I personaggi di Dragon Ball, Slam Dunk e Tenku No Escaflowne
sono © dei loro rispettivi autori. Nessun scopo di lucro.
Red Passion
parte II
di Folken
Sono le tre di notte.
Non riesco a dormire,
nonostante abbia preso anche una tazza di camomilla calda.
Insomma, in realtà sono
rimasto pentito ad aver risposto a quel modo al messaggio di Sendo.
Non ci ho pensato su
immediatamente, ma mi sarebbe piaciuto fargli una visita per una <sveltina>.
Sicuramente ero troppo
... troppo raggiante e spensierato per questa serata piacevole, e troppo
stanco per avere subito un altro rapporto sessuale.
Ma adesso, a pensare a
quel ragazzo che mi stava aspettando sdraiato sul letto, coperto solo dal
suo accappatoio, e con un calice di champagne tra le mani ...
Ogni persona avrebbe
avuto un tremito, una voglia impellente di cambiare idea.
Chissà se è ancora
sveglio?
Probabilmente, e da
quello che mi ha raccontato lui e Fanel, spettegolando un poco sul suo
conto, e un grandissimo dongiovanni, capace di farsi uomini e donne senza
problemi.
Chissà, probabilmente in
questo istante si starà occupando di una verginella pudica e incapace ...
Questo pensiero mi da
fastidio. Non ne comprendo la spiegazione, ma da quando ci sono andato a
letto è come se lo consideri di mia proprietà assoluta.
Cosa che non mi è mai
successa nei rapporti tra me e i miei clienti.
Una notte e via, ognuno
alle proprie occupazioni e ai proprio piaceri.
Ma con lui è ... in
qualche assurdo e incomprensibile modo diverso.
Lo sento vicino a me, più
di chiunque altro lo sia mai stato.
E’ ovvio che io mi
sbagli. Lo conosco da così poco, come può essermi così affezionato?
Prendo la cornetta del
mio telefono, che luccica nella notte.
Compongo il numero del
suo cellulare.
Perfetto, è acceso.
Dio, sono caduto in uno
stato d’ansia da cui mi è negato uscire.
Finché non lo sento
tremare contro di me nell’istante supremo ...
Il sollevarsi della
cornetta dall’altra parte, e poi un farfuglio piuttosto roco e intenso.
“P-pronto?”
“Akira? ... Sono
Hanamichi ...”
Rimane in silenzio per un
attimo. Ho quasi paura che abbia dovuto interrompere qualcosa.
“Hanamichi?! Rosso, sono
le tre di notte! Che ti prende?!”
Sospiro di sollievo.
Stava dormendo ...
“Io ... in realtà avrei
voglia di *vederti* . Capisci cosa intendo? Insomma, sempre se non sono un
disturbo ...”
Ancora silenzio. La sua
voce mi giunge impastata e un po’ precipitosa.
“No, no ... niente
affatto. Vuoi che venga io da te?”
“Ecco ... no. Ho cambiato
idea, scusami. Ormai è tardi, io ... ci vediamo domani notte, come
d’accordo?”
“Va’ che sei strano.
D’accordo, notte” grugnisce, poi la linea torna libera.
Anche io metto giù il
telefono, senza capire cosa l’ho chiamato a fare ...
Stava dormendo, e ho
voluto disturbarlo con le mie paranoie.
Forse è in arrivo uno dei
miei soliti attacchi depressivi?! Volevo solo sentire se stava bene ...
volevo solo sentire se stava dormendo.
Mi rannicchio sotto le
coperte.
Accidenti, come vorrei
che le cose che mi hanno rivelato sul suo conto fossero false, che in realtà
quando fa sesso con qualcuno non pensa ad altri o altre.
Pretendo troppo forse.
Sono davvero egoista.
In fondo, io sono solo un
accompagnatore, come posso pretendere che tutti siano al mio servizio?!
Semmai dovrebbe essere il contrario.
In poche parole decidono
gli altri per me. E’ sempre stato così, fin da quando ero piccolo. Papà mi
obbligava a prendere lezioni di pianoforte, e io ero schiavo delle sue
decisioni e dei suoi divieti, che non potevo trasgredire.
Mamma invece cercava
sempre di concedermi quella libertà che serviva ai bambini a crescere, e se
non fosse stato per lei, chissà cosa ne sarebbe stato di me.
Forse adesso sarei un
ragazzo chiuso e silenzioso, che vive soltanto per suonare e comporre nuove
opere brulicanti di note armoniose.
Sarebbe stata certamente
una vita squallida, essere alla mercé di uno strumento e non conoscere nulla
del mondo esterno, non conoscere gente, non avere amici.
Mi sarei rovinato
l’esistenza ...
Chissà, forse ora il mio
aspetto sarebbe in qualche modo diverso, e mi sarei chiuso in me stesso così
tanto che nessuno avrebbe farmi mai potuto diventare come sono ora.
Probabilmente nemmeno un
sorriso di gioia sarebbe mai apparso sul mio viso ...
Questo pensiero mi fa
diventare triste. Forse perché, senza farlo apposta, mi sono paragonato a
Kaede.
Anche lui è sempre stato
chiuso, e un giorno ho scoperto, ciarlando con sua madre in attesa del suo
ritorno a casa, che lui non era sempre stato così.
Era appassito e avvizzito
come una rosa senz’acqua da quando sua nonna materna era morta di vecchiaia.
Dalle foto che vidi e
dalle testimonianze della sua bellissima mamma, seppi che era spensierato da
cucciolo, allegro e sempre sorridente. Soprattutto quando era in compagnia
di sua nonna.
Lei a quanto pare gli
faceva sempre regali, lo viziava, gli raccontava le storie della sua
gioventù, e lo accompagnava sempre in riva al mare per giocare con lui.
Ma quando se ne andò, una
ferita indelebile si marcò sul cuore del mio amico, e non si rimarginò mai.
Ne risente ancora adesso ...
Me lo dico spesso. Devo
essere grato di ciò che la vita mi ha offerto.
La vita, questo regalo
che per noi uomini è una dolce pena così lunga da scontare, ma che per quel
creatore che dicono ce l’abbia donata equivale a un battito di ciglia ...
Questa vita che io
trascorro nel mio meglio, visto che è importante e unica, mi ha elargito un
passato dal sapore dolce ed aspro, come quello del sangue, fatto di dolcezza
e imposizioni.
Il mio presente, è il
massimo che io posso costruire con le mie mani.
E lo faccio per
condizionarmi il futuro, che è ormai prossimo.
Me lo dico spesso. Devo
essere grato di aver avuto due genitori che mi hanno voluto bene, e che sono
certo me ne vogliono ancora adesso ...
Infilo la mano da sotto
il cuscino, ed estraggo una cornice in legno dove è esposta la fotografia
della mia famiglia.
E’ stata scattata tanti
anni fa, quando io andavo appena alle elementari.
Lo sfondo è bellissimo.
Una giornata di primavera, sotto un pesco dalla quercia enorme e forte.
Siamo seduti a terra.
Io sono in braccio a
mamma, e rido davvero con gioia. Mia mamma sorride, è felice. I segni della
sua malattia non erano ancora così evidenti. Papà è sereno, mentre stringe
in un abbraccio accennato me e la mamma.
Una stretta al cuore
quando penso che tutto questo non c’è più ...
Una stretta al cuore
quando penso alla voce della mamma.
Una stretta al cuore
all’odore di fumo di papà.
Una stretta al cuore che
mi soffoca e mi anima la voglia di piangere ...
Siamo a domenica.
Fortunatamente la
settimana è passata in fretta, e gli allenamenti li ho sempre saltati per il
lavoro.
Non so come mai, ma
questo sembra il periodo più pieno dell’anno di richieste.
Ricevo persino diciotto
telefonate al giorno – le ho contate! E la mia casella delle mail rischia di
esplodere perché è troppo piena.
Sono davvero indaffarato,
e le energie davvero non mi bastano più ...
A volte sono costretto a
prendere dei ricostituenti, delle vitamine, e a volte è anche inutile.
Mi intacca una voglia di
dormire così forte che mi impedisce persino di fare le cose più semplici.
Ma c’è Fanel, ogni
mattina a farmi passare questa malavoglia.
Ogni santo giorno si è
preso l’impegno di venire a chiamarmi al mattino, e quando sono in ritardo,
anche di un quarto d’ora, mi aspetta.
Non so perché lo fa,
niente gli impedirebbe di mollarmi qui per andarsene a scuola, come farei io
se mi succedesse lo stesso, e invece mi aspetta.
Sempre, fino a oggi ha
mantenuto la sua promessa.
Durante il tragitto –
purtroppo corto – che facciamo per andare a scuola, parliamo molto.
Ci siamo conosciuti
meglio, e io sono certo di aver trovato un amico insostituibile.
Oggi abbiamo anche deciso
di fare un’uscita a <quattro>.
Saremo noi due, la
volpaccia e il porcospino.
Quando me l’ha proposto,
in realtà ho titubato.
Io, il grande basketman
Sakuragi che tentenna per un uscita.
Roba da pazzi, direte
voi, ma in realtà le cose si sono modellate molto peggio di ciò che si
pensa.
E’ una settimana che io
vado a casa di Sendo, offrendogli gratuitamente le mia prestazioni sessuali.
E la cosa mi spaventa,
non per il fatto del denaro, ma perché ... non riesco più a dirgli di no.
Anzi, sono io che a volte lo coinvolgo in una notte di sesso.
Quando lo vedo, quando lo
sento per telefono, quando ne aspiro il suo odore ...
Io perdo la testa.
Mi prende la voglia
irrefrenabile di scoparlo e immancabilmente, anche se cerchiamo di chiarire,
finiamo a letto.
Ho paura, non ho mai
avuto una simile esperienza.
Un attaccamento tale
verso un ragazzo con cui sono in buoni rapporti.
Più ci penso, e più mi
sembra inutile trovare una soluzione, che tra l’altro è inesistente.
Mi riempio di buoni
propositi di parlargli di ciò che stiamo condividendo, delle emozioni che mi
sovrastano quando sono con lui, e puntualmente, incontrando i suoi occhi, mi
sciolgo all’istante.
L’amore non esiste, ne
sono convinto.
Allora, perché tutto
questo?
E’ già tardi. Fra poco
passa Kaede e insieme dobbiamo andare in centro. Abbiamo optato per un
cinema, e poi si passa in un Mc o da Burghy’s.
E’ da tanto che non
mangio in un negozio come quelli, e devo ammettere che mi mancano le
patatine ultra- fritte che ti gonfiano il fegato il doppio.
Ci andavo spesso quando
ero un adolescente, e ricordo che cercavo di fare a gara con i miei compagni
a chi mangiava di più. E poi, a casa, rimettevo ...
Quante sgridate di mio
padre, quante le preoccupazioni di mia madre ...!
Ecco, ormai sono pronto.
Ho su un paio di
pantaloni classici neri, una maglietta aderente nera e un maglione a collo
largo color crema.
Immancabili sono le
scarpe da tennis. E’ inutile, non riuscirei a indossare nient’altro!
Indosso la giacca,
afferro le chiavi di casa ed il cellulare ed esco.
Kaede è appena arrivato
quando apro il cancello d’entrata.
Sembra un poco seccato di
venire, ma non più di tanto.
“Miracolo. Sei già pronto
...” mi punzecchia con uno sguardo ironico
“Che vorresti dire,
scusa?!”
Insieme lasciamo casa mia
e ci dirigiamo all’interno della nostra bella città, che oggi brulica di
gente.
E’ splendido passeggiare
per me in mezzo a così tante persone, vedere come sono tutte differenti tra
di loro.
Passiamo accanto ad un
gruppo di alternativi. Devo dire che questo modo di vestire e di pensare si
sta diffondendo rapidamente, e anche io sono attirato da loro.
Insomma, quando li vedo
mi sembrano completamente avvolti da una spirale di nebbia che li confina
dalla realtà. Sono quasi come immersi in un mondo loro che possono modellare
come argilla nelle loro mani ...
I loro abiti danno l’idea
di buio e tenebra, così come le loro pettinature strane e bizzarre.
Chissà se mi capiterà un
giorno di vedere anche Fanel vestito così ...
Li osservo per un
istante, ammirato, mentre io e Kaede ci immergiamo nella folla, diretti
davanti al cinema che si trova in fondo alla strada.
“A quanto pare siamo noi
quelli in ritardo ...” brontola il mio taciturno amico indicando con un
cenno del capo le due figure in fila per entrare.
Sendo si guarda attorno,
con il suo solito sorriso stampato in faccia, e sembra quasi che si illumini
tutto quando ci vede.
Cioè, diciamo quando vede
ME.
La sua passione per il
sottoscritto sembra aumenti di giorno in giorno ...
E anche io non posso fare
a meno di stupirmi il modo in cui il suo odore mi stordisca alla vicinanza,
e il pensare a lui in modo direi osceno mi lasci a dir poco allibito ...
“Ehi, siete arrivati
giusto in tempo! Questi sono i biglietti. I soldi ce li darete indietro più
tardi, okay?” esclama tutto contento Akira, con un sorriso enorme,
porgendoci due pezzettini di carta patinata.
Andare al cinema mi ha
sempre messo l’ansia.
Non so, forse
l’eccitazione per vedere un film nuovo che mi ha sempre attirato, la
felicità per essere insieme ai miei amici, l’euforia per la giornata che si
prospetta ...
Ma oggi è diverso.
Scegliamo i posti in
platea, quelli più in alto possibile. Almeno potremo vedere bene lo schermo
enorme che mi si allarga davanti.
Sendo è al mio fianco.
Vicino a lui c’è Kaede, poi Fanel.
Oggi mi sembra ancora più
speciale del solito.
E’ questa mia impressione
che mi convince sempre più: ogni volta che lo rivedo mi sembra sempre più
bello e magico ...
Lo guardo di nascosto.
Mi ritrovo sempre a
guardarlo, in qualsiasi modo, e mi ritrovo affascinato dai suoi movimenti,
dai suoi lineamenti, dal suo sorriso raro...
Ha su degli stretti
pantaloni in cuoio lucidi, che gli fasciano sensualmente le lunghe gambe
snelle. I soliti anfibi rovinati, e un maglione scuro. Proprio dark, oggi
...
“Sapete, pare che questo
ultimo film di Jhonny Deep, abbia riscosso piuttosto successo in America.
Chissà come sarà ...!” ci svela pensieroso il mio amico, dopo aver
incrociato le braccia ed essere sprofondato nella poltroncina blu.
Si, si ... fa tanto il
saccente, ma io so come andrà a finire. Durante il film – i primi cinque
minuti, mediamente – gli verrà l’abbiocco e si accascerà addormentato sulla
sedia. Che sagoma!
Ecco, sta iniziando. Il
brusio iniziale che riempiva la sala piena si calma fino a scomparire, e il
proiettore parte, mandando le prime immagini.
Il tempo passa, e i
minuti sembrano così lunghi da sembrare ore ...
Non mi accorgo di dove
siamo arrivati, probabilmente ancora al primo tempo mentre io mi sto
visibilmente annoiando.
Questi americani hanno
proprio gusti PESSIMI in fatto di film, accidenti ... peggio di una tragedia
greca!
Improvvisamente avverto
una mano calda che scivola sul mio ginocchio.
I miei occhi si spostano
su Sendo, che si è spinto un poco di più contro il sedile, e il suo viso ha
assunto un’aria maliziosa e seria.
La sua mano risale
lentamente lungo la mia coscia, strofinandosi contro i pantaloni.
Sento un brivido lungo la
colonna vertebrale, e dopo esserci guardati reciprocamente in faccia, ci
alziamo in piedi.
Velocemente ci scusiamo e
ci dirigiamo a passo spedito verso i bagni.
Inesorabilmente, mentre
ci chiudiamo dentro e ci baciamo appassionatamente, capisco che io non posso
più farne a meno di questo contatto.
Che ho bisogno di
perdermi, almeno una volta al giorno in quel bianco che mi sorprende mentre
sono al culmine, e che riesco davvero a provare quando sono con lui.
Che ho bisogno di
rifugiarmi nell’incoscienza per sfuggire dalla realtà opprimente ...
Sto uscendo in strada.
Fa freddo. Ormai siamo a
dicembre, e mancano più o meno tre settimane a natale.
Oddio, in realtà il
Natale per me non significa molto, come per la maggior parte dei giapponesi.
Non la consideriamo una
festa religiosa, ma solo rappresentativa, dove ci si scambiano regali, e
dove si sta tutti assieme per un giorno felice.
Ricordo che mi svegliavo
sempre prestissimo il mattino del venticinque dicembre, e correvo in sala
dove era addobbato un bellissimo, splendente albero di Natale che mi
sembrava enorme come non mai da bambino, e sotto di lui una montagna di
pacchi grandi e piccoli colorati, sfavillanti e decorati ...
E poi, la nostra famiglia
si riuniva tutta assieme e mangiavamo nella sala di casa nostra, con il
pranzo cucinato dalle nonne e dalla mia mamma.
Ero davvero felice quando
ero un bambino, e spesso vorrei tanto tornare indietro per essere ancora
maternamente coccolato da chi mi è sempre stato accanto ...
Ora non mi capita più
un’esperienza simile.
