmi fare qualunque cosa voglia, per cui è meglio eviti mi ci perda dentro. Lui arrossisce.
"Cosa?"
Cerco di assumere un tono di bonaria irritazione anche se sono proprio divertito "Lecca via lo schifo che mi hai lasciato addosso! Puliscimi la mano, piccolo pervertito!"
Piccolo pervertito! Io lo chiamo così, io! Che se potessi mi metterei a fare lo zerbino del nostro capo, di Erik, che potrebbe benissimo essere mio padre! Scuoto il capo guardando il piccolo Lars, bello come il sole tutto intento nel suo compito. Mia sorella dice che tutti sono affascinati da Erik perché è un uomo di immenso carisma, ma non le ho mai domandato se provasse per lui una qualche attrazione. Certi discorsi sarebbero stati altamente disdicevoli e l'ultima cosa che ho mai voluto fare è quella di mancare di rispetto ad Erik.
Fascino e rispetto o meno per Erik è certo che Lars è proprio un bel bocconcino, giudizioso e che si applica ai compiti che gli vengono impartiti. Sembra così . . sperduto. Mi vien voglia di accarezzarlo, i suoi capelli morbidi mi scivolano fra le dita, un sorriso pallido gli piega le labbra di pesca e gli occhi così luminosi e ingenui sembrano solo chiedere gentilezza. Un vero bambino.
Lo aiuto a mettersi in piedi, si riveste in fretta, in silenzio, senza più guardarmi e finalmente posso assaporare quel corpo flessuoso ma sodo, bianco, la pelle morbida che sembra velluto . . un sospiro. Lars solleva la sua camicia, uno squarcio gliela fende sulla schiena. A quanto pare non ha altro.
Per quel che mi riguarda io ho finito, apro la porta scorrevole che da sul corridoio e mi accendo una sigaretta. Lars, alle mie spalle, mi chiama debolmente.
"Cesare? La tua camicia . ."
Perspicace il bambino. . mi stringo nelle spalle sfiorandomi col palmo delle mani la T-shirt bianca che ho indosso.
"Tientela. Come pagamento."
Sento l'ira provenire da Lars come un'ondata in piena, il mio potere non deve attivarsi a chissà che livello profondo per riuscire a carpire le sue emozioni. Mi volto di scatto, non sopporto certi atteggiamenti . . una scimmia non può comportarsi così con me. Lo fronteggio, due passi e sono a un palmo dal suo naso, i suoi occhi si spalancano, stupiti e spaventati.
"Allora, quanto vuoi?"
Sbatte le palpebre, incredulo, poi stringe i pugni.
"Non sono un . . una . . " balbetta qualcosa, arrossisce, gli manca la parola.
Io rido.
"Puttana. Si dice puttana. Per me va bene ma sappi che, bello come sei, non è molto conveniente."
Mi volto agitando appena una mano. In pochi istanti siamo a San Pietroburgo, dove so che mi aspetta un taxi, un albergo prenotato e un plico di ordini, un elenco di persone da studiare e da controllare. Magari, fra di loro c'è qualcuno di noi.
La stazione è il solito caos a cui sono abituato, ma la cosa non mi spaventa. Ho studiato a memoria la planimetria del posto e so esattamente dove dirigermi e chi contattare, un uomo che sembra un tassista come tutti gli altri, che fa il tassista come tutti gli altri, tutti i giorni, ma che è il nostro contatto a Pietroburgo. Sorrido sentendolo vicino. Fortunatamente il viaggio non è stato poi così noioso . . una persona alle mie spalle che mi segue, la sensazione di pericolo scatta nella mia testa come un allarme. 
Non è una ragazza che mi trova attraente, non è qualcuno che nota il mio essere uno straniero o cos'altro, no, mi stanno seguendo. Soffoco un improperio e svolto dietro una colonna, non posso far scoprire il mio contatto, devo cercare evitare al massimo di . . sono sbalordito! Lars!
Lo vedo superare la colonna dietro cui sono sgusciato, voltando la testa da un lato all'altro, cercando qualcuno. Espando appena il mio potere, entrandogli nella testa e sento ansia, fretta, preoccupazione, tutte coagulate intorno alla mia figura. Non mi piace. Un altro sguardo rapido tutt'intorno e non sembra ci siano altre persone che mi seguono. Fosse una caccia organizzata mi avrebbero avvisato, ma così . . Mi avvicino a Lars in silenzio, posandogli una mano sulla spalla e facendolo sobbalzare dalla paura. Un sorriso pallido da parte sua che si scioglie di fronte alla mia tensione. Non sono qui per giocare, maledizione! Se salta la missione per colpa sua, il responsabile della sezione di Pietroburgo mi spella vivo ed Erik sarà del tutto soddisfatto del suo comportamento.
Il suo sguardo di ghiaccio si perde in un'acquosa luce grigio azzurra, morbida e tremante.
"Cosa vuoi?"
