DISCLAIMER: I personaggi sono miei, ma dato che la gelosia non alberga in me ci potete fare quello che vi pare. I luoghi e gli ambienti descritti sono tutti veri e sono sparsi tra Firenze, Torre del Lago e Parigi. In più ci sono varie canzoni; dove non è indicato esplicitamente le canzoni sono dei C.S.I. o del cantante di detto gruppo, il signor G.L.Ferretti, che ha fatto un album solista. I diritti sui testi delle canzoni sono dei legittimi proprietari e io non ci guadagno nulla.


Red Lace

di Gaia

IL CONCERTO

Mi hanno convinto ad unirmi a loro per andare a sentirli un'ultima volta prima che lo scioglimento del gruppo sia definitivo. Come se il mio umore non fosse già sufficientemente sotto terra, c'era bisogno anche di questa festa funebre.

Loro sono al settimo cielo perché Giovanni è ancora su di un palco, con quel poco di gruppo che resta e qualche vecchio amico di note, a cantare per il suo pubblico; ma io ho lo stomaco stretto in una morsa di infinita tristezza. Un altro sogno che se ne va, dopo avermi fatto compagnia per più di cinque anni. Un altro addio e io mi sento ulteriormente orfano, più di quanto non lo sia nella mia vita attuale.

Li guardo mentre corrono per incolonnarsi nella fila davanti alla biglietteria della Stazione Leopolda. Li seguo con passo lento cercando di reprimere la tristezza che sale inarrestabile come uno tsunami.

La coda è caotica, piena di ragazzi giovani e colorati che vociano, bevono a bottiglia vino rosso di poco prezzo e si accalcano per conquistare il prima possibile un posto sotto palco.

Dopo un tempo interminabile tiro fuori le venticinque carte del biglietto mentre gli altri mi aspettano impazienti di là dalla biglietteria.

"Ma che diavolo hai stasera? Di solito sei pronto a scannare chiunque per entrare cinque secondi prima degli altri, per conquistare la prima fila." Mi apostrofa Marco quando li raggiungo.

Non rispondo. Già, di solito... Ma oggi non è il solito. C'è questo verme che mi scava l'anima e mi fa sentire così triste e deconnesso.

"Dai Marco, lascialo perdere. Da quando il gruppo si è sciolto gli è preso male. Neanche fosse stato il 'suo' gruppo. Muoviti invece."

"Ehi perso, noi andiamo prendere posto. Tu che fai?"

"Faccio un giro. Vi raggiungo dopo."

"Se se, e credi di superare il muro di folla che sarà sotto il palco ma dietro di noi?" Il suo tono è beffardo e scettico di chi sta' lanciando una sfida impossibile.

"Boh. Se non c'incontriamo durante il concerto ci ripeschiamo dopo qui all'ingresso, ok?"

"Va bene."

"O.K."

Faccio per girarmi ed allontanarmi da loro quando una mano cala sulla mia spalla e mi ferma.

"Ma sei sicuro che va tutto bene?" È Luigi, quello che mi conosce meglio di tutti gli altri.

"Si, è solo che... mi sta prendendo male. Sapere che questo è il loro ultimo concerto, sai com'è..."

"Anche l'altro, all'inizio dell'anno scorso doveva essere l'ultimo concerto ma sono di nuovo qui a suonare!"

"Si ma non sono più loro. Si è rotto qualcosa. Te l'ho detto anche l'altra volta e il tempo non ha ricucito un bel niente. Anzi, ha solo approfondito la ferita."

Luigi mi guarda un poco preoccupato.

"Vai con gli altri, sennò rischio di deprimere anche te. Ci vediamo dopo."

"Sei sicuro?"

"Si grazie, ho solo bisogno di un po' di... di fare due passi. Poi vi raggiungo."

"Come vuoi."

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Merda, che brutta sensazione. Da naufrago.

M'incammino nella prima sala della Leopolda. Un grande edificio lungo e stretto con il tetto di ondulato metallico e le mura scrostate. Si vede che era un vecchio deposito di treni, ci sono ancora le traversine che emergono dal pavimento di cemento e gli scambiatori girevoli per far entrare e uscire i treni. Ma adesso è un posto incredibile. È pieno di ragazzi che espongono fotografie, quadri e installazioni di ogni tipo. Musica dei generi più disparati giunge da ogni anfratto adibito a spazio espositivo, e si mischia con le voci di un gruppetto di teatranti che sta mettendo in scena non so bene quale spettacolo. È impossibile vedere qualcosa, la folla accalcata all'ingresso della nicchia è incredibilmente compatta, riesco solo a udire qualche voce e pezzi di discorsi infranti sulle pareti scrostate e sul soffitto troppo alto. Questo posto ha un'acustica di merda e il concerto si sentirà malissimo. Beh, almeno è in tono con il mio umore.

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Voglio fare due passi, stare solo per vedere se mi snebbio un poco il cervello. Ho addosso questo mood da qualche settimana, ma tra il lavoro, il caos, la sera fuori a fare tardi e dire stronzate con gli amici giusto per arrivare a casa troppo distrutto per avere la forza di pensare... mi sono salvato fino ad ora... ma qui la vedo dura.

E oltre a questa sensazione di deconnessione c'è qualcosa che mi preme continuamente sullo sterno, forse è solo tristezza...

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Cammino su e giù, facendo finta di guardare i quadri, con le mani agitate che ficco nelle tasche per evitare che si contorcano tra di loro, mentre i pensieri stillano goccia dopo goccia, inesorabili. D'un tratto mi accorgo che si è fatto silenzio. I teatranti hanno finito, la musica delle installazioni è stata interrotta. Mi affretto alla porta d'ingresso dell'altra sala.

Sta per iniziare. Un mattone mi colpisce alla bocca dello stomaco mentre varco l'ingresso della stanza.

La sala del concerto è uguale alla prima, lunga, stretta, con in fondo un telo nero e il palco sormontato da un'intricata ragnatela di travi su cui sono appollaiati i fari.

La sala è quasi piena, e nonostante il gran numero di ragazzi, scende, con il buio dell'attesa, un silenzio quasi irreale.Solo una voce, una ragazza che ha il coraggio di gridare "Vai Giovanniiii."

E poi silenzio denso come melassa. Si accendono le luci del palco. Escono i musicisti insieme al maestro Magnelli, poi arriva Giovanni accompagnato da Ginevra e la folla esplode.

Io resto immobile in fondo alla sala mentre la commozione mi arriva diretta in gola. Resto immobile, piantato mentre Giovanni intona la prima canzone, la sua voce ieratica impregna la Stazione Leopolda e il mondo balla sotto i suoi piedi.

Dopo un tempo infinito mi schiodo dall'ingresso e raggiungo a mala pena una parete libera, distante anni luce dall'atmosfera della sala. Non ho la forza di avvicinarmi maggiormente al palco, il mio corpo sta tremando e le ginocchia si fanno quasi molli come metallo fuso. L'emozione prende il sopravvento e si mischia alla tristezza acuendo la sensazione d'inappartenenza. La fine di questa piccola fetta di realtà è sul palco e sta spegnendosi davanti ai miei occhi. E io resto naufrago.

Due giri di note bastano per riconoscere la canzone. No Giovanni ti prego, non ora, non Annarella, non ora...

"Lasciami qui lasciami stare lasciami così/ non dire una parola che non sia d'amore/per me e per la mia vita che tutto quel che ho/ per la mia vita"

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Lo stomaco si chiude, si contorce prendendomi a calci la gola. Gli occhi iniziano a bruciare in maniera preoccupante preannunciando una possibile apertura delle dighe.

Fantasmi si affollano intorno a me e narrano di vuoti interminabili, spazi dal freddo siderale che gridano di assenze. E con un lampo di gelida consapevolezza riesco a dare una parola al mio senso d'inappartenenza. Assenza.

Mi guardo intorno. Sfilano le schiene agitate dei miei cinquemila compagni di concerto che cantano e si dimenano al ritmo intrecciato delle voci di Giovanni e di Ginevra. Mi scopro ad invidiarli dal primo all'ultimo per la loro dannata gioia, per le parole che escono leggere dalle loro bocche e che si conficcano come lame nella mia testa, per il loro canto gioioso che cozza forte con il mio malessere interiore.