Il lavoro è sempre
frenetico, e passo le mie giornate tra scuola, allenamento e notti di sesso.
La maggior parte delle
volte, però, mi vedo costretto a rinunciare a molte richieste delle persone
che mi chiamano per lasciarmi andare alle richieste insistenti di Akira.
Ormai ho rinunciato a
comprendere il perché venga attratto così tanto dal suo charme, e del
perché, puntualmente, quando decido di mettere fine a questa storia, io mi
ritrovi nel letto di un albergo a ore a gemere senza controllo sotto lui.
Si, un albergo a ore.
Ormai i suoi genitori sono tornati, e sembra non si preoccupino affatto
delle sue uscite notturne.
In realtà a lui non
gliene importa niente, gli basta solamente ricevere la sua paga settimanale
per comprarsi ciò che vuole.
Osservo distrattamente la
condensa che il mio fiato crea a contatto con l’aria ghiacciata. Mi sto
dirigendo nell’ennesimo hotel, per soddisfare l’ennesimo cliente.
Lo zaino che mi porto in
spalla è leggero, e camminare di sera non mi da particolarmente fastidio.
Finalmente mi ritrovo
davanti al cancello d’entrata dell’edificio, e all’interno vengo accolto dal
caldo del riscaldamento.
Immediatamente, un uomo
mi viene incontro.
Ha uno sguardo cupo.
Cioè, non aggrottato, ma in qualche modo mi intimorisce.
E’ vestito in nero. I
suoi occhi sono neri.
“Sakuragi? Andiamo. Ho
poco tempo” mi apostrofa con un leggero sorriso amaro.
“Ti avverto, io non
faccio mai le cose di fretta ...” sussurro ormai al suo fianco, sfiorandogli
casualmente il braccio coperto dal pesante e grezzo giaccone scuro.
Mi sento inquieto. Ho
sempre avuto una percezione per i guai, e a volte sono riuscito a sviarli. E
sono certo che adesso c’è qualcosa che non va ...
Siamo in camera. E’
bella, molto bella.
E’ una suite.
Incredibilmente spaziosa, con un letto enorme e morbido.
Nel bagno c’è una vasca
sostenuta dalle zampe di leone.
L’uomo dai capelli
leggermente brizzolati si è seduto su una sedia a fianco al letto, ed ora
armeggia circospetto con il suo cappotto. Sembra stia cercando qualcosa
nelle tasche interne.
Non è particolarmente
alto, né bello. Ha un viso duro, dai lineamenti marcati.
Poggio il mio zaino a
terra, sedendomi su un bordo del letto.
Comincio a buttare lì
qualche frase per conoscerci, infatti mi sembra stranamente riluttante. O
forse sono io, che ho l’inquietudine addosso, e non me la sento subito di
avvicinarmi a quest’individuo.
Risponde a monosillabi,
oppure svia la domanda.
Ormai è passata mezz’ora,
e nonostante io non sia per niente calmo, decido di agire.
Mi alzo in piedi, sfoggio
tutta la mia sensualità camminando e lo raggiungo dall’altra parte. Mi siedo
in braccio a lui, che non sembra stupito, anzi.
E’ furioso.
Non dice niente, ma
rimane a guardare quasi spaventato le mie mani che cominciano a sfilargli il
cappotto.
“Dai, rilassati ...”
sussurro abbassandomi di poco verso il suo volto severo.
“Quanto è il prezzo?!
15000 yen?”
Se c’è una cosa che odio,
è parlare di soldi ancora prima di aver iniziato ogni cosa.
“Non capisco di cosa tu
stia parlando ...”
“Quanto prendete voi di
solito? Più di 15000 yen?” ripete nuovamente, tenendo le braccia il più
possibile lontano da me.
“Ascolta, non ho voglia
di parlare di cose simili, adesso! Divertiamoci un po’!” esclamo
contrariato, e sussulto quando sento la porta della stanza sbattere contro
il muro.
“Ah no, adesso siamo noi
che ci divertiremo un po’ ...”
Mi volto, e dire
spaventato è un eufemismo. Nella camera si sono fatti strada, con la loro
impressionante divisa, tre agenti della polizia che si avvicinano a me.
Indietreggio un attimo,
non capisco!
Cosa cazzo vogliono da
me?! Io non ho fatto niente!
Mi bloccano le braccia, e
girandomi di scatto, mi ammanettano.
“Ehi Che cazzo fate?!?”
urlo cercando di liberarmi. Le braccia vengono strette con forza, e la testa
mi scoppia.
“Forza, vieni con noi in
centrale. Non fare storie!” uno di loro mi prende e mi spinge, fuori, con
gli altri davanti. Anche il mio cliente.
Sprizzo odio e terrore da
tutti i pori, e mi accorgo di lanciare un’occhiata infuocata allo stronzo
che mi aveva chiamato per i miei favori.
Io non posso crederci.
Non posso crederci! Adesso cosa mi faranno!?! Non voglio finire in prigione!
Tra gli sguardi allibiti
e stupiti della gente attorno a noi, io abbasso il capo, vergognoso di stare
a questo modo al centro dell’attenzione.
Perché doveva capitare a
me!
Mi spingono nella
macchina ululante, e quando sono entrati anche loro, partiamo.
Il viaggio sembra durare
anni. Sono stanco, mi sento così stanco da non aver neanche la forza di
urlare ...
L’oppressione mi ha
avvolto come un manto. Sono qui, in questa macchina che odora di guai,
schiacciato contro il finestrino, e vedo scorrere fuori la mia città.
Dio, dimmi che non sarà
l’ultima volta che la vedrò! Dimmi che non dovrò passare gli anni migliori
di questa vita in una cella schifosa e maleodorante!
La macchina frena di
colpo. Mi fanno scendere, mi tengono per le braccia.
Decine di auto sono
parcheggiate alo stesso modo in un ampio cortile freddo e spoglio. Sembrano
quasi finte, talmente sono uguali.
Entriamo nell’edificio
adiacente, e vengo investito da squilli di telefoni, chiacchiericci continui
e decine di persone che vanno e vengono, tutte in divisa.
Buffamente penso che
tutto questo sembra proprio un film. E’ l’unico pensiero che sono riuscito a
fare. La mia mente è vuota.
Vedo, sfumato come in un
sogno destinato a non finire, un uomo seduto ad un banco che fa una
ramanzina severa e meschina ad un ragazzo poco più giovane di me, vestito
come un barbone e con le maniche della sua divisa scolastica strappate.
Quante cavolate che ho
fatto nella mia vita, quando ero un quattordicenne, uno scemo sprovveduto
che prendeva a mattonate le vetrine, imbrattava i muri scolastici con gli
spray colorati, rubacchiava qualcosa nei negozi di cd o dal fruttivendolo
...
Se mi avessero beccato,
mi avrebbero fatto una ramanzina lunga, noiosa ma efficace, che mi avrebbe
cambiato i connotati, come sta succedendo a quel ragazzotto affondato nella
sua sedia.
Fortuna che io sono
migliorato da solo ...
Mi portano in uno spazio
ufficio deserto, e chiudono la porta in legno dietro di noi.
E’ piccolo, le finestre
nei muri sono coperte dalle persiane scure.
I muri sono gialli. Al
centro, una scrivania riempita da scartoffie, penne, documenti. Un
posacenere ricolmo di mozziconi su un angolo.
Mi accorgo che siamo
rimasti in tre qua dentro.
Un agente mi obbliga con
forza a sedermi su una seggiolina davanti alla scrivania, e un altro, che
entra pochi secondi dopo, si siede di fronte a me.
Controlla un attimo dei
fogli che ha tra le mani, con attenzione, e poi si rivolge a me.
“Hanamichi Sakuragi.
Finalmente abbiamo beccato uno dei più famosi accompagnatori in Giappone.”
“Cosa volete da me?!” la
mia voce risuona forte e sicura. Meno male, in realtà le mie mani, nascoste
nelle tasche della mia giacca, tremano.
L’uomo davanti a me mi
guarda un attimo.
Io ho come la sensazione
di averlo già visto da qualche parte ... i suoi occhi non sono a mandorla,
sembrano occidentali e la sua carnagione è abbastanza scura. I capelli sono
come la pece, lunghi e sbarazzini, con qualche filo argentato. Il viso è
allungato, due folti baffi gli coprono le labbra.
“Riportarti sulla retta
via, ragazzino.” mi spiega, incrociando le braccia sul petto con espressione
sicuramente accigliata. Anche la sua voce mi è familiare ...
“Quanti anni hai,
quindici? Sedici? Cos’hai nella testa? A quest’età andare a fare questo
lavoro è una disgrazia! Non te ne rendi contro? Senza dimenticare che
potresti contrarre malattie infettive o mortali!”
Comincia a parlare.
L’uomo dietro di me, mi artiglia le spalle, mentre io prendo profondi
sospiri. La rabbia monta in me ad ogni parola che quest’uomo, che sento di
odiare, sputa con disprezzo. Dice che gli fanno schifo le persone – uomini o
donne che siano – che vanno a scopare per soldi. Ma la cosa che mi manda in
bestia è quando comincia a fare brutte considerazioni sugli omosessuali.
“E poi, per Dio, mi fate
schifo tutti quanti! Ti rendi conto?! Sei un gay che per guadagnare va a
farsi inculare dagli altri!”
Ormai il suo discorso è
completamente sceso nella follia e nelle parolacce. Non segue più una linea
diretta, non ricorda più la giusta ramanzina che vuole farmi. Sta
semplicemente esprimendo il SUO disgusto verso persone che sono UGUALI a
lui, a prescindere dal sesso ...
“Tutte le persone come te
dovrebbero andare da uno strizza cervelli, e farsi fare una lavata per
tornare sulla giusta direzione, invece di insozzare il mondo con la vostra
sola presenza!”
“Con che coraggio lei può dire queste cose?! Lei non è un agente, è soltanto
un omofobo che può esprimere i suoi giudizi solo qui perché non viene
giudicato! Se qui c’è qualcuno che insozza il nostro pianeta con la sola
presenza, è LEI!” sono scattato in piedi e gli ho sibilato queste parole in
faccia, mentre lui si è scostato inorridito.
“Come ti permetti, frocio
schifoso! Io ti sbatto in galera, mi hai capito?!”
“E faccia quel cazzo che
vuole, l’importante è non rivedere la faccia da stronzo che si ritrova e i
suoi leccaculo!”
La sua faccia è diventata
verde dalla rabbia. Sta per scoppiare. Mi sono scavato la fossa da solo, ma
non potevo assolutamente lasciare che mi parlasse a questo modo!
Un leggero bussare alla
porta ci scosta dai fatti momentanei.
L’agente mi sbatte sulla
sedia con un botto, mentre un altro uomo affaccia la testa dall’uscio.
“Capo, c’è suo figlio qui
che vuole vederla ...”
“Yoshida! Non vedi che ho
da fare?!” urla, visibilmente alterato, ma comunque l’uomo non sembra
ascoltarlo, perché si scosta e fa entrare un ragazzo, che lanciandomi
un’occhiata, mi osserva sconvolto.
“Sakuragi, che ci fai in
questura?!”
“Fa ... Fanel ...”
il suo sguardo passa da
me all’agente stronzo davanti alla scrivania, cioè suo padre. Non posso
credere che un bastardo simile sia riuscito a mettere al mondo una creatura
dolce e pura come Fanel!
“Folken, tu conosci
questo maiale schifoso?!” sbotta suo padre indicandomi con disprezzo.
“ ‘maiale schifoso’? Che
cosa stai dicendo?!”
No! No, ti prego, fa che
non gli dica niente! TI PREGO!
“Io prima voglio sapere
se tu frequenti gente deviata come questo qui?!”
“Non ti permetto di
insultare così un mio amico, papà!” reagisce cupo, avvicinandosi a me.
Lo stronzo si
immobilizza, e i suoi occhi si fanno di fuoco. Comincia a borbottare
gesticolando furioso.
“Ma bene! Ma benissimo!
Il mio figlio maggiore che ha per amico un frocio che si prende fottuti
soldi solo facendosi inculare da altri froci come lui!”
No ... basta, non dirgli
più niente! Non dire più niente!
“Cosa diavolo stai
dicendo?!” sibila arrabbiato Fanel.
“Per Dio, Folken, questo
tizio è un accompagnatore! Hai per amico un accompagnatore falso e
bugiardo!”
E’ finita.
Il silenzio che scende
nello stanzino è così palpabile da poterlo quasi toccare.
La tensione è altissima.
E io mi chiedo se valga
ancora la pena di vivere dopo le rivelazioni che il padre ha fatto al figlio
sul mio conto.
Abbasso lo sguardo, sono
incapace di sostenere qualsiasi occhiata da qualsiasi persona.
L’agente che mi ha avuto
in consegna fino a ora ansima rabbioso, ed è solo lui che provoca qualche
rumore qui dentro.
Ancora, squilli di
telefoni e cellulari, voci concitate, passi e altre decine di suoni giungono
alle mie orecchie, ma io non li sento.
“Sakuragi, è vero quello
che sta dicendo?”
Oh, Fanel ... come posso
dirti che è tutto vero senza guardarti in faccia?!
“Si ...”
“Hai sentito?
Maledizione, Folken! Nonostante io faccia di tutto per educarti al migliore
dei modi, tu finisci sempre per deludermi!”
“Cosa ha fatto di male?”
“Lui ... insomma, Folken,
è un lurido gay!”
“Cosa cavolo ti ha fatto
di male?! Ti ha sedotto? Ti ha baciato?! Qual è il motivo simile di questo
tuo ... *odio* ingiustificato?!”
“Lui ... insomma, lui
...”
Non sa cosa dire. La sua
voce tentenna, mentre cerca disperatamente di appigliarsi a qualcosa
inesistente.
“Andiamo, papà. non hai
prove. Lascialo andare ...”
“Lasciarlo andare?! Non
posso assolutamente lasciare andare un malato di mente come lui!”
“Papà. Lascialo andare.
Tanto non hai prove per rinchiuderlo, e nemmeno per fargli una multa. O
sbaglio?!”
Sbatte le mani contro la
scrivania. Sussulto spaventato, non mi aspettavo un simile gesto iracondo.
Mi guarda negli occhi.
“D’accordo. Io ti lascio
andare, caro il mio ragazzo ... ma se ti rivedo in giro, sono guai. Sono
stato chiaro?!”
Mi alzo in piedi.
Barcollo un attimo, ma mi riprendo all’istante.
Sento che l’odio sta
uscendo dalla mia pelle come un odore scuro e cattivo. Lui si scosta, pare
che la mia aura negativa si stia diffondendo nell’aria.
“Si, *signore* ...”
Signore ... non è neanche
giusto affibbiare questo titolo, a un uomo così cattivo e crudele!
Non dice più niente, si
limita a spingermi fuori dalla stanza, da solo. Sento la porta richiudersi.
Intravedo Fanel di spalle, e il mio cuore si stringe.
Questa porta chiusa è il
simbolo della fine della nostra amicizia ...
Mi ritrovo di nuovo in
strada, ormai è tardi. Qualche persona passa davanti al distretto con passi
veloci, oppure si volta un attimo a guardarmi.
Ma cosa mi importa degli
sguardi della gente, quando ora non vedrò più quegli occhi che mi hanno
fatto legare a Fanel?!
Non ce la faccio a
tornare a casa. Aspetto un po’, magari poi mi ritornano le forze e me ne
vado ...
Mi siedo sul marciapiede,
lo zaino poggiato vicino a me.
Sto ancora tremando per
la rabbia, sto ancora tremando per la tristezza.
Perché deve essere così
tutto difficile?! Perché io non posso vivere in pace la mia unica vita che
ho a disposizione?! Perché la gente deve intervenire con i suoi insulti e il
suo disprezzo?! E’ una cosa così cattiva essere stato messo al mondo?
Chissà, magari piangendo
questo tremore mi passerà. Anche perché è inutile frenare queste lacrime ...
Fa davvero freddo.
Chissà, magari prima o poi si metterà a nevicare.
Come vorrei che la neve
mi ricoprisse interamente, facendo in modo che il mio corpo non venga più
ritrovato!
Il tempo passa veloce. O
forse lo fa lentamente. Sono così triste da non riuscire ad accorgermene.
All’improvviso sento una
mano che si appoggia alla mia spalla.
“Sakuragi, non hai freddo
a stare qui?”
Alzo lo sguardo, le mie
guance fradice di lacrime. E’ Fanel. Indossa il cappotto, e sembra
preoccupato.
Già, se dovessi morire
qui congelato non sarebbe un bello spettacolo ...
“Sakuragi, mi dispiace.
Mio padre è ... è un mostro.” si scusa, inginocchiandosi al mio fianco e
carezzandomi la testa. Mi massaggia i capelli carmini per darmi un po’ di
sollievo. Ma il vero sollievo è averlo qui, di nuovo accanto a me.
“Io ... non importa”
Singhiozzo. La mia voce
tremola, è impastata. Ma adesso non me ne frega se non risuona sicura come
quando ho avuto quella brutta discussione con suo padre!
“No, è importante invece.
Mio padre è cattivo. Non capisce niente, ha sempre odiato gli omosessuali. E
per questo io non posso sopportarlo.”
