Disclaimers:
i personaggi sono di Inoue e bla bla bla.
Il Ryokan
è un tipo di albergo Giapponese in stile tradizionale, con le porte di carta e
i pavimenti di legno e tutto il resto. La fic è stata ispirata (che
parolona!^^) da una immagine che ho trovato di una doujinshi, che è in assoluto
la più coinvolgente immagine Hanaru che io abbia mai visto.
Ve
la metto alla fine sennò vi guasto la sorpresa!^^
Ryokan di
ZZZ
Ti sto come sempre a guardare.
E tu, come sempre, taci.
E anche se questa volta e' diverso, il
tuo tacere, non ho il coraggio di venire da te e chiederti di spezzare
questo silenzio, e di farmi capire che cos'è che ti sta divorando da
dentro.
Il dolore, nei tuoi occhi, non ce l'ho
visto mai.
E adesso rimanere qui a guardare come ci
sono volte che li strizzi come per sostenere qualcosa che rischia di farti
scoppiare, e' una cosa che non riesco a reggere. Non sopporto di stare
immobile a vedere che ti alzi e te ne vai perchè senti il peso che ti
schiaccia iniziare a diventare visibile agli altri, e non vuoi.
La rabbia, ogni volta che te la vedevo
dipinta in faccia, corrugandoti le linee della faccia, era bellezza
aumentata, e non riuscivo, anche se so che avrei dovuto dispiacermi per te
o arrabbiarmi insieme a te, a staccarti gli occhi di dosso e a non sperare
che restassi ancora un minuto con quell'espressione di ferocia sussurrata.
Il disprezzo che ti rendeva altero. Che
quando era rivolto verso di me, nonostante il male che mi facesse, mi
lasciava esterrefatto, intrappolato.
Ma questo dolore, no.
Vederti, con questo dolore a piegarti la
testa tra le mani, no.
Ieri stavi sul portico dell'albergo,
credendo di essere solo, rannicchiato come un ragazzino, con quel corpo
troppo grande che ti impediva di lasciarti andare a comportarti come un
ragazzino, non piangevi, strizzavi gli occhi, ti stringevi la testa tra le
braccia, e contraevi le mandibole, e mormoravi "Basta. Basta. Basta.
Basta.", come un mantra.
Ti svegli la mattina, fai colazione, sali
sul pullman, andiamo ad allenarci in palestra, tu giochi, zitto, senza
furia e senza passione, una tecnica perfetta, ma come se il tuo corpo si
muovesse da solo, niente di quello che comunichi sempre, quando giochi,
rimane. Movimenti automatici, anche se perfetti. Ma della determinazione
che affila i tuoi occhi quando vieni avversato, quando hai immaginato
un'azione e la devi portare a termine, quando devi oltrepassare una
difesa, non sopravvive niente.
Soli, tu, e questo dolore.
Da quando e' iniziato questo ritiro non
riesco a scollarti gli occhi di dosso un istante. E se ancora avessi
qualche dubbio su quello che tu significhi per me, l'ho visto frantumarsi
di fronte all'evidenza.
L'evidenza che io voglio proteggerti. Che
voglio sapere cosa ti sta torturando in questo modo, e distruggerlo. Che
non sopporto di stare a guardare, impotente, che qualcosa ti consumi. Mi
arrovello su che cosa diavolo possa mai essere, ma non so niente di te.
Pur capendo che deve essere qualcosa di molto importante, mi rendo
conto che non ho nessun mezzo per sapere cos'è, perchè di te non so
assolutamente niente.
Quello che posso fare e' stare qui a
spiarti ancora una volta consumare la cena in silenzio, con la faccia
china sul piatto, mentre io continuo a buffoneggiare a destra e a manca,
ma per quanto il cabarettista io cerchi di fare, tu niente. Sei seppellito
dietro questa muraglia di amarezza e neanche mi senti. neanche mi vedi.
E quando tutti ridono per qualche figura
da scemo che faccio, quando ritorno a fare le stupidaggini che facevo
quando avevo appena iniziato, e mi volto a vedere che fai tu, e non vedo
nemmeno quel caro vecchio disprezzo a
cui mi ero quasi abituato, e mi accorgo che tu neanche ti sei
accorto di quello che e' successo, resto lì imbambolato con stampato in
faccia un sorriso che e' l'ombra di un sorriso,. finchè un
"Sakuragi, idiota!" urlato dal gorilla mi riscuote.
E adesso tu sei di nuovo seduto sul
gradino del portico di questo albergo tradizionale, e aspetti, ancora una
volta, che questa disperazione ti pieghi le ossa della schiena. Per
l'unico momento di tutta la giornata che consenti a te stesso, aspetti di
dare potere a questa disperazione. Aspetti che arrivi, sfoghi la sua
cattiveria contro di te. E le permetti di lasciare distruggere
l'equilibrio perfetto del tuo corpo, lama di spada, di lasciartene
accartocciare, per un minuto. Un minuto solo, in tutta una giornata, e' il
tempo che lasci alle tue sensazioni per esprimersi; per tutto il resto del
tempo, stringi i denti, serri i pugni, abbassi gli occhi, respiri più
forte, e taci.
Adesso ti alzi. Guardi lontano, metti le
mani in tasca, cominci a muoverti verso la porta, mentre ancora osservi
una distanza che va molto oltre l'orizzonte. Una distanza che ti porta
dove io non sopporto più di non poter arrivare, che non sopporto più mi
renda così definitivamente lontano da te, che renda te così
assolutamente inarrivabile.