Poi nella mischia due occhi. Scuri come la pece e lontani. Persi anche loro in qualche strano spazio dove nessuno può arrivare se non il loro proprietario. Lo osservo un istante, avvolto nel suo abbigliamento scuro, il profilo sottile e teso, il viso contratto e leggermente scavato; non riesco a staccarmi da quegli occhi, quasi fossero un appiglio al mio naufragio.

Si gira e mi pianta quei due carboni nel volto, come uno schiaffo che mi colpisce forte in piena faccia a ricordarmi che quello spazio è suo, che anche se siamo partecipi della stessa canzone, in quel momento è solo sua e io sono nient'altro che un inopportuno guardone.

Mi giro nuovamente verso il palco, ributtato nelle note, nella mia inappartenente assenza. E la musica continua impietosa nella sua inarrestabile tortura. "Per la mia vita / che non è ancora finita"

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Prendo allarmato il tabacco e la cartina, magari una sigaretta mi fa distrarre da tutto questo, magari... Ma le mani collaborano poco con i voleri del cervello e la cartina trema mentre tento di metterci sopra il tabacco.

Mi concentro sul lavoro manuale. Devo staccare da tutto questo perché non sono più in grado di sopportarlo, ma nello stesso tempo non ho la forza di girarmi ed andare via. Come un passaggio necessario ma non voluto. La consapevolezza di dover affrontare nuovamente questo rito mi lascia senza fiato mentre cerco disperatamente di dare una nascita a questa sigaretta, mentre cerco di capire come fare, perché mi sembra di impazzire, perché è così, perché non riesco ad uscirne, perché non so da cosa dipende.

La voce di Giovanni irrompe bastarda nei miei pensieri.

"Quietami i pensieri e le mani / In questa veglia pacificami il cuore"

Faccio cadere cartina e tabacco, una lacrima rotola fuori dagli occhi, respirare diventa un'impresa, fermare il tremito che mi sta scuotendo il corpo è quasi impossibile.

La frase si è incagliata nei miei pensieri e io la ripeto, salmodiandola, sperando che mi aiuti, che mi calmi, che mi porti via.

Scivolo a sedere in terra, appoggio la testa al muro scrostato e rivolgo il volto verso il soffitto di metallo in attesa che le lacrime si asciughino dentro gli occhi e muoiano sul nascere.

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La musica lentamente scema e resta solo la voce di Giovanni che legge "Alla luna" di Leopardi. Riesco finalmente a tirare il fiato perché le parole mi giungono lontane e frammentate, perché il brusio del pubblico è più rumoroso del silenzio che necessiterebbe questa poesia. Allontanato il pericolo d'inondazioni riabbasso la testa, tenendo lo sguardo dritto avanti a me, lontano dal palco.

Incrocio nuovamente quegli occhi neri che adesso mi guardano curiosi.

È il mio turno di segnare il territorio. Stanne fuori, questo è il mio spazio e se non sei in grado di aiutarmi, vattene. Lasciami. Ma si, lasciami qui lasciami stare lasciami così non dire una parola che non sia d'amore. Mi riprende il groppo alla gola e chiudo gli occhi che sembra abbiano tutta l'intenzione di bagnarsi di nuovo.

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Aspetto finché non mi calmo di nuovo. Giovanni continua a parlare, con voce cantilenante. Mi concentro sulle parole che sta dicendo, ma come lettore di poesie non è un gran che, e questo mi basta per domare il caos di emozioni che è esploso poco prima. Finalmente mi decido a riaprire gli occhi. Il mio campo visivo è invaso da due gambe avvolte in jeans neri. Alzo lo sguardo. Lui è davanti a me e mi guarda piatto. Mi tende una mano.

Non capisco e resto immobile per un tempo indefinito, a riprendermi da quest'intrusione. La sua mano ferma, protesa verso di me risalta bianca sul suo abbigliamento scuro.

"Vieni." La sua voce bassa scende ipnotica nelle viscere. Afferra la mia mano e mi tira su. Mi muovo senza volontà, senza neanche pensare.

"Andiamo, usciamo da qui." Le sue parole mi vibrano nel petto.

Inebetito mi metto in piedi pestando la mia sigaretta abortita. Inizia a camminare verso l'uscita mentre Giovanni, ignaro, continua a leggere. Lo seguo ad un passo di distanza. Usciti dalla sala del concerto si dirige verso il fondo della stanza adiacente quasi deserta. Arriva di fronte al telo nero che per me indica la fine della sala. Su di un lato dell'alto telo nero c'è un ragazzo di colore, bello come un dio greco, con il cartellino bianco appuntato sulla maglietta che indica che è della sicurezza.

Il mio anfitrione si ferma ad un passo dal ragazzo di colore e si volta verso di me. Accenna un breve sorriso e fa un cenno della mano al ragazzo della sicurezza, il quale si sposta e lo lascia passare.

Scosta i teli scuri e aspetta che io lo raggiunga. Mi fa strada scivolando intorno a delle alte pile di barattoli color argento, che proteggono l'ingresso di quest'altra sala.

Entriamo in una stanza più piccola sui cui lati sono presenti delle stranissime teche che distinguo a mala pena nell'oscurità.

Si ferma a circa metà sala, vicino ad una teca ed attende. Lentamente i miei occhi si abituano alla poca luce della stanza ed intravedo, sotto le teche, delle strane figurine, come burattini di legno vestiti con dei pezzi di stoffa marrone e garza bianca.

"Mare. Sei giaciuto nel mare per anni prima di venire qui a regalarci la tua storia." La sua voce è bassa e vibrante, appena udibile ma scivola in profondità nello stomaco. Guardo meglio verso di lui e vedo che sta sfiorando un burattino alto si e no venti centimetri che rappresenta una specie di animale a quattro zampe, forse un cavallo. Mi giro su me stesso e riconosco una specie di paesaggio composto da casette, castelli e figure. Tutto sembra fatto con pezzi di legno erosi dal tempo, strappati al mare, alla terra e da essi segnati. Guardo la teca acanto a me e riconosco un pezzo di legno consumato, di quelli che si trovano sulla spiaggia dopo una mareggiata, saldamente ancorato a terra e drappeggiato di garza bianca. Un uomo. Più in là un altro personaggio dalle fattezze umane che sembra chino su di un telaio, ancora più in la' un girotondo di bambini...

"Radice che per anni ha fatto compagnia alla terra" Si muove silenzioso lungo la processione immobile di figure umane e animali posti a bella mostra nelle teche, sfiorandole una per una, quasi le accarezzasse.

Arriva alla fine della sala dove è posizionato uno strano palco alto circa un metro. Sul palco la sagoma di una chiesa circondata da cipressi di fili di ferro aggrovigliati.

"Vieni."

Come se solo adesso si ricordasse di me, io intrusione temporale tra questi oggetti. Mi muovo verso di lui, i pensieri azzerati, la volontà lontana dalle mie azioni. La poca luce mi fa intravedere solo la sua sagoma sottile e ben proporzionata, su cui spiccano le mani chiare e il volto pallido che risalta come un grido dagli abiti scuri.

Mi tende la mano, invitandomi ad avvicinarmi maggiormente. Mi muovo verso di lui. Mi cinge la vita con il braccio che prima era proteso verso di me e mi attira contro il suo corpo.

I suoi occhi sono piantati nei miei e io sparisco nelle sue pupille nere. Le vedo avvicinarsi lentamente mentre perdo cognizione dello spazio, dei suoni e delle mie azioni. Il suo braccio mi stringe la vita con una presa salda ma non soffocante, impedendomi di scivolare al suolo mentre le ginocchia diventano sempre più molli ed insicure.

Il respiro si fa affannato e teso, mentre il sangue pulsa veloce nelle vene e affluisce alla mia faccia. Ho il volto in fiamme, le braccia pesanti, abbandonate lungo i fianchi e le mani gelate.

Si china sul mio volto e cattura con i denti il mio labbro inferiore. Il contatto con le labbra fredde mi fa trasalire mentre la stretta alla vita diviene più forte. Inizia a succhiarlo prima con lentezza, poi con foga crescente, mentre il mio respiro rotola veloce fuori dalla bocca e il cuore rimbomba sordo nella testa. La sua lingua sparisce appena nella mia bocca. È morbida ma non ha sapore. Il mio spirito grida di tristezza per un'ulteriore assenza mentre la sua lingua scorre lungo la fessura sottile tra le mie labbra, che dischiudo quasi inconsapevolmente.