“Quindi tu ... non ti
faccio schifo?” gli chiedo, incerto.
Alzo di nuovo lo sguardo
su di lui. I suoi occhi hanno la solita piega triste. Forse è quella lacrima
disegnata che mi trae in inganno, ma la luce che vi brilla come un diamante
conferma le mie idee.
“Non potresti mai farmi
schifo”
“Perché dici questo?”
Mi passo una mano sulle
guance, tirando su con il naso. Cavolo, non ho neanche i fazzoletti di
carta!
Fanel si fruga nelle
tasche, e tira fuori un pacchetto di fazzoletti. Me ne porge uno con
gentilezza.
“Tieni. Asciugati le
lacrime. Non mi piace vederti piangere ...”
Soffio il naso, finché
non sono libero, e poi mi asciugo le guance con le mani.
Siamo in piedi, in mezzo
a una strada, illuminati dai lampioni.
“... ti direi ‘vieni a
casa mia, così ti offro una tazza di latte caldo’, ma non posso purtroppo
... che brutta situazione ...”
Scuote la testa,
affranto.
Lui ... lui è così buono!
Perché deve essere figlio di un simile stronzo?!
Sta facendo di tutto per
farmi sorridere, e queste sue intenzioni mi fanno davvero felice.
“Grazie, Fanel.”
“E per cosa? Sono io che
dovrei ringraziarti per non pensare che io sia come mio padre”
Sorrido ancora. Sono in
uno stato pietoso, ma almeno gli dimostro che sono adesso di buonumore.
Tutto dimenticato.
In realtà no, quelle
parole come tante altre si sono scolpite nel mio cuore per non venire mai
più cancellate, ma adesso non mi importa.
“Io ... che ne diresti di
venire a prendere qualcosa a casa mia? Non è molto lontana da qui, e almeno
non paghiamo niente ...”
Che stupido. Stupido!
Come posso chiedergli una cosa simile dopo ciò che ha saputo sul mio conto?!
Eppure lui annuisce e mi scompiglia ancora i capelli.
“Va bene. Ho proprio
voglia di un po’ di tea ...”
Saliamo le scale. Quanto
odio abitare al quinto piano [come me! ND Evil; E a noi che ci frega? ND
Tutti]! Cioè, lo odio perché non c’è l’ascensore. Infatti, se ci fosse
non me ne fregherebbe di meno!
Eccoci, siamo arrivati.
Prendo il mazzo di chiavi, e apro la porta dopo quattro scatti.
Accendo la luce
elettrica, che illumina il grande salotto. E’ la stanza più grande del mio
appartamento, temo.
Fanel si guarda attorno.
Meno male che anche se è piccola, la mia casa è sempre in ordine.
“Mi spiace, la mia casa
anche se non è grande è accogliente ...”
“No, la tua casa è
proprio bella” commenta, sincero, mentre si sfila il cappotto e lo appende
all’attaccapanni.
Gli do un paio di
pantofole, e poi possiamo finalmente entrare in casa.
Andiamo in cucina.
“Non ho molto da
offrirti, ma se vuoi il tea c’è!” gli dico, prendendo dalla credenza due
bustine.
Metto a bollire l’acqua,
e aspetto che venga pronto ...
“Ti chiedo ancora scusa.
Per tutto. Insomma, davvero, non so come farmi perdonare! Io mio padre lo
detesto, e il modo in cui si rivolge agli altri lo rende ancor più odioso.
Non so come tu riuscirai mai a dimenticare ciò che ti ha detto ...”
“Non devi preoccuparti.
Sai la cosa che mi ha spaventato di più?”
“No. Cosa?”
“Quando tu sei entrato, e
lui ti ha detto la verità ... temevo che tu mi disprezzassi ...”
“Non potrei mai
disprezzarti, Sakuragi. Mai, ricordatelo.”
Sorrido. Il bollire
dell’acqua mi richiama, e così, dopo averne versato un po’ in due tazze,
immergo le bustine di profumato tea. Osservo per un attimo l’acqua colorarsi
di rosso scuro, poi porgo una tazza a Fanel, poggiandogliela sul tavolo,
assieme a due cucchiaini e al barattolo di zucchero.
“Ma i tuoi genitori non
ci sono?”
“I miei sono morti anni
fa. Io vivo da solo”
Il suo sguardo si fa
improvvisamente spento.
“Ogni cosa che dico porta
alla mente solo brutti ricordi, a quanto pare ...”
Dio, è così dolce ...
“No, ma che dici?! Per me
non è triste ricordarli, non devi farti problemi! Sai, mamma è morta quando
avevo circa otto anni, papà invece tre anni fa. E’ per quello che ho dovuto
intraprendere quel lavoro che ... insomma ...”
“Sei stato costretto?” mi
chiede, irrigidito.
Scuoto la testa.
“No. In realtà, i miei
nonni mi mandano sempre un assegno, che mi basta appena per vivere. Ma in
realtà io avrei voluto di più, guadagnare io stesso per rendermi
indipendente. Pensa che i miei nonni che abitano in Russia mi hanno anche
chiesto di andare là da loro! Ma io ho rifiutato. Così mi sono cercato un
lavoro, e beh ... questo è stato il più *facile* che ho trovato. So che ci
sono dei rischi, che potrei anche pentirmene in futuro, ma ormai questa è la
mia vita”
Nei suoi occhi esplode un
lampo di ... tristezza. Possibile? Si riscuote e mormora:
“Alla fine, io e te ...
abbiamo molte più cose in comune di quanto pensassi.”
“Che vuoi dire?” sul
serio, non capisco ...
Lui appoggia le mani
attorno alla tazza, le nivee e lunghe dita si intrecciano.
“Penso che tu abbia
scelto quel ... lavoro per sfuggire dalla realtà, facendo una cosa che ti
piace. E così ho fatto io. Mi sono dedicato ai tatuaggi per dimenticarmi per
un po’ ciò che mi circonda –la scuola, gli insegnanti, i genitori, mio
padre. E mi trovo davvero bene, io *sto* bene quando faccio ciò che mi piace
... e credo che per te sia lo stesso, o no?!”
“Già. Tu ... non vai
proprio d’accordo con tuo padre, vero?!” gli chiedo, prendendo un sorso del
mio tea, facendo una smorfia quando sento che è amaro.
Lui alza il viso verso il
soffitto un poco scrostato, ma ancora candido.
“E’ così. Io e lui non
abbiamo mai idee uguali. Non siamo mai andati d’accordo. Se ti dicessi che
lo odio, sarebbe un eufemismo. Di più. E’ ... violento. Mio fratello non si
fa mai vedere in giro quando c’è lui. Mia madre è sempre silenziosa, e non è
nel suo carattere, e per me tornare a casa ogni sera è una tortura. Non sai
cosa vuol dire condividere l’abitazione con chi odi di più. Ma per adesso io
non posso ancora andarmene. Almeno, non fino al febbraio di quattro anni più
avanti, quando sarò ventunenne. Non sai come aspetto quel momento ...”
“Dove andrai? Lascerai la
tua stanza segreta?!”
Lui mi guarda un attimo.
Poi ridacchia un poco.
“Già, la stanza segreta
... semmai dovesse scoprirla, non posso immaginare cosa faccia ...!”
Rimaniamo in silenzio, a
sorseggiare il nostro tea. Mi perdo a osservare il liquido scuro nella
tazza.
“Comunque, con i soldi
che guadagno con il part time, e quelli che mi verranno dati con la borsa di
studio per la Minami Shirakawa mi potrò comprare magari un appartamento non
troppo costoso, ma abbastanza grande ...”
Ha i suoi progetti. Si
immagina un futuro diverso, ma sempre secondo le sue idee.
Magari tranquillo, senza
troppi problemi. Tutti sognano un futuro così, ma io il futuro lo sto
vivendo adesso, o no?!
Parliamo ancora.
Parliamo, parliamo, finché non si fa davvero tardi. Il nostro tea l’abbiamo
finito da un pezzo, e siamo andati a chiacchierare sul divano che ho in
sala.
Comincio ad avere sonno,
e quando mi accorgo che è già mezzanotte sembra che la coltre di stanchezza
mi piombi addosso.
“E’ tardi, vero?! Allora
sarà meglio che vada ...” si alza in piedi, spolverandosi in un gesto
abitudinario i pantaloni.
“E’ proprio tardi ...
senti, se tu ... dormissi qua?”
Arrossiamo entrambi. Le
mie guance scottano tanto, e penso anche le sue.
“In realtà, mi faresti un favore. Sai, non voglio sorbirmi la paternale ...”
Però ho fatto male a
chiederglielo. Insomma, non so assolutamente come comportarmi con lui. E
poi, dove posso farlo dormire?! Io non ho futon, e il mio letto è piccolo
persino per me! Lo lascio un attimo, e vado nel corridoio dove c’è anche la
porta della stanza dei miei genitori.
Apro la porta, e vengo
investito dai ricordi. L’aria che entra fa sollevare petali di memoria e
gocce di profumo ancora impresso nelle lenzuola pulite e fresche.
Si, è proprio tutto come
sempre.
Gli occhiali dalla
montatura rossa della mamma sul suo comodino, la pipa del papà sull’altro.
Il grosso orsacchiotto di pezza in mezzo al letto matrimoniale, che le avevo
regalato io per il suo trentatreesimo compleanno, pochi mesi prima di
morire.
Le tende di pizzo che
aveva confezionato lei, il suo portagioie.
“Sakuragi? Posso
entrare?” mi chiede Fanel sull’uscio. Mi intravede nel buio, lo so. Posso
vedermi nei suoi occhi. Gli occhi spenti, sconvolto, con l’orso tra le
braccia.
“Si ... accendi la luce”
lui si guarda attorno un
attimo. Tasta il muro finché tocca l’interruttore, e la luce illumina questa
stanza che io ho sempre avuto timore a guardare di nuovo.
“E’ la camera dei tuoi?”
“Si ...”
“E’ meglio che io torni a
casa, sul serio ...” indietreggia incerto
“No, cosa dici?! Scusa, è
che ... sai, i ricordi ... ma non c’è problema! Anzi, aspetta qui. Vado a
prendere un paio di pigiami. Ti andrà un po’ corto, ma ...” sparisco in
fretta, raggiungendo la mia stanza.
Tiro fuori dall’armadio
due profumati indumenti per la notte, e quando torno di là, vedo Folken,
davanti alla specchiera vicino al grande armadio a muro, che ha in mano un
porta foto.
Già, mi ricordo di quella
foto. L’avevamo scattata al mare ...
“E’ tua madre?” sospira,
a voce bassa, come se avesse paura di risvegliare in me tristi pensieri. Ne
ha, lo vedo dal suo viso.
Annuisco porgendogli il
pigiama, mentre chiudo la porta.
Mi volto mentre mi
cambio. Non vorrei che pensasse ch’io sia un pervertito, un maniaco o cose
simili, perché mi farebbe solo male.
Quando ha finito anche
lui posso voltarmi.
Ridacchio sotto i baffi.
In effetti il pigiama è un po’ corto ...
“Accidenti, sembro un
bambino cresciuto troppo ...” commenta ironico, piegando i suoi abiti e
mettendoli su una sedia foderata insieme ai miei.
Ci mettiamo sotto le
coperte. Lui è dalla parte di mio padre, io dall’altra.
Dio, è così malinconico
sentire sempre, continuamente il dolce odore d’infanzia che non tornerà più
...
“Ti mancano tanto i tuoi
genitori?” mi chiede, dopo qualche minuto di silenzio. Lui ha un carattere
molto dolce, certo è un po’ silenzioso in realtà, ma quando vede che io sono
pensieroso e triste non manca di chiedermi cosa mi succede ...
“Più che altro la mamma.
Sai, anche io non avevo un buon rapporto con mio papà. Ci parlavo poco, ma
non andavamo molto d’accordo. Ma ero comunque felice ...”
Si volta verso di me, mi
sorride. Sbadiglia forte, coprendosi la bocca con una mano.
“Sarà meglio dormire.
Altrimenti, di questo passo ci sveglieremo alle due di pomeriggio!"
Sorride di nuovo, e poi
chiude gli occhi. Lo imito. Poco dopo sprofondo nel sonno.
Il suono della sveglia mi
colpisce come un pugno nello stomaco, talmente è fastidioso e stridulo. Mi
sveglio piano, poco a poco, e quando metto a fuoco che è ancora buio fuori,
la voglia di rimettermi sotto le coperte a ronfare è così tanta ...
Con una botta secca
spengo l’aggeggio infernale sopra il comodino.
Mi stiracchio, sono
piuttosto indolenzito, e mi volto dall’altra parte ...
AH! Cavoli, me ne sono
ricordato adesso! Fanel dorme a casa mia! Mi calmo, cercando di far passare
questo caldo e rossore sul mio viso limitandomi a guardarlo.
Le coperte dalla sua
parte sono praticamente scostate dal resto del suo splendido corpo.
E’ sdraiato a pancia in
su. Il bordo dei pantaloni per lui troppo corti del pigiama blu scuro gli
arrivano laddove si vedono gli addominali bassi. La camicia stropicciata
lascia scoperto gran parte del suo stomaco.
E il suo viso ... Ah, il
suo viso!
E’ un vero spettacolo, in
realtà.
Guardarlo così da vicino
mi ricorda tanto quello di un cucciolo addormentato. Gli occhi chiusi, le
lunghe ciglia che sfiorano le guance chiare, la bocca socchiusa ...
Un braccio l’ha poggiato
sul suo petto, l’altro è piegato vicino a me.
Come vorrei non
svegliarlo, ma oggi è un giorno di scuola, e non vorrei lui ne perdesse uno
per i miei capricci.
Mi torna in mente ciò che
è successo ieri, come un lampo nella mia mente che irradia ogni cosa.
Tornano a rimbombare le
parole di suo padre, in contrapposizione alla premura e alle frasi piene di
affetto di Fanel, che mi è stato vicino per tutta la sera.
Chissà se non ci fosse
stato lui, leggero come una farfalla ma incisivo come un tuono, a vegliare
su di me. Probabilmente adesso, depresso com’ero, non sarei neanche qui.
Mi tiro sulle braccia,
avvicinandomi un poco a lui.
Prendo a scuoterlo piano,
per vedere se si sveglia. Lo chiamo anche, e lentamente, le sue palpebre si
sollevano, rivelando i suoi ammalianti occhi viola. Mi scruta un attimo, poi
si passa le mani sugli occhi.
“Sakuragi, che ci fai in
casa mia?!” borbotta sbadigliando.
“Guarda che siamo a casa
mia, Fanel, se ti ricordi bene ...”
“Mmm ...” mugugna,
girandosi dall’altra parte con enorme fatica. Non posso fare a meno di
ridere a questo suo fare orso al mattino appena svegliato, è troppo buffo.
“Che ti ridi!?”
“Mi fai ridere!”
“Ah, davvero ...?”
“SI!”
“Vediamo se ti fa ridere
anche questo ...!” borbotta. La sua voce è tornata quella di sempre, e
sembra anzi che ci sia in più una spolverata di malizia.
Ahia! Il maledetto mi ha
tirato il suo cuscino addosso!
“Ma come ti permetti! Io
ti ammazzo!” ribatto, afferrando il mio guanciale e cominciando con lui come
mio acerrimo avversario una battaglia di cuscini. Ci tiriamo persino su in
piedi sopra il letto, e ci prendiamo a cuscinate. Ma non forte, giochiamo e
basta, come se fossimo due bambini piccoli. E sto ridendo! Dio, se sto
ridendo! Con lui è tutto così speciale, questo mio amico mi fa sentire
speciale!
Continuiamo a lottare
finché lui, stremato, chiede pietà e crolla sul materasso.
Ci fermiamo e ci
guardiamo in faccia. Anche io comincio ad accorgermi che con nessuno mi sono
mai comportato a questo modo, e la situazione non fa altro che farmi
sorridere. Scoppio in un riso irrefrenabile. La sua voce mi giunge seccata e
alta.
“Dannazione, ridi
ancora?!”
Se rido, Fanel?! Certo
che rido! Per il riso ho le lacrime agli occhi! E poi, improvvisamente,
partecipo a un vero e proprio miracolo.
Fanel si lascia andare
anche lui, probabilmente contagiato dalla mia allegria, e ride.
Ride. Il suo viso ha
assunto una smorfia davvero gioiosa. Forse, i suoi occhi sono comunque
tristi, ma questa sua euforia, questo suo ... dimostrare al mondo che con me
si diverte ...
E’ bellissimo.
Nemmeno l’alba che nasce
dal mare ha una vista così bella. Nemmeno l’infinito è così profondo e
irraggiungibile.
Nemmeno i campi verdi e
rigogliosi hanno questo profumo di menta ...
“Che c’è?” mi chiede,
vedendomi improvvisamente zitto, mentre si passa le mani sugli occhi per
cancellare le tracce di lacrime.
“No, niente. Vuoi farti
una doccia? E’ ancora presto, ma visto che siamo in due ...”
“Oh, si. grazie ...”
Lo osservo, mentre
raccoglie la sua divisa, e secondo le mie indicazioni, va alla ricerca del
bagno.
Perché tutto questo
suscita in me un senso di commozione?
