E’ il seguito di Ryokan. O
meglio, è il POW di Ru. Ma è meglio leggerla dopo Ryokan altrimenti si capisce
meno^_^ E poi perché l’immagine da cui tutto ha origine è nell’altra fic.
Hana
e Ru non sono miei. Inoue non me li ha voluti regalare, ha paura che li faccio
sposare :D
Ryokan parte
II
di ZZZ
Ragazzino.
Che mi dormi nel
sangue, e ci sei entrato ridendo e gridando.
Io, che odio ridere e
gridare.
Io che sembro non avere
la voce.
Adesso, la mia voce sei
tu.
Adesso che so che sei
tu, e nessun altro, che potrà mai vivermi dentro con questa forza..
Chiunque altro fosse
stato, avrei potuto. Mi avrebbe amato, alla fine. Alla fine mi amano
tutti.
Tranne te.
Standoti lontano,
potevo sopravvivere. Vedendoti quando ci vedevamo. Ma ora viviamo insieme
nello stesso albergo da una settimana. Ora sei davanti ai miei occhi venti
ore al giorno. E io non ce la faccio più.
Non mi guardi. So che
non lo fai, anche se non mi basta il coraggio di alzare la testa e seguire
il tuo sguardo, la direzione del tuo sguardo. Che mai, mi osserva. Mai.
Ho addosso gli sguardi
di tutti, sempre. Sono bellissimo, non è vero? Osannatemi, sono il più
bello della scuola. Ma lui non lo vede. Non me n’è mai fregato niente,
prima. L’unico che vorrei vedesse la mia bellezza, non la riesce nemmeno
a intuire.
Sono il più bravo, non
è vero? Gridate il mio nome, ditemelo, sono il migliore della prefettura,
ho sconfitto chiunque mi si parasse davanti.
Ma lui non lo
riconosce. Lui lo sa, come lo so io, che ha almeno tanto talento quanto
me.
Se fosse solo per
quello che lo amo. Se fosse solo perché è vivo. Solo perché è forte.
Ma il suo cuore di
burro e zucchero mi si è sciolto addosso e adesso sono invischiato in
mezzo a tutto questo suo essere straordinariamente, deliziosamente
bambino.
Non mi faceva schifo,
questa sensazione? Non ho sempre detestato le dolcezze?
E allora, perché? Da
quando abbiamo messo piede qui dentro non riesco a togliermelo dal
pensiero nemmeno un istante. Sto qui, seduto su questo gradino nel portico
del ryokan, accartocciato in me stesso, cercando dov’è che si annida
l’idea di lui, per strapparmela di dosso a morsi. Ma non c’è più
niente da fare.
Adesso ci vado e glielo
dico. Adesso mi alzo, lo cerco, lo guardo negli occhi e glielo dico.
Da quanto non lo guardo
negli occhi?
Da quando ne ho così
paura. Da quando non guardo negli occhi nessuno, perchè odio essere
compatito. E so che tutti mi stanno compatendo, ora. So che se resto con
loro quando comincia, questa tortura del volerlo scacciare e non sapere
come riuscirci, si vedrà. Lo capiranno, e avranno pietà di me. E io non
posso permettere che questo succeda. Non posso permettere che lui provi
pena per me. Lui deve volermi. Lui deve adorarmi. Lui deve essere mio.
MIO. Lui deve avere bisogno di me quanto io ne ho di lui, deve considerare
impossibile perfino respirare, senza di me, come succede a me per lui.
Adesso mi alzo, vado da
lui e glielo dico. Mi pianto in mezzo alla sua stanza e gli dico io ti
amo, Sakuragi.
E lui mi guarderà.
E poi…
Dio.
E poi comincerà a
ridere. Mi ucciderà. Ridendo, come mi ha dato vita, me la toglierà.
Come, ridendo, mi è entrato in corpo, mi strapperà la ragione dal corpo.
Non posso dirglielo.
Voglio dirglielo, e sia
finita.
Ma so che sarà finita,
e non voglio dirglielo.
Basta. Mi sto
spaccando. Se almeno riuscissi a decidere una cosa. Invece sto qui a
dondolare tra il coraggio suicida e il terrore vigliacco. E nonostante
quanto sia doloroso, insopportabilmente doloroso restare in questo limbo,
non ho coraggio di uscirne. E sto qui a mormorare basta. Basta. Basta.
Solo, in questo ritaglio di mondo, io, con l’idea di un ragazzino a
tormentarmi.
Non piangerò.