Tenta di ritrarsi ma la mia mano gli artiglia la spalla, tenendolo inchiodato lì. Lo vedo arrossire e frugare nella camicia di jeans che si è  messo addosso, arrotolando le maniche per riuscire ad utilizzare le mani, dalla tasca superiore estrae un libretto scuro. Mi sento il cuore in gola.
Che cretino! Il mio passaporto! Vedo Lars sorridere un po' rilassato di fronte alla mia espressione lievemente smarrita.
"Te n'eri dimenticato . ."
Le sue guance s'imporporano e quando lo ringrazio sembra non riuscire a sostenere il mio sguardo. Com'è dolce . . non riesco a smettere di pensarlo.
Gli regalo una carezza, una delle poche cose che sono in grado di regalargli e che sono davvero mie e poi, quando faccio per allontanarmi, lui si aggrappa alla mia mano.
"Aspetta!"
"Cosa c'è?"
Cerco di mantenere un'inflessione insolitamente dolce, dopo tutto mi ha fatto un favore.
"Io vorrei . . - deglutisce titubante, si tortura le mani poi prende un profondo respiro - . . Sembri . . sembri ricco . ."
L'affermazione mi stupisce poi mi ripiomba addosso la mia solita maschera cinica.
"Allora hai cambiato idea? Quanto vuoi?"
Lui si morde un labbro.
"Non voglio niente! Io . . ho . . ho fame e . . e sonno. Se hai un albergo prenotato potresti . . almeno ospitarmi . . dormo sul pavimento, non ti do fastidio ma io non . . - la sua voce si spezza, sento la sua sincerità mista a disperazione e non so fare altro che stare lì a fissarlo. - . . non ce la faccio più a dormire per strada un'altra notte. Faccio . . faccio tutto quel che vuoi . . "
Maledizione! Ci mancava solo questo intoppo per complicare le cose . . sospiro quasi affranto . . non fosse stato così bello . .
"Non voglio niente da te. Sono qui per lavoro, non posso!"
Lui solleva gli occhi e io ci affogo dentro. Maledizione maledizione maledizione! Perché assomigliano così tanto a quelli di Erik?
"Scusami, non volevo darti fastidio . ."
Muovo una mano chiamando un tassista, l'avrei riconosciuto fra mille, grazie al mio potere, a quest'uomo consegno il mio zaino e indico Lars.
"Siamo in due. Hotel Pulkowskaja. - poi mi volto piano verso Lars - E domani te ne vai!"
Il tassista si sistema il berretto poi fissa gli occhi su quella meraviglia che è il ragazzino al mio fianco.
"Il signore ha bagaglio?"
Lars ha gli occhi sbarrati dallo stupore, basta solo che non si metta a piangere . . chissà tutti i problemi che avrò per spiegare questo ai miei superiori . .
"No, il signore non ha niente. Ah, per la strada fermati a un fast food, prendiamo qualcosa da mangiare in camera."
Non guardo Lars neppure di sfuggita, lo sento che mi trotterella alle spalle come un cagnolino affettuoso e addolorato, non dice più nulla finchè siamo in camera, dove si butta sui panini del Mac Donald come se non avesse mangiato da mesi. Io mi butto sotto la doccia dopo aver messo al sicuro i plichi che mi aspettavano. Ho poco tempo per sbrogliare le idee, ho sonno, sono stanco e devo stare attento che Lars non tocchi nulla.
Avvolto nell'accappatoio ritorno in stanza e lo trovo tutto raggomitolato su una poltrona a fissare un bollitore elettrico. Aspetta che l'acqua bolla, un tè non sarebbe male dopo le schifezze che ha ingurgitato a tempo di record.
Mi fissa sorridendo pallido, chinando il capo di lato. Io mi butto sul letto, indifferente al mondo.
"Devo dormire, domattina devo iniziare a lavorare."
Lui annuisce in silenzio poi, mentre il sonno sta arrivando, lo sento ancora parlare.
"Che lavoro fai?"
Che m'invento? Il ruolo del buon samaritano non fa per me.
"Tengo i collegamenti tra . . il capo di una ditta e i suoi rappresentanti qui, recluto gente, la metto alla prova . . cose così . ."
"Offri lavoro?"
Una nota di ansia nella sua voce, la luce del pericolo che si accende nella mia mente.
"No. Mi danno nominativi e io devo controllare se queste persone scelte dal capo sono valide. Non scelgo chi voglio io. Tengo solo i contatti. Io . . - sbadiglio - collego . ."
Un sussurro.
"Saijinat."
Sollevo il capo dal cuscino e lo vedo rannicchiato in una coperta che ha trovato nell'armadio, il braccio piegato sotto il capo, le ciglia socchiuse che fanno sfuggire appena fiammelle azzurrognole nella luce fioca della abatjour. Bellissimo. Non riesco a pensare ad altro.
"Cosa . . cosa hai detto?"
Lui sorride, dolce e remoto e sento il cuore stringersi.
"Saijinat. E' il russo per collegare."



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