La pressione della bocca diventa più forte, mentre io mi protendo verso di lui. La sua lingua incontra la mia e inizia a sfiorarla, dapprima con timidezza, poi, accorgendosi che rispondo al suo gioco si fa più ardita e mi avvolge in una stretta salda ma vellutata. La punta della lingua segue strani percorsi nella mia bocca, quasi volesse accarezzarmi dall'interno. Inizio ad ansimare, il respiro rotto da un'onda crescente di passione che mi fa boccheggiare. Di colpo tira via la lingua, allontana il volto, mi lascia senza la sua bocca. Annaspo, orfano, mentre il mio respiro cerca di bere tutta l'aria che ho intorno.

Suoni giungono alle orecchie, mischiati con il battito incessante del mio cuore e al mio respiro affannato.

"Percorsi incomprensibili tracciano alfine la nostra vita, irriducibili / Ciò che deve accadere accade" il canto di Giovanni arriva lontano ma distinguibile. Lui sembra un attimo assorto, con gli occhi conficcati nei miei, mentre la canzone prosegue "Per quello che ho visto / Per quello che ho sentito / Per sconcertante necessità"

Di punto in bianco mi attira a sé, mi guarda con occhi quasi tristi e io non posso fare a meno di sentire un tuffo al cuore, come se il suo sguardo racchiudesse realmente una sconcertante necessità. Riprende a baciarmi con foga, lacerando le mie labbra con i denti, impedendomi quasi di respirare. Il cuore batte come un forsennato, mentre l'adrenalina sale e la tensione diventa quasi insopportabile. Ad ogni suo bacio mi spingo sempre più contro di lui, cercando di aumentare il contatto con il suo corpo. Lui resta rigido, impassibile, tutta l'attenzione concentrata nella bocca che scava e affonda nella mia carne morbida. Un gemito rotola fuori dalle mie labbra mentre il freddo dei suoi denti si fa sentire sulle mie labbra in fiamme. Cattura con la bocca il mio labbro inferiore e inizia succhiarlo voracemente, quasi lo volesse strappare dal corpo. Una sottile scia di dolore, scaturita da un suo morso, irrompe nella testa, ma la ricaccio indietro, premendo il bacino contro il suo. Inarco leggermente la schiena, in modo da strusciare i genitali contro il suo corpo, e mi ritrovo le labbra tese tra la sua stretta e il mio volto. Stringe maggiormente il braccio intorno alla mia vita, mentre l'altra mano sale, scivolando su, lungo la schiena, fino a raggiungere il collo. Mi avvolge la nuca con la mano, incredibilmente fresca, e rovescia la mia testa all'indietro tenendola come se fosse una coppa. Lascia andare il mio labbro e mi guarda per un istante. I suoi occhi neri sono impenetrabili. Realizzo in un istante che sono solo io ad essere eccitato, mentre lui mi guarda dall'alto, imperante sul mio viso. Una lama di pensieri solca il mio cervello vuoto e l'unica cosa che riesco a fissare è la solita litania "lasciami qui, lasciami stare lasciami così, non dire una parola che non sia d'amore"

Mi viene quasi da sorridere per l'idiozia che mi è passata per il capo in questo momento incredibile, mentre un 'bel tenebroso' dal volto di pietra sta compiendo un gioco doloroso con la mia bocca.

Ma in questo momento non me ne frega niente, i pensieri sono stati quietati. Mi abbandono completamente alla sua presa, con in testa l'unico desiderio che mi baci di nuovo, che mi faccia ciò che vuole, che il mio corpo resti attaccato al suo, che riempia il senso d'inappartenenza che mi ha dilaniato l'anima.

Resta a guardarmi, senza nessuna intenzione di muoversi. Provo a parlare, ma le parole muoiono in gola. Vorrei invitarlo, farlo entrare nuovamente nella mia bocca, chiedergli di affondare le dita nella mia carne, incidermi la pelle con i denti freddi, ma non un solo suono esce dalle mie labbra.

Lui continua a restare fermo, immobile, sembra indeciso sul da farsi. Inizio a strusciare il bacino contro il suo corpo, a sottolineare il mio invito mentre la mia erezione inizia a farsi sentire e a chiedere attenzione.

Chiude gli occhi e, afferrata meglio la mia nuca, se la porta vicino al volto. Affonda la lingua nella mia coppa, poi i denti si chiudono nuovamente sul labbro inferiore mentre dalla mia gola sale un gorgoglio abissale.

Sembra che questo lo scaldi un poco, inizia a tremare mentre la presa sulle mie labbra diventa più serrata. I suoi denti affondano nella mia carne dilaniandola, un'onda di dolore mi scivola lungo il corpo, che reagisce. Mi cedono definitivamente le gambe, mi ancoro al suo torace cingendogli il collo con una presa sempre più stretta mentre la mia erezione preme dolorosa contro i pantaloni. Mi struscio contro il suo corpo che al contrario del mio non reca alcuna traccia di piacere.

Continua ad affondare i denti nel mio labbro finche non sento la pelle lacerarsi definitivamente e una perla di sangue sporca i suoi denti chiari.

Il liquido rosso serpeggia fuori da me e finalmente il suo bacio acquista un sapore, anche se è quello del mio sangue. Scioglie la presa, liberando il labbro offeso.

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La mia tensione è alle stelle, non sono più in grado di fermarmi e mi avvento sulla sua bocca, cercando di imprigionare la sua lingua. Accarezzo la sua schiena, da sopra la camicia scura fino ad arrivare alla cintura dei pantaloni e faccio scorrere un dito lungo quella sottile striscia di cuoio. Poggio la mano sul suo sedere che si rivela cedevole ma muscoloso e lo premo verso il mio inguine. La mia bocca raggiunge le sue labbra e inizio a succhiarle con forza, aumentando il taglio verticale sul mio labbro inferiore. Altro sangue affiora in superficie e lascio che scivoli tra le sue labbra infondendo sapore ferrigno al mio bacio.

Struscio il bacino contro il suo, cercando di dare un minimo di sollievo alla mia erezione mentre lui sembra pietrificato, immobile e completamente piatto.

Dalla mia gola esce una parola roca appena intelleggibile "Posso?"

Resta attonito, sempre immobile, senza proferire verbo. Decido per lui, decido che il suo silenzio è un si. Gli sfilo la camicia dai pantaloni e introduco la mano sotto la stoffa. La sua pelle è fresca, senza un filo di sudore, mentre la stoffa della mia maglietta aderisce zuppa alla mia pelle accaldata.

S'irrigidisce mentre un'onda di parole cantate s'infrange sui di noi.

"Anime fiammeggianti attonite/ Squarciato il velo della cecità"

Continuo a baciarlo a mordergli le labbra, a gocciolare sangue, a far scorrere la mano sulla sua pelle, a strusciarmi contro di lui che inizia a tremare.

Giovanni continua la sua litania "Anima fiammeggiante soffoca / Smaniosa d'aria non sa se ce la fa / Giorni spremuti e notti / Attinti a un pozzo profondo millenni"

Lo attiro a me con forza, come a volermi confondere con il suo corpo che è scosso da tremiti. Mi ferma, tirando via la testa con la mano artigliata alla mia nuca, mi guarda diritto negli occhi e fa vibrare un bassissimo "No."

Mi fermo e la musica s'insinua tra noi.

"Anima fiammeggiante zoppica, zoppica brace / Non sa se ce la fa/ Un gioco antico un bel gioco / Pericolo solo per sé"

Lo guardo spaesato dal suo rifiuto. "Perché?" È l'unica cosa che riesco a dire.

Non risponde, cala sulla mia bocca e mi risucchia quasi con disperazione un bacio e insieme ad esso l'aria che ho nei polmoni e la mia dolorosa erezione che si sgonfia senza che io provi alcun piacere. Mi svuota, lasciando la presa alla nuca e alla vita, mentre mi si annebbia la vista. Mi affloscio contro di lui. Mi sostiene e mi appoggia al palcoscenico con la chiesa e gli alberi di ferro, e si stacca da me.

Il suo diniego, velato dalla tristezza, è solido e pesante come un macigno.

Resto spiazzato, col corpo in fiamme, il labbro che sanguina, il respiro corto mentre cerco di riprendere il fiato e la vista.