Una tazza di cereali
dovrebbe andare bene. Verso il latte nelle due tazze, lo riempio di
croccantini, e spolvero il tutto con del cacao fine.
Una buona colazione è
alla base di tutto, no!? Be’, se comunque non dovesse piacergli ciò che gli
ho preparato, c’è sempre la macedonia, e la cioccolata calda.
Ho già detto che la
colazione è alla base di tutto, no?!
“Non dovevi disturbarti a
preparare la colazione anche per me ...”
Fanel è chiaramente
imbarazzato. Il viso è arrossato, a causa della doccia calda che si è
concesso, e i capelli ancora un po’ umidi. E’ già vestito, e ora mi guarda
mortificato.
“No! Dai, mangia
qualcosa! Ora vado io a lavarmi!” gli dico, invitandolo a sedersi. “Faccio
in fretta!”
sparisco velocemente in
bagno. E’ davvero piccolo, c’è il water, il lavandino, la vasca e la doccia,
tutto messo in croce. Quasi non si può passare tra un elettrodomestico e
l’altro! Mi spoglio velocemente, e mi infilo sotto il getto d’acqua, aprendo
di botto quella calda. Cavolo, è un trauma spogliarsi al mattino appena
svegliato, d’inverno, e rimanere per qualche istante, nudo, a congelare!
I miei muscoli sembrano
guizzare, rinvigorirsi sotto questo caldo rilassante, che quasi brucia la
pelle, arrossandola più del dovuto. Prendo il bagnoschiuma, e dopo averne
versato un ingente quantità sulla spugna, comincio a passarmelo sul corpo.
Per me è un rito lavarmi,
è come togliere ogni odore in più che mi sono ritrovato addosso per sbaglio
durante il giorno prima. La spugna, morbidamente, passa a toccare ogni punto
del mio corpo.
Mi massaggia il petto, lo
stomaco, il bacino e più in basso. Le gambe, la schiena, il sedere, il viso.
Afferro lo shampoo e mi sfrego i capelli con forza, finché non schiumano.
Mi sciacquo guardando la
schiuma scivolare giù, lungo il mio corpo liscio e scivoloso per l’acqua che
continua a gocciolare.
Quando ho davvero finito,
esco e mi avvolgo nell’asciugamano, cominciando ad asciugarmi.
Mi fermo un istante. Ho
sentito di nuovo l’odore di Fanel. Mi porto la stoffa spugnosa della
salvietta al viso, e chiaramente odoro quel profumo che è suo, speciale,
fresco.
Un giramento mi sale
all’improvviso, costringendomi a sedere sul bordo della vasca.
Ma cosa diavolo mi sta
succedendo!?
“Sakuragi ... ci sei?”
“Sto arrivando!” urlo
spaesato, vestendomi in fretta e furia. Finalmente vestito, esco.
Diavolo, mi sono eccitato
soltanto a sentirne il suo odore, e non riesco nemmeno a guardarlo in
faccia!
Raggiungo la cucina.
Mangio velocemente, finendo tutto in poco tempo.
Io non riesco ancora a
guardarlo. Insomma, mi vergogno da impazzire, e non riesco nemmeno a
comprenderne il motivo!
Usciamo fuori in strada.
E’ una fortuna. Oggi entrambi abbiamo una gita in programmazione, perciò
anche se facciamo poco ritardo non ha importanza. La partenza è prevista per
le otto e mezza del mattino.
Camminiamo in silenzio
per il marciapiede. E’ ancora buio pesto fuori, e fa freddissimo.
Per sicurezza, ho
indossato anche un paio di guanti, ma non serve comunque a niente, visto che
sto davvero ibernandomi dal freddo.
Sento lo sguardo
scrutatore di Fanel su di me. Lo so, non capisce il motivo di questo mio
cambiamento, ma come spiegarglielo?!
<sai, sentendo il tuo
odore mi sono eccitato e mi è quasi venuta voglia di stuprarti, problemi?>
siamo davanti alla mia
scuola. C’è già molta gente, un autobus a due piani è parcheggiato accanto
al marciapiede, all’entrata. Ci sono un paio di professori che stanno
chiacchierando, e qualche studente pronto già a partire.
“Okay. Allora ci vediamo”
mi affretto a salutarlo e mi allontano. Il suo braccio però mi blocca e
senza poterlo fermare mi trascina nella strada accanto, addossandomi
praticamente al muro.
E’ vicinissimo a me.
Sento il suo respiro sulla mia faccia. I suoi occhi nei miei. Non l’ho mai
visto così serio. Mi fa paura ...
“Cosa succede?! Ti ho
detto qualcosa che non va?! Ti ho offeso!?!”
“Ma ... che dici, no ...”
“E allora perché questo
tuo allontanamento improvvisato?! Ti ho detto qualcosa di male?!” chiede di
nuovo, preoccupato di avermi in qualche modo ferito.
“No! No! Cosa dici! E’
solo che ...”
“Solo che ...?”
“No, nulla. Ti chiedo
scusa”
Si calma. Lo facciamo
entrambi mentre ci guardiamo in faccia. Abbassa di poco gli occhi, anche se
continua a osservarmi.
“Non vorrei mai vederti
triste, Sakuragi. Ti prego, sorridi sempre. Hai un così bel sorriso, perché
deve essere nascosto?!” mi dice.
La sua mano tocca la mia
guancia. Io vado a fuoco.
Perché?!
Abbassa lo sguardo,
adesso. Osserva la pavimentazione.
“Buona gita. Ci vediamo
...”
Se ne va, senza aspettare
più niente. Perché questo dolore al petto così forte da togliermi il fiato?!
Mancano tre giorni a
Natale. E’ una fortuna, ieri è stato l’ultimo giorno di scuola.
Ed è una fortuna, perché
io mi sento male.
Sono depresso. Quando
guardo la pioggia che scorre fuori dalla finestra, la mia mente corre a
qualche settimana fa, quando parlai l’ultima volta con Fanel.
Non l’ho più visto da
quel giorno che mi confessò quel suo pensiero così bello, che non ho mai
dimenticato.
Come se non bastasse, il
lavoro va malissimo. Ormai non c’è quasi più nessuno che chiama da
moltissimo. E io sono a corto di soldi.
Ma adesso, non è questo
che mi importa. Voglio solo rivedere Fanel ...
Il telefono di casa
squilla. E io sono qui, racchiuso nel mio bozzolo di tristezza, senza
nemmeno la voglia di alzarmi.
Eppure questo suono
continuo mi sta arrovellando il cervello.
Chissà, magari è Fanel!
Mi alzo in piedi con il
battito a mille, ma la mia euforia passa subito.
Io non gliel’ho dato il
mio numero di casa, né quello del mio cellulare ...
Ormai sono in piedi, ed è
inutile lasciarlo squillare senza risposta ...
Raggiungo il telefono e
sollevo la cornetta.
“Pronto?”
“Sakuragi, è da parecchio
che non ci sentiamo ...!”
La voce calda dall’altra
parte del telefono è calda e adulta. Riconosco all’istante questo tono di
superiorità e di serietà.
“Maki ...”
“Allora non ti sei
scordato del tuo vecchio amico, mi fa piacere ...”
“E come potrei?! Sei il
mio avversario del Kainan, e poi il mio *maestro* d’arti ...”
Lui ride sommessamente
dall’altro capo del filo, e poi riprende a parlare.
“Bene, bene ... Avrei
bisogno di parlarti. Ti va di vederci al Black Kite verso le dieci?”
“E’ così importante?”
“Si. Allora, puoi?”
“D’accordo. Sarò lì il
prima possibile”
“Bene, a dopo allora.
Ciao”
“Ciao”
Poso la cornetta, e solo
adesso mi sorgono i dubbi.
Cosa diavolo ha da
dirmi?! Insomma, insieme non abbiamo quasi mai parlato, anche se io lo trovo
interessante, brillante e pieno di cultura.
Forse è proprio per
questo che non rientra proprio nei canoni delle persone con cui parlerei più
volentieri, non essendo io così intelligente.
Ricordo che comunque, sin
dagli inizi si è dimostrato gentile con me.
Mi rammento quando ero in
difficoltà per il lavoro, incapace di trovare qualcosa che soddisfacesse il
mio bisogno di soldi e la mia disponibilità di tempo.
Ci incontrammo per caso
lungo una strada, e ci ritrovammo a parlare di questa storia. In realtà, fu
l’unico con cui mi confidai in quel periodo. Forse perché mi sembrò il più
adatto, forse perché avevo bisogno di aiuto, non so.
Sta di fatto che fu lui a
consigliarmi di intraprendere questa carriera di accompagnatore.
Lì per lì rimasi
imbarazzato, stupito e arrabbiato. Insomma, fu come darmi della *prostituta*
!
Però vagliai assieme a
lui i pro e i contro di questo lavoro, e alla fine anche se al 99% insicuro,
accettai.
Gli esposi però i miei
dubbi, le mie paure, le mie incertezze.
E lui riuscì, una dopo
l’altra, a scioglierle come neve al sole.
Mi portò davanti ad uno
specchio, e cominciò a parlare di me, come se io non fossi presente.
Cominciò a descrivere ogni mio punto forte del mio corpo, e io non potevo
credere di venire visto così da un ragazzo così bello, serio e maturo.
Si, è stato grazie a lui
che mi convinsi a fare l’accompagnatore.
Più tardi, scoprii che
anche lui faceva il mio stesso lavoro, e per poco non ci rimasi secco!
Mi disse che gli piaceva
un sacco, e non lo biasimavo. Fare sesso è una delle cose più eccitanti e
belle che la vita ti offre.
Già, ma a me non mi
interessa più. Io adesso ho completamente perso la voglia, e non lo so come
mai.
So solo che vorrei sempre
starmene da solo, in casa, nel letto a dormire, per non pensare a ciò che mi
succede, a ciò che è successo.
Akira mi chiama spesso,
ma io non rispondo.
Kaede è preoccupato di
questa mia tristezza incrollabile, e non ha il coraggio di chiedermi il
motivo.
A volte fa delle
improvvisate sotto casa mia, ma dal videocitofono lo vedo, e non lo faccio
mai entrare.
Mi spiace trattarlo così,
mi spiace tanto, ma quanto vorrei che al suo posto venisse un’altra persona
a trovarmi. A chiedere come sto, a parlare con me, a ridere con me ...
Mi odio! E’ stato solo
per causa mia che adesso io e Fanel ...
Tirò un pugno al muro che
ha la forza di farmi risvegliare, per il dolore alle nocche, che piano,
cominciano a lacrimare sangue.
Vado in bagno, dove c’è
la *farmacia* , cioè l’armadietto delle medicine, e prendo una scatoletta di
garze.
E’ buffo da quanto tempo
siano ancora lì. Più o meno da un anno, da quando ho smesso di fare a botte
con le bande locali ...
Mi fascio la mano, e vado
a vestirmi.
Un’ora e mezza dopo, in
orario, mi trovo al luogo stabilito, il Black Kite, un bellissimo locale
notturno frequentato solo da omosessuali.
E’ l’unico che c’è in
città, ed è un paradiso per chi ha un ragazzo. Qui può manifestare il
proprio amore, scambiare effusioni in pubblico senza venire assolutamente
giudicato.
E’ davvero bello, alla
sera le luci diventano soffuse, e solo dei piccoli fari rossi illuminano il
palco, dove a volte si esibiscono spogliarellisti o cantanti.
Entro, e prendo un
tavolo. Mentre aspetto ordino due alcolici non troppo forti, e poco dopo che
il bel cameriere – che tra l’altro mi ha pure ammiccato allusivo – me li ha
dati, arriva Maki, che mi saluta con una salda stretta di mano.
Lo osservo. Sono mesi
ormai che non ci vediamo, da quando ha lasciato la squadra di basket per
dedicarsi subito all’università, e non è molto cambiato ...
E’ cresciuto di poco,
adesso quasi mi raggiunge, e la sua pelle è ancora più scura di quanto la
ricordavo. La sua espressione da ormai uomo è sempre la stessa, ed il
sorriso bianco contrasta con la cotta olivastra.
“Grazie per essere
venuto. Sei stato molto gentile”
“Figurati. In fondo non
avevo niente da fare ...”
Mi osserva un attimo,
rabbuiato.
“Ti vedo pallido. Non ti
senti bene?”
“No, no ... in realtà
sono solo ... stanco”
“Oh. Allora sarà meglio
lasciar perdere.”
“No, dimmi pure. Non ti
preoccupare, non c’è alcun problema”
Si accomoda meglio sulla
sedia in vernice nera. Mi sorride piano, e comincia a parlare, prendendo di
tanto in tanto un sorso del suo cocktail.
Mi guarda la mano.
“Che hai fatto?”
“Niente.”
“... d’accordo, andiamo
al sodo. E’ questo: vedi, ho ricevuto una chiamata di lavoro, e mi hanno
chiesto se potevo andare a lavorare per sei mesi in America, dove un
mecenate molto ricco mi ha offerto denaro a volontà per offrire i miei
favori solo e soltanto a lui. Quindi, io vorrei accettare, ma ho dei
problemi a casa che non posso abbandonare.
Gli ho accennato di te, e
lui mi ha domandato di farti sapere ...”
“Tu gli hai detto che
sarei andato là?!”
“Ma che capisci?! Gli ho
solo accennato che conosco un ragazzo che fa il mio stesso lavoro ...”
“Ah. Ecco, mi prendi alla
sprovvista, io non so ...”
“Gli avrei detto che
l’avrei chiamato per una risposta domani mattina.”
“Domani mattina?! E
perché me l’hai detto solo ora?! Io ...”
“Ascolta. Come ti ho
detto, io non posso in assoluto. Mia madre è malata grave, in ospedale, e
non posso lasciarla. Però io ci sarei volato anche subito a Dallas.”
“Dallas? E’ così lontano
...”
“In aereo sarà una
sciocchezza. Patrick Green è molto famoso per i suoi casinò e alberghi. Ed è
in cerca per un po’ di qualcuno che gli faccia ... *dimenticare* i suoi
affari. Guarda, ho qui una foto.”
Poggia il drink sul
tavolino lucido e estrae dalla tasca interna del suo giubbotto in daino una
sgualcita istantanea che mi porge. Mi indica l’uomo, e non posso fare a meno
di rimanere un po’ sorpreso.
Quello che mi viene
mostrato è una chiara foto di famiglia. Sono tutti sfarzosamente vestiti, e
l’unica donna dell’istantanea è coperta di gioielli. Ed è inequivocabilmente
bellissima, anche se sembra una statua di cera, talmente è *finta* e fredda.
E poi, due bambini vicino
a lei e un uomo alto, ben vestito e bello. Cavolo, io credevo fosse un
vecchiaccio maniaco, e invece è così giovane ...
Ha i capelli biondi come
il grano, la mascella squadrata e la carnagione scura.
“Ha ventinove anni.
Scommetto credevi peggio, vero?!”
“In effetti ...”
“Allora, cominci a
pensarci?”
“In realtà, non saprei.”
“Hanamichi, ascolta. Lui
è un ragazzo bello e buono, al di là di come sembra. Ha una casa che è una
reggia e ti offrirà tutto ciò che vuoi. Tu qui in fondo non hai nulla, no?!
Potresti rifarti una vita intera laggiù. E niente e nessuno ti disturberà
come qui”
“Davvero?”
“Si. Quelli in foto sono
sua moglie e i figli, ma hanno divorziato e vivono da tutt’altra parte. Dai,
cosa hai da perdere?!”
Già. In fondo cosa ho da perdere?
Se me ne andassi, se
partissi ora lascerei qui soltanto qualche ricordo felice e rimorsi di
coscienza. Per cosa poi? Se me ne andassi, non potrei più giocare nella mia
squadra, divertirmi con Kaede, fare sesso con Akira ... magari, la mia casa
verrebbe affittata! E poi, non potrei più rivedere gli occhi di Fanel ...
Ma chi vado a prendere in
giro?! Tanto, ormai tra me e Fanel c’è solo una grande distanza che ci
separa, solo questo. Quasi mi sono già dimenticato del suo viso, i
particolari si sono offuscati. L’unica cosa che si è marchiata a fuoco nella
mia testa e nel mio cuore è il viola di quegli occhi così belli da far male.
Glieli strapperei, e li porterei sempre con me ...
Ma ormai, tutto è andato
perso.
“Accetto. In fondo hai
ragione, non ho niente da perdere.”
Non riesco neanche a
sorridere. Nonostante pensi a qualcosa che mi ha sempre fatto divertire, il
mio viso non accenna a cambiare. Forse perché ho preso questa decisione?
Forse perché so di sbagliare, ma non voglio ammetterlo ...
“E’ fantastico! Davvero
grazie, Hanamichi. Il volo è già prenotato. Alle nove di mattina. Domani
raggiungerai Green, che chiamerò già adesso. Vedrai, non te ne pentirai ...”
Come posso non pentirmene
se mi fa male il cuore già da ora?!
E’ mezzanotte. Sono
appena rientrato, e mi è venuta una voglia immane di strafogarmi di
cioccolata. Meno male che sono passato in un market ancora aperto, e ho
comprato un enorme barattolo di Nutella.
Chissà, forse farei bene
a chiamare i miei amici. Dovrei perlomeno avvertirli di questa mia decisione
avventata ...