Adesso alzerò la
testa, respirerò, e tornerò nella mia stanza, senza che nulla cambi
nemmeno stasera. E domani mi sveglierò, e guarderò ancora la sua ombra,
e sarò ancora la sua ombra in silenzio, e resterò a orbitargli
intorno, e ogni sera mi siederò qui a farmi consolare dalla notte. E
esprimerò desideri come i bambini, sulla prima stella della sera, su
Vespero che saluta il giorno. E le chiederò di regalarmi quel bambino
pazzo, di cui io sono pazzo. Quella follia, di mettermela in mano. Di
scardinargli il cuore, un attimo, solo l’attimo in cui ci possa entrare,
di lasciarmici asserragliare dentro.
Mi alzo. E girandomi,
lo vedo. E’ lì che mi guarda.
I suoi occhi guardavano
me.
Perché ho distolto i
miei così presto? Avrei dovuto lasciarglieli conficcati dentro. Avrei
letto, mi sarei lasciato leggere. E forse finalmente questa tortura
sarebbe finita. Ma ormai è tardi. Come sempre, è tardi.
Cammino verso la mia
stanza. Mi chiede di aspettare. Se mi fermo adesso, Sakuragi, tu lo
rimpiangerai. Se mi fermo adesso corro ad abbracciarti e stavolta non
riuscirò a fermarmi. E allora cosa farai, tu? Proverai odio? Schifo?
Rabbia?
-Che vuoi?- Dico.
Non ti illudere, Kaede.
Blocca questi pensieri insulsi. Non è vero niente di quello che stai
sperando, anche se prima ti è sembrato che ti guardasse preoccupato.
Magari vuole solo ricordarti quanto hai giocato male in questi giorni. Non
guardarlo. Non puoi permettertelo adesso.
Non dice nulla.
Vattene. Kaede, sei in pericolo. Scappa. Non è questo che hai deciso di
fare? Non hai deciso di lasciarti il permesso di guardarlo, anche se da
lontano?
Sento i suoi passi
seguirmi.
Uno.
Due.
Tre passi.
Sento la sua mano sulla
spalla, e la sua mano sulla nuca, e la sua faccia sui miei capelli, e sto
navigando dentro il suo odore, e questo è lui, è lui davvero, non è la
maledizione della mia immaginazione, mi sta abbracciando, mi stringe
forte, e io non ho la forza di fare niente, nonostante lui sia qui,
nonostante io sia in mezzo alla sua pelle, non ho nemmeno la forza di
accarezzarlo.
No.
Si sta staccando.
No, Hana. Non mi
lasciare.
-Non mi lasciare. -
Dico. Abbracciandolo, io.
Ho le braccia intorno
al suo collo. E le sue mi stringono la vita.
Mi chiede cos’è che
mi tortura. Mi dice che lo sconfiggerà.
Per tutti questi
giorni, in cui io non ho avuto coraggio di alzare lo sguardo su di lui,
lui mi guardava, preoccupandosi. Lui ha sempre coraggio. Lui ha sempre
forza, per se stesso e per chi non ce l’ha. E con quella forza mi sta
stringendo, e giura che mi
proteggerà.
Gli dico che non è
niente.
Non mi crede.
-Mi stai abbracciando
solo per sapere questo?- chiedo.
Vigliacco. Perché vuoi
che te lo dica lui, per primo? Sei un maledetto codardo.
Hai paura. Hai paura
che le mani di questo bambino giocando con la tua anima finiscano per
strappartela. Tu che non abbracci mai nessuno, tu che non vieni mai
abbracciato da nessuno, tutti hanno paura di tagliarsi, toccandoti. Che ne
sa, questo bambino? Che ne sa di quello che vuol dire per me adesso stare
qui, sentirlo respirare sulle mie tempie? Come potrei avere il coraggio di
dirglielo, senza sapere se lui sta solo giocando con una bella bambola
oppure ha idea di quello che questa bella bambola si trasporta in corpo da
quando lui le è entrato nella vita?
E lo sento
dirmi
“Perché io ti
amo.”
Vorrei riuscire a
rispondergli. Ma adesso tutto quello che riesco a fare è stringerlo, e
strisciargli gli occhi contro la piega del collo. Adesso che tutto è
vero, non ho nemmeno pensieri per pensarlo. Resto, soltanto, qui a sentire
quello che sento, e a percepire quello che sente lui. Trasformato in
forza, in occhi strizzati, in dita che afferrano, in battiti accelerati di
cuore.
Gli dico il miracolo
che sta compiendo, trasformando quello che c’era di orribile in quello
che non avrei mai sperato essere vero.
Succede perché ti amo,
chiede?
Sì, do’aho. Succede
perché adesso posso dirtelo. Succede..
-Perché io amo te.
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