Giovanni continua a cantare imperterrito "Appare la bellezza / Mai assillante ne oziosa / Languida quando è ora / E forte e lieve e austera"

La canzone finisce mentre riesco nuovamente a vedere. Lui se ne è andato, silenzioso e leggero come un soffio d'aria.

Mi siedo a terra, succhiandomi il labbro lacerato, respirando profondamente, incapace di fare altro se non aspettare che succeda qualcosa, che qualcuno mi spieghi cosa, come, che le mie mani si fermino dal loro tremare, che i miei pensieri si acquietino.

Mi alzo, tremante, con i sensi stravolti, l'adrenalina che scorre rapida, il cuore che pompa nelle orecchie. Con passo incerto raggiungo l'uscita. Il ragazzo di colore è sparito, non posso neanche chiedergli dove è andato il bel tenebroso. Schizzo il più velocemente possibile nella sala del concerto, facendo vedere ad uno scoglionatissimo tipo del servizio d'ordine la marca d'inchiostro nero sulla mano.

Forse lo ritrovo. Forse è tornato qui. Forse... Centinaia di ragazzi si agitano davanti ai miei occhi, ma di lui nessuna traccia.

Ancora musica. "Densamente spopolata è la felicità / Preziosa / La felicità è senza limite e viene e va"

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Aspetto la fine del concerto. Mi metto vicino all'uscita. Magari passa. Magari lo ritrovo. Sfilano corpi accaldati e sorrisi immensi, ma di lui nessuna traccia. Arrivano anche i miei amici, grondanti sudore, stravolti, con gli occhi brillanti dall'eccitazione.

"Ciao, che te ne è parso del concerto?" È Luigi, che mi assale appena mi vede.

"Non male." Rispondo mentre continuo a guardarmi in giro.

"Ma come non male, ma se è stato grandioso, e poi alla fine quando ha detto che era un'emozione incredibile, che non se l'aspettava tutta questa gente..."

"Si incredibile." Rispondo senza attenzione. Ma dove diavolo è sparito?

"Ehi ma ci sei?"

"Che?"

"Lascia perdere. Mi sa che stasera sei irrimediabilmente perso. Senza speranze." Si allontana raggiungendo gli altri che sono al bar in cerca di una birra gelata.

Del bel tenebroso nessuna traccia.

LA NOTTE

È passato un mese dal quell'11 maggio.

Dopo il concerto sono stato malissimo, non ho chiuso occhio tutta la notte mentre cercavo di fare chiarezza tra la girandola di cose che sono successe. Il bel tenebroso che è apparso, io che l'ho seguito senza battere ciglio, proprio io che di solito non seguo il primo incontrato; quel che è successo e quel "no", così a bruciapelo, senza spiegazioni.

Poi le giornate si sono dipanate sotto le mani, affogate in sezioni sempre più lunghe di lavoro, ma questo non ha impedito alla tristezza di risalire e a quel "no " di rimbombarmi nelle orecchie.

L'ho cercato come un pazzo, ogni minuto, ogni attimo della settimana seguente; sono tornato alla Leopolda, ho chiesto al ragazzo di colore della vigilanza se conosceva quel tipo vestito di nero che venerdì sera è entrato con me nella stanza dei burattini. Il dio greco con le treccine mi ha guardato strano, dicendomi che venerdì non è entrato nessuno, che l'artista che preparava l'installazione ha vietato l'ingresso a tutti tranne che alla sua collaboratrice.

Mi ha guardato come un pazzo mentre gli ripetevo la domanda, e lui ad assicurarmi che non era entrato nessuno. In un lampo di lucidità gli ho chiesto di indicarmi l'artista. Un tipo basso, sulla quarantina, con i capelli argento e lo sguardo vivace. Simpatico, molto gentile, che ha ceduto alle mie suppliche facendomi entrare nella stanza. Era identica al mio ricordo, le figurine di legno, il girotondo di bambini, la chiesa sul palcoscenico e i cipressi di fil di ferro. Ma allora se non era entrato nessuno quel venerdì... l'unica cosa di cui sono certo adesso è il taglio sul labbro. Quello non me lo posso essere inventato, e questa sensazione maledetta che mi ha nuovamente attanagliato quando la certezza di ritrovare il bel tenebroso è diventata meno certa.

Ho girato per giorni in tutti i locali gay della città, i bar, le associazioni, le disco, perfino la sauna e la dark room. Di lui nessuna traccia. Ho chiesto in giro a conoscenti e amici, lanciandomi in descrizioni sommarie, dato che di lui mi ricordo solo gli occhi neri. Ho una valanga di domande da fargli...

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Stasera sono uscito. Ho provato a continuare a lavorare, a capire dove è il baco in quel dannato programma, la sintassi è corretta, parte la simulazione, gira tranquillo per qualche ora, deformando il reticolo e poi salta. Rottura catastrofica. Il reticolo che va a puttane, i dati si trasformano in una colonna di errore interminabile.

Ma non ce la facevo più. Il cervello fuso, battuto dalla logica impietosa del programma. Ho spento la luce e sono uscito.

Vagolo in riva all'Arno, zigzagando tra un ponte e l'altro finche non mi trovo davanti alla salita che porta al Piazzale. Salgo lentamente mentre riempio i polmoni degli odori della primavera inoltrata. Tigli e gelsomini esplodono, mischiati all'aroma sottile delle rose canine. Arrivo sul piazzale di San Miniato e guardo il mare di luci che si dispiega maestoso sotto i miei piedi. Sciami di stranieri approdano vicino a me, si siedono sulla scalinata di pietra serena che porta alla chiesa bianca e oro, riposano un istante e poi ripartono nel loro vagabondare notturno. Il mio animo è agitato, il programma bacato che non mi da tregua, la mia anima che riemerge dal gorgo del lavoro, e i pensieri che continuano ad affollarmi la testa.

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Chissà dove diavolo è finito. Sparito come un soffio di vento, portandosi via tutte le possibili risposte alla valanga di domande che avrei voluto fargli; perché; come; perché io, così in quella sera; come mai quel "no", dove è finito; come si chiama; e il telefono; bastava l'e-mail, una traccia qualunque... e poi cosa voleva da me?

Un gruppo di americani casinisti si siede qualche gradino sotto di me, distruggendo la serata silente con grida, risate e quel loro odioso modo di pronunciare le parole, slabbrate, stridenti. Mi alzo e vado via, verso le Rampe. Anche da lì posso dominare la città, lasciando che la mente scenda a sfiorare l'acqua argentea del fiume che scorre più in basso.

Mi fermo in cima alla seconda rampa di scale, dato che sullo spiazzo alla fine della prima hanno messo i tavolini per il bar estivo, preso d'assalto dalla gente accaldata per la giornata torrida.

Ogni tanto il vento mi porta il brusio degli avventori del bar sottostante, mischiato al suono dell'acqua che rotola giù dalla pescaia. Nella mia mente ancora i suoi occhi, che dominano i pensieri serali, sotto le mie dita ancora la sua pelle fresca, dentro la mia testa il ripetersi di quel "no".

Perché? Spiegami il perché, non chiedo molto in fin dei conti, dimmi solo perché prima la tua mano tesa verso di me, la tua bocca che dilania le mie labbra e poi quella sillaba.

Perché quella strana sensazione, perché mi sono perso nei tuoi carboni neri, dimenticandomi la mia inappartenenza finche non mi hai staccato da te, perché mi hai quasi risucchiato il respiro, cosa volevi? Cosa cercavi? Me lo potevi anche chiedere, ero a tua disposizione, dato che eri riuscito a far sprofondare la mia tristezza in una polla d'oblio.

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Merda, rinizia a salire la malinconia, hanno un bel cantare quei tre allegri ragazzi morti che la malinconia è rivoluzionaria, per me adesso è solo dilaniante. Devo trovare una soluzione per levarmela di dosso.

M'incammino verso il bar sottostante, in cerca di un bagno di folla, ad immergermi in una vasca di deprivazione sensoriale.

Scendo i gradini larghi e oziosi e mi trovo circondato da persone tirate a lustro, di età indefinibile tra i trenta e i quaranta, vestiti alla moda, con quelle carpe orride che vanno tanto di moda, i pantaloni a mezzo polpaccio, neanche avessero l'acqua in casa, i volti tinti da colori iridescenti, i capelli lucidi di gel effetto bagnato.