Compongo piano il numero
di Kaede. Spero solo di non svegliare sua madre ...
“Pronto?”
Purtroppo è accaduto ciò
che temevo ...
“Rukawa-san?! Sono
Sakuragi, io ... sono mortificato di averla svegliata nel cuore della notte
...”
“Hanamichi? Caro, è
successo qualcosa?!”
“In effetti si. Dovrei
parlare urgentemente con Kaede, per favore ...”
“Ma certo, te lo chiamo
subito.”
Quella donna è fantastica. Non si è per niente seccata di sentirmi a quest’ora.
Non ho mai incontrato una donna dolce e paziente come lei. Forse mia madre
...
La voce concitata dei due
mi arriva distrattamente al microfono. Poi la voce del mio amico, così
profonda da fare spavento.
“Do’hao. Ti rendi conto
di che ore sono?!”
“Ciao Kaede. Mi dispiace
tanto.”
“E ci credo! Comunque
ormai sono qui ... forza, parla ...”
“Me ne vado”
“Scusa?”
“Parto domani mattina
alle nove. Vado in America per sei mesi”
O forse per sempre ... mi
viene in mente.
“Cosa? Ma sei impazzito?!
Cosa aspettavi a dirmelo?! E poi perché!?”
“Un uomo mi ha chiesto di
raggiungerlo là, per prestazioni sessuali.”
Il suo respiro si mozza
in gola. Lui non ha mai saputo niente di questa storia, e ormai è giunto il
momento di dirgli tutta la verità.
“Kaede, non mi perdonerai
mai per averti mentito. Ma io ... faccio l’accompagnatore da molto tempo,
ormai. Ecco perché a volte salto scuola e allenamenti. I soldi che guadagno
mi sono molto utili per andare avanti, come tu sai che non ho famiglia. E mi
è sempre piaciuto. Kaede, io so che non potrai mai perdonarmi, lo so, per
non averti detto tutto all’inizio. Ma volevo solo ...”
Dall’altra parte non mi
arriva nessun suono. Solo il suo respiro, forse.
“... chiederti scusa.
Domani parto, e uscirò per sempre dalla tua vita, e chissà, non ci
rincontreremo mai più, perché non sono sicuro di tornare. Sappi però che tu
sei il più caro amico che si possa desiderare, e che ... ti ringrazio per
tutto.”
“Non posso crederci. Come
hai potuto non dirmi niente ...”
“Non volevo perdere la
stima che tu avevi per me ... se ne hai mai avuta.”
“Io ... Hanamichi, ti
prego, ripensaci. Non posso permettere che tu vada laggiù a rovinarti
l’esistenza.”
“Rovinarmi ...?”
“Hanamichi, non hai
nessuno là! Se tu avessi dei problemi, qui, io sarei subito da te. Ma come
posso raggiungerti?”
“Non devi raggiungermi.
Devi solo perdonarmi.”
“Io non ce la faccio, mi
dispiace. Ma non perché non mi hai mai detto di essere un accompagnatore.”
“Per cosa ...”
“Per il semplice fatto
che vuoi andare incontro a un futuro fatto di delusione e tristezza. Non ti
posso perdonare.”
“Mi dispiace tanto. Ma
ormai ho deciso. Parto domani. Ora ti lascio, altrimenti tua mamma si
arrabbierà ...”
“Hai ragione. Allora.
Addio.”
“Addio, Kaede ...”
metto giù la cornetta.
Comincio a sentire le lacrime che scorrono sul mio viso senza sosta. Mi
manca tutto già da adesso ...
Akira non lo chiamerò,
non ce la faccio. Se mi sentisse piangere accorrerebbe qua a picchiarmi per
questa decisione. E Fanel mi avrà già scordato da un pezzo ...
Accendo le luci di tutto
il mio appartamento. Comincio a frugare nel mio armadio, tirando fuori tutti
i vestiti possibili e inimmaginabili. Poi cerco una valigia, e la trovo,
infognata sotto il mio letto.
La riempio fino a
scoppiare, aggiungendo anche qualche ricordo in più. Porto con me qualche
fotografia, il profumo ancora nuovo che usava mia mamma, e poi, nel mio
zaino portafortuna, insieme al cd player e ai miei dischi del cuore, l’orso
che faceva la guardia alla camera dei miei ...
Ho preparato ogni cosa,
ed è solo l’una di notte. Ma non voglio dormire. Voglio stare in piedi, e
nonostante manchino troppe ore all’alba, la voglio aspettare, anche se non
si vede bene da qui.
Vado sul balcone,
portandomi dietro una sedia. Mi accomodo e alzo lo sguardo verso il cielo
scuro. Fa freddo. Fa freddissimo, d’altronde siamo sotto Natale. Chissà come
sarà il Natale in America. Probabilmente, lo passerò con in mezzo alle gambe
l’eccitazione di quell’uomo che non mi lascerà per un solo istante.
Probabilmente mi regalerà ogni cosa io desideri. Probabilmente mi comprerà
tutto ciò che voglio.
Ma Dio, cosa possono
essere tutti quei soldi in confronto a ciò che perdo adesso?!
Sono passate tante ore, e
ormai sono le sette e cinque di mattina.
Non mi sono addormentato
nemmeno un istante, non potevo.
E finalmente le stelle si
sono spente, e il cielo ha cominciato a tingersi di caldo, e il sole ha
cominciato a farsi vedere.
Purtroppo, gli alti
palazzi coprono per la maggior parte la prospettiva, e così non posso
godermi appieno questo spettacolo della Natura.
Vado in bagno, mi faccio
la doccia e mi vesto. Ho lasciato tutto il resto dei miei abiti qui, e
quando sarò già lontano, chiamerò il padrone del palazzo e gli spiegherò la
situazione.
Passo in rassegna ogni
stanza prima di andarmene. Ognuna ha un ricordo felice ...
Nel bagno, posso
rivedermi nella vasca piena di schiuma giocare con le paperelle e le
barchette, schizzando acqua da tutte le parti mentre mia madre ride
divertita;
Nella mia camera, mi
rivedo per terra a giocare a un gioco di società con Kaede, per poi tirargli
le pedine addosso e finire tutto in una rissa;
In cucina, vedo Kaede
prendere dal frigorifero il succo d’arancia e berlo insieme a me;
In sala, vedo mio padre
addormentato sulla poltrona davanti alla televisione ancora accesa, che
proietta qualche film squallido;
In camera da letto, posso
vedere me e Fanel sotto le coperte, quel giorno di qualche settimana fa, a
sussurrare i nostri pensieri. Probabilmente, questo sarà in assoluto il
ricordo più dolce e bello di tutti ...
Esco di casa. ho chiamato
un taxi poco fa, ed è già sotto casa che mi aspetta. Il mio zaino pesa, così
come la valigia che l’autista carica nel baule.
Alla fine, nel mio zaino
ho infilato anche il cellulare, tutti i miei risparmi e il mio personale
pallone da basket, tutto pitturato e pieno di firme dei miei compagni, che
mi avevano portato quest’estate, quando avevo fatto l’incidente durante la
partita ed ero finito in riabilitazione. E’ uno dei miei portafortuna ...
Il tempo passa veloce,
siamo già all’aeroporto di Tokyo. E’ da qui che partono tutti i grandi voli.
Pago il ragazzo, e scendo. Entro e vengo investito da una fiumana di gente
che va e viene come se fosse perennemente in ritardo.
E’ tutto pulito, bianco,
e il soffitto è costruito da grandi vetrate che lasciano intravedere il
cielo ancora scuro.
Decine di check-in sono
messi in fila, e ognuno ha il suo cartello. Cerco quello per il volo a New
York, dove da lì andò a Dallas.
Lo raggiungo. C’è
parecchia fila, ma ne vale la pena di aspettare.
Mi chiedo se ... davvero
sto facendo la cosa giusta.
In fondo, quello che sto
facendo è sfuggire al passato e ai miei problemi.
Kaede sarà ancora
arrabbiato con me, e invece di aver voluto vederlo per sistemare le cose,
gli ho detto addio per telefono.
Akira non l’ho nemmeno
sentito, così come i miei amici.
E Fanel ... sto
sbagliando tutto. Perché non lascio da parte un po’ di questo mio orgoglio e
me ne vado da qui, raggiungo casa sua e gli chiedo scusa!?
Scusa per cosa poi?! Io
non centro ... non è stata colpa mia se è scappato e non si è fatto più vivo
...
Ma forse, se io non lo
avessi trattato così male tutto sarebbe ancora come prima, saremmo solo
amici.
Già, amici. Come dovrebbe
essere alla fine, no?!
Eppure non mi basta. Non
mi è mai bastato, credo.
Diavolo, sono qui, in
fila con davanti una donna che non fa altro che farsi problemi, e io sto qui
a pensare a tutte le cose che ho fatto o che avrei dovuto fare!
Finalmente è il mio
turno. La donna mi sorride.
“Sono Sakuragi Hanamichi.
Ho un biglietto prenotato per sola andata a New York.”
La donna lavora un attimo
sul suo computer a cristalli liquidi, e poi mi porge un biglietto.
“Vada in sala d’attesa.
Tra mezz’ora il volo arriva.”
La ringrazio e con la mia
valigia e il mio zaino mi siedo su una panchina poco affollata, ad aspettare
che mi chiamino.
Chissà. Probabilmente
adesso io sono l’unico a essere in piedi.
Scommetto che tutti i
miei amici stanno ancora dormendo ... oppure, sono già fuori per fare gli
ultimi acquisti di Natale, se lo festeggiano ovviamente ...
Scommetto che Rukawa è
ancora sepolto sotto il piumone a ronfare della grossa.
E magari anche Akira, e
magari non sarà da solo ...
Ma questo pensiero non mi
infastidisce più. Lui può vivere la sua vita come vuole, se vuole andare a
letto con qualcuno è libero di farlo.
Penso proprio che quello
che ci univa era solo attrazione fisica. Già, sicuramente era solo un
desiderio che contava soltanto il corpo, e nient’altro.
Perché altrimenti adesso,
non provo assolutamente niente?
Mi guardo attorno. Il bar
è pieno di gente. C’è chi prende degli snack, oppure chi si beve un caffè, o
un tea caldo.
Sono tantissimi, e molti
non sono neanche giapponesi. C’è chi è vestito con gli abiti più strani, chi
ha i visi stranieri, chi ha la lingua sconosciuta.
Mi sento quasi un
estraneo in mezzo a ciò.
La voce metallica si
diffonde per tutto l’aeroporto, gracchiando. Il mio volo è arrivato.
Mi alzo e all’improvviso
una voce mi scuote, chiamando il mio nome.
Mi volto, ma non
riconosco nessuno tra tutta questa gente.
No ... forse, una
sbarazzina zazzera nera e una pettinatura a punta che vengono verso di me
...
“Kaede ... Akira!” non
posso fare a meno di esclamare. Perché sono venuti qui?!
Kaede si ferma davanti a
me, e Akira resta un poco indietro.
“Sei ... venuto a
salutarmi?” gli chiedo al mio migliore amico, e lui si limita a guardarmi.
Dalla faccia sembra si sia appena svegliato. Ha su un paio di pantaloni
scuri e la giacca nera. Si avvicina a me e mi abbraccia stretto, quasi
soffocandomi.
“Hanamichi ... non
partire.”
Lo abbraccio anche io,
forte. Sono così felice che sia venuto qui per l’ultima volta!
“Ormai non posso più
tirarmi indietro ...” gli dico, lasciandolo.
“Ah sì?!” interviene
Akira con un sorriso, voltandosi un attimo indietro. Il suo viso si rabbuia
e comincia a guardarsi freneticamente attorno. Anche Kaede si agita.
“Cosa succede?!” domando,
ma i due non sembrano ascoltami. Cos’è tutto sto casino!? Dio! Mancano pochi
minuti e il volo parte. Non posso perderlo!
“Io devo andare. Mi
mancherete!” dico in fretta, cercando di trattenere una lacrima traditrice
mentre mi volto.
“No! Non puoi andare via
così!”
“Perché no?!” chiedo
spiegazioni a Sendo, che adesso mi sorride, dolce e rassegnato.
“E’ uno stupido. Siete
due stupidi. Sicuro di non aver dimenticato niente?”
“Dimenticato ...?Io, no!”
“Ah no?” dicono in coro i
due guardandomi ironici. Ma i loro volti sono sorridenti. Ho capito a cosa
si riferiscono, ma ormai è tardi, e io ... sono davvero uno stupido.
Chino la testa,
indietreggiando.
“Ditegli che ... mi
dispiace.”
“No, caro! Ve lo direte
in faccia!” dice Kaede afferrandomi per un braccio. Mi divincolo spingendolo
via.
“Ma sei pazzo?! Non posso
perdere l’aereo!”
“Il pazzo sei tu?! Preferisci perdere l’aereo o perdere chi ti ama alla
follia?!” ringhia Akira, facendomisi accanto, in posa di guardia.
Cosa significa?! Amare
alla follia?! L’amore non esiste! Nessuno mi ha mai amato! Lo dico ad alta
voce, per rendere bene l’idea, ma la mia voce trema. Così, da sola, vibra
nella mia gola, facendomi disperare.
“Folken è rimasto fuori.
Ovviamente non ha avuto coraggio di vederti partire. Neanche io avrei
coraggio di veder partire l’unica persona che amo dal profondo del mio cuore
...”
Kaede mi sorride piano.
Mi mette le mani sulle spalle, si accorge che stanno tremando. Mi accorgo
che io sto tremando.
“Va da Fanel. Lui ... ti
sta aspettando ...”
Lui mi ... ama?! Lui mi
ama? Me! Proprio me! Me! Io ... come può provare qualcosa di invisibile e
inesistente!? Ma forse è proprio per questo che io non ho mai creduto in
questo sentimento grande come il mare. Forse perché è davvero invisibile.
L’amore è una cosa che
... non si vede. Non si sa di che forma è, non si sa le sue dimensioni ...
ma c’è. Ed è sempre albergato in me, assopito, in attesa che io potessi
avvolgere questo sentimento a una persona che provasse lo stesso.
E io l’ho conosciuta ...
e l’ho respinta. L’ho cacciata via a causa delle mie paure!
Anche papà amava la
mamma, ma voleva dimostrarsi forte per non rattristarmi. L’amava. Come io
... io ...
Li scanso via e corro
fuori. Posso sentire su di me i loro sguardi, posso sentire che sorridono
sollevati. Ma loro come facevano a sapere ... non importa. Adesso non mi
importa, voglio soltanto afferrare quella felicità che ho sempre rifiutato,
voglio abbracciarlo, stare con lui, sempre!
Mi ama, e io non me ne
sono mai accorto, troppo ... troppo preso dai miei problemi, troppo preso da
questo lavoro che lascerò appena lo incontro. Mi è sempre stato vicino, si è
occupato di me quella volta, è stato al mio fianco!
E’ uno dei pochi che ...
ha davvero compreso i miei sentimenti, nonostante io cercassi di nasconderli
per non essere ferito. Come posso, come ho potuto essere così stupido da non
capire!
Fanel, tu non puoi
amarmi, dovresti odiarmi per la mia indifferenza, per la mia stupidità!
Sono fuori, corro in
strada. Lui non c’è. Vengo quasi investito da una macchina che frena a pochi
centimetri dalle mie gambe, ma poco importa se mi urlano dietro, poco
importa se sbatto contro la gente.
Dov’è Fanel?!
Eccolo, lo vedo. Il parco
di fronte all’aeroporto è semi deserto, se non per qualche persona che fa
jogging o che porta a spasso il cane.
E lui è lì. Bellissimo,
sembra un quadro con il colore dell’alba come sfondo. E’ seduto su una
panchina, con il viso affondato nelle mani, la schiena ricurva.
Sta piangendo?! Ti prego,
non piangere per me. Non lo merito. Preferirei morire cento volte piuttosto
di vederti piangere!
Solo adesso mi ritornano
in mente le ultime parole che mi disse quel mattino. <vorrei vederti sempre
sorridere>. Lui aveva capito che c’era qualcosa che non andava, che c’era un
motivo se il mio volto si era oscurato. E non era certo per il mio
carattere!
Sono di fronte a lui. Mi
inginocchio, non si è accorto di niente.
“Folken ...”
Alza lo sguardo
chiaramente spaventato. Mi guarda e sussulta.
“Sa ... Sakuragi! Che fai
qui, il tuo volo ...”
“Il mio volo?”
“Ecco ... tu non dovevi
partire alle nove?!”
“Si. Ma ho cambiato idea.”
“Perché?” mi chiede, il
viso è rischiarato. La luce nei suoi occhi è accecante.
“Perché non posso
lasciarti. Non posso ...” lo abbraccio di slancio, facendolo finire contro
lo schienale verniciato. E’ chiaramente stupito, ed è rigido, il suo cuore
batte forte, forte. Come il mio.
“Perdonami, Folken ...”
“Cosa ...”
“Non avevo capito. Sono
un idiota. Ma adesso non ti lascio più, starò sempre con te. Sarò come una
cozza al suo scoglio!” ironizzo, per allentare la tensione. Lui sorride
leggermente, ma ancora non capisce.