E senza pensare, senza capire quello che
faccio, non cerco di nascondermi per non farmi vedere da te.
Sei vicinissimo, ormai, quando volti la
testa dalla mia parte, e mi vedi.
Mi accorgo che non ho incrociato i tuoi
occhi nemmeno una volta, da quando siamo qui. Vederne il colore, la
cupezza, nonostante l'istante di meraviglia che li dilata quando mi
vedono, mi sconvolge. Mi paralizza inchiodato al suolo, mi rende muto.
Ancora una volta serri le mandibole,
abbassi gli occhi, mi oltrepassi, e inizi a camminare lungo il corridoio
della ryokan, per tornare in camera.
E io so che sto per commettere un errore
irreparabile, che mi costerà qualunque possibilità, qualunque modo di
averti nella mia vita. So che sto per perderti definitivamente, anche solo
come fantasma da stare a sbirciare come una ragazzina innamorata. E ti
dico:
-Aspetta.
Tu continui a camminare.
Dico ancora:-Aspetta, per favore.
A bassa voce.
E faccio qualche passo verso di te.
-Cosa vuoi?
Rispondi senza voltare altro che la
testa, ma poco, senza arrivare a guardarmi.
Con una voce che e' rimbombo, che viene
da un luogo troppo profondo dentro di te perché io possa evitare di
precipitare. Resto in silenzio, e mi avvicino ancora un po'. Sono a due
passi dalla tua schiena.
E continuo a non parlare.
E tu ricominci a camminare.
Sto a guardare incredulo il mio braccio
che veloce si alza, e afferra la tua spalla, senza che io possa fare
niente per fermarlo. E quando ti divincoli, sento le mie gambe che
percorrono i tre passi, i tre infiniti passi che formano il baratro che ci
separa, le mie mani afferrarti le spalle, girarti verso di me, e poi e'
solo odore dei tuoi capelli e sensazione del tuo calore, della tua
atmosfera incontenibile, inesprimibile, nello spazio circondato dalle mie
braccia.
Tu sei tra le mie braccia.
Ti stringo tanto forte che ho paura di
farti male, con una mano sulla nuca tengo la tua testa contro la mia
spalla, mentre l’altro braccio ti stritola la vita, ed entrambe le mani
ti accarezzano con una specie di forza, ma leggera, una forza che ti vuole
dire dimmelo, cos'è che ti fa così male, e io a qualunque costo andrò a
distruggerlo, a qualunque costo, Kaede.
Ti stringo talmente forte, e talmente mi
ubriaca stringerti, che non riesco nemmeno a capire se ti stai cercando di
divincolare.
Ma dura un momento. Ritorno consapevole
di quello che sto facendo, e senza aspettare di capire in che modo tu stai
reagendo, allento la presa, faccio per lasciarti andare.
E quello che non poteva succedere,
succede.
Annodi le tue braccia intorno al mio
collo, sprofondando la testa contro l'incavo della mia spalla, dicendo
-Non mi lasciare.
Stringo di nuovo le braccia intorno alla
tua vita, e sento il peso della tua testa sulla spalla, respiro il calore
del tuo corpo, ascolto battere il tuo cuore,veloce.
O quello e' il mio?
-Io te ne proteggerò, Kitsune. Ci sarò
io a combattere con te, e qualunque cosa sia, la faremo a pezzi. Dimmi
cos’è che ti sta distruggendo, e io la distruggerò. Vedrai, non ti farà
più male.
Sussurro con il fiato sul tuo collo,
mentre continuo a respirarti, mentre continuo a chiedermi cosa succede, e
non m’importa niente del non sapermi rispondere.
-Niente. - Rispondi.
-Dimmelo, Kaede.
-Mi stai abbracciando solo per sapere
questo?
Continui a parlare dal fondo del rifugio
che ti sei scavato tra il mio collo e le mie spalle, stringendo le braccia
intorno a me, come se avessi paura che io scomparissi.
Aspetto un istante prima di rispondere.
No, lo so già. Lo sto abbracciando perché lo amo da impazzire, perché
voglio che lui sia mio, perché ho bisogno di lui...
-No.
Rispondo.
-Perché, allora?
Capisco che cosa mi sta per succedere.
Che per la prima volta in vita mia dirò a qualcuno, e sarà vero..
-Perché io ti amo.
E’ un istante, il silenzio che segue?
Mi sembra ci scorra dentro una vita intera. La mia. Che da adesso potrebbe
diventare la nostra. Ed è un’idea che mi toglie il fiato, e mi fa
stringere quel corpo che sembra fatto di luce al mio, e affondare la testa
nei suoi capelli, con gli occhi serrati, mentre sento che lo stesso
succede a lui, lo sento abbracciarmi forte, trattenendo per un istante il
fiato, sfregando gli occhi chiusi sulla mia pelle, come volesse entrare
nel mio corpo, fondersi col mio corpo, conficcare le dita nella mia carne,
togliermi il respiro.
E in quel punto imprecisato del paradiso
in cui mi trovo mi raggiunge la sua voce, resuscitata dall’inferno da
cui all’inizio mi parlava. Che mi dice:
-Ed è per questo, Do’aho, che non è
niente. Non lo è più. Perché quello che era dolore, tu adesso lo stai
trasformando nel suo opposto.
Mi sembra impossibile poterci credere
davvero, a quello che credo di aver capito. Così, stupidissimamente,
chiedo:
-E tutto questo succede perché ti amo?
La verità è che voglio dirglielo
ancora. Che lo amo.
E quella stessa voce, la voce che non
avrei mai sperato, la sento dirmi:
-Sì. Perché io amo te.
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