Mi sento completamente fuori posto. Mi pento immediatamente della mia scelta. Opto per una soluzione intermedia, dato che sono quasi davanti al bar. Una birra e poi mi ritiro verso l'alto nella posizione precedente, arroccato sul mio gradino così poco alla moda.

Sguiscio tra la gente che si accalca intorno ai tavoli, allungando di gran lunga il tragitto che mi deve portare alla cassa del bar.

La folla mi spinge sull'altro lato del bar, allontanandomi dalla mia meta. Mi fermo leggermente scoraggiato. Un gruppo di mi ragazze giunge alle spalle, mi travolge, spingendomi ancora più lontano dal bar, facendomi battere contro una sedia occupata.

Farfuglio uno "scusa" senza guardare l'occupante.

"Di niente, anima fiammeggiante"

Mi fermo di colpo mentre le parole mi scivolano nelle viscere. Mi giro di scatto verso la voce e resto immobile, piantato come un palo della luce, gli occhi sgranati e la bocca aperta alla moda del pesce fuor d'acqua.

"Siediti." Dice suadente, e indica una sedia vuota accanto a lui.

Riesco a sedermi, vincendo la rigidezza che si è impossessata delle gambe. Il bel tenebroso è li accanto a me, con in mano un bicchiere di vino rosso, che parla amabilmente con una donna dai capelli mogano e dai lineamenti sottili.

La ragazza mi sorride e mi porge la mano. "Ogni amico di Xavier è mio amico." Stringo meccanicamente la sua mano, che è fredda ed asciutta, stupito per la frase da manuale che è uscita dalla bocca della ragazza.

"Vuoi un bicchiere di vino?"

Mi giro verso il bel tenebroso dal nome straniero ed annuisco. Prende il bicchiere pulito, dalla coppa larga, posto davanti a me.

Per un istante mi chiedo per chi fosse quel bicchiere. Difficilmente ti portano un bicchiere in più se non lo richiedi espressamente.

Mesce il vino e poggia la bottiglia davanti ai miei occhi. Un Brunello del '97. Sorrido al bicchiere che già spande l'aroma del vino.

"Spero sia di tuo gradimento." Sussurra il mio anfitrione.

Annuisco nuovamente, con un sorriso idiota stampato in faccia, poi realizzata la mia maleducazione ringrazio. "Vedo che ti piace il buon vino." Riesco a dire senza che la voce mi tremi troppo.

Alzano i calici verso di me.

"Al buon bere. Ad uno dei pochi piaceri che ci è ancora concesso." Dice la ragazza con voce ridente e un poco maliziosa.

Xavier le sorride, alza il bicchiere e si gira verso di me. Seguo l'esempio dei miei ospiti.

Il primo sorso viene preceduto dall'odore d'iris e fragole, poi scende lento in bocca, corposo, pastoso dall'alto dei suoi tredici gradi, per lasciare il suadente retrogusto della vaniglia e del legno in cui ha riposato per almeno nove mesi.

Mi rilasso mentre il vino arriva allo stomaco vuoto.

La ragazza si rivolge verso di me "Scusa, non mi sono neanche presentata, sono Viviana." I suoi occhi castani mi sorridono.

"È un piacere. Leonardo."

"Nome impegnativo, sai, anima fiammeggiante. Hai omonimi famosi." Aggiunge Xavier.

"Vero, persona incredibile, quello scienziato." Risponde lei.

"Chi scusa?" Mi sento un perfetto idiota per la domanda.

"Leonardo da Vinci." Risponde lei. "Magari anche te sei uno scienziato."

"Beh, non propriamente. Almeno non a quel livello." Rispondo stranito dal paragone inusuale.

Mi giro con un sorriso idiota d'imbarazzo verso Xavier che mi ha piantato gli occhi neri addosso.

"Dimmi, se non sono indiscreta, dove vi siete incontrati?"

In un lampo di lucidità realizzo che magari sono io ad essere indiscreto, mi sono seduto al loro tavolo, interrompendo la loro conversazione, rompendogli le scatole...

"Ad un concerto alla Leopolda." Risponde tranquillo lui al posto mio.

Un turbinio d'immagini affollano la mente.

"Ahh, lui!" Esclama la ragazza.

Xavier annuisce, mentre io mi sento sopraffare dall'emozione dei ricordi, dalle domande e dalla sensazione di essermi perso qualcosa. Mi sento vagamente fuori posto tra di loro.

"Beh, io andrei, grazie per il bicchiere di vino. È davvero ottimo." Faccio per alzarmi, ma la tipa mi ferma con uno sguardo.

"No, resta. È il caso che vada io. Ho davvero un sacco di cose da fare prima che la notte finisca." Si alza con una mossa agile ed elegante. Bacia Xavier su di una guancia e mi tende la mano. "Spero di rivederti, una di queste sere"

Le stringo nuovamente la mano, mentre cerco di capire cosa stia succedendo.

Lei se ne va, rapida e leggera.

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Resto in silenzio per un tempo davvero interminabile, mentre Xavier versa altro vino nel suo bicchiere. "Ne vuoi anche tu?"

"Scusa ma perché se ne è andata?"

"Sapeva che aspettavo qualcuno." Dice con leggerezza.

"Ah, allora è il caso che vada anche io."

"No." Il solito monosillabo inappellabile.

Mi riempie il bicchiere.

"Allora, dimmi..." Aggiunge appoggiando la bottiglia sul tavolo. "...cosa vuoi sapere."

Lo guardo spalancando gli occhi. C'è qualcosa di dannatamente strano in tutta questa faccenda che non afferro, ma ora non ho tempo di pensarci, devo sfruttare l'occasione e butto là la prima domanda che mi viene in mente.

"Come hai fatto ad entrare nella stanza dei burattini di legno?" Mentre le parole escono dalla bocca mi sento un idiota totale per la stupidità della mia domanda, per aver tirato fuori proprio questa mentre nella mia mente si affollano un casino di pensieri, di cose che vorrei sapere, chiedergli.

Alza un sopracciglio e mi guarda diritto negli occhi. "Ho distratto il ragazzo del servizio d'ordine e siamo entrati." Risponde con perfetta calma.

"Come?" La mia voce sale di almeno due toni.

"Beh, in questo modo."

Aspetto qualche istante ma non succede niente. "Scusa?" Mentre pronuncio la parola sento un dolore bruciante al labbro inferiore e mi accorgo che sanguina appena. Il sapore del sangue si mischia a quello del vino. Lo guardo, sempre più stonato e vedo che sul suo dito brilla una goccia rossa. Avvicina il dito alla mia bocca e mi guarda diritto negli occhi fino ad arrivare alle viscere. Circondo il suo dito con le labbra, quello inferiore da sotto e quello superiore che si poggia sulla goccia rossa. È mio.

Mi allontano di scatto, mentre lui mi guarda leggermente divertito. "Hai altre domande?"

Una valanga vorrei rispondere, ma il cervello è in tilt, perciò resto silenzioso a guardarlo con fare sempre più pescesco.

"Andiamo via da qui. C'è troppa gente."

Senza aspettare la mia risposta si alza e prende bottiglia e i due bicchieri. Lo seguo alquanto inebetito sia per il vino a stomaco vuoto sia per la situazione a dir poco strana.

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Ci dirigiamo verso il mio gradino poco alla moda, ma invece di fermarsi prosegue oltre, lungo la strada asfaltata. Arriviamo in silenzio alla curva a gomito in fondo al viale. Allunga il passo e si dirige verso un cancello di ferro battuto. Apre con una lieve pressione il cancello del giardino delle rose. Sono sempre più allibito dato che questo è un giardino pubblico che resta aperto solo due mesi l'anno e mai di notte. Ma non faccio domande, entro e lui richiude il cancello che ritorna fedele al suo posto. Passiamo intorno alla casa del custode, che sembra vuota e silenziosa. Lo seguo verso la parte alta del giardino, dove dei giardinetti a terrazza ospitano le rose rampicanti.

Si siede a terra e poggia bicchieri e bottiglia sul muretto che delimita il giardino-terrazza. Mi siedo accanto a lui sull'erba umida di guazza notturna. Mi sa che stavolta mi becco un bel raffreddore.

Si sposta più vicino a me e si sdraia sulla schiena, appoggiando la testa sulla mia coscia sinistra. Trasalisco.

"Dai Leonardo, sputa fuori." Sussurra.

