Nota: La storia è mia (non ci sono in giro tante altre capaci di tirar fuori una storia stramba come questa). Se non capite la fine (cosa del tutto giustificata) scrivete pure per chiedere chiarimenti. Naturalmente si accettano volentieri commenti (ma per favore non siate troppo spietati/e!).

Ci sono nel testo un po’ di parolacce ma non ho ritenuto fosse il caso di censurarle, se vi danno fastidio non leggete. 

P.S. per chi come me preferisce storie con una bella…va bè diciamo con rapporti sessuali, farà meglio a rinunciare (per essere chiari non scopa nessuno in questo racconto).

 

 


Robin Hood

di Giulia Alba

 

«Ehi, carino. Come ti chiami?»

“Uffa, che palle ci risiamo!

Ma cosa mangiano questi scemi? Testosterone a pranzo e cena?!

 Non lo sopporto; uno non può neanche avvicinarsi al bancone del bar che “puff” spuntano come funghi.”

 “Dev’essere colpa dell’alcool …o sono io che attiro gli idioti, non lo so”

Era la terza volta in mezz’ora che tentavano d’abbordarmi e mi ero proprio rotto.

 Svuotai il primo e l’ultimo bicchiere della serata.

Lo scemo di turno era rimasto lì a fissarmi il culo con un sorriso da ebete per tutto il tempo e visto che non me lo filavo, cercò di dimostrarmi quant’era fico.

 «Barista, porta qualcosa di forte per me e per il mio amico».

“Amico? Ecco che s’allarga.”

 “Va bè, ho capito; questo non me lo stacco più di dosso. Meglio darmela.”

Così mi allontanai facendo finta di non averlo sentito a causa della musica.

 Certo non perse tempo a disperarsi quel cretino.

Dopo avermi seguito con lo sguardo perplesso per qualche passo, come se si stesse chiedendo “Ma come ha fatto a resistermi?” (o forse sto sopravvalutando quell’idiota attribuendogli perfino la capacità di pensare), prese il bicchiere che era per me e provò a rimorchiare il tizio che si era appena seduto al mio posto.

 “Che stronzo! Poteva almeno aspettare che uscissi.”

Appena fuori fui investito da una ventata d’aria fredda.

 Nel locale faceva proprio un caldo insopportabile. Oppure era sembrato a me, visto che odio i posti chiusi e pieni di gente.

 “Non capisco proprio la gente che va sempre in questi locali. Io non resisterei.”

Quando guardai l’orologio mi prese un colpo; non era neanche mezza notte.

 Ero rimasto lì dentro poco più di mezz’ora.

“E di sicuro non ci tornerò mai più!” pensai “Mi dispiace solo di aver buttato i soldi. Tutta colpa di Daniele. Mi ha descritto quel locale come il paradiso in terra e invece è stato una vera cantonata.”

 Mi avviai per lo stradone illuminato dai lampioni verso la macchina.

Man mano che camminavo la fila di macchine in cerca di un parcheggio crescevano a vista d’occhio.

“Come al solito!Me ne vado sempre prima che cominci la festa. Almeno qualcuno sarà contento di trovare un posto libero”.

 

                                                                       ٭٭٭

 

«No, lasciami! Mi fai schifo, non mi toccare!...ti ho detto di toglierti dalle palle! Vattene!»

 «Dai non fare la verginella isterica!Cos’altro vuoi?! ti ho portato fuori, ti ho comprato anche un anello! E adesso vuoi farmi credere che non ci stai?»

 «Lasciami! Riprenditi pure questa patacca! Non sono mica una puttana io»

«A no? adesso lo vedremo se non sei una puttana! Nessuno può rifiutarsi di scopare con me»

Il suo tono era duro e aspro. Afferro il ragazzino per un braccio e lo strattonò verso il fossato lungo la strada.

«No!No! Lasciami! Lasciami! Ti prego, non voglio…Ahhh!»

Gli era arrivato un colpo sul viso che lo avrebbe sbalzato per terra se quella mano rude non avesse ripreso a strattonarlo verso il buio, lontano dalla strada.

 

٭٭٭

 

Sentii delle voci dall’altra parte della strada, sembravano quelle di due uomini.

 Pensai di farmi i cavoli miei.

Probabilmente erano due scemi già ubriachi che stavono per darsele.

 Mi stavo allontanando, quando un colpo secco mise a tacere le grida.

Mi voltai e vidi la figura più esile incespicare all’indietro per qualche secondo e poi lasciarsi trascinare avanti come un giocattolo rotto.

 Vista la mia reazione credo di essere stato una specie di Robin Hood qualche vita fa.

Infatti ero già pronto ad attraversare la strada e dare una lezione a quell’armadio ambulante, anche se una vocetta dentro di me provò a fermarmi “Non lo fare! Sei scemo? È pericoloso, quello lì è un energumeno! Ti ammazzerà di botte! Ti prego, pensaci bene, non fare lo spaccone…”

 Ma in un attimo ero già dall’altra parte. Sono sempre stato in dubbio sul confine fra coraggio e stupidità.

Mi diressi deciso verso loro due.

«Che sta succedendo?»

 L’armadio si voltò appena a guadarmi e ringhiò: «Fatti i cazzi tuoi».

Bè, non credo proprio che dopo quella giornataccia sarebbe bastato quel vocione a farmi battere in ritirata (anche se mi stavo letteralmente cagando sotto dalla paura).

«Come va, stai bene?» Chiesi al ragazzo. Da vicino mi resi conto che doveva avere più o meno la mia età anche se da lontano mi era sembrato più piccolo.

Sul suo viso si stava gonfiando un livido scuro.

 Non rispose, sembrava sotto shock. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi pieni di lacrime…

 

Per farla breve quando ho ripreso i sensi ero tutto un livido e, oltretutto, mi era anche sparito il portafoglio. Lo stronzetto col cavolo che mi ha aiutato se l’è subito data a gambe. Me la sono vista proprio brutta, ora che ci ripenso, potevo anche lasciarci la pelle.

 Tornando a casa pensai che il prossimo sabato sarebbe stato meglio restare a casa, casomai dando fuoco ai libri di favole di mia cugina.

 

Quando feci questa confessione a Marco, lui scoppio a ridere e disse: «Quindi tu non credi al principe azzurro perché una volta hai fatto una figura da idiota?»

 Feci finta di non essermela presa, anche se credo di essere diventato tutto rosso.

«Dai, non prendertela, povero Don Chisciotte! Ormai la cavalleria è morta!»

Stava per rimettersi a ridere ma lo fermai prima con un bacio.