Rose gemelle

parte II - Per strada e sullo schermo

di Astarscia

 

Jin se ne stava in piedi sul bordo del marciapiede col cappuccio della tuta da lavoro calato sulla fronte per proteggersi dalla fredda pioggia invernale; quasi come se dovesse attraversare l’ampia via trafficata che era l’arteria principale della grande metropoli in cui ora abitava. A dire il vero se ne stava li in piedi a fissare il gigantesco grattacelo nero della Mishima Corp. ormai da almeno un ora e mezza, era zuppo di pioggia ed anche irrigidito dal freddo, ma nonostante tutto non accennava a muovere un passo, ne per attraversare la via, ne tantomeno per tornarsene sui suoi passi verso la città illuminata.

I pochi passanti che lo incrociavano lo guardavano appena, chiedendosi distrattamente cosa ci facesse un ragazzo dei bassifondi nel quartiere bene della metropoli, proprio sotto uno degli edifici più grandi ed importanti tra tutti, immobile e completamente fradicio d’acqua. In verità anche Jin se lo era chiesto……… il ragazzo strinse i pugni con forza mentre rialzava nuovamente lo sguardo corrucciato sulle lucenti finestre di piani alti del Mishima Palace……….. uno strano miscuglio di rabbia, dolore ed incertezza gli agitava le viscere.

Circa otto mesi prima si era concluso il quarto torneo Tekken e lui aveva perduto l’unica possibilità di rifarsi; di vendicarsi di suo padre e di ripagare con la stessa moneta tutte le angherie subite da suo nonno.

“Ma…………”  si disse cupamente “………..ormai piangere sul latte versato serve a poco…………….il Tekken è andato ed io ho perso……….!” Se ci fosse stato un muro a cui dare un cazzotto lo avrebbe fatto volentieri, ma il marciapiede nel punto in cui si era fermato era così grande che la parete più vicina si trovava a tre metri dietro la sua schiena.

Le luci delle macchine che transitavano veloci sulla nera carreggiata della strada gli illuminavano a tratti i lineamenti del volto; chi lo conosceva bene avrebbe chiaramente notato che, nonostante tutto quel che aveva passato negli ultimi difficili mesi aveva ancora la grinta e la fiera bellezza del suo volto abbronzato di sempre; quello che era decisamente cambiato era l’intensità dei sentimenti che trasparivano dai suoi occhi…… i suoi profondi e lucidi occhi neri avevano qualcosa di differente dal solito. Guardandoli  si aveva l’impressione di guardare una persona differente dal Jin Kazama che aveva sfidato il possente Mishima Heinaci al Tekken 4.

La causa del cambiamento in Jin aveva un nome ben preciso, e quel nome era Howarang………. Per molti giorni aveva cercato di negarlo, prima di tutto con se stesso; poi la drammatica, ineluttabile realtà dei fatti lo aveva travolto con l’impeto di un tir in corsa………era innamorato perdutamente del suo rivale di sempre…………….il rosso ragazzo coreano chiamato Howarang. La rivelazione era sbocciata nel suo cuore (e non solo in quello) durante una delle frequenti visite di Xiau in ospedale nei primi giorni della sua degenza dopo il torneo.

 

Ospedale Nelson Mandela

Ore 19 e 10 passo serale di visita ai degenti;

Come sempre accadeva quando la ragazza veniva a trovarlo gli aveva portato un sacco di roba, tra cd-audio e video, un’infinità di fumetti e riviste di Karatè, arti marziali e simili; per non parlare dell’ enorme quantitativo di dolciumi e altre schifezzine da sgranocchiare, ovviamente con sommo biasimo da parte dei medici che tenevano Jin sotto dieta rigidissima.

“……………Poi se lo desideri ti posso anche portare della Cola……” l’allegria della voce della ragazza illuminava l’ austera stanza dell’ospedale come un raggio di sole estivo “…………….Ma, dimmelo prima che nascondere il boccione nella mia borsa scolastica non sarebbe facile, dovrò prendermi uno zaino più grande………………..” Jin aveva guardato la cartella di Xiau che trasudava di roba con evidente sguardo perplesso; la ragazza aveva infilato in quell’angusto spazio una decina di fumetti e almeno tre riviste, due o tre buste di gommose alla frutta ed anche tre o quattro stecche di liquirizia, più una confezione gigante di biscotti casalinghi da lei stessa preparati.

Jin aveva sospirato frizzante proposta della sua amica, non amava molto la Coca-cola, troppo dolce per lui, ma apprezzava l’allegra buona volontà di Xiau per tirarlo su di morale.

“Magari………Magari del The………..” aveva rantolato lievemente cercando di ignorare il fastidio che gli dava avere dei tubi di plastica conficcati nel naso per aiutarlo a respirare.

Xiau aveva ridacchiato sotto i baffi e si era finalmente seduta sul bordo destro del letto di Kazama che era praticamente immobilizzato, a causa della flebo che gli avevano messo i medici al braccio sinistro, del gesso al braccio destro ed alla gamba sinistra; come se non bastasse era anche ingabbiato in un supporto di plastica e bende rigide per tentare di tenere il più ferma possibile la sua gabbia toracica, ma soprattutto le sue malandate costole rotte.

“Guardati……” aveva sorriso la sua ospite pimpante “….sei nuovamente in grado di parlare dopo neanche due settimane dal risveglio dal coma, tra poco potrai alzarti vedrai ed allora inizierai nuovamente ad allenarti………” la voce della ragazza gli giungeva alle orecchie come una musica lontana, Jin respirò profondamente ed emise un sibilo roco mentre espirava. La testa era leggera  ed i pensieri fuggevoli mentre fissava senza vederla la buia finestra che dava sul mondo alla destra del suo letto.

“Ehi dico Jin ma mi ascolti quando parlo?!” le parole irritate di Xiau lo riportarono alla realtà bruscamente: “Ma insomma, è da mezz’ora che parlo e ti ho fatto mille domande ma tu non dici nulla………non parli nemmeno più a monosillabi……che hai si può sapere?”

Kazama scosse appena la testa e se ne pentì subito, perché prese a martellargli forte:

“Scusa Xiau…….ho mal di testa…………sai l’ematoma….”

Il viso della ragazza si era scurito, si era alzata in piedi e lo aveva guardato arrabbiata, ultimamente succedeva spesso. Poi senza dire una parola si era allontanata dal letto, aveva recuperato la borsa ed il giacchetto che stavano su una sedia nell’angolo della stanza, si era voltata e sempre senza guardarlo si era diretta alla porta.

“Va…Bhe vedo si vede che sei proprio stanco, io forse torno domani a riprendermi la cartella, per ora te la lascio li sul letto; ma metti via le liquirizie ed i dolci prima che arrivi l’infermiera…………” come se Jin potesse muoversi………! Poi Xiau aveva afferrato la maniglia della porta e si era fermata, ancora dando le spalle al ragazzo.

“Forse avrei più speranze con te se fossi un maschio vero!!?” era un’affermazione convinta non una domanda. Jin colto di sorpresa non aveva risposto, allora la ragazza si era fatta coraggi ed aveva continuato:

“……………..Lo so benissimo che………..che non sono “lui”, ma ti giuro che ti vorrei bene ugualmente se solo tu me lo permettessi…………” a questo punto Xiau si era voltata, aveva le lacrime agli occhi e Jin non sapeva cosa fare e a dire il vero, non sapeva nemmeno di che cosa stesse parlando la sua amica.

“Jin lo vuoi capire che se n’è andato!” adesso la giovane atleta stava quasi urlando e le lacrime, prima a stento trattenute le rigavano il volto chiaro, contratto dal dolore.

“Se n’è andato e non credo che tornerà più, anche Crhisthi, Pol e gli altri non sanno dove sia finito, è semplicemente scomparso punto e basta!! Ti ha piantato e non ritornerà, fattene una ragione!!!!!! Io invece sono qui, potrei aiutarti a passare questo momento e poi forse……..”

La frase gli era morta in gola, perché Jin anche se dolorante ed impacciato dal gesso e dalle bende, stava tentando di alzarsi a sedere sul letto per fronteggiare quello strano attacco di….cosa?  Gelosia???

“Xiau io…” aveva rantolato alquanto confuso; ma poi un accesso di tosse dovuto allo sforzo che stava sostenendo per reggersi a sedere, lo aveva fatto ricadere sui cuscini che lo sorreggevano, macchiando al contempo di alcune purpuree gocce rosse le sue labbra esangui. La ragazza allarmata l’aveva raggiunto per aiutarlo a risistemarsi in una posizione comoda e riacquistare un po’ di calma.

“Jin scusa non volevo farti agitare”

Aveva detto poi, sinceramente pentita della sua sfuriata; il ragazzo aveva agitato lievemente la mano senza nemmeno staccare il polso dalle coltri del letto………..

”Scusami tu……….….ma non…..non credo di aver capito nemmeno…………di cosa stavi parlando…….prima?!” ancora qualche colpo di tosse.

A questo punto Xiau si era nuovamente seduta sul letto accanto al ragazzo che avrebbe voluto amare e che sentiva sfuggirsi di mano lentamente. La ragazza non si era nemmeno tolta il giacchetto, aveva preso la mano si Jin nella propria cercando di muoverla il meno possibile dato che era quella a cui avevano attaccata la flebo, e l’aveva stretta con dolcezza per un lungo minuto. Poi aveva fissato Jin con uno sguardo indagatore profondamente addolorato e gli aveva detto semplicemente:

“Io ti parlo, ma tu non ascolti……..Ti fa piacere se vengo a trovarti ma se resto troppo ti infastidisco…..No adesso mi ascolti fermo e zitto Jin Kazama……” aveva aggiunto con tono deciso quando l’altro aveva aperto bocca per ribattere………”…….perché dopo questa volta non tornerò mai più sull’argomento!” i suoi occhi non lo lasciavano un secondo, erano adesso duri e determinati e Jin decise di tacere, almeno per un altro po’.

“E non lo fai solo con me, anche gli altri l’ hanno notato………..” Xiau parlava quasi in un sussurro ormai “…………Crhisthi, Pol, Long e persino Nina. Ti siamo venuti a trovare in molti, anche se tu non ti ricordi di tutti. Talvolta eri sotto sedativi perché la febbre ti aveva fatto giungere al limite, avevi delle terribili allucinazioni e deliravi.” La stretta sulla mano si fece più intensa al ricordo.

“In….in particolar modo…….io….io mi ricordo di una sera che sono rimasta per la notte, con l’infermiera di turno…..dato che…” esitò un attimo “ Dato che non hai parenti stretti qui e la tua casa è lontana, io mi sono proposta per…..bhe diciamo….per farti da badante come una sorella minore…..” lo sguardo della ragazza fissava Jin ma i suoi occhi non vedevano il ragazzo, ma ricordavano quello che era accaduto allora.

“Stavamo in corridoio, a chiacchierare al tavolo della Capo-infermiera, bevevamo un the; la spia d’allarme rossa della tua stanza si accese improvvisamente e entrambe ci precipitammo da te per vedere cosa ti fosse successo………………..” la voce gli si incrinò appena “……….eri in preda ad una crisi respiratoria, causata da un incubo forse, non lo so esattamente; l’infermiera fu abile, veloce ed efficiente, ti somministrò della roba per endovena; non so cosa, degli stimolanti forse……..

Ti riprendesti dopo poco, avevi ancora l’affanno ma respiravi da solo; eri ancora semi incosciente quando mi chinai sopra di te per calmare la tua agitazione, l’incubo doveva essere stato orribile perché avevi persino le lacrime agli occhi.”

Jin arrossì, proprio lui, il grande Kazama Jin si era messo a frignare come un bambino, e quel che era peggio Xiau l’aveva visto.

Certo era ferito gravemente e sotto farmaci, quindi privo di autocontrollo, ma questo non lo consolava poi molto.

“Mentre l’infermiera preparava una dose di sedativo per permetterti di dormire ancora, hai parlato…….. Anzi credo di dover dire sussurrato, anche se a me è sembrato quasi che stessi urlando tale era la forza dei tuoi sentimenti in quel momento………….Mi hai guardato, ma non hai visto me……………...….poi hai detto –Non mi lasciare, ti prego……. Howarang amore mio…….- e sei svenuto mentre l’infermiera ti dava l’iniezione di calmante………”.

Nella stanza dell’ospedale scese un silenzio tombale, Jin aveva quasi smesso di respirare mentre ascoltava il resoconto dell’amica; le tempie avevano preso a martellargli forte e la gola si era fatta secca………………… “Non può essere vero……..” si era detto disperato “Howarang è solo un mio rivale uno stupido fastidioso rivale…….che….che ho battuto e batterò ancora………quando……….quando….lo rincontrerò.”

Quel pensiero lo fece tremare appena, si sentiva strano come eccitato dall’idea di rivedere il coreano ed allo stesso tempo timoroso. “……..No dannazione, no!!!!! Non sono innamorato di lui….è un mio rivale un……………..amico io…………....e poi è un ragazzo maledizione….come posso innamorarmi di un maschio??……”

Xiau lo guadava mentre rifletteva sul suo racconto, chiuse appena gli occhi, avrebbe pianto se la cosa non fosse stata inutile………ormai lo sapeva da tempo, forse lo aveva sempre saputo, ma aveva sperato sino all’ ultimo di avere una possibilità con lui.

Adesso che vedeva il tormento di Jin, la ragazza aveva raggiunto la certezza che il suo sogno romantico con il bel karateka era definitivamente infranto, sulla scogliera verde smeraldo dei ridenti occhi di un ragazzo coreano.

“Ho fatto di tutto per somigliargli………cercavo di imitare la stravagante spavalderia ed allegria di Howarang………ma non ci sono mai riuscita a pieno………..credevo che fosse questo che aveva attirato Jin. Ed invece……….” Xiau scosse la testa come a voler allontanare il cocente dolore che le cresceva in petto “Invece non mi ero nemmeno accorta che Jin……..che non aveva affrontato davvero la cosa. Non si era accorto di amarlo………….forse se non avessi detto nulla……”ma ormai era tardi………..

La ragazza emise un lento sospiro chiuse ancora per un attimo gli occhi, poi prima che la sua forza di volontà l’abbandonasse del tutto si alzò da sedere sorrise debolmente al suo amico si inchinò educatamente e se ne andò.

Mentre chiudeva la porta alle sue spalle Xiau iniziò a piangere, rimase appoggiata con la schiena al legno bianco dello stipite; le infermiere ed i medici passavano svelti lungo il corridoio illuminato dalle bianche luci dell’ospedale, una di loro si fermò anche per chiederle se stesse bene…………….

“Si certo sono solo commossa……” rispose Xiau tentando un sorriso che non le riuscì, l’infermiera la guardò perplessa:

“Siete sicura signorina….sembrate scossa…..volete che vi chiami un dottore?” l’altra scosse la testa con veemenza. “Adesso mi passa non preoccupatevi……” disse scappando letteralmente via.

Quello che davvero voleva, quello di cui aveva bisogno, sapeva che non lo avrebbe mai avuto; si sentiva a pezzi e sembrava che l’unica cosa che potesse fare in quel momento fosse correre via ed infatti lo fece, per ben  quaranta minuti.

Xiau si fermò solo quando sentì i suoi polmoni scoppiare e si accorse che era tornata a casa correndo dall’ospedale fino al capo opposto della città, dove si trovava la zona residenziale dove sorgeva la villetta dei suoi.

Prese le chiavi dalla borsa ed aprì il cigolante cancellino di casa sua, Fratellino il suo cane le corse in contro saltellando allegramente per darle il benvenuto; Xiau guadò giù verso i quartieri del centro e la zona dell’ospedale, le luci si confondevano le une alle altre ma non era certo per colpa della foschia di quella sera di tarda estate, no certo, erano le sue lacrime che ancora le scendevano copiose dagli occhi.

Dopo la visita di Xiau quella sera, Jin aveva passato l’intera nottata e gran parte del giorno dopo a riflettere su quanto la ragazza gli aveva detto. Aveva cercato di convincersi che era solo uno stupido fraintendimento, s’era detto che dopotutto era normale  pensare spesso al proprio rivale come capitava a lui, ci si concentra su un fine e lo si vuole raggiungere………….ma non si era trovato particolarmente convincente.

Poi aveva giustificato il fatto dando a Xiau dell’isterica, ma sapeva che non era vero e si sentiva in colpa per averlo pensato. Gli ci era voluta quasi una settimana di scontro tra la sua coscienza ed il suo cuore, per farlo giungere a patti con se stesso.

Ed anche adesso non sapeva di preciso cosa lo aveva fatto cedere, forse era stata la sua condizione fisica precaria a rendere fragile anche la sua volontà, o forse semplicemente anni di solitudine e dolore lo avevano logorato lentamente.

Jin sapeva di non aver mai nemmeno lontanamente sfiorato con il più remoto dei suoi pensieri l’argomento relazioni amorose, nemmeno quando Xiau lo corteggiava apertamente. Per lui del resto, la giovane atleta era sempre stata solo un’amica……… Adesso quest’amica inaspettatamente, gli aveva detto che secondo lei, lui era innamorato del suo rivale di sempre, di un ragazzo……….e per quanto si sforzasse non sapeva come fare a negarlo.

La notte adesso lo sognava più spesso di prima ed anche se inizialmente i sogni cominciavano con un’incontro, puntualmente finivano con una romantica lotta tra lenzuola bianche e profumo di fiori.

Jin all’inizio detestava  quei sogni, si sentiva un’idiota perché nelle sue fantasie amorose si vedeva fluttuare in un liquoroso mare rosa di coccole sdolcinate e eccitanti carezze con quello che fino a poco prima pensava fosse solo un suo rivale.

Ma mentre i giorni passavano ed il suo corpo guariva cominciò a rendersi sempre più chiaro nella sua mente che i suoi sogni non differivano poi molto da ciò che lui desiderava davvero……………………una casa tranquilla, lontano dalle follie del mondo, con colui che adesso ne era certo,  amava.

Sua madre una volta gli aveva detto che un giorno avrebbe trovato anche lui il suo scopo nella vita, Jin all’epoca aveva interpretato male questa frase pensando che la madre volesse sottolineare un sua mancanza d’impegno negli allenamenti, non era abbastanza motivato nel voler diventare forte, ora la vedeva sotto un'altra luce.

 

“Jin non cercare di chiuderti al mondo…..” gli aveva detto Jun sorridendo “….è impossibile tenerlo fuori, tanto un modo di far breccia nelle tue difese lo trova sempre.”

“Non nelle mie Madre, non nelle Mie” Aveva risposto convinto il ragazzino che era allora; Jin aveva scosso la testa e con pazienza aveva continuato dicendo:

“Devi trovare il tuo scopo nella vita figlio mio…………la vendetta, il desiderio di combattere di accrescere la tua forza senza un giusto fine………non sono che palliativi; ma vedrai che  anche tu ci arriverai.” Jun sorrise “Ricorda, l’amore…per una compagna, un amico o per la propria donna sono scopi ben più saldi della vendetta e del rancore. Jin non dimenticare mia che devi amare nella vita, se non sei capace di amare, non sarai mai capace di lottare e vincere……”

 

Adesso lo sapeva, al Tekken aveva perduto solo per causa sua, non era stata la forza di Heinachi a schiacciarlo a terra, ma la pesantezza della sua anima che lui da solo aveva chiuso all’amore. Adesso, ormai troppo tardi………sapeva che sin da subito aveva provato per Howarang qualcosa di più che semplice amicizia,  ma sapeva anche che la cortina di spine d’acciaio che aveva messo intorno al suo cuore e il velo nero che si era steso sugli occhi gli avevano impedito di vedere l’evidenza dei fatti.

Era paradossale, non avrebbe saputo descrivere dettagliatamente la sua casa, il Dojo dove si allenava da anni, nemmeno il volto di sua madre era così nitido nella sua mente come quello del giovane coreano. Si ricordava tutto di Howarang, ogni singolo particolare del volto, dei muscoli che aveva intravisto balenare in un attimo dal kimono semiaperto durante uno dei loro tanti sconti.

Ricordava con desiderio il calore del corpo accaldato del suo adorato coreano, mentre si affrontavano nel parcheggio che era uno dei ring del Tekken o in uno degli altri mille incontri in cui si erano affrontati.

Adesso sapeva che il brivido di piacere che avvertiva in sua presenza non era semplicemente dovuto all’adrenalina di uno scontro imminente; era un brivido ancestrale, un richiamo che il suo corpo gli lanciava per avvisarlo che si trovava in presenza della sua anima gemella……………

“……..ma ormai che importanza può avere tutto questo……..” pensava  cupamente Jin; abbassò gli occhi, infilò le mani in tasca emettendo un sospiro di sconforto e finalmente voltò la schiena al Mishima Palace, imboccando con passo lento ed un poco malfermo il vicolo dal quale due ore prima era uscito; il vicolo che lo avrebbe riportato a casa, nel quartiere del porto.

La strada gli scorreva via sotto i piedi senza nemmeno prestarvi attenzione; mentre percorreva a testa bassa le vie dei quartieri bene della città, poi quelle dei quartieri commerciali e finalmente imboccava i violetti sudici e malmessi dei bassifondi della megalopoli.

“Ma perché sono così stupido…………?!” Jin s’ era posto la domando almeno un milione di volte da un mese a quella parte; da quando cioè, quasi per caso, aveva visto il volto di Howarang  su una copertina di un giornale. Passava davanti a quell’edicola tutte le mettine per andare al lavoro ai pontili, non ci aveva mai fatto caso, ma un mese prima il caso ed uno spintone lo aveva fatto cadere proprio sulla pila dei quotidiani.

Il ragazzino che lo aveva spintonato e peraltro derubato del portafogli doveva esserci rimasto davvero male quando lo aveva trovato pieno di carta; Jin i soldi li teneva nella carta d’identità, ben nascosta tasca interna della tuta da lavoro. La caduta comunque era servita a fargli notare la rivista IN PROGRESS una specie di strana pubblicazione che parlava di finanza e pettegolezzi a essa relativi. Era stata proprio la copertina rossa plastificata e lucente della rivista che aveva attirato la sua attenzione; la proprio in primo piano aveva visto l’odioso volto di Heinaci Mischia che spiccava in mezzo alla folla di un grande ricevimento con al suo fianco Howarang, in doppio petto blù.

Era quasi svenuto per la sorpresa, il titolo recitava a lettere cubitali “Ecco il nuovo rampollo che erediterà la Mischia Corp.”, avrebbe volentieri comprato la rivista, ma costava troppo, l’aveva dunque solo sbirciata mentre l’edicolante era intento a rimettere in sento i giornali caduti.

Quello che aveva letto non gli era piaciuto affatto :

“…………..é un giovane e promettente ragazzo coreano che risponde al nome di Howarang, l’ultimo ragazzo menager che si affianca ultimamente al grande Heinaci Mishima nelle feste e durante i ricevimenti di gala. Molto chiacchierata in società sarebbe la sua entrata nella famiglia Mishima, sembra addirittura che il signor Heinaci…..”

A questo punto aveva dovuto interrompersi perché l’edicolante aveva visto che stava leggendo la rivista e non aveva chiaramente intenzione di acquistarla.

Jin si guardò in dietro, verso le luci sfavillanti del centro, aveva lo stomaco vuoto naturalmente, l’ultimo vero pasto che aveva fatto era stata la cena del giorno prima; ma non erano i morsi della fame che gli contorcevano le viscere.

“Che diavolo ti è preso Howarang………perché stai da lui, perché, mi hai piantato in asso lasciandomi la all’ospedale da solo………Maledizione anche se per te sono solo un amico perché dovevi proprio andare a stabilirti in casa di quel bastardo schifoso…………….”.

Jin poteva arrovellarsi il cervello con questa e altre duemila domande, ma sapeva benissimo che nessuna delle sue risposte sarebbe mai stata quella giusta; no se voleva avere una vera spiegazione all’ inconcepibile comportamento di Howarang poteva chiederlo solo a una persona, ovvero il coreano in persona…………………….. Ma temeva quello che ciò avrebbe significato.

Da ben otto  mesi, anzi ormai quasi nove non si allenava più come si deve, prima per via della degenza in ospedale, poi i suoi tormenti amorosi lo avevano spinto a cercare inutilmente Howarang per mezzo mondo………ed ora, ora che lo aveva trovato, scopriva che era nell’unico posto in cui non avrebbe dovuto essere, al fianco del suo peggior nemico.

Jin era stanco, la mattina dopo si sarebbe dovuto svegliare presto, era sabato ed allo scalo merci del porto c’era meno lavoro del solito, questo non voleva dire che per lui era un giorno di riposo, tutt’alto. Sarebbe andato ai moli a fare lo scaricatore la mattina fino a dopo mezzogiorno e la sera lo attendeva una dura maratona da cameriere nel ristorante cinese di Cho-Cho il Gatto che Ride.

Il ragazzo si fermò a qualche passo dallo stabile scuro e malandato che era il suo condominio, anche se per definirlo tale ci voleva del coraggio, lo guardò tristemente e andò verso la porta metallica piena di graffiti e ammaccature che era l’ accesso principale del palazzo.

In realtà, l’ edificio dove aveva trovato alloggio Jin era un vecchio magazzino ristrutturato malamente e diviso in mini appartamenti; il suo per fortuna era quello più in alto, meno freddo e puzzolente degli altri, in compenso le tegole marce del soffitto grondavano acqua in molti punti “………..e a quest’ora probabilmente con la pioggia che è venuta giù, saranno tutte strarbordate ed avrò un  lago d’ acqua fredda e viscida sul pavimento!” pensò scocciato il ragazzo.

Jin prese il mazzo di chiavi che aveva nella tasca della felpa ed infilò nella serratura arrugginita la chiave della porta, il lampione del marciapiede dietro le sue spalle ebbe un calo di tensione e si accese e spense un paio di volte, lui ormai non lo notava nemmeno più.

L’ingresso comune dell’edificio era sporco come al solito, lattine vuote e bottiglie di birra, cartaccia e altri scarti condominiali abbandonati lì per incuria. Le pareti del piccolo  atrio e il vano scale, fin dove giungeva la fioca luce dell’unica lampadina accesa dentro, erano tutte imbrattate con scritte, graffiti e manifesti appiccicati li da una vita; alla sinistra dell’entrata c’erano le cassette delle lettere, o meglio avrebbero dovuto esserci, dato che erano tutte scardinate o semidistrutte da ignoti vandali e mai riparate.

La porta dell’appartamento infondo all’atrio dietro le fatiscenti scale di legno che portavano al primo piano, era come sempre aperta, una musica russa lenta e ossessiva riempiva l’aria, mentre una voce maschile metallica e cadenzata parlava in russo. Jin storse il naso, non amava molto quella musica, ma Nikolai Patrokiwoski inquilino del pian terreno era un operaio edile quasi sempre sbronzo e quando rientrava dopo il lavoro lasciava sempre la porta aperta. A ben guardare non era poi tanto male come persona; una tranquillo tutto sommato, tranne quando bevevo troppo ed allora diventava irascibile e piuttosto intrattabile, Jin una volta era anche stato costretto ad atterrarlo con un colpo stordente per evitare che distruggesse il condominio durante una sbronza piuttosto pesa.

Al pian terreno oltre a Patrokiwoski c’era anche la famiglia Sancez, messicani, moglie e marito con cinque marmocchi. Lei lavorava come ricamatrice e la sua macchina da cucire era quasi sempre in funzione, anche adesso Jin sentiva il lieve ronzio dell’ago che batteva sulla stoffa, Manuel suo marito era operaio in una ditta di macelleria era il classico messicano pelle olivastra non troppo alto e dei gran baffoni neri sotto il naso.

A gin erano simpatici, nonostante la miseria in cui vivevano erano una famiglia unita e solitamente allegra……quello che lui non aveva mai avuto………. Ai tre ragazzini più grandi della nidiata Sancez aveva anche insegnato qualche mossa, per aiutarli a difendersi quando venivano immancabilmente aggrediti dai bulli del quartiere. Adesso i tre bambini ritornavano a casa meno pesti del solito, la signora Sancez lo aveva ringraziato ricucendogli gli abiti un paio di volte, senza farlo pagare : “Un bel ragazzone come te non dovrebbe andarsene in giro con i buchi nei pantaloni…..” aveva detto sorridendogli gentilmente. Jin ne era stato più che contento……..non era molto bravo con ago e filo.

L’ultimo appartamento del pian terreno era quasi sempre vuoto, la porta di fianco a quella dei Sancez era l’abitazione di due fratelli polacchi i Sosnihovik, marinai, quasi sempre via per lavoro. Salendo le cigolanti scale che lo avrebbero portato al primo piano il giovane notò appena che Tom, il vecchio barbone di colore che dormiva spesso nell’ androne del palazzo quella sera non c’era.

Giunto al primo piano sentì una risata maschie profonda ed inequivocabilmente eccitata, provenire dalla prima porta a destra proprio accanto alla rampa che saliva al secondo piano; una voce femminile gli fece eco in tono suadente e malizioso“……….Piantala maiale, non ti basta ancora? Lo si che questo ti costerà un extra vero?” Jin si rimise le chiavi in tasca, Luis doveva avere un cliente in casa.

La pota accanto a quella della prostituta si aprì ed una donna bassa e tarchiata uscì sul pianerottolo era in vestaglia ed aveva dei bigodini in testa bussò con energia alla porta di Luis, la signora Tanigawa vedova con figlio a carico, era famosa nel condominio per le sue sfuriate in piena notte ed infatti anche quella volta non si smentì, rinnovando le botte alla porta berciò forte: “Piantala di strillare Luis! Kintaro deve andare a scuola domani e io devo lavorare! Stà zitta o giuro che ti prendo a sberle!!”.

Alle spalle  di Jin si aprì la porta di un altro appartamento e la faccia larga e piatta di Li Son si affacciò appena, il giovane karateka fece un cenno con la mano e il bottegaio cinese si ritirò in casa senza nemmeno ricambiare il saluto.

Jin sospirò e salì le scale, il commesso era un tipo strano sospettoso e poco affabile, sempre pronto a spettegolare di tutti ma decisamente poco pronto alla cortesia, il ragazzo non sapeva proprio come facesse a fare il commerciante col carattere che aveva.

Mentre raggiungeva il secondo piano e quindi il pianerottolo di casa sua sentì di sotto Luis litigare ferocemente con la signora Tanigawa, mentre le due donne si insultavano senza remore sul pianerottolo del primo piano, la timida voce di un terzo condomino si fece sentire appena. Murokawa era l’impiegato che abitava l’ultimo appartamento del secondo piano ed era un tipo timido e silenzioso, le due litiganti lo zittirono con un congiunto ordine secco del tipo “Stà zitto Murokawa!”, Jin sorrise appena non dubitava che l’uomo intimorito avrebbe subito battuto in ritirata.

Arrivato davanti alla porta del suo monolocale si fermò guardando il buio corridoio del secondo piano, sul cui fondo spiccava una finestra di quella da fabbrica dai vetri quadrati, sporchi ed incrinati.

Dividevano con lui l’ultimo piano della palazzina l’amministratore e proprietario dello stabile un cinese di nome Shao-Pen, pessimo carattere e pessime abitudini igieniche; un’anziana coppia di italiani che stavano proprio nell’appartamento davanti al suo ed uno strano tipo di cui Jin ancora ignorava il nome, ma che persino Shao lasciava stare.

Sebbene non ne fosse pienamente sicuro il ragazzo pensava fosse un killer della Triade o magari un’ affiliato della mafia Russa o Italiana…….difficile dirlo, non aveva mai detto una parola e Jin si era ben guardato da ficcanasare nei suoi affari, tanto più che aveva ben altri problemi in testa, quello che facevano gli altri per vivere non lo riguardava poi molto in fondo.

Infilò le chiavi nella serratura e aprì, come sempre i cardini arrugginiti cigolarono fortemente, quando richiuse la porta alle sue spalle anche le voci di Luis e della signora Tanigawa si erano spente da basso ed il vecchio e umido condominio era nuovamente piombato nel silenzio della notte tarda. Jin appoggiò distrattamente il mazzo di chiavi nella cestina di vimini che aveva sul frigo proprio alla sinistra della porta d’entrata e ne apri l’anta superiore cercando qualcosa da mangiare, non che avesse molto da scegliere comunque………..

Qualche carota, un paio di foglie di lattuga, latte, una lattina di The freddo, dell’ insipido Tofu, una tazza di brodo e degli spaghetti freddi alla carne rossa, avanzo della sera prima……… “Diavolo…….ho anche finito la bombola del gas!!!! Con che cosa accidenti potrei scaldarli……”pensò infastidito mentre il suo stomaco brontolava rumorosamente.

“Non offri nulla ai tuoi ospiti Kazama-San? Amico mio?” La voce dura e strisciante proveniva dal cento della stanza, proprio dietro le spalle di Jin, che non appena l’ udì si morse il labbro inferiore, emettendo al contempo tra i denti un flebile “Maledizione!”.

Con movimenti lente ed il più naturali possibili, si voltò richiudendo cautamente il frigo ed appoggiandosi alla fredda superficie metallica dell’ eltrodomestico, guardò nel buio della stanza verso gli “ospiti” che purtroppo lo erano venuti a trovare quella sera.

La fitta pioggia invernale che cadeva incessante fuori, si era tramutata adesso in un vero temporale con lampi e tuoni che illuminavano a tratti l’interno del miniappartamento grazie alle tre grandi finestre quadrate della parete est.

Jin tra un lampo e l’atro vide indistintamente le sei figure che gli si erano intrufolate in casa di soppiatto, anche se sapeva che in tutto dovevano essere sette  non sei; persino al buio le avrebbe sapute riconoscere. Seduto a gambe incrociate accanto al tavolo da pranzo, su una delle sue scalcinate quattro sedie al centro della stanza c’era Mhei-Cho l’esattore della Triade, quello che aveva parlato; era un tipo di bell’aspetto, un cinese di circa venti anni che gestiva le piccole estorsioni nel quartiere, portava un chimono tradizionale di colore blù scuro ed aveva i capelli leggermente lunghi sulle spalle. Quando era in piedi aveva la stessa altezza di Jin, i suoi modi di fare erano arroganti e sprezzanti con gli altri, specie col karateka data la sua origine giapponese.

In piedi a braccia incrociate, dietro Mhei-Cho c’erano i suoi gorilla personali Lon e Son fratelli gemelli, due lottatori eccellenti e picchiatori crudeli, purtroppo Jin era già passato tra le loro mani in un paio di occasioni. Qualche mese prima li avrebbe certamente battuti entrambi con poco sforzo, ma dopo la sconfitta al Tekken Jin aveva perso lo spirito guerriero e purtroppo lo aveva scoperto troppo tardi per evitare un confronto diretto con i gemelli. Ai due lati della stanza c’erano altri due scagnozzi di Mhei-Cho; Kon a destra un tipo di corporatura normale, ma dotato di lingua sciolta e per questo primo dei tirapiedi di Mhei e Zon-Fai, un giovane alto e con la testa completamente rasata tranne una lunga coda di cavallo di nerissimi capelli lisci che gli spuntava proprio sul centro della nuca. Zon-Fai era un tipo originale, se così vogliamo dire; occhi penetranti come quelli di un predatore aveva persino il petto tatuato con due vistosissimi dragoni verdi. Anche in quella circostanza come già gli era successo, Jin si ritrovò a fissare quei suoi occhi scintillanti da gatto il petto completamente nudo e provò una strana mistura di attrazione e repulsione per quel glaciale guerriero oscuro.

L’ultimo componente visibile del gruppo, anche se Jin sapeva bene che il settimo doveva essere poco lontano; era Zao una montagna di muscoli e forza erculea in un corpo enorme privo quasi d’intelligenza. Zao era un ragazzone violento per natura ma anche incredibilmente stupido, completamente dipendente da Kon e Mhei-Cho. Si fece avanti per primo ridendo come un bambino al luna parck e avvicinandosi pericolosamente a Jin da sinistra, il ragazzo istintivamente si spostò a destra cercando di scivolare davanti alla porta d’ingrasso, ma dovette fermarsi immediatamente perché sentì la fredda lama di un coltello puntata al fianco destro, da dietro una voce sibilante gli fece all’orecchio:

“Dove credi di andare Giapponesino? Il signor Mhei ti ha fatto una domanda…….non hai sentito?” la voce era sprezzante, il tono duro e carico di rancore; Jin inspirò leggermente ed alzò di poco le mani in modo che tutti potessero vederle:

“Non cercavo di svignarmela Xau-Lon stavo solo……” la lama penetrò rapidamente nelle tuta di Jin e gli si conficcò per almeno un centimetro nella carne, ferendolo dolorosamente; la frase di scusa gli morì in gola rimpiazzata da uno strozzato rantolo di dolorosa sorpresa. Improvvisamente una mano sottile ma dura come l’acciaio l’afferrò alla gola tirandolo indietro, premendolo contro il pugnale assassino che gli mordeva le carni; Jin cercò di rimanere il più possibile immobile, lontano dall’arma. Arcuando la schiena per sfuggire alla lama d’acciaio, oppose resistenza alla presa ma, il sicario più alto e decisamente  meglio posizionato e più bilanciato del ragazzo non ebbe difficoltà a davere facile gioco con lui, la lama penetrò ancora un poco nella carne viva.

Il lanciatore di coltelli costringeva il giovane nipponico a stare praticamente in equilibrio sulle punte dei piedi per evitare di ricadere sull’arma che gli puntata al fianco. Jin cercava di non oscillare, ma tenere l’equilibrio in quella posizione scomoda era difficile e per di più il ragazzo era anche avvinto in una presa mortale non facile da eludere.

“Rispondi alla domanda invece di dire fesserie Giapponese!” ringhiò il sicario aumentando la pressione sul pugnale e nella presa, Jin tossì per mancanza d’aria e le gambe gli tremarono nello sforzo di assecondare i movimenti del suo aggressore.

“Suvvia Xau-Lon, cerca di calmarti……” disse il capo banda in tono ironico e con aria divertita  “………non vedi che Kazama-San stava per rispondere?” gli altri suoi sgherri si unirono a lui in una risata canzonatoria e Jin deglutì a fatica stretto fin quasi al soffocamento nella morsa d’ acciaio in cui il Killer lo bloccava.

Mhei-Cho schioccò seccamente le dita e Kon prontamente si affettò ad accendere le luci della stanza; Jin socchiuse gli occhi per il repentino cambio di illuminazione e le sue gambe cedettero appena, dando altro spago al pugnale che aveva conficcato profondamente nel fianco. Ci fu un lungo momento di silenzio nella stanza umida adesso rischiarata dalla luce gialla dell’unica lampadina centrale.

“Bene Kazama………” disse ancora Mhei-Cho dopo aver smesso di ridacchiare:

“Ora che ci siamo messi tutti più comodi…………..” una pausa divertita “ Veniamo agli affari amico mio………. Mi è giunta voce all’orecchio che hai finalmente riscosso dopo una dura settimana di lavoro giù al molo quattro……….”

Il ganster sorrise feroce mentre si sporgeva in avanti per enfatizzare la gravità della cosa.

“Sai bene quanto io tenga alla puntualità Jin, amico mio…………….e devo dire che ci sono rimasto piuttosto male quando non sei subito passato da me dopo il lavoro…………”

Mhei lo guardava ora con espressione famelica, come se fosse stato una belva in caccia e Jin il succulento boccone che lo aspettava inerme. Il giovane deglutì a fatica e rantolando visibilmente disse: “Avevo……..avevo da fare…..ma, ma…sarei venuto da voi domai…..”

Xau-Lon spinse più in profondità il pugnale stringendo ancora di più la gola, Jin aveva il lato superiore sinistro del coro bloccata a causa della presa in cui era finito, ma con la mano destra cercò ugualmente d’afferrare il polso del suo aggressore.

Non tanto per cercare di liberarsi, sapeva che il pugnale l’avrebbe trafitto prima di riuscirci; ma per chiedere con quella lieve pressione su essa un po’ più d’aria; Xau-Lon ovviamente l’ignorò.

Mhei-Cho scosse la testa con aria di falsa commiserazione: “Jin, Jin, mio caro Jin……..decisamente non hai una bella fantasia per le scuse…..cosa avevi da fare di tanto importante?…..Andare a Beauty City  forse a guardare il Mishima Palace?” rise ancora, ed anche stavolta i suoi tirapiedi si unirono a lui.

Mhei-Cho sapeva di questa sua bizzarra abitudine e lo derideva sempre per questo; intanto Jin in bilico sulle punte dei piedi si maledisse silenziosamente per essersi dimenticato di Mhei-Cho e della tangente che gli doveva…………

Infatti come chiunque altro lavorasse ai moli, anche Jin doveva pagarsi il privilegio di farlo ed il pedaggio da versare era ovviamente un terzo della paga settimanale. Questo dazio infame doveva essere elargito alla mafia che gestiva il molo stesso, e per quel che riguardava il molo quattro, dove appunto lavorava il giovane Kazama si trattava della Triade e in particolar modo di Mhei-Cho.

Normalmente la Triade tollerava un giorno o magari due di ritardo nel pagamento, ma Jin essendo un Giapponese non godeva di questo beneficio, inoltre tra tutti gli esattori del molo, quello che si occupava di lui era proprio quello che maggiormente detestava i nipponici…………..

Mhei-Cho si dava sempre un gran da fare per dimostrare a tutti che era il capo dei moli, il migliore e purtroppo quasi sempre a farne le spese era Jin che veniva usato come esempio per gli altri; inoltre il fatto che il ragazzo opponesse resistenza, anche se minima, dava all’esattore un pretesto buono per farlo pestare gratuitamente dai suoi che certo non si tiravano indietro.

“Devi imparare mio buon Jin che noi tutti siamo legati in modo inscindibile…..” stava dicendo Mhei-Cho con aria da maestro saccente “………..se tu non paghi me, io non posso pagare i miei uomini e quindi loro non avranno soldi da portare a casa dove i loro bambini piangono per la fame………… Tu non vuoi che i marmocchi piangano vero Jin?”

Il ragazzo tentò di annuire, ma riuscì solo a farsi piantare il pollice della mano che lo stringeva alla gola sotto la mandibola, questo gli causò una fitta di dolore lancinante ed un brivido freddo lungo tutto il corpo che a sua volta  generò un’ulteriore penetrazione della lama nel suo fianco già ferito.

“Bene.” Mhei-Cho sorrise malevolo e facendo un cenno con la mano a Xau-Lon gli ordinò di lascir andare il prigioniero, Jin cadde sui ginocchi mentre il suo aggressore lo spingeva malamente in avanti e lasciava la presa sul suo collo dolorante.

Tossendo e sputacchiando sangue il ragazzo cercò di rialzarsi, ma non appena ebbe alzato la gamba destra, scoprendo il fianco si ritrovò nuovamente boccheggiante a terra; Kon lo aveva colpito duramente al fianco ferito con un calcio poderoso e mirando proprio alla ferita ancora sanguinante.

Jin chiuse gli occhi e gemette, il dolore si era fatto talmente lancinante che non riusciva nemmeno più a parlare o a respirare, tremava debolmente ed aveva la gola in fiamme, una lacrima infuocata gli scivolò lungo il naso cadendo poi sul pavimento.

Improvvisamente così come poco prima, un secondo calcio lo raggiunse un po’ più esterno e poi un terzo, cercando di non urlare per il dolore Jin ricominciò a tossire e sputare sangue; tentando di contenere le scariche di dolore che sentiva si contrasse su se stesso raggomitolandosi sul pavimento e stringendosi il ventre con il braccio desto.

“Jin vedi…..non ti fa bene alla salute contraddirmi o irritarmi in alcun modo…….…..” Mhei-Cho si era alzato e lo aveva raggiunto fermandosi proprio davanti al ragazzo inginocchiato e ferito davanti alla porta, lo sovrastava con le mani sui fianchi ed un’espressione di sadico divertimento dipinta sul volto.

Kazama non era disposto a cedere però, alzò la testa e fissò con odio il mafioso; per tutta risposta Mhei-Cho con mossa fulminea gli schiacciò violentemente il dorso della mano sinistra a terra, premendo col tacco della scarpa e roteandolo un paio di volte a destra e poi a sinistra.

Stavolta Jin non riuscì a trattenere un’ urlo di dolore ed istintivamente afferrò la caviglia di Mhei-Cho inarcando contemporaneamente la schiena e sbarrando gli occhi per la sorpresa, mentre per tutto il suo corpo si scaricavano ondate di furioso dolore, bruciante.

“I Soldi Cane Giapponese……” ringhiò Mhei-Cho rigirando ancora una volta il tacco sulla mano di Jin “…………Allora stò aspettando!” il ragazzo si contrasse nuovamente ed abbassò la testa, chinandosi quasi fin a toccare il pavimento con la fronte. Poi con movimenti resi rigidi dal dolore che gli stava flagellando tutto il corpo, Jin lasciò la presa sulla caviglia di Mhei ed infilò la mano libera in tasca estraendone cinque banconote da dieci dollari.

La paga di uno scaricatore di porto era di circa settanta cento dollari la settimana, dipendeva dai carichi e dalla reperibilità di manovalanza; a cose normali un qualunque altro operaio avrebbe dato a Mhei-Cho un terzo della paga, ma Jin era costretto a pagare ben due terzi, per evitare che Mhei e la sua banda gli facessero visita più spesso del dovuto.

Per questo il giovane orientale era sempre costretto a fare la fame ed ad arrotondare lo stipendio con altri lavoretti, che da soli comunque non gli avrebbero permesso di sopravvivere.

Mhei-Cho si chinò appena e sfilò le cinque banconote dalla mano sanguinante e tesa di Jin, li contò e poi tolse il piede dalla mano dell’altro. Kazama tremava a causa del dolore, lentamente raccolse entrambe le braccia sotto il corpo e con cautela cercò di massaggiare la mano ferita; sentiva i tendini in fiamme ed i muscoli lacerati grondavano sangue a fiotti, si stava gonfiando.

Mhei-Cho fece un cenno veloce a Zao ed il ragazzone afferrò Jin per il cappuccio della tuta tirandolo in piedi senza troppe cerimonie o sforzo; gli passò veloce entrambe le braccia sotto le sue e chiuse le mani dietro la testa di Jin bloccandolo in una scomoda presa che portò i piedi del ragazzo ad almeno quindici centimetri dal pavimento.

Jin boccheggiò, aveva perduto davvero molto dal Tekken non semplicemente uno scontro con Mishima; prima nemmeno nelle situazioni più difficili si lasciava andare, adesso gli sembrava di essere alla mercé di quei teppisti da una vita e quel che era peggio non riusciva a trovare lo spirito per ribellarsi figuriamoci poi per liberarsi.

Zon-Fai si era intanto spostato davanti a Jin che sentì arrivare più che vederli i cinque pugni che il lottatore dagli occhi scintillanti gli assestò alla bocca dello stomaco, per poi colpirlo un’ultima volta al volto proprio sullo zigomo destro.

Jin stavolta non gemette nemmeno tanto era prossimo allo svenimento causato dal dolore, attraverso una cortina di nebbia vide confusamente Mhei-Cho frugargli in tasca e prendersi la sua carta d’identità, svuotarla del resto dei soldi che conteneva per poi gettarla a terra.

“……..E Questi….” disse il ganster a Jin, sventolandogli i suoi ultimi venticinque dollari davanti alla faccia  “…….Questi sono per il ritardo e il disturbo che mi sono preso per venirti a cercare in questa topaia schifosa Giapponese bastardo…….” Si voltò e rivolgendosi ai suoi disse:

“Andiamo ragazzi qui abbiamo finito, torniamocene a casa detesto al puzza di questo posto…..” Mhei-Cho si voltò e seguito dai suoi gorilla e poi dal resto della banda lasciò la stanza con passo deciso. Zao lasciò cadere Jin a terra ed il giovane scivolò giù come un sacco di patate cadendo sui ginocchi e poi raggomitolandosi su se stesso poggiò la fronte sul pavimento umido della stanza respirando pesantemente, mentre un rivolo di sangue rosso e fluido gli colava dalla bocca aperta.

Xau-Lon fu l’ ultimo a lasciare il miniappartamento di Kazama e si soffermò per  un attimo accovacciandosi a terra accanto al ragazzo, sorrise malignamente alla sua vittima, ripulì il pugnale dal sangue proprio sulla felpa di Jin; fatto questo lo usò per spostare una ciocca di capelli dal volto pallido del giapponese che faticosamente si voltò per guardarlo.

“Peccato che il signor Mhei-Cho si diverta tanto a –punzecchiarti- Giapponesino…….io saprei come rendere la cosa decisamente più piacevole per entrambi…………” e dettò ciò gli sputo un faccia “…….Ma non farti troppe illusioni mammoletta……mi diverto molto anche ad affettarti sai?” si alzò e se ne andò ridacchiando.

Quando fu sulla porta disse “ Ci vediamo tra una settimana Giapponese. Ricordati di pagare o potrei accidentalmente colpire qualcosa di più importante della tua costola….”.

La porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo sordo ed un gracchiare di cardini rugginosi, Jin era adesso solo nella stanza ma gli ci vollero parecchi minuti prima di riuscire a rimettersi in piedi; barcollante si diresse verso il fondo dell’appartamento dove c’era il bagno, entrò appoggiandosi pesantemente allo stipite della porta ed accese la luce dentro lo stanzino.

Fece ancora un passo incerto e si aggrappò alla porcellana macchiata di ruggine del lavandino, gli girava la testa e la ferita al fianco non smetteva di sanguinare. Si guardò allo specchio e quel che vide non gli piacque affatto, capelli arruffati livido nero che si stava ingrandendo a vista d’occhio e due scuri, tristi occhi persi che gli restituirono lo sguardo disgustato che aveva. Cercando un po’ di sollievo Jin appoggio la fronte alla fredda superficie del vetro dello specchio ed aprì l’acqua fredda per lavarsi la faccia dal sangue e dalla saliva dello sputo di Xau-Lon.

Aveva voglia di urlare la sua rabbia ai quattro venti e di piangere amare lacrime di disperazione, ma mentre lo pensava sapeva già che non si sarebbe mai permesso di farlo, aveva perso totalmente il suo spirito da guerriero, ma non si sarebbe lasciato cadere ulteriormente più in basso di quanto non fosse già.

Jin lavò via dalla faccia il sangue e la saliva, rabbrividendo appena mentre le sue mani incontravano la gelida acqua del rubinetto e poi dopo mentre se la passava sul volto; si tolse con fatica la felpa e la t-schert bucate dal pugnale, gettandole entrambe a terra vicino alla porta del bagno, restando a torso scoperto.

Per arginare l’emorragia della ferita, che non accennava a diminuire, Jin prese un’ asciugamano  lo immerse nell’acqua fredda che adesso riempiva il piccolo lavandino e con esso si tamponò il fianco; proprio allora qualcuno bussò alla porta. Il giovane imprecò a bassa voce e con difficoltà andò verso la porta per vedere chi fosse.

Aprì quanto bastava per vedere fuori e da dietro la porta socchiusa sbucò una massa di lunghi capelli mossi rossi come il fuoco, un paio di occhi blù cobalto che lo guardavano arrabbiati il tutto garbatamente disposto sulla figura esile e sinuosa di Luis la prostituta del piano di sotto.

La ragazza aveva la testa reclinata da un lato e la mano sinistra stretta a pugno sul fianco, come le capitava sempre era seminuda eccezion fatta per un minitanga ed un babydoll rosso trasparentissimo e bordato di piume.

“Jin si può sapere che diavolo hai fatto a Mhei-Cho stavolta per fartelo venire in casa a quest’ora? Ti ho sentito urlare e poi li ho visti scendere ridendo…….Ma Jin” aggiunse abbandonando il tono arrabbiato per una sfumatura più dolce e velata di preoccupazione “Jin tu sei ferito………….stai perdendo sangue come una fontana!” disse poi allarmata vedendo l’asciugamano e i pantaloni dell’altro zuppi di sangue.

Luis  spinse la porta verso l’interno dell’appartamento per entrare e Jin troppo dolorante ed un tantino disorientato dalla perdita di sangue per resisterle la lasciò fare “Luis lascia stare, me la cavo da solo……….” Sussurrò poco convinto.

La ragazza che non era tipo da lasciarsi convincere da due parole lo spinse in dietro e richiuse la porta, “Si certo come no, lo vedo…….….vatti a sedere sul letto ci penso io a te”  e così dicendo si diresse in bagno recuperò un secondo asciugamano e la valigetta del pronto-soccorso che Jin teneva nell’armadietto sopra il lavandino; poi raggiunse l’amico che si era seduto cautamente sul  bordo inferiore del letto.

“Ma che ti hanno fatto? Jin…..guarda come ti hanno ridotto la faccia, per non parlare della mano ………” aggiunse notando le profonde ferite da escoriazione sul dorso della sinistra.

Kazama cominciava a vederci male dall’occhio destro che gli si stava chiudendo, a causa della botta ricevuta lo zigomo tumefatto si stava infatti gonfiando velocemente; Luis andò di nuovo in bagno e prese un terzo asciugamano poi aprì il frigo e con un coltello staccò alcuni pezzi di ghiaccio dal freezer, li mise nell’improvvisato sacchetto-ascugamano e poi lo piazzò senza troppi complimenti sull’occhio di Jin.

“AIHHH!” disse lui per il doloroso gelido contatto, afferrando il sacchetto per il ghiacci con la mano sana.

“Tienilo li per un po’ o avrai una melanzana nera domani al posto dell’occhio…” la ragazza spostò ora la sua attenzione sulla ferita al fianco, tolse l’asciugamano ormai zuppo di sangue e stese sul letto quello pulito che aveva preso lei.

“Ma tu guarda come ti hanno conciato quei tre dementi……..” disse arrabbiata pulendo con un lembo dell’asciugamano la ferita e poi premendo forte su di essa per fermare l’emorragia.

Jin mugolò appena quando premette con forza sulla ferita ma si trattenne ugualmente dall’ urlare di dolore“….Luis…….erano in sette non in tre….” disse piano.

“Non ti hanno poi fatto un granché se hai ancora voglia di scherzare Jin Kazama…….” Ridacchiò lei mentre prendeva ago e filo dal Kit di pronto-soccorso e dopo aver disinfettato sia gli strumenti che la ferita si disponeva a ricucirla; il ragazzo cercò di non muoversi mentre la sua amica gli rattoppava il buco; le punture di sutura dell’ago di Luis erano nulla in confronto a tutto il dolore che aveva patito sino ad allora; Jin strine i denti e non fiatò per tutto il tempo che occorse alla ragazza per concludere il lavoro.

“Non temere, sono abbastanza brava come crocerossina……..E non solo perché gioco spesso al dottore.……” disse la prostituta maliziosamente “Quando stavo ancora in Francia ho avuto un paio di ragazzi turbolenti…..e li ho dovuti ricucire più di una volta.” Gli strizzò l’occhio “Sono brava no?” concluse tagliando l’ultimo nodo di sutura.

“E questa è fatta ora fammi vedere la mano.” Jin più disponibile alla collaborazione ora che la perdita di sangue si era arrestata e il dolore era di molto calato le porse la mano, lasciando che si occupasse anche di quella ferita.

“Ecco fatto Boy! Come nuovo!” disse infine mentre gli chiudeva l’ultima fasciatura, lo guardò mentre provava a chiudere ed aprire la mano ed a muoversi con l’addome avvolto in fasce bianche di garza. “Allora come te le senti?” il giovane annuì.

“Bene!” Luis raccolse in fretta gli avanzi della medicazione e gli asciugamani sporchi di sangue rimettendo il tutto a posto; poi gli si sedette accanto sul bordo del letto nascondendo i piedi nudi sotto i glutei.

“Allora sentiamo che gli hai fatto, per farti ridurre così?”

Jin scosse la testa e si voltò dalla parte opposta a Luis usando il sacchetto del ghiaccio come scudo per non guardarla in viso.

“Niente……la solita storia lo sai……” mugugnò sottovoce senza voltarsi, il ragazzo odiava dover dare spiegazione, specialmente a Luis che si era sempre comportata con lui come una sorella maggiore iperprotettiva e Jin riteneva anche troppo invadente.

La Francesina dopotutto aveva solo tre anni più di lui, anche se probabilmente i ventiquattro anni di Luis erano stati vissuti tutti sulla strada, mentre lui aveva perlomeno avuto il conforto di una famiglia, l’affetto della madre Jun per i suoi primi anni di vita.

“Certo come no……vedo infatti….” Disse la ragazza colpendo delicatamente la fasciatura del suo paziente, Jin si voltò punto sul vivo e sulla ferita anche.

“Dovevo dei soldi  a Mhei va bene…….e..diamine!” imprecò poi  voltandosi di nuovo dall’altra parte alquanto scocciato“Ma perché dovrei darti delle spiegazioni!”

Luis scosse la testa, non c’era rimedio, quel giapponese aveva la testa dura come il granito e la prostituta sapeva anche perché; era forse una delle poche nel quartiere che conosceva il passato di Jin o almeno l’ ultima parte di esso…………………lei aveva seguito il torneo Tekken e quindi si ricordava bene di Jin Kazama, grande karateka e finalista sconfitto del torneo. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno ovviamente, aveva imparato a conoscere abbastanza il giovane per sapere che non glielo avrebbe mai perdonato e Luis credeva di capire questo suo comportamento masochista, sapeva quanto doveva essere dura per lui, piegarsi ai voleri di quei mafiosi da due soldi di Mhei-Cho e dei suoi; solo non si spiegava perché Jin volesse costringersi a quella tortura.

“Jin…….” Esordì dopo un lungo silenzio “Era il pedaggio dei Moli vero?”

Lui annuì, la ragazza roteò gli occhi al celo per sottolineare il suo disappunto e poi gli mise una mano sul braccio con fare consolatore “Jin se ti mancano dei soldi potrei farti un prestito io…..” lui le restituì esitante la carezza “Lascia stare, hanno preso quel che volevano e io sono sempre vivo……..” “Anche se poco intero…e completamente al verde.” Pensò amaramente “Non ho bisogno di soldi” mentì.

“Ma perché non vai a cercare lavoro verso il molo 12 o magari al 10. Nelle fabbriche di pesce surgelato gestite dalla Iakuza o nelle botteghe e nei bar degli italiani……. La zona dei moli dall’ 1 al 6 sono territorio Triade………………….……finirai col farti ammazzare se continui a……….”

Jin scosse la testa, tolse il ghiaccio dall’occhio e la guardò tristemente per un attimo, prima di voltarsi ancora dall’altra parte.

“Lascia stare Luis…..so cavarmela….e poi non credo che capiresti le mie ragioni………….”

Come poteva spiegarle che voleva evitare la Iakuza perché Mishima Heinaci suo nonno, era legato ad essa e magari lo avrebbe rintracciato se si metteva a bazzicare i moli gestiti dall’ organizzazione e lui non voleva incontrarlo, non in quello stato pietoso in cui si era ridotto. Come faceva a spiegare alla ragazza che si nascondeva li nei bassifondi della città solo perché aveva una paura matta di incontrare il RAGAZZO che amava……..e che quello stesso ragazzo adesso era il pupillo, l’erede di colui che odiava.

“Sai comincio a stancarmi di questa tiritera…….non hai fantasia per le scuse”

Jin rise piano “Anche Mhei-Cho me l’ ha detto.”

“Jin scusa io non volevo…….” La prostituta  si morse il labbro avrebbe voluto tirarlo su di morale con quella battuta ed invece riusciva solo ad avvilirlo ancora di più, scosse la testa e i suoi capelli rossi si mossero come le onde del mare. Jin non se ne accorse, era perso in cupi pensieri e stava crissando il pavimento come se fosse uno specchio rivelatore.

Luis si alzò dirigendosi alla porta, Jin esitò un attimo accorgendosi del movimento solo dopo che la ragazza giunse alla porta poi si alzò e la seguì; lei lo guardò malinconicamente mettendo una mano sulla maniglia. “Sai Spero proprio che –LEI- ne valga la pena………..”

Kazama si fermò impietrito a metà strada tra il letto e la porta d’ingresso “Cosa…” riuscì a dire sorpreso dopo un buon minuto di silenzio. Luis sorrise:

“Sai per accettare di farsi torturare così come fai tu, si può essere solo due cose:………….. “ lo guardava con un misto di divertimento e compassione “o sei masochista, e tu non mi sembri proprio il tipo. O si è perdutamente malati d’amore  un amore difficile a quel che mi par di capire………..”

Jin non sapeva che dire, rimase li impalato sorpreso che la sua amica se ne fosse accorta senza che lui ne facesse mai parola; arrossì un poco e la ragazza ridacchiò alla reazione d’imbarazzo. “Jin va da lei, dille quello che provi….restare per ore sotto le sue finestre non serve a nulla…..da come ti comporti sembra quasi che lei non sappia nemmeno che tu esisti…….”

“Luis la Lei di cui parli è in realtà un  Lui…..” questo avrebbe voluto dire il giovane Karateka, ma rimase in silenzio e si limitò ad accennare un –si- con la testa, per poi raggiungerla alla porta. Luis aprì e uscì con passo leggero dal miniappartamento di Jin, si voltò baciandosi la punta del dito indice e lo appoggiò sul naso del ragazzo che la seguiva.

“Dille quello che provi, o questo amore a senso unico ti distruggerà Jin……..se non è stupida capirà quanto sia grande e profondo e allora…….chi sa magari riesci a trasferisti lontano da qui………….. Buona Notte Fratellino…….Sogni d’oro”

Jin la guardò allontanarsi e scendere i primi gradini della scala “Luis…..” la chiamò sottovoce la giovane non si voltò ma rimase immobile sulle scale “Grazie……..”.

Quanto gli era costato dirlo, Luis alzò la mano destra e l’agitò in segno di saluto e sparì nel vano scale con quel suo passo leggero e ondeggiante che stregava tutti gli uomini.

Jin rientrò in casa e chiuse la cigolante porta alle sue spalle, appoggiandosi poi ad essa con la schiena nuda, rimase li per qualche tempo era stanco…………

Stanco di doversi nascondere agli uomini della Mishima Corp. da suo nonno, stanco di farsi sfottere da quattro teppisti della Triade e si sentiva umiliato nel profondo; era crollata a tal punto la sua autostima e la sua capacità di autocontrollo che persino Luis una ragazza come tante gli dava consigli su quel che doveva fare o dire.

Jin sorrise amaramente, il vecchio Kazama Jin non permetteva a nessuno di dargli consigli, di dirgli cosa fare………e se era per quello il vecchio Jin non aveva nemmeno amici o conoscenti, non si abbassava ad averne, troppo concentrato nel suo fine o sul suo desiderio di vendetta; quello stesso desiderio di vendetta che una volta lo aveva quasi ucciso.  Stancamente spense la luce dell’appartamento ed andò a letto sprofondando rapidamente nella braccia di morpheo che per Jin aveva il volto e le sembianze di un giovane coreano dai capelli rossi.