La sua voce mi colpisce in pieno petto. Ho la gola secca e la bocca impastata. Mi verso un sorso di vino, mentre cerco di fare chiarezza nei miei pensieri. Il cuore batte troppo veloce, sia per la sua vicinanza che per l'accaduto di questa sera e soprattutto per la quantità di domande che vorrei fargli e che restano incagliate in gola. Bevo, prendo tempo, poi cedo.

"Perché quel "no"?"

"Mi hai stupito, anima fiammeggiante. Non mi aspettavo quella tua reazione."

"Perché? Cosa ti aspettavi?"

"Che tu reagissi come gli altri. Docile, tranquillo, anche accondiscendente. Ma Viviana mi ha sempre detto di non sottovalutare le persone con gli occhi come crateri. Sai, lei ha quasi sempre ragione. Non dovevo fare niente quella sera, scegliere qualcun'altro. Di gente c'è n'era, no?"

"Si parecchia gente." Pausa "Ma che vuol dire scegliere qualcun'altro?" .

"La scelta, in se per se, è brutta, ma è davvero una sconcertante necessità." Sospira, sistema meglio la testa sulla mia gamba "Quella sera tu eri lì, poggiato contro il muro, di un umore che non ci voleva un grande intuito per capire di che colore fosse, e mi hai guardato quasi per caso, all'inizio del concerto. Dai tuoi occhi come crateri è scappata fuori talmente tanta malinconia... e la malinconia ha un sapore incredibile." Pausa "E poi mentre cercavi di farti quella sigaretta, cavoli!" Sogghigna un istante "Avrei voluto levarti dalle mani cartina e tabacco e fartela io, eri davvero in palla..."

Non capisco se mi prende per il culo o no.

"Malinconico, solo e imbranato! L'ideale." Passa un braccio sopra la testa e me lo mette intorno alla vita, stringendo appena un poco.

Il suo tocco mi distrae dal fargli una parte a culo sull'imbranato. Mi libero le mani appoggiando il bicchiere e non resisto alla tentazione di sfiorargli la guancia. Fresca come il suo tocco.

"Poi ti ho visto bene gli occhi e mi sono tornate in mente le parole di Viviana. Ed infatti ora sono qui."

Mi sfugge la logica di tutto questo discorso. Mi sfuggono troppe cose in questo momento, ma anche la mia lucidità sta scivolando via. Passo le dita lungo i suoi zigomi pronunciati, il pollice sulla sua bocca che si schiude appena sotto la pressione del dito. Le sue labbra sono fresche come il resto del suo corpo, o almeno quello che sono riuscito a toccare fino ad adesso, e tremano un poco sotto il mio sfiorare. Vorrei...

"Chi è Viviana?" domando, ricacciando indietro i desideri.

"Una donna incedibile." Il suo tono è trasognante. Penso, con una punta d'invidia, che è fortunata ad avere accanto un tenebroso che pensa questo di lei. "È il mio mentore."

"Il tuo cosa?"

"La maestra di vita, se così si può dire."

"Ahhh." Ma suona falso, dato che continuo a non capire. Ma continua a non importarmi molto. Il cervello sta veleggiando verso altri lidi.

"Mi passi un po' di vino?"

Solleva la testa mentre si porta il bicchiere alle labbra. La sua testa è all'altezza dei miei fianchi. Il vino brilla rosso sulle due strisce sottili di pelle morbida e provo una forte invidia per il bicchiere e per il vino.

"Attento." Mi ammonisce.

"Di cosa?"

"Anche se la tua gola non parla, il tuo corpo lo fa benissimo."

Mi guardo istintivamente l'inguine, che è nascosto dalla sua testa. Non mi sembra particolarmente sveglio, almeno per adesso. Nel fare ciò incrocio i suoi occhi insondabili. Sorride divertito. "E i tuoi occhi lo fanno ancora meglio."

"Cosa ci vedi?" chiedo con aria di sfida.

"Sicuro di volerlo sapere?"

"Si." Monosillabo ineluttabile.

Si tira su lento e poi, con una rapidità incredibile mi assalta le labbra in un bacio febbrile. La sua bocca è fresca e sapida di vino, ma oltre al vino non sento altri sapori.

"Innanzitutto questo." Poi mi abbraccia con forza mentre il mio cuore rimbomba nella sua cavità toracica. Il respiro si fa corto. Poggia i denti sul mio mento ed inizia a mordere lentamente, ma con una certa forza. Sento la pelle cedere sotto i suoi denti, via via che scivola verso il collo. Boccheggio mentre il resto del corpo inizia a svegliarsi. Poggia una mano sulla nuca, come l'altra volta, immobilizzandomi il collo.

"Posso?" mi sibila nell'orecchio.

Annuisco con un rantolo.

Mi fa alzare da terra con una forza che non avrei pensato possedesse e mi fa mettere a cavalcioni sulle sue gambe stese. Il mio collo è all'altezza della sua bocca. Accompagna la mia testa all'indietro, ad offrigli la gola che inizia subito a leccare con piccoli colpetti di lingua. Scorre lento su tutta la gola, segnandola con scie umide, mentre la mia erezione inizia a crescere. Mi inarco su di lui ma la sua mano cala sulla schiena, premendomi contro il suo corpo e impedendomi di muovere il bacino.

"Non avere fretta. La notte ci concede ancora svariate ore." Sussurra e poi affonda i denti nel lobo dell'orecchio. Trasalisco per il contatto improvviso. Si ferma quando sente il mio respiro sospeso.

"Continua." Rantolo boccheggiando. E per imprimere più forza alle mie parole spingo, per quanto mi è concesso, il bacino verso i suoi addominali tirati.

Riprende a torturarmi il lobo, facendo scivolare ogni tanto la punta della lingua nella cavità auricolare. Brividi mi frustano la schiena, mentre la sua mano disegna spirali sulla mia camicia.

"Tu vuoi sapere..." scandisce lento le parole "...di me, del mio corpo..." mi sfiora con le labbra il collo lasciandomi senza fiato "...del mio sapore..." raggiunge nuovamente le mie labbra "... della mia pelle..." inizia a mordere il labbro già lesionato "... delle mie mani su di te..." mi sfila la camicia da dentro i jeans e inizia a sfiorarmi la pelle accaldata "... di me..." la sua mano scorre leggera sulla schiena "...perché io ti ho portato via durante quel concerto..." mi sfiora la pelle con le unghie scatenando brividi lungo tutta la spina "...perché proprio te..." lascia la nuca e inizia a sbottonarmi la camicia mentre il sangue mi batte, indemoniato, nelle orecchie "...perché dei miei baci..." mi libera dalla stoffa e mi spinge all'indietro. Cala sullo sterno, poggiandoci le labbra per poi risalire fino al cuore "...perché ti ho fermato..." scorre la lingua sul capezzolo sinistro mentre la mia schiena si tende all'inverosimile "...perché mi hai spiazzato..." I denti affondano sul piccolo cerchio di pelle rosea mentre io spingo come un ossesso il bacino contro il suo ventre "...come mai ero a quel tavolo stasera..." la sua bocca si chiude sul mio capezzolo, io gemo "...se stavo aspettando te..." addenta la punta inturgidita ed inizia a torturarla tra i denti "...come facevo a sapere che tu saresti passato di lì..." affonda le dita nelle costole immobilizzando ogni tentativo di strusciarmi contro di lui "...se mi fermerò anche questa volta..." ride contro la mia gola che vibra alle sue parole "...o se invece..." affonda i denti nella gola all'altezza della carotide "...e perché non mi devo fidare..." sfiora la mia erezione che preme sui pantaloni "...di te, dei tuoi occhi..." mi manca il fiato mentre disegna sadici cerchi sulla stoffa tesa che ingabbia il mio inguine "...profondi come crateri..." appoggia la mano aperta sul mio membro duro e preme, strusciandola "...che arrivano fino alla tua anima..." mi sbottona i pantaloni e le sue mani si addentrano nei miei slip. Perdo cognizione di tutto eccetto che delle sue mani e delle sue parole che mi inebriano "... vuoi sapere di me..." le sue dita fresche sfiorano la base del mio sesso, il mio respiro si fa affannato "...chi sono..." ne circonda la base mentre cerco di spingermi contro di lui "...o cosa sono..." risale verso al mia bocca e ne addenta il labbro "...e perché non ti senti più perso..." le sue parole rotolano nella mia bocca mentre il mio cervello non è più in grado di seguire il discorso "...perché ti ho quietato i pensieri..." stringe la base del cazzo e sale lento, mantenendo la pressione costante "...e le mani..." arriva alla punta che è già bagnata "...e chi sono gli altri..." struscia gentilmente la pelle serica inumidendola "...perché sono accondiscendenti..." la sua voce inizia a tremare e si fa roca mentre la sua mano inizia a pompare "...e magari che fine fanno dopo..." la sua mano scorre su di me "...ma non ti posso rispondere a voce..." morde con forza il mio labbro e il dolore mi richiama alla realtà. Apro gli occhi e mi ritrovo i suoi conficcati nel volto, che scrutano, velati di lussuria. Il suo sguardo mi fa tremare fin nelle viscere, mentre la sua mano continua il suo movimento. "... non a voce..." mi spinge a terra e io cado sull'erba zuppa. Mi cala i pantaloni fino alle ginocchia e abbassa gli slip. Si avventa sul mio cazzo duro e lascia che penetri a fondo nella sua gola, forzando le sue labbra quasi serrate e rivolte all'indietro, a coprire I denti. La mia rigidità sparisce nella sua bocca.

Il pensiero di forzare la sua bocca mi fa quasi venire, ma la sua presa si scioglie immediatamente, sostituita dai rapidi movimenti della lingua che accarezza la base del cazzo e le palle. Inizio a gemere con quanta forza mi è rimasta in corpo, mentre la sua lingua lubrifica ogni centimetro della mia pelle sensibile. Poi inaspettatamente risale. Si sdraia sopra di me e m'imprigiona nella mano destra. La sinistra mi stringe la nuca. "... e perché non ha senso spiegare a parole quello che la mente non è in grado di capire." La sua mano inizia a muoversi veloce sulla pelle bagnata dalla sua saliva, la sua bocca mi raggiunge portando tracce del mio sapore, poi inizia a tirarmi il labbro inferiore, a morderlo a succhiarlo, mentre la mia erezione preme sul suo palmo e chiede di poter esplodere. Continua a pompare con gesti sempre più precisi e sicuri, la stretta diventa sempre più pressante, finché brividi s'impossessano del mio inguine. Tremo nella sua mano instancabile, e mentre mi avvicino pericolosamente all'orgasmo affonda i denti nel mio labbro inferiore squarciando la parte rivolta verso la cavità della bocca. Inizia a succhiare il mio sangue mentre il mio corpo è percorso da spasmi e il mio sesso generoso sparge sperma sulla mia pancia e sulla sua mano.

Il mio corpo è ancora scosso da brividi mentre lui si stacca dal mio labbro sanguinante e sussurra "non è necessario chiedere quando sono i tuoi occhi a svelare la tua offerta." Poi riscende sul mio labbro e lecca la ferita.

A me scappa da ridere.

"Cosa c'è?" mi chiede mentre rotola al mio fianco e la sua mano traccia un percorso sinuoso tra i peli impastati dal mio seme.

Resto in silenzio per qualche minuto, spossato.

"Che sapore ha la malinconia?" farfuglio per via del poco fiato e del labbro gonfio.

Si lecca le labbra riassaporando il mio sangue, poi lascia il mio cazzo ormai morbido e si lecca tra il pollice e l'indice "Dovresti provarla. È incredibile."

Faccio per alzarmi ma mi gira la testa. Sarà l'attività fisica appena fatta, sarà per il vino o per il sangue che è uscito da me, ma non riesco a sollevarmi.

"Che vuoi fare?" Domanda ingenuo.

"Assaggiare la malinconia."

Mi guarda, puntellandosi su di un braccio; capisce al volo cosa intendo e il suo sguardo si vela della tristezza che gli ho già letto in volto la sera del concerto. Mi prende una mano e se la porta al ventre. La fa scivolare lentamente fino al suo cazzo che è addormentato, senza segni d'eccitazione.

"Inconvenienti della mia natura." Mi sussurra in un sorriso triste.

"Già" è l'unica cosa che riesco a dire.

Poi versa il resto del vino nei due bicchieri e m'invita a brindare di nuovo.

"Al buon bere. Ad uno dei pochi piaceri che mi è ancora concesso."

Mi sollevo a fatica ed alzo il calice che batte leggero contro il suo prima di raggiungere le labbra.

VAGABONDARE

Non ho ancora trovato il baco di questo programma. Sono già tre giorni che ci lavoro 12 ore al giorno, ma niente da fare.

Forse l'errore non è nel mio programma, forse è la legge che non descrive bene il fenomeno, forse il gruppo di ricerca francese ha realizzato l'esperimento in una configurazione troppo specifica e la legge che ne hanno dedotto non è così universale come hanno assicurato e allora è ovvio che non mi torni niente. Si, deve essere così, non ci sono altre spiegazioni. Chiudo gli occhi che friggono per le ore passate davanti allo schermo, abbandono il corpo sulla sedia, le mani lasciano la tastiera e scivolano lungo i fianchi. Con un moto di stizza tiro una pedata alla gamba del tavolo e la sedia, per il contraccolpo, srotella cigolando fino al centro della stanza.

Il rumore distrae Anna che emerge da dietro lo schermo posto sulla scrivania di lato alla mia. Mi guarda interdetta.

"Tutto O.K., Leo?"

"No, non trovo il baco di 'sto dannato programma. Se lo ricontrollo un'altra volta divento matto."

"Dici sempre così tutte le volte." Replica lei divertita "E poi se non riesce a te che lo hai fatto..."

"Si, ma la legge non l'ho mica ricavata io... e se fosse sbagliata?"

"Dubito, lo sai anche tu che il gruppo francese lavora bene."

"Si, certo, ma se non vedo..."

"Che strano sentir dire queste cose da un teorico. Questa battuta l'avrei dovuta fare io!"

"Senti un po' la sperimentale, come segna il confine." La sfotto mentre mi torna il buonumore.

"E in ogni caso tra un paio di settimane ci toglieremo ogni dubbio su come lavorano."

"Allora ti hanno proposto di andare su!" Chiedo entusiasta.

"Diciamo che non gli ho dato altre scelte..." Sorride diabolica.

"Grande Anna, sei mesi a Parigi e stipendio raddoppiato! È così che si fa!"

"Si, sei mesi di ricerca con un gruppo che negli ultimi anni sta facendo cose notevoli, di rilevanza internazionale..." Le brillano gli occhi, lo sguardo che si perde lontano, tra buie stanzette piene di strumenti ronzanti.

Si sveglia dal sogno ad occhi aperti "Ma sei proprio sicuro che l'errore non sia nel programma? Se vuoi lo ricontrolliamo assieme, anche se io non sono un gran che brava in queste cose."

No che non ne sono sicuro...

"Ti ringrazio, ma data la tua imminente partenza avrai da fare come una schiava in questi giorni."

"A dire il vero si. Ma i risultati del tuo lavoro sarebbero davvero preziosi."

Annuisco e riprendo posizione davanti alla dannata macchina.

No che non ne sono sicuro. Sto cercando una scusa e niente di più per non dover ammettere che in realtà son tre giorni che ho gli occhi su queste centinaia di righe ma il cervello è altrove.

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Continuo a pensare a Xavier e a quello che non è successo. Dopo quel brindisi non sapevo più che fare, la testa troppo leggera e la lingua impastata. Le domande che avrei voluto fargli si sono inceppate tra denti e labbra e si sono arenate nella testa.

E, bischero che non sono altro, non so neanche come fare a rintracciarlo. L'ho lasciato andare così...

Mi risale la sensazione delle sue mani che sfiorano le mie dita, sciolgono la presa sul bicchiere vuoto, lo sfilano e poi riempiono i miei palmi rimasti vuoti. Mi ha attirato a se, avvolgendomi nella sua presa, la schiena contro il suo petto, le sue braccia intrecciate con le mie, le sue mani nelle mie.

Il silenzio si è adagiato intorno a noi, a farci da corona, mente il battito del mio cuore segnava rapido il tempo, così lentamente scandito dal suo respiro. L'inquietudine, mischiata all'appagamento, mi ha stordito.

Ha respirato profondamente sulla mia nuca, tra i capelli, mentre un brivido a metà tra la paura, perché avevo scoperto ciò che è, e l'eccitazione per ciò che mi aveva fatto, mi ha accarezzato la schiena.