“Vuoi dire ... Sakuragi,
davvero vuoi ... restare con me?!”
“Si! Si, si, mille volte
si!” gli sussurro, ancora stretto a lui. E’ così caldo, e io non lo lascio.
Mi solleva il viso e si
china. E mentre vedo i nostri volti avvicinarsi sempre più, mentre posso
sentire il suo respiro caldo sul viso, mentre attendo con trepidazione che
le sue labbra morbide si posino sulle mie, so che tutto questo è giusto.
Giusto come nient’altro lo è mai stato. Io e lui siamo come due tasselli di
un puzzle, che si sono persi durante il gioco. Ma ora che si sono ritrovati,
tutto è tornato al posto giusto, il puzzle è diventato perfetto. Come questa
esperienza che sono certo mi travolgerà con i suoi alti e bassi, ma che io
amerò in ogni loro minimo particolare, come lui. Amerò ogni suo difetto,
ogni suo pregio, imparerò ad amare ogni sua più piccola parte del corpo,
ogni suo più piccolo segreto, ogni sua più grande confessione.
E finalmente, in un gesto
così casto e lieve da sembrarmi impossibile, mi bacia.
E io non posso che
perdermi in questo bacio. So che la gente ci sta guardando, ma non mi
interessa.
L’unica cosa che adesso,
qui, in questo istante, desidero, è lui.
Soltanto lui.
Si stacca da me, e ci
guardiamo. Si imporpora, e quelle pupille sono così profonde da farmici
perdere ...
E’ un po’ titubante, in
effetti, a vederlo bene. Ma lo so, è logico. Lui ha semplicemente paura che
io, a causa del mio lavoro, scambi questo per un gioco. Ma non è così, devo
farglielo capire.
“Folken ... io ti ...” ho
bisogno di respirare. Non l’ho mai detto a nessuno, per me è importante. Più
della stessa aria che respiro. Mi lecco le labbra e lo guardo, serio in
viso. “Io ti amo. Devi credermi.”
“Lo so. Anche io ti amo
...”
Mi abbraccia e io affogo
in questo mare di tenerezza che mi circonda. Mi sento così bene, così
protetto. E’ una sensazione strana, stranissima. E’ come essere nella pancia
della mamma. Questo calore che mi protegge è come il liquido amniotico ...
Vorrei che il tempo si
fermasse, e ci lasciasse così per sempre.
“Posso chiamarti ...
Hanamichi?”
“Dillo ancora ... mi
piace come pronunci il mio nome ...”
“Hanamichi ...”
Lo bacio di nuovo.
Improvvisamente la stanchezza mi prende di sorpresa. Quando ci rialziamo,
quasi gli crollo addosso.
“Io ... scusa ...”
Tutte le ore passate
sveglio, tutte le emozioni che sono sfociate in me assieme e così violente,
si stanno ripercuotendo all’istante su di me ...
“Hai sonno?” mi chiede,
divertito.
“Tanto sonno ... stiamo
qui cinque minuti?” gli domando, mostrandogli le tonsille con uno sbadiglio.
“Guarda che non ti porto
in braccio fino a casa!” mi minaccia poi, quando siamo seduti di nuovo, e io
sono tra le sue braccia.
“No, non preoccuparti ...
mi riposo un attimo, okay?”
E’ tutto quello che
riesco a dire, e poi piombo nel sonno.
Il profumo della mamma è
ancora qui. Ma non è l’unico profumo che c’è nell’aria. Un altro gli si
mischia, lieve ma dolce.
E’ il profumo della menta
selvatica ...
Apro gli occhi a fatica.
Sono sotto le coperte, a casa mia. E’ la camera dei miei genitori, la
riconosco dalle tende in pizzo confezionate dalla mia mamma, uniche nel loro
genere, che coprono la finestra, che lascia intravedere il cielo plumbeo.
Prevede tempesta, a quanto pare ...
Dietro di me, c’è un
calore speciale che mi scalda il cuore.
La sua mano mi accarezza
piano i capelli, i suoi occhi dalle lunghissime ciglia sono chiusi.
In questo momento mi
sembra un angelo. Mi chiedo se davvero gli angeli siano come vengono
rappresentati. Puri, casti, in veste bianca, dai riccioli di sole.
No, non è così. Io
l’angelo ce l’ho accanto.
Apre gli occhi, e mi
guarda.
“Ben svegliato ...”
“Ciao ... che ore sono?!”
non posso fare a meno di chiedergli, chissà quanto ho dormito!
“Le due di pomeriggio.”
Mugolo distrutto, ho
dormito così tanto?! Mi stiracchio un attimo, e sbadiglio. Mi perviene
qualche brivido di freddo. Come vorrei non alzarmi da qui!!
“La sai una cosa?! Quando
dormi sembri un angioletto ...” mi confessa, sfiorandomi una guancia. E’
impossibile, io penso lo stesso di lui!
Mi bacia la fronte, e non
c’è costrizione o violenza. Solo tenerezza, solo ... la consapevolezza di
essere insieme, finalmente insieme.
Lo squillo del telefono
rovina questa atmosfera paciosamente romantica che si era creata tra noi. Mi
tiro su, contro la testiera e svogliatamente, rispondo, mentre mi volto
verso Folken. Lui sembra aver capito. Si sdraia sul letto e chiude gli
occhi. Come posso farlo soffrire a questo modo?!
“Pronto?”
“Sakuragi!” la voce è
arrabbiata, e ansiosa.
“Maki ...”
“Tu ... tu, brutto
stupido! Perché non sei partito?! Green non ha fatto altro che tempestarmi
di domande, e si è arrabbiato nero! Perché ti trovi ancora qui in
Giappone?!”
“Perché ci resto.”
“Cosa?!”
“E’ così. Il biglietto
l’ho stracciato, non parto più. Ho deciso di smettere di fare questo
lavoro.”
“Ma perché?! Cavolo,
stiamo parlando di centinaia di migliaia di yen, sciocco! Vuoi sprecare
un’occasione così?!”
“... non mi importa quale
sia il prezzo! Io non faccio più l’accompagnatore, ho deciso. Mi spiace solo
di averti messo nei casini ...”
Maki sospira dall’altro
capo, e riprende fiato.
“Deve essere successo
qualcosa di davvero molto importante se hai preso una decisione così
drastica ...”
“Più importante della mia
vita.”
“Sono certo che ci tieni
davvero, mi sembri estatico. D’accordo, cercherò di rimettere a posto le
cose. A risentirci, imbranato ...”
“Ciao ...”
Chiudo la comunicazione.
“Sei sicuro di questa tua
scelta?” la voce di Folken mi giunge premurosa, e calda, come sempre. Amo la
sua voce, è così bella ...
“Si, ho deciso. Io voglio
solo te, Folken.”
Solo te. E’ così
difficile da capire?!
Io ho sbagliato. Sono
stato uno stupido. Anche io ti ho sempre amato, mio caro Folken. Ma non me
ne sono accorto.
Da quell’incontro,
fortuito incontro quella giornata di pioggia, in quell’albergo dove c’era la
mostra io e te ci incontrammo.
Subito, venni attratto a
te come una calamita, e i tuoi occhi ... mi legarono a te. Ma no, che dico?!
Io e te siamo sempre stati legati, fin da quando eravamo bambini, da quell’invisibile
filo rosso sottile del destino, che tirandosi giorno per giorno, ci ha fatti
incontrare.
Solo che io non l’avevo
capito. E adesso, che siamo insieme, dopo tanto tempo, non voglio più
lasciarti andare.
Non mi importa se
litigheremo, se ci picchieremo, se ci faremo del male a vicenda. Io non ti
lascerò più, per nessun motivo al mondo, anche se tu ... non proverai più
niente per me, io non ti lascerò ... sopporterò tutto, pur di averti sempre
al mio fianco ...
E’ il ventiquattro
dicembre, la vigilia di Natale.
Fuori è più freddo del
solito. Nevica. I fiocchi candidi volano ovunque, e con lentezza vanno a
ricoprire ogni cosa. Anche gli alberi di ciliegio addormentati ...
Mi sono sempre piaciuti
gli alberi di ciliegio, mi sono sempre piaciuti i fiori.
D’altronde, io mi chiamo
Hanamichi Sakuragi, no?! I casi della vita!
Non sono più partito, ho
completamente abbandonato quell’idea. Il biglietto l’ho stracciato, come
spiegai a Maki ieri, e tutto è tornato come prima ...
Quasi tutto. Io e Folken
siamo fidanzati, adesso.
Ieri, dopo quella
telefonata, io e lui ci mettemmo a parlare del nostro futuro.
Si, si, ho proprio detto
*nostro*
Perché anche lui, come me
è intenzionato a non lasciarmi.
E’ intenzionato a vivere
per sempre al mio fianco.
Abbiamo parlato di quando
finiremo l’università, e andremo a vivere insieme in una grande casa,
davanti al mare.
E’ fantastico avere già
questi progetti per quello che succederà più avanti.
Gli ho parlato del mio
lavoro ... cioè, ormai ex- lavoro.
E si è dimostrato geloso,
molto geloso! Si è imbronciato mentre gli dicevo come- cosa- quando, cioè
entrando un po’ nei particolari, e si è rischiarato solo quando mi ha fatto
promettere di smettere definitivamente. Il mio Folken.
Si, solo e solo mio, e
guai chi si azzardi a portarmelo via!
È sera, e io ho passato
in rassegna tutti i negozi di Kanagawa alla ricerca di un regalo adatto a
lui. In realtà, non ho trovato niente!
Ma mi piacerebbe
regalargli un nuovo giubbotto di pelle, o una giacca in pelle nera lunga
fino ai piedi, che gli starebbe divinamente. Lo farebbe molto ... *matrix* !
Oppure, non so ... ho
scoperto che a lui piacevano anche un po’ i Sex Pistols, così magari sul
mercato se trovo il lucchetto di Sid, glielo compro e mi tengo la chiave,
ovviamente ...
Il mio sogno un giorno è
di vederlo vestito da vero dark, starebbe benissimo, sono sicuro ...
Ci proverò anche io prima
o poi, anche se sembrerò più un pagliaccio che altro ...
Ecco, un negozio di abiti
maschili. Entro, e adocchio all’istante una bellissima giacca di pelle
sintetica, che corrisponde ai miei desideri. E’ pressoché perfetta!
La osservo da vicino,
prendendo in mano il tessuto lucido e nero. E’ proprio bella, non c’è che
dire, e il prezzo non mi spaventa. I soldi li ho.
E’ lunga, e a me arriva
quasi alle caviglie. Le maniche sono larghe e hanno cuciture fini. Il collo
e alto, e si chiude con una cintura anch’essa nera rigida, come quelle che
si usano per i jeans.
La voglio!
Il commesso mi dice che
era l’ultimo modello rimasto – che culo! – e mi assicura che è in garanzia.
Se si trova qualche punto scucito, me la rimborsano, in poche parole.
Me la incarta in una
confezione luccicante, rossa e bianca, e il regalo me lo infila in un
sacchetto di plastica.
Pago e me ne vado. Ho
voglia di vedere Folken. Oggi non l’ho nemmeno visto, ci siamo solo sentiti
per telefono questa mattina, e basta. Mi mancano i suoi occhi e le sue
premure ...
Passo da casa e lascio
giù il regalo. Poi, vado di nuovo in strada, e lo raggiungo a casa sua.
Mi ha dato l’indirizzo la
volta scorsa, e non ci credevo che potesse abitare in un simile
appartamento. E’ davvero grande, e mi piace moltissimo!
Sono nel suo quartiere,
che è pulito e decorato.
Entro dalla porta a vetri
del suo palazzo, e salgo al secondo piano. Mi fermo davanti alla porta
scura, a leggere il suo cognome sul campanello.
Sto per chiamarlo, ma mi
blocco. E ... se ci fosse in casa suo padre? Non vorrei che se la prendesse
con lui, non lo sopporterei. Ma non sento niente. Magari, nemmeno lui c’è.
Suono, premendo il
bottoncino dorato che mi si disegna davanti – il cuore lo sento battere in
gola.
Pochi istanti dopo, la
porta fa un paio di scatti e si apre
“Ciao!” lo saluto con un
sorriso, sono così felice di vederlo!
Lui sembra sorpreso, ma
poi ricambia il mio sorriso.
“Ciao!”
E’ davvero carino ...
sembra un cucciolo con quell’espressione e quegli abiti ... indossa un paio
di lunghi e larghi pantaloni bianchi e una felpona blu scuro con due tasche
ai lati.
“Vuoi entrare?”
“Sicuro che non
disturbo?!”
“No, entra” si scosta e
mi fa entrare. L’ingresso è buio. Forse, dal salotto illumina poco il
corridoio la fioca luce di una lampada da lettura.
Chiude la porta e mi
spinge contro, baciandomi con passione.
“Che ti prende?” mormoro,
sentendo le sue labbra sul mio collo. Sono stupito da questi suoi slanci, ma
sono atterrito se qualcuno dovesse sorprenderci.
“Mi sei mancato ...”
Io e lui siamo fatti
davvero l’uno per l’altro. Abbiamo gli stessi pensieri rivolti a entrambi, e
nonostante non abbiamo molte cose in comune, siamo felici.
“I tuoi genitori sono
usciti?” gli domando, tendendo le orecchie nel caso sentissi qualche rumore
sospetto.
“Si, insieme alla piccola
peste. Non so quando tornano però” mi informa prendendo un pentolino e
riempiendolo d’acqua quasi fino all’orlo. Lo mette a bollire, mentre mi
chiede: “Ti va del tea?!”
Tiro un sospiro di
sollievo, davvero, e annuisco andandogli a fianco, e per aiutarlo prendo due
tazze dal lavabo, che poggio sulla credenza.
La sua casa è davvero
bella. La sua cucina è spaziosa, dai mobili in legno di pino, e il tavolo
grande al centro. Non c’è la porta, e da qui si può tranquillamente vedere
il salotto, e l’ingresso.
Mi trovo in casa del mio
ragazzo.
Il mio ragazzo. Come mi
piacciono queste parole. Non posso ancora credere che lui provi per me del
puro amore, che io non ho mai creduto esistesse. E invece, ne ero pieno e
l’ho donato tutto a lui. E non ne sono pentito, anzi. Ma è solo che non ho
parole per esprimere ciò che provo davvero.
Brividi, rossori e
sguardi intensi non possono paragonarsi a ciò che sento sul serio ...
“Uno yen per i tuoi
pensieri ...”
la sua voce calda soffia
sul mio orecchio, e non posso fare a meno di rabbrividire.
“Solo uno yen?”
“Vorresti qualcosa in
più?”
“Mh ... può darsi ...”
scherzo, e mi volto nel suo abbraccio. I suoi occhi sono caldi e avvolgenti.
Dio, non mi stancherò mai di affogare in questo mare di dolcezza.
Si china verso di me e mi
bacia. La passione per adesso è assopita, e alberga in noi soltanto una
voglia impellente di coccole ...
La luce si accende
all’improvviso. Ci voltiamo di scatto.
Ciò che non avrei mai
voluto, con tutta l’anima, che accadesse, è successo.
Con una mano
sull’interruttore, c’è suo padre, sconvolto è a dir poco. Al suo fianco sua
madre, penso e vicino il fratellino di sei anni, che ci guarda senza capire.
Folken non mi lascia un
attimo. Anzi, la sua mano stringe ancora più forte la mia. lo leggo nei suoi
occhi, lo sento attraverso la stretta salda che mi porge.
Ha paura. Cosa stai
provando, amore mio?
“Mamma, cosa succede?!”
suo fratello ci guarda, i suoi occhi sono ancora ingenui e innocenti, e non
capisce. Almeno lui, Dio ...
“Van, fila in camera tua”
la voce del padre è dura e categorica. Si sta trattenendo a malapena
dall’urlare.
“Perché?” articola, la
sua vocina è tenera e debole
“FILA IN CAMERA TUA!”
urla isterico. La moglie sussulta piano, guardando disperata me e suo
figlio, e il piccolo a quelle urla scappa letteralmente via. Scompare.
Adesso siamo solo noi
quattro. Dio, che accadrà adesso?!
“Cosa diavolo succede
qui?” la voce è bassa e sibilante, mi fa correre giù un brivido sulla
schiena.
Né io né Folken riusciamo
a dire qualcosa. Io non posso permettere che si ripeta ancora una volta ciò
che successe quel giorno di qualche settimana fa ... non voglio rivivere
ancora quegli istanti ...
“Caro, calmati.
Sicuramente c’è una spiegazione per ...”
“IO NON MI CALMO AFFATTO,
CAZZO!”
La donna zittisce,
facendo ondeggiare i lunghissimi capelli neri sulla schiena.
“Cosa c’è da spiegare?!
Non lo vedi da sola?! Nostro figlio è uno schifoso gay! Ed è tutta colpa di
quello stronzo con i capelli rossi!”
“Si, è colpa mia ... ma
non se la prenda con Folken, per favore ...” sbotto facendomi avanti e
guardandolo in faccia. Lui esplode.
“Certo che è colpa tua,
schifoso frocio! Avrei dovuto sbatterti in galera quel giorno invece di
farti andare ancora libero a sculettare in giro! Hai rovinato mio figlio,
bastardo!”
“Papà, io sono gay, e lo
sono da tempo. Non prendertela con lui!” Folken è stanco di quelle parole e
si fa avanti prendendomi una mano.
“Folken! Per Dio, cosa
diavolo stai dicendo?! Guardalo, ti sta usando! E tu non sei gay,
maledizione!! Ma non capisci che ti sta prendendo in giro?! Quello è solo
una puttana senza sentimenti!! Folken!”
“Come puoi dire una cosa
simile!”
“SVEGLIATI, IDIOTA!! Ma
ormai a cosa serve?! Siete tutti è due malati!! Altri due essere inutili a
questo mondo!! Voi mi fate ribrezzo! E io non potrò mai perdonarti Sakuragi
per averlo ridotto così! Dovresti morire! Cazzo, non meriti di vivere!
Dovresti crepare e portare con te questa malattia che insozza il pianeta!”
Io non merito di vivere
...
Perché ...
Folken si slancia in
avanti e tira un pugno a suo padre, facendolo finire a terra.
“Non ti azzardare più a
parlare male di lui, chiaro?!” urla. Così forte da farmi paura. Non l’ho mai
sentito urlare. E’ furioso.
La madre gli molla uno
schiaffo così violento da farlo barcollare.
“Come ti permetti di
toccare tuo padre?! Vergognati, Folken! Vergognatevi tutti e due!” scoppia
in lacrime, ancora distrutta per quello che ha visto.
Suo figlio che si baciava
con un altro ragazzo.
Chissà, mia mamma se
sarebbe stata viva avrebbe reagito uguale?! Mi si spezza il cuore se ciò
fosse stato vero ...
La donna si inginocchia
accanto al marito, prendendolo tra le braccia. Folken si allontana, e io mi
sento addosso gli occhi accusatori della donna.
“Perché! Perché hai
ridotto così il mio bambino! Lui non aveva fatto niente! Era così buono, e
ora sei arrivato tu e l’hai ridotto come un teppista! E’ tutta colpa tua,
bastardo! E’ solo colpa tua se mio figlio è impazzito!” si sfoga su di me, i
suoi occhi bruciano, le sue parole graffiano. Le sue lacrime uccidono. E io
non me la sento di stare ancora qui ...
Il mio ragazzo ritorna,
ha un borsone a tracolla. Il padre si è rialzato. Folken mi afferra per un
braccio, e mi trascina con sé.
“Folken, dove stai
andando?!”
“Lontano da qui ...
lontano da te!” risponde quasi ringhiando. Il suo labbro sanguina, e la sua
guancia comincia a scurirsi.
“Se esci da quella porta,
sei completamente fuori mi hai capito?! Non torni più qui!” tenta un ultimo
disperato tentativo di convincerlo, nonostante usi in dose sproporzionata la
cattiveria e l’odio che sprizza a volontà.
“Bene. Io la mia
decisione l’ho presa” usciamo e la porta si richiude alle nostre spalle. ci
fermiamo sulle scale, e alle nostre orecchie ci pervengono altre urla
all’interno della casa. Sono forti, ma poi si fanno sempre più deboli,
finché non sentiamo più nulla. Scendiamo, le urla che rimbombano ancora
sulle pareti, e finalmente siamo fuori.
Folken si sistema meglio
il borsone sulla spalla sinistra, e guarda in alto.
“Cosa hai intenzione di
fare adesso?” tremo come una foglia. Ho assistito a una scena terribile,
disperata. Ma a me non importa di ciò che mi hanno detto. A me importa di
come si sente lui.
“Ti chiedo solo di
ospitarmi da te per un po’ ...” si limita a rispondere, il suo sguardo non
incontra il mio, non ha il coraggio di dimostrarmi che sta male. Mi si
spezza il cuore.
Ci incamminiamo verso
casa mia.
Sento lo sfrecciare delle
auto sulla strada, il passeggiare di poca gente sui marciapiedi, il chiarore
dei lampioni che sformano le nostre ombre, le luci intermittenti degli
striscioni natalizi che esplodono davanti ai miei occhi. Ma io non vedo
niente.
Le luci si spengono a
poco a poco, e finalmente siamo al mio palazzo. Saliamo i cinque piani, e
mentre apro la porta di casa con il mazzo di chiavi, guardo Folken. Ha il
labbro gonfio, la guancia tumefatta. Ma ciò che mi spaventa sono i suoi
occhi. Sono spenti, sembrano quelli di un morto.
Entriamo, e il suo viso è
ancora peggio di quanto ho visto prima al buio.
“Vieni in bagno ... ti
medico il viso” gli dico a voce bassa. Poggia il borsone nella camera dei
miei genitori, e mi segue docilmente.
Dalla mia farmacia
personale afferro il cotone bianco e l’alcol etilico, cosicché non gli bruci
il labbro durante la medicazione.
Lo faccio sedere sul wc
chiuso e dopo aver impregnato il liquido nel cotone comincio a tamponare
piano il taglio.
Le sue labbra sono rosse,
ed il sangue coagulato si è fermato sul mento. Glielo lavo via, e lo guardo.
I suoi occhi sono lucidi.
“Scusa ... brucia,
vero?!”
Ma so che non è affatto
per quello. Il suo tentativo di dimostrarsi forte è così intenso da farmi
venire voglia di piangere. Posso sentire il suono distinto del suo cuore che
si sta rompendo ...
“Folken ... mi dispiace,
è stata colpa mia ...” gli dico, lasciando cadere tutto e accarezzandogli il
viso. Lui nega, con un cenno della testa e guarda in alto. Comincio a notare
le lacrime che brillano sulle sue ciglia.
“Folken, se vuoi piangere
fallo ... io sono qui, e non ti lascio ...”
Si copre il volto con le
mani, e i singulti riempiono il bagno.
Io non posso credere che
la cattiveria dell’uomo sia così grande da far soffrire chi non ne ha colpa.
Non è giusto, perché deve essere tutto così difficile per lui, per me, per
noi?!
Tra le mie braccia, nella
sua momentanea fragilità, mi chiedo se la gioia e la completezza che
entrambi abbiamo provato nel rivelare i nostri sentimenti due giorni fa, sia
davvero effimera. Se noi siamo destinati a vivere in un mondo dove ci sono
solo incomprensioni per noi, solo disprezzo e addirittura odio per due
ragazzi dello stesso sesso che si amano, dove la gente ha i pregiudizi,
puntano il dito con orrore verso ciò che non si conosce. Dove non
comprendono che noi abbiamo dei sentimenti, e ci spezzano il cuore quando ci
minacciano, ci urlano contro, ci incolpano.
Una volta, mia mamma mi
parlò dell’amore. Fu proprio in quel momento che davvero cominciai ad avere
qualche dubbio sull’esistenza del sentimento.
“Amare non è mai
sbagliato ... ci sono solo mille modi diversi per farlo. L’importante, è che
tu sia felice con la persona a cui starai accanto, e tutto il resto ti
sembrerà futile”
In un certo senso, aveva
ragione. Stare accanto a chi ti rende la vita un paradiso in terra, ti fa
sentire protetto e voluto con tutti i tuoi difetti e i tuoi pregi. Ma per
chi è come noi, ti fa sentire estraneo, straniero, diverso, dalla realtà che
ti circonda.
Chissà lei come avrebbe
reagito a questa notizia, se fosse stata ancora qui. Se mi avesse rinnegato
come figlio, mi avrebbe ucciso.
“Folken, mi dispiace. Non
sarei dovuto venire a casa tua. Il solo vederti così mi fa star male. Come
vorrei cambiare ogni cosa! Ma è impossibile. L’unica cosa che ti chiedo è di
perdonarmi per ciò che ho fatto. Ti ho costretto ad abbandonare la tua
famiglia, e tu l’hai fatto per stare insieme a un mezzo vagabondo stupido
come me!”
“Non dire così! Io non ti
avrei mai abbandonato in ogni caso. E’ solo che non mi aspettavo un simile
trattamento ... pensavo che almeno mia madre, in qualche modo, mi avrebbe
capito. E invece, si è lasciata influenzare dalle idee razziste di quello
stronzo che ha sposato! Ma d’altronde, sai che ti dico? Che se loro non
approvano il mio io, ciò che sono, vuol dire che non mi hanno mai davvero
amato. Mi hanno avuto per uno sbaglio, questo mi fa pensare alla vicenda! E
mi fa soffrire ancora di più ... si può nascere senza essere amati?”
“Oh, Folken ...”
singhiozza scosso dai brividi, le sue lacrime scivolano sulle sue guance “io
... sono certo che tua madre ti ama, così come tuo padre. Sicuramente sono
solo sconvolti da quello che hanno visto. Magari, se fai passare un po’ di
tempo, e ci parli, capiranno!”
“Mio padre non capirà
mai! E’ uno schifoso, razzista, omofobo, conformista del cazzo! E mia madre
lo segue pure! Ma perché diavolo ...” impreca, convulsamente senza sapere
esattamente ciò che dice. Lo vedo, è così sconvolto da ciò che è successo
che esprime pensieri di cui lui è convinto davvero, ma che fanno male a
essere rivelati “... oh Hanamichi. Mi chiedo solo come tu possa sopportarmi
...”
Non so cosa dire. Non lo
vorrei ferire, non lo vorrei fare arrabbiare. Ho paura di esprimere, per la
prima volta in vita mia, ciò che penso. Mi limito a stringerlo a me, a
cullarlo un po’, ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo.
“Mi sono sempre impegnato
con tutto me stesso per essere il loro figlio ideale. Ho sempre studiato
sodo per soddisfarli, volevo essere il migliore per renderli orgogliosi di
me. Ma non è mai servito a niente! Ho cercato in tutti i modi di far sì che
si accorgessero davvero della mia esistenza, ma loro ... è come se io non ci
sia mai stato, se non per certi favori, o per certe situazioni. E’ per
questo che mi sono lasciato andare alle mie passioni nascoste, il basket e i
tatuaggi. E’ per questo che odio mio fratello, perché per mia madre lui è il
centro del mondo! Ogni cosa, ogni minima cosa lei accorre lì a venerarlo,
cosa che con me non ha mai fatto. Perché non posso godere un po’ del
rispetto che merito nella mia famiglia!?”
“Lui è ancora un bambino,
è logico che debba avere queste attenzioni ...” provo a spiegargli, è roso
dalla gelosia.
“No, non capisci! Tu
dovresti vederli! A mia madre non è mai fregato niente di me, se non per
vantarsi con le sue amiche dei miei progressi, della mia bravura. Ma quando
è in casa non se ne accorge nemmeno se ci sono o no. Sono io che devo
falsificare le firme, e quando ci sono i colloqui devo sempre essere
diligente e prendere il massimo dei voti per non inventarmi palle sul fatto
che non possono prendere permessi sul lavoro. In realtà, non gliene sbatte
un cazzo!”
“Folken, ti prego,
calmati. Sei solo sconvolto, io ti capisco, davvero, ma non dire cose di cui
ti potresti pentire ...”
Si scosta da me,
rimanendo immobile.
“Scusami. Mi spiace di
darti così fastidio ...”
“Ma cosa dici!” gli alzo
il volto, gli bacio la fronte calda, troppo calda “Tu non mi dai fastidio.
E’ solo che sei stanco, e probabilmente certe cose non le pensi affatto. Ti
conviene riposare, e quando sarai fresco e sereno mi racconterai ogni cosa,
va bene? Ora vieni, andiamo a dormire. Sei caldo, ho paura che ti stia
salendo la febbre ...” gli tocco ancora la fronte. Non è solo caldo, scotta.
Così come il resto del suo corpo.
Lui annuisce e si alza in
piedi, si appoggia a me. Lo accompagno nella camera, ormai è diventata
nostra. Lo spoglio, cercando di non imbarazzarlo più del dovuto, e quando lo
guardo mi sembra debole fragile come il cristallo. Se davvero, se davvero
sua madre si comporta così, se è davvero come dice lui ... io non so che
vita abbia dovuto fare fino ad ora.
Lo corico a letto, e mi
stendo al suo fianco.
“Sarai costretto a
passare il Natale con me ...” gli mormoro sfiorandogli le guance umide.
Solleva gli occhi lucidi e gonfi su di me.
“Natale? Che cos’è?”
“Non lo sai? Be’, ti
spiego io. Vedi, il natale che da noi è una festa consumistica, per i
cattolici è una festa importante perché il venticinque dicembre simboleggia
la nascita di Gesù, figlio di Dio. In realtà, in molti quel giorno pensano
soltanto a scambiarsi regali, farsi gli auguri, e festeggiare tutti insieme
con un pranzo abbondante. C’è anche una storia, che narra di Santa Claus, un
anziano ciccione vestito di rosso dalla folta barba bianca come il cotone
che la notte tra il ventiquattro e il venticinque porta i doni a tutti i
bambini del mondo ...”
Mentre gli racconto di
questa storia, Folken mi ascolta, incuriosito. I suoi occhi scuri e dolci
sono attenti a ogni cosa, e sembra che per poco sia riuscito a distrarlo ...
“Di solito, la casa si
addobba con un albero di Natale, cioè un abete e lo si riempie di striscioni
filanti e luccicanti, palline colorate e anche bastoncini di zucchero, e
sotto di questo si mettono i regali. Quand’ero piccolo lo festeggiavo
sempre, ma quando mia mamma è morta ho smesso ... chissà, se domani starai
meglio, mi aiuterai ad addobbare la casa, ti va bene?”
Folken mi guarda,
stralunato, con il viso quasi assopito
“E’ bellissimo ...”
mormora, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Già, è una festa
stupenda per me!”
“Io stavo parlando di te,
Hanamichi ...” mi rivela, chiudendo gli occhi e addormentandosi di botto.
Sono certo che è in preda a un giramento di testa colossale.
Folken non mi sembra il
tipo di ammalarsi spesso, anzi. Ha una tempra forte, una *corteccia*
resistente.
E’ un tipo serio, calmo,
di indole tranquilla, ed è logico che tutta la tensione, tutta la
disperazione e la rabbia accumulate questa sera si siano ritorte sotto forma
d’influenza. Deve essere stato davvero un duro colpo, per lui ...
Cosa posso fare per
aiutarlo?! In realtà non posso sapere cosa sta provando sul serio. Gli ho
raccontato solo bugie. Forse, se andassi a parlare con la sua famiglia,
tutto potrebbe risolversi ... o forse non farei altro che peggiorare i fatti
così come sono.
Cosa devo fare?! Madre
mia, ti prego ... dimmelo tu come devo comportarmi in una situazione simile
...
Lancio un’occhiata al
porta foto che c’è sulla cassettiera, il sorriso di mia madre oltre il vetro
è meraviglioso. Mi chiedo se lei sia stata felice della vita che ha fatto
con me, privata anche lei di qualche momento felice per colpa di mio padre
...
E’ tardi, penso siano le
nove e mezza. Sarò riuscito a chiudere occhio per sei ore o meno. Ma non mi
sento stanco, anzi. Sono riposato e fresco come una rosa.
Fuori sta nevicando. Fin
da piccolo ho sempre sperato che nevicasse il giorno di Natale, per rendere
davvero indimenticabile il venticinque dicembre. Vado alla finestra. Non un
automobile che sfreccia sulla strada candida, non un passante che si ferma a
guardare il cielo grigiastro.
Forse è il momento buono
per cominciare a preparare l’albero per questa giornata, che spero
nonostante la tristezza e la febbre che costringono a letto Folken, la renda
un po’ speciale ...
Prima di andare in cucina
tocco la fronte al mio ragazzo. E’ ancora calda, ma senza dubbio meno di
ieri, ed è una fortuna. Non ho medicinali in casa, e oggi le farmacie sono
chiuse.
Apro la porta dello
sgabuzzino, e vengo investito da una folata di polvere che mi fa lacrimare
gli occhi. Ecco perché non lo apro mai! Non c’è speranza di riuscire a
mettere a posto! E’ piccolo, stretto, e le poche cose che ci stanno sono una
accatastata sull’altra ...
Ripeto, non c’è speranza
...
Sono costretto a
scavalcare degli scatoloni rovinati e graffiati per prendere l’albero
racchiuso in un nero sacco dell’immondizia – il più grande che trovammo per
proteggerlo dalla polvere.
Lo prendo e quasi
inciampo nello spazzolone, rischiando di finire contro il muro di fronte a
me. Il mio solito culo che si mostra nelle occasioni più fortuite mi
permette di salvare la testa ...
In sala, riverso sul
pavimento, apro il sacco e scarto l’albero. E’ strano, me lo ricordavo molto
più grande ...
E’ proprio vero che da
bambini le cose che ti sembrano enormi e immense sono piccole e magari
insulse. Che tristezza ...
Il verde foresta dei suoi
rami e degli aghi sottili è davvero bello, e risalta ancora di più quando lo
metto vicino al muro chiaro.
Le decorazioni devono
essere impacchettate in uno degli scatoloni che prima hanno rischiato di
farmi ammazzare ...
Vado e torno. E’
piuttosto pesante, infatti è davvero stracolmo di oggetti di piccole e
grandi dimensioni: palline decorate d’argento e verniciate di rosso, palline
vetrate di blu, colorate di bianco. Ma la cosa che mi è sempre piaciuta
dell’albero di natale sono gli striscioni di migliaia di pagliuzze dorate,
argentate, cremisi, cobalto ... a non finire sono i colori che possono
venire usati per rendere colorato e allegro l’albero.
“Hanamichi, cosa stai
facendo?”
Mi volto e Folken è
accanto allo stipite della porta, in boxer e canottiera, scosso dai tremiti.
“Folken, ma che ci fai in
piedi?! Vai a letto!” lo minaccio saltando su e andando da lui. Insomma,
capisco che si è preoccupato non trovandomi, ma era necessario non
vestirsi?! Nonostante questo mio atteggiamento da mamma chioccia che lui mi
rinfaccia ironicamente, non posso non pensare alla magrezza e allo splendore
del suo corpo.
“Se mi vesto posso stare
di qua con te?!” sbuffa grattandosi la nuca con un gesto svogliato.
“Si, ma ora vai di là
...” lo spingo verso la nostra camera.
Riprendo da dove mi ero
fermato. Dopo aver raddrizzato tutti i rami dell’abete, comincio con
delicatezza a lucidare ogni pallina colorata che prendo dal cartone. Devo
fare piano a passare il tessuto di spugna umida. Sono in vetro, e non vorrei
rischiare che si rompessero ... ricordo che quando avevo più o meno sette
anni mio padre mi portò a casa una notte di pioggia un batuffolo
appallottolato su sé stesso ... era un cucciolo di gatto che aveva trovato
in strada, e così colto dalla pena l’aveva preso con sé. Ricordo con il
sorriso quando quattro giorni dopo venne Natale e ruppe più della metà delle
palline che erano appese all’albero, rovesciandolo a terra! fu per quel
motivo che dovemmo darlo via. Rimasi in lacrime per un giorno intero quando
i nuovi proprietari lo presero con sé, ma non ne comprai più un altro.
Ma è da un po’ che ci
penso, da quando ho conosciuto il gatto di Kaede – è un gattofilo se esiste
–. Anzi, i gatti. Ne ha undici – come il numero della sua maglia, che volpe
megalomane –, uno più bello dell’altro. A volte mi chiedo come lui e sua
madre facciano a viverci insieme! Sembra che nessuno di loro siano stati
acquistati, ma sono tutti trovatelli. Se va avanti con questa mania di
collezionismo, sarà lui che verrà sbattuto fuori di casa, non i gatti, temo
...
I nomi non me li ricordo
affatto, ma hanno tutti il pelo lucente e sono incredibilmente
giocherelloni. Il più vecchio ha cinque anni ... ed è quello che io
considero un *signor gatto* , con il pelo lungo e folto brunito, il muso da
pantera e le zampe che sembrano degli stivali tanto sono bianchi. E’ un
norvegese delle foreste, se non sbaglio ...
“Eccomi. Posso darti una
mano?”
“Te la senti? Non è
meglio se proviamo la febbre?” gli chiedo un po’ incerto, osservandolo
dubbioso nei suoi jeans e il maglione verde.
“No ...” mugola sedendosi
a terra vicino a me, e rimanendo ad osservare ciò che sto facendo.
“Posso aiutarti?”
“Se vuoi ... facciamo
così, io pulisco le palline e tu le appendi con i gancini, okay?”
Annuisce allungandosi
verso di me e sfiorandomi la bocca con le sue labbra calde. Gli accarezzo
una guancia rossa, che lo fanno assomigliare a un bambolotto di ceramica.
Insieme decidiamo i
colori da usare, e infine optiamo per blu e argento, che insieme sono
un’accoppiata fenomenale.
In realtà, non sono molto
d’accordo che lui mi dia una mano. Mi sembra fiacco e ancora stanco, e la
sua depressione non mi pare scemata. Sta soltanto cercando di non farmi
preoccupare, provando a sembrare allegro nonostante gli bruci la gola, gli
occhi e gli giri la testa.
Alla fine il lavoro
compiuto è stato soddisfacente. L’albero, poco più basso di noi non è
proprio male, e abbiamo anche appeso degli striscioni al soffitto.
“Mamma mia! Mi sono
dimenticato di una cosa!”
Già, proprio così!
Assolutamente il giorno di Natale non può mancare il vischio! Dovrei averne
da qualche parte in cucina, l’avevo messo da parte poco tempo fa nell’attesa
di questo giorno, ma non ricordo assolutamente dove ... ecco! Ecco, l’ho
trovato! Prendo il rotolo di spago e lo scotch, e sollevato su una sedia lo
appendo poco davanti all’entrata, sul soffitto del balcone, e sopra Folken,
che mi guarda perplesso.
“Scusa, a che serve
appendere della salvia?” mi chiede mentre scendo dalla sedia.
“Sciocco non è salvia, è
vischio! Si appende a Natale, e quando due ragazzi capitano sotto, sono
costretti a baciarsi. E’ la tradizione!”
Lui mi guarda. Alza gli
occhi verso il soffitto e poi mi guarda ancora, sorridendo con malizia.
Mi prende tra le braccia
e mi bacia appassionatamente, mentre le sue mani scorrono sotto la mia
maglietta leggera ad accarezzarmi la pelle scura della schiena.
E’ così appagante
sentirsi desiderati e amati dalla persona per cui sareste disposti a fare
ogni cosa, e Folken, anche se è davvero da poco che stiamo insieme, me lo
dimostra sempre.
Il telefono squilla.
Giuro che prima o poi sradicherò i fili elettrici!! senza staccarci,
raggiungiamo insieme la camera dei miei genitori, e vicini al comodino
afferro il telefono.
“Chi è che rompe?!”
borbotto cupo.
“Mamma mia che saluto!
Hanamichi, idiota, dov’è Fanel?”
“Ah ciao, Akira.
Folken-chan è qui con me”
“Siamo già arrivati alla
soglia del CHAN?! Vedo che siete partiti spediti! Va bè, non sono qui per
chiacchierare, ma ho bisogno di parlarci SUBITO”
“Be’, ecco ...”
Folken mi strappa la
cornetta di mano dopo avermi baciato il collo e grugnisce seccato: “Spero tu
abbia una valida motivazione per averci chiamato così presto ...”
“Ho chiamato a casa tua è
dopo aver chiesto di te tua madre è scoppiata in lacrime dicendo che te ne
sei andato di casa. Tuo padre lo sentivo urlare in sottofondo. Che è
successo?”
Ho sentito ciò che ha
detto. Folken si incupisce, i suoi occhi tornano spenti.
“Ho litigato. Adesso vivo
con Hanamichi ...”
“Hanno saputo che tu sei
omosessuale, scommetto ...”
“Ci hanno visti mentre ci
baciavamo.”
“Ancora peggio. E quindi
il Natale lo passate voi due soli, eh?!”
“Allora sono davvero
l’unico che fino a ieri non sapeva cosa fosse il Natale ...”
“Be’, ora che lo sai lo
festeggiamo insieme!”
“COOOSA??!” riprendo la
cornetta e gli urlo nel telefono sperando di scoraggiare la sua idea. Non
voglio nessuno tra i piedi, ci stavamo divertendo! “No, no, no, no! Non
disturbarti, io e lui ce la caviamo benissimo da soli!”
“Ma dai, sarà
divertente!”
“Ti ho detto di no, non
devi disturbarti!”
E invece il cretino dai
capelli a istrice si è disturbato, perché un’ora dopo è sotto casa mia, con
quel sorriso da demente stampato in faccia ventiquattrore su ventiquattro.
Ma è il gel che gli penetra nella testa e rallenta le attività celebrali?!?
E non è solo il furbone, perché c’è pure Kaede che sorride anche lui come
un’idiota!! Ma cos’è, la riunione dei fumati oggi?!?!
Entrano in casa come due
cicloni – si, Sendo come un ciclone, Rukawa sta quasi dormendo in piedi –
esclamando: “Cheers!”
“Ma perchéééé ...”
piagnucolo sbattendomi una mano sulla faccia. Folken si lascia cadere
momentaneamente fuori uso per la sorpresa sul divano ... anche se non sembra
affatto una sorpresa, piuttosto un incubo ...
Hanno le mani piene di
pacchi che emanano un gradevole odore di cibo, sacchetti della spesa e sono
vestiti davvero pesanti.
“Che bell’improvvisata vi
abbiamo fatto, eh?!”
Se gli spacco i denti
dite che Sendo si arrabbia?!
Però mi viene un’idea
sadica che decido di attuare all’istante ...
“Certo, così almeno
possiamo vedervi mentre vi BACIATE sotto il VISCHIO che c’è appeso SOPRA di
voi ...”
Folken attizza le
orecchie, mentre Kaede diventa pallido dallo spavento. Akira non sembra
curarsene affatto, e si volta verso il mio bellissimo amico guardandolo in
faccia.
“Oh che bello! Forza,
diamoci questo bel bacio!” gli prende il mento tra le mani e si avvicina a
lui velocemente, e io quasi me la faccio sotto dalle risate. Purtroppo per
lui riceve un calcio nelle parti basse che lo costringe a lasciare cadere
tutto e urlare dal dolore ...
“Se mi tocchi t’ammazzo,
pervertito!”
Non sembra scandalizzato
per il fatto che ad Akira gli piacciano sia ragazzi che ragazze ... ed è una
fortuna, così è più facile tenersi compagnia.
“Kaedeeeee ... sei
ingiusto ...” mugola guardandolo con gli occhioni grande come l’infinito.
Kaede sbuffa, lanciandomi
un’occhiata di ghiaccio quando gli ricordo: “Ha ragione, Kacchan ... è la
tradizione!”
Sono certo che sta
morendo dalla voglia di tirarmi un cazzotto in pieno volto per la mia voce
inopportuna e per il modo in cui l’ho chiamato, ma sa che se lo farà Folken
lo impiccherà senza remore ...
Così si abbassa, e dopo
aver afferrato per il bavero il porcospino hentai gli soffia un lievissimo
bacio sulla bocca che fa diventare bordeaux Sendo, rimasto senza parole.
“Questo mi è bastato per
tutta la vita ...” ringhia portando i pacchi in cucina, soffermandosi un
attimo a guardare l’albero che abbiamo addobbato. Anche Sendo va vicino a
lui ed esclama sinceramente stupito: “Uao! Non sapevo che tu Hanamichi
festeggiassi il Natale!”
Annuisco e subito
l’occhio mi cade su una cosa, che mi fa scoppiare a ridere senza possibilità
di fermarmi. Anche Folken ride cercando in tutti i modi di trattenersi,
mentre i due amici si guardano attorno senza capire.
“Stupido di un do’hao,
che ti ridi come una iena?!”
“Siete finiti di nuovo
sotto il vischio!!!”
Entrambi alzano la testa
e quasi a Kaede cadono le braccia ...
Io e Folken, battendo le
mani a ritmo cominciamo ad intonare:
“Bacio! Bacio! Bacio!”
Ed entrambi riceviamo
cuscinate in faccia ...
Mezz’ora dopo siamo tutti
e quattro seduti sul divano, a fare colazione.
“E così è quello che è
successo ...”
Folken annuisce piano, la
sua schiena poggia contro i cuscini morbidi.
“Mi spiace. Pensavo che
tua madre ...”
“Anche io, ma mi
sbagliavo. E’ proprio stupida come ho sempre pensato ...”
E’ come se tra noi
colasse la nebbia, a causa della tristezza che Folken ci ha addossato
raccontando l’accaduto, ma Kaede intuendo la situazione, scherza:
“Ma in stupidità nessuno
batte Hanamichi ...”
“Scusa?! Io non sono
stupido, sono semplicemente pigro e non ho voglia di pensare!” mi difendo,
beccandomi un’occhiataccia da tutti e tre.
“Ma come? Io pensavo
fosse il tuo unico neurone rimasto a essere pigro ...” mi punzecchia Folken
con un’occhiata ironica.
“Folken, sei cattivo!
Brutto!”
“Okay, abbiamo appurato
che il suo neurone, oltre a essere solo come un cane, è rimasto pure a uno
stadio infantilmente degenerato ...” adesso è Akira che mi prende per i
fondelli.
“Piantatela di prendermi
in giro, vi sbatto fuori di casa!”
Folken ridacchia
baciandomi i capelli in un gesto piuttosto tenero e privato, e quando vedo
Akira noto che gli brillano gli occhi per la commozione:
“Accidenti, che bella
coppia che siete ... come vi invidio!”
“Lasciamo da parte
l’invidia e cominciamo a cucinare per oggi. Voi che ne dite?” ci chiede
Kaede alzandosi in piedi e andando in cucina.
“Come? Avete davvero
intenzione di mangiare con noi?”
Insomma, io pensavo che
scherzassero! E invece i loro volti sono seri, senza contare le vagonate di
cibo che si sono portati appresso.
“Io il Natale l’ho sempre
festeggiato con i miei compagni di squadra ...” ammette Sendo con una
scrollata di spalle
“Io invece con mia nonna,
ma come tu sai Hana ...” dice invece Kaede, scuotendo le spalle con un gesto
distratto.
“Folken, a te ti da
fastidio se restano qua?” gli domando, temo che magari tutto il casino possa
fargli venire mal di testa ...
Ma lui dice chiaramente
di no, sorridendomi.
“Sai, mi sento bene.
Davvero. Ho proprio voglia di passare una giornata in compagnia, dopo ciò
che è successo ieri ...”
Ormai è giunta la sera.
E’ stata una giornata intensa, allegra, luminosa. Kaede e Akira hanno fatto
di tutto per renderci felici, per far rasserenare Folken. E devo
ringraziarli, perché ci sono riusciti ...
Abbiamo mangiato ciò che
abbiamo cucinato da soli, e nonostante qualche imprevisto, è stato tutto
davvero buono.
Abbiamo riso, ci siamo
divertiti, abbiamo giocato. E un paio d’ore fa sono tornati a casa, con la
promessa che presto, prima dell’iniziare della scuola, ci rivedremo.
Ora sono qui, ad
osservare il manto stellato che mi fa sempre battere forte il cuore, come mi
fa battere il cuore l’essere spiato da due caldi occhi viola ...
“A cosa pensi?”
Folken si avvicina a me,
tranquillo e tenero come sempre.
“A quanto è bello il
cielo. Sai, mi è sempre piaciuto rimanere a vedere come le stelle si
accendono nel buio, e quando si spengono per lasciare il posto all’alba”
“Non ti facevo così
romantico ...”
“Si scoprono sempre cose
nuove!”
“Già ...” sospira,
passeggiando distrattamente per la camera illuminata dalla lampada.
Come posso cancellare
quel sale che continua a bruciargli le ferite aperte? Come posso fare in
modo che le sue sofferenze si allevino? Io non sono in grado di fare niente.
Solo di stargli accanto. Ma Dio, come vorrei fare di più ...
“Cosa posso fare, Folken?!
Sai, il mio cuore desidera che tu non soffra in alcun modo. Ma sono sempre
io a provocarti tristezza e rabbia ...”
“Non è affatto vero. Tu
sei il mio fiore, sbocciato per risanare le mie ferite con il tuo profumo,
per accarezzare con la tua morbidezza la mia pelle, per farti guardare dai
miei occhi stanchi. Senza di te non potrei vivere. Io devo solo ringraziare
che tu sia qui accanto a me, nonostante tu sia libero di fare ciò che vuoi”
“Ma io sono libero.
Libero di starti accanto in ogni modo. Ma a volte vorrei che tu possa essere
felice stando accanto a me. Tu sei ... a volte sembra che tu ti immerga in
un mondo tuo, dal quale io non riesca più a vederti ...”
E’ vero. Spesso lo vidi
perso a guardare nel vuoto, o verso l’infinito, chiuso in un bozzolo di
tristezza e dolcezza, nel quale a me è proibito l’accesso ...
Non vorrei confessargli
questo. Ma se tra noi non devono esserci segreti, è meglio dire ciò che si
prova.
“Mi dispiace. Non me ne
accorgo. Spero tu me lo faccia notare d’ora in poi ...”
“Ci proverò ...”
Mi sorride e mi bacia. Le
sue mani si soffermano dietro la mia schiena, mentre assaporiamo i nostri
respiri in questo contatto umido, che mi manda in estasi.
Poi, lentamente si
muovono, verso il mio sedere e il mio cuore. Mi scosto un attimo, stupito da
questo gesto così intimo.
Lui arrossisce chinando
il capo.
“Ti chiedo scusa, ma ...
è più forte di me. Quando stringo a me il tuo corpo così caldo e morbido,
quando tu mi parli così dolcemente ... Hanamichi, io vorrei tanto fare
l’amore con te”
Non posso fare a meno di
arrossire anche io. Lui è così puro e cristallino, e queste parole sono
dette così dolcemente da provocarmi un piacevole senso di imbarazzo e
desiderio.
Io, Hanamichi Sakuragi,
arrossisco e non me ne importa un accidente, davanti a questo ragazzo che ha
sacrificato ogni cosa per me. La sua casa, la sua famiglia, la sua felicità;
e mi ha dato ogni cosa. Il suo cuore, la sua mente e la sua anima, e ora,
anche il suo corpo.
Davvero questa gioia è
destinata a durare sempre, giorno e notte, quando siamo insieme?
Ora più che mai ne sono
certo ...
End.
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