Disclaimers: i personaggi
di Please Save My Earth non sono miei e non ci guadagno niente ad
utilizzarli (Scusami Hiwatari).
Rinascita
di Ljs
parte I
Si svegliò con la
piacevole consapevolezza di quel corpo di giunco accanto al suo, sorrise
reprimendo la voglia di allungarsi a baciargli la spalla contro cui aveva,
fino a pochi istanti prima poggiato la fronte. Mikuro dormiva, sentiva
contro il suo braccio lo stomaco che gli gorgogliava per la fame e dovette
di nuovo ripetersi di non ridere, di non fare movimenti bruschi che
l'avrebbero svegliato. Anche nel sonno manteneva quelle caratteristiche
che l'avevano reso caro al suo cuore. Era steso sulla schiena, dormiva
profondamente, la bocca socchiusa. Studiò per un attimo le sue labbra,
erano chiare, la linea sensuale anche se non erano né piene né dolci. La
pelle era screpolata, vi aveva passato un dito sopra quando si era
infilato nel suo letto ed era stato piacevole. Si mosse innervosito,
l'aveva disturbato, lo vide combattere per non svegliarsi, con una
concentrazione disperata
Non voleva svegliarsi, era l'unica cosa che aveva
chiaro, provò un odio irrazionale che gli fece irrigidire tutti i
muscoli. Aprì gli occhi furioso, Haruhiko arrossì facendosi di brace.
Mikuro parve sul punto di dire qualcosa di tremendo,
che l'avrebbe ferito a morte ma poi scoppiò semplicemente a ridere.
Haruhiko seppellì la testa sotto il piumone sentendo le lacrime che gli
pungevano gli occhi. Perché era così sensibile, perché non riusciva ad
essere forte?
Mikuro sbatte gli occhi un paio di volte per la luce
forte che invadeva la stanza. Era tutto così bianco lì dentro. In un
attacco di nostalgia aveva sistemato il materasso direttamente sul
pavimento, su alcune stuoie di giunco perché non scivolasse quando. Beh,
non era mai stato tranquillo in certe cose ma da quando c'era Haru non
poteva che definirsi scatenato! Sorrise, anche perché lui non poteva
vederlo. Avrebbe voluto essere molto più rilassato, avrebbe voluto dirgli
che il fatto che ricambiasse il suo amore non metteva nulla in
discussione. Ma non era così semplice, non poteva esserlo. Il loro amore
non poteva essere convenzionale, in nessun senso. C'era troppa luce!
Desiderò che le tende nascondessero un po' la stanza al sole e così fu,
come sempre. Haru riapparve da sotto le coperte, aveva gli occhi rossi
-Scusa non volevo svegliarti
Si tirò indietro i capelli sbuffando: forse avrebbe
dovuto tagliarli
-Ti scusi sempre per cose assurde. Ho fame voglio
qualcosa di buono da mangiare!- Si tese a sfiorargli la fronte con un
bacio. Che voglia di ricominciare ad amarlo... si chiese di nuovo se fosse
sano, tutto quel desiderio, quella voglia. Uscì dal caldo avvolgente del
piumone con un certo rammarico, quel caldo l'avevano creato insieme, il
suo corpo e quello di Haru vicini. La notte prima l'aveva fatto volare via
dopo aver preso Haru, i corpi bollenti come appena usciti da una fornace,
erano rimasti stesi vicini, uno a fianco all'altro a disegnare due linee
parallele scure contro il candore. Aveva sentito i loro respiri quietarsi
quasi all'unisono e il gemito soffocato di Haru quando si era messo sul
fianco
-Ogni volta che esci da me ho come l'impressione che ti
porti via una parte del mio corpo. -
Non aveva detto nulla, si alzò senza mostrare alcun
pudore nei confronti della propria nudità
Passò dalla cucina per mettere sul fornello la
caffettiera e un po' d'acqua. Haru odiava il suo caffè, guardò la sua
collezione di tè sulla mensola della cucina e sospirò. Ormai
convivevano, e la cosa lo stupiva, non era il suo scopo, non il primo. Fin
da quando aveva visto Haru ne era rimasto colpito, la sua bellezza era
assurda, non gli era passato mai per la testa di vederlo come una
"ragazza", e non aveva mai pensato ad una persona del suo stesso
sesso con desiderio. Con Haru le cose erano andate diversamente. Gli
avevano parlato di lui, del fatto che era anche lui era un esper, ma
pareva non essere in grado di usare i suoi poteri, o meglio non sapeva
qual'era il prezzo per i suoi poteri. Si era sentito in dovere di
raggiungerlo, di avvisarlo. Lo aveva incontrato in un acquario, di spalle
gli aveva dato l'impressione di una persona estremamente triste,
estremamente seria. Fissava i pesci al di là del vetro ma pareva in realtà
fissare se stesso; nella divisa scolastica gli era apparso come
giovanissimo, molto più dei suoi sedici anni. Al momento l'aveva solo
stupito: la sua carnagione simile alla cannella, la serietà e la
tristezza dei suoi occhi. Era esotico, gli era venuto naturale sorridergli
e si era sorpreso scoprendosi imbarazzato. Non era riuscito a inventarsi
nulla di decente per giustificare la sua presenza e gli aveva consegnato
il suo messaggio senza una spiegazione. Dopo aveva scoperto di averlo
spaventato, di averlo spinto a commettere una sciocchezza dietro l'altra
mettendolo in pericolo, lui e se stesso e i loro amici.
Allora sapeva qualcosa di lui, del tempo lunghissimo
che aveva passato in ospedale per i suoi problemi cardiaci, di come avesse
lottato per uscirne, del suo desiderio di vivere. Suo fratello, in fondo,
diceva che era da quello che avevano origine il potere esp, da un inusuale
attaccamento alla vita. E sapeva che altro non era che la reincarnazione
di un alieno vissuto sulla luna, finito in un intricato rapporto con altri
sei ragazzi che vivevano la sua stessa esperienza, come lui imprigionati
tra passato e futuro. Ma allora ancora non sapeva quanto era importante
quell'incontro. Ma ancora non lo guardava con occhi diversi, ancora non
andava oltre la semplice curiosità. Poi c'era stato lo scontro con Shion
e la lunga convalescenza che Haruhiko aveva passato a casa sua. Erano
entrambi feriti, e con un sacco di tempo a disposizione, Mikuro si
ripeteva che andava da Haruhiko per capire, per conoscere meglio la
situazione ed affrontarla. Non perché era incantato dalla sua voce pacata
e tranquilla. Non perché era affascinato dal corpo sottile e perfetto che
intravedeva tra vesti e bende. Non perché sentiva affiorare un desiderio
sconosciuto eppur riconoscibile e ne era affascinato. Se lo cullava con
cura quel desiderio, perché era inedito e bello, e non era ancora pronto
a condividerlo, nemmeno con Haru.
E poi perché gli pareva giusto iniziare con le parole,
Haru portava in sé il ricordo dell'altro uomo, l'alieno venuto da un
mondo lontano, un mondo distrutto dalla guerra. Haru era "anche"
quell'uomo, un uomo capace, per vendetta, di condannare un altro uomo, che
chiamava amico, alla solitudine, all'inedia tra i cadaveri dei compagni,
alla follia. Haru portava dentro di se il senso di colpa di quel peccato,
se ne avvolgeva come un manto, lo nutriva di dolore e lacrime. Ripeteva
che tutta la sofferenza era giusta e che mai sarebbe riuscito ad espiare.
Mikuro era furioso. Era furioso con Haruhiko per come sembrava voler
sprecare la sua vita nel rimorso. Sembrava in realtà provare uno strano
piacere nel soffrire. ma allora era troppo facile criticare e lui era
giovane. come cambiavano le cose in cinque anni
-Mikuro?
Si voltò e lo guardò interrogativo. Haru era già
vestito, un maglione indaco e un paio di pantaloni chiari, pareva
estremamente imbarazzato
-Che c'è?
Era arrossito, e lui lo fissava incantato, avrebbe
voluto riempirsi le mani con il suo viso, fargli chiudere gli occhi e
baciarli dolcemente
-Eri distante.
Eccolo di nuovo
-Non pretendere da me qualcosa che non posso darti.
Gli venne in mente di nuovo quella frase, chissà dove
l'aveva letta ".non staccare i tuoi occhi da me." Quello gli
chiedeva Haru, sempre
Rise cercando di mascherare l'imbarazzo
- Hai ragione, ma la mattina è il momento più
difficile, davvero, torniamo alla realtà.- si voltò guardando fuori il
paesaggio innevato -Ora vai a prepararti, preparo io la colazione. non
avevi fame? -
Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, che in realtà
avrebbe potuto gridare al mondo che lo amava, che avrebbero potuto
passeggiare mano nella mano ovunque, in ogni momento e guardarsi fisso
negli occhi, e baciarsi all'infinito con gli sguardi di chiunque addosso;
che sul serio non era importante, era convinto che sua madre avrebbe
capito ma non pensava che fosse altrettanto facile per la famiglia
di Haru. ma non era poi nemmeno quello. Doveva essere Haru a decidersi, a
raccogliere abbastanza forza da fare quel passo. Lui subiva tutto
passivamente, all'inizio aveva pensato che quella che sentiva era
antipatia, per quel suo subire continuo. L'aveva baciato in pubblico e non
una sola volta, dove nessuno li conosceva.
L'estate prima in Grecia.
Avevano fatto una lunga pedalata lungo la strada
battuta dal sole che si inerpicava su per quel monte cosparso dei resti
una civiltà che affascinava entrambi. Il sole caldo sulla testa che
rendeva rovente l'aria. Ricordava il cielo di un azzurro che rendeva
irreale tutto il resto. Si era legato un fazzoletto rosso in testa per
proteggersi e impedire al sudore di finirgli negli occhi. Ogni tanto la
strada correva a strapiombo sul mare e l'aria si faceva più fresca,
profumata. Lungo i bordi crescevano rododendri scarlatti e bianchi, si
voltava e scopriva Haru che si affannava spingendo concentrato sui pedali
-Avanti Ranocchio!- lo richiamava scoppiando a ridere
di fronte ad un rossore che solo lui poteva capire
Haru non si era lamentato, l'aveva seguito rassegnato,
odiava quel genere di cose. Erano anni che il suo cuore non gli dava
problemi ma si erano fermati comunque quando la salita si era fatta
davvero impegnativa
-Guarda che ce la faccio.- replicava mentre riprendeva
fiato a fatica.
Avevano abbandonato le bici contro i rododendri e si
erano sistemati all'ombra di alcuni ulivi. Si erano seduti vicini, in modo
da poter vedere il mare che scintillava tra i tronchi
-Non mi interessa arrivare in cima, Haru
-Ci deve essere uno spettacolo fenomenale da lassù,
credo che si veda il paese. e quel tempio di cui abbiamo sentito parlare.
Si era interrotto quando l'aveva visto sfilarsi la
maglietta candida, resa trasparente per il sudore. Aveva sentito il suo
sguardo agganciato alle sue spalle, ai muscoli che guizzavano sulla sua
schiena. Mikuro aveva sentito il suo desiderio sul punto di esplodere,
sarebbe stato bello prenderlo lì sotto quel cielo ma non si era mosso.
Aveva chiuso gli occhi, sperando che Haru allungasse una mano verso di
lui, cedesse al proprio di desiderio, ma nulla, era rimasto lì a fissarlo
col fiato ancora mozzo. Allora si era voltato, l'aveva guardato
attentamente, si impresso nella mente le labbra dischiuse, gli occhi
spalancati. Avrebbe voluto tanto affogarci dentro a quegli occhi.
-Ora vieni qui
Aveva sperato ancora, una carezza, un bacio. Ma Haru si
era fermato ad un passo e si era limitato a sollevare un poco gli occhi
per non perdersi il desiderio che vi vedeva riflesso
Mikuro si era arreso con un sospiro, si era chinato un
poco e aveva posato le mani sui suoi fianchi. L'aveva baciato, lentamente,
con calma. Aveva passato la lingua sul contorno delle labbra per
assaporare il loro sapore di sale, poi l'aveva baciato, una due, tre
volte, si era soffermato solo allora, aveva forzato un poco la bocca di Haru
trovandola cedevole e l'aveva esplorata come se cercasse qualcosa. E
l'aveva trovata: la pace. Il desiderio si era assopito, in quel bacio, in
quel caldo assurdo. Haru aveva appoggiato le mani sul suo petto. Lo faceva
sempre.
-E per sentire il tuo cuore- gli aveva confidato una
volta- almeno sono certo che non è un sogno.
Si chiedeva allora come poteva pensare che lui non
l'amasse, era perché non voleva. Haruhiko non tollerava che qualcuno lo
amasse. Tutto lì. Come poteva altrimenti ignorare quello che il suo cuore
urlava in quel momento, la gioia che lo faceva battere tanto rapido da
fargli temere l'avrebbe stroncato?
Si era staccato e aveva visto i due ragazzi fermi sul
ciglio della strada. Haru si era voltato e per poco non lo faceva cadere:
era saltato indietro travolgendolo. Per un attimo aveva temuto che si
sarebbe teletrasportato. Salivano a piedi verso la cima portando con se
piccole borse e due enormi casse assicurate sulle spalle. Mikuro li guardò
incuriosito aspettandosi di tutto, non aveva paura: se tentavano di fare
del male ad Haru sarebbero spariti e amen per le bici. Ma era un timore
infondato, avevano ripreso a salire dopo essersi scambiati un paio di
frasi che la distanza gli impedì di sentire. Qualcosa nel loro
atteggiamento, nella vicinanza delle loro teste quando si erano scambiati
quelle poche parole gli trasmise una profonda intimità. Senti tutta la
tensione sciogliersi, erano giovani quanto loro, se non di più, e non li
avevano fatto del male ne tanto meno scherniti. Forse perché capivano
quello che stavano vivendo, quella passione pazzesca, più forte di ogni
regola imposta. Haru ora gli era semplicemente appoggiato contro di lui,
sembrava tranquillo. Desiderò essere a casa.
Entrò in doccia ripensando con una certa malinconia a
quella vacanza, forse avrebbero potuto tornarci quell'estate, ma forse era
meglio pensare ad una nuova meta. L'Italia ad Haru sarebbe piaciuta,
avrebbero passeggiato per quelle strade antiche alla ricerca di bellezza e
lui si sarebbe stupito a cercare in ogni statua ed in ogni quadro un
richiamo alla loro storia, un tratto di quel corpo che gli camminava
accanto sorpreso che il marmo avesse la stessa capacita della carne di
turbarlo.
Chiuse il getto bollente e si avvolse nella spugna
morbida dell'accappatoio. Si pettinò i capelli all'indietro spiandosi
allo specchio. Forse era ora di farsi la barba.
-Che c'è Haru?- gli chiese attraverso lo specchio
- No, è pronto, ho fatto le frittelle ma si stanno
freddando -
Notò il suo sguardo, come spiava il suo corpo tra le
pieghe della spugna: sorrise tremendo. Si voltò appoggiandosi al
lavandino: non si era asciugato e le gocce d'acqua erano ancora impegnate
a trovarsi un appiglio sicuro o a rotolare giù lungo il suo petto. Haru
le seguiva incantato. I pantaloni non nascondevano il desiderio, avrebbe
dovuto addestrare il suo corpo ad essere più ubbidiente e discreto. Gli
tese la mano invitandolo ad entrare nella piccola stanza
-Cosa?.
Non gli diede tempo, si genuflesse rapidamente
spingendolo contro la lavatrice in modo che si trovasse bloccato tra
l'elettrodomestico e il suo corpo
-Mikuro... no!- ma non distoglieva gli occhi dalle sue
mani trattenendo il fiato. Lo osservava mentre slacciava rapido la sua
cintura e slacciava i pantaloni strattonandoglieli fino alle ginocchia.
-Non mi sembra che il tuo corpo non mi voglia.- gli
sussurrò prima di assaggiarlo, di mangiarlo piano piano, gustando ogni
gemito, ogni più piccolo sussulto
-Ti prego, ti prego. - Haru non faceva che ripeterlo,
all'infinito, le mani strette a pugno, seppellite nella spugna che copriva
le sue spalle, le gambe divaricate quel tanto che concedevano i pantaloni,
i muscoli del corpo che si tendevano in spasmi improvvisi come se il
piacere arrivasse ad onde, lo sommergesse e lo lasciasse per un attimo
quieto per poi sorprenderlo di nuovo. Gli piaceva quel corpo. Tanto. Gli
piaceva il suo colore tanto simile al miele, quando è naturale, liquido e
colmo di promesse di una dolcezza infondo un po' amara. Gli piaceva il
calore della sua pelle, la compattezza serica, la dolcezza che si
irrigidiva nel piacere in forme più decise, inaspettate in quel corpo da
efebo. Vi faceva scorrere le mani ora che gli donava piacere, ad occhi
chiusi in modo che ogni graffio, ogni ecchimosi che riusciva ad avvertire
gli parlasse di loro, della passione e dell'amore che li aveva legati. Haruhiko
venne tra le sue labbra soffocando un grido, stringendo la spugna come se
avesse provato dolore. Si scostò quel tanto che gli permettesse di
accasciarsi tra le sua braccia. Si raggomitolò come un bambino,
nascondendogli il volto. Lo cullò accarezzandogli il capo aspettando
paziente che il suo corpo tornasse alla ragione. Avrebbe voluto
sommergerlo di parole, digli che lo amava, tanto. Che quello che in realtà
sentiva quando posava le mani sul suo petto era sì il suo cuore ma non
era un battito, era una frase quella:
-Ti amo Haruhiko, ti amo tanto da darti quello che mi
chiedi -
Così non disse nulla, sentendolo ora tranquillo si alzò
senza una parola ma con un sorriso che poteva essere di scherno
-Va meglio ora?
Haru arrossì, fece per alzarsi ma i pantaloni lo
rendevano impacciato quanto il suo imbarazzo, ripiombò giù con un mezzo
tonfo
Mikuro scoppiò a ridere
-Sei un pastrugno!
L'aiutò a rimettersi in piedi ma senza dolcezza
continuando a ridere. Era meglio non sbilanciarsi troppo
Si allacciò l'accappatoio dirigendosi verso la cucina
senza aspettarlo
-Ora ho proprio fame.
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