"Perché sei teso?" ha sussurrato suadente.

Il mio corpo si è irrigidito ulteriormente, preso alla sprovvista dalla sua domanda.

"Credi che ti possa fare del male?"

Perché una domanda così diretta? Che rispondergli?

"No, non proprio, o almeno..." Deglutisco "Se io fossi al tuo posto non te ne farei, come dire, non è nella mia natura." Ho cercato di mascherare la tensione con un mezzo sorriso.

Le sue labbra fresche sono scese sul mio collo, il cuore ha perso un colpo.

Ormai è fatta. Sono andato. Pensieri veloci si sono mischiati alla risposta istintiva della mia pelle percorsa da brividi comandati dal contatto sensuale con la sua bocca.

Ha appoggiato le labbra sulla mia giugulare.

"Lo so..." ha sussurrato sul mio collo.

Un bacio, mentre il cuore pulsava dannato, le narici dilatate, le mani tremanti, strette intorno alle sue. Ha deposto un altro bacio più pressante sul mio collo, ho sentito la punta della sua lingua fresca serpeggiare sulla mia pelle, poi il duro passaggio degli incisivi che strusciavano sul collo umido ed infine l'inesorabile e lento chiudersi dei suoi denti sulla mia carne.

Ho serrato le mani, aperto la bocca senza emettere alcun suono, in attesa, mentre scene di piacere e di terrore si mischiavano nella mente e la pelle, memore delle sue carezze, s'increspava di lunghi brividi.

"...Neanche io"

Solo un lieve sfiorare dei suoi denti, che hanno accarezzato la giugulare, poi il fresco delle sue labbra che si sono posate nuovamente sul collo, depositando un ennesimo bacio.

Si è allontanato dal mio collo, lasciando il mio corpo eccitato orfano di quel contatto e la mente frustata dalla paura di sentire la pelle lacerata dai suoi denti.

"Ma non riesco a rinunciare a giocare." Ha riso sulla mia nuca madida di sudore "Perché è troppo divertente vedere quanto sono diverse le reazioni della testa da quelle del corpo."

È sgusciato fuori dalle mie mani ancora serrate, si è girato, inginocchiandosi sulle mie gambe e mi ha baciato, bevendomi il fiato, levandomi nuovamente il respiro, mentre la sua lingua lambiva lieve la mia. Si è staccato da me, mentre io boccheggiavo, stordito.

"Leonardo, io devo andare." Affermazione inappellabile scandita da una voce sanguinante tristezza.

Ho annuito.

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"Ma che cretino!"

"Cosa ?" chiede Anna. Devo averlo gridato.

"No, niente, stavo parlando tra me e me medesimo."

"Sei ancora troppo giovane per parlare da solo!"

Le rispondo con una pernacchia e torno a fissare lo schermo.

"Io faccio festa." Esordisco dopo qualche minuto. "Ci vediamo lunedì."

"O.K., e guarda di rilassarti in questi giorni, mi sembri un tantino esaurito."

"Si mamma."

Mi saluta con un sorriso e un simpatico gesto del medio.

Inforco la bici e mi appresto a tornare a casa. L'ora è incredibile, il cielo turchese tagliato a metà dalla scia gialla di un aereo illuminata dal sole basso.

Respiro l'aria pesa della città. Un pensiero ribelle: voglio andare al mare. Prendo il telefono.

"Ciao Luigi, come va?"

"Noooo, è meno di un secolo che non ci sentiamo."

"Si si, mi sono ripreso dal concerto..."

"Volevo sapere se stasera vai a Torre"

"Bene, lo speravo proprio. Chi c'è?"

"Ci sono anche loro? È da una vita che non li vedo."

"A che ora partite?"

"Mi passate a prendere, vero?"

"Si, si, sarò puntuale."

"A dopo."

Mi precipito a casa. Ho pochissimo tempo per preparare la borsa. Costume, asciugamano, pigiama, spazzolino, solite cose.

Arrivano con cinque minuti d'anticipo. Esco in fretta, I capelli ancora umidi.

Una macchina con quattro pazzi scatenati imbocca l'autostrada per il mare.

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Prima tappa casa di Luigi. È necessario aprire le finestre, sennò stanotte affoghiamo nel caldo umido. E poi i soliti due vanesi si devono tirare a lustro. Serata di caccia, come ai bei vecchi tempi, e ciò vuol dire che, se tutto va bene, qualcuno stanotte non dormirà affatto. Mi piace la loro follia, anche se io stasera farò forca. Niente caccia per me. Ho bisogno di due giorni di mare e di salsedine sulla pelle. Ma non rinuncio alla serata sul lungomare di Torre, che in estate diventa la tappa principe dei gay di tutta la zona.

Raggiungiamo la meta dopo la mezzanotte. I due bar all'aperto sono letteralmente presi d'assalto da una marea di gente, ci saranno parecchie centinaia di fratelli e sorelle che si dimenano al ritmo della musica mal mixata che esce dalle casse del primo bar. La strada, che di giorno si trasforma in un immenso parcheggio, la notte diventa una pista da ballo improvvisata, dove personaggi incredibili fanno bella mostra di se. È un luogo che accoglie davvero tutti, gay strafighi e palestratissimi, sfigati come me in jeans e maglietta anonima, trans in abiti dai colori sgargianti, butch dai movimenti poco aggraziati, famme di una bellezza incredibile, coppie etero che preferiscono un ambiente gay, meno formale, più accogliente e incredibilmente gratis.

I miei tre compagni di viaggio si perdono immediatamente nella folla, salutando, baciando, ammiccando a destra e sinistra. Io mi dirigo verso l'altro bar, posto in fondo alla strada. Tra i due bar una zona dove la musica del primo incontra quella del secondo, dando origine a melodie assurde e a volte stridenti.

La strada del lungomare finisce nel buio della pineta, che separa Torre del Lago da Viareggio. L'aria è intrisa dell'odore dei pini marittimi e dai profumi quasi codificati che abbondano sui corpi dei frequentatori dei due bar. Respiro a pieni polmoni, chiudendo gli occhi per assaporare meglio l'atmosfera e mi accorgo di quanto avessi bisogno di uno stacco dalla città. E visto che ci sono, è il caso di divertirmi.

Vado verso la pista da ballo improvvisata ed inizio a zompettare come un grullo allo stesso ritmo indiavolato che fa muovere tutti quanti.

Resto ai margini della pista perché al centro la ressa è incredibile; intravedo Luigi, affogato nel magma di corpi, che balla, beato, senza togliere gli occhi dal ragazzo con la camicia bianca che a sua volta si dimena a pochi metri da lui. Mi spunta un mezzo ghigno pensando che la tecnica di Luigi è quella del giaguaro. Prima individua la preda, poi la segue attentamente, ne studia le mosse e alla fine colpisce... offrendogli da bere! Adoro il suo old style...

Mi giro per non fare troppo il guardone.

La mia attenzione è calamitata da un gruppetto di persone che, un po' defilate dalla piscina di corpi sudati e danzanti, parlano tra loro, voci squillanti, alte risate, grandi esclamazioni. Sono in cinque o sei, sembra quasi siano posti in cerchio attorno a qualcuno che deve essere il centro dell'attenzione.

Un ragazzo alto, modaiolo, si sposta, ancheggiando, e riesco ad intravedere una massa di capelli mogano.

Ma io conosco quella testa...

Quasi mi avesse sentito si volta verso di me e mi sorride. Rispondo al sorriso e Viviana mi fa cenno di avvicinarmi. Resto interdetto un istante, stupito dalla coincidenza; lei insiste, così smetto di dimenarmi e le vado incontro con passo titubante. Quando arrivo vicino al gruppetto, i due ragazzi che mi davano la schiena mi fanno spazio ed entro nel circolo. Viviana mi butta le braccia al collo e poggia le sue labbra fresche sulla mia guancia accaldata e sudata.

"Ragazzi, questo è Leonardo, uno scienziato"

Voci maschili e femminili mi salutano, arriva anche qualche bacio schioccante, che non fa mai male.

"Ciao a tutti. Che piacere rivederti, come stai?"

"Bene. E tu?"

Mi delizia con un sorriso incredibile, io ricambio con un sorriso ebete. L'attenzione di tutti è rivolta verso di me e m'imbarazza incredibilmente. Riesco a malapena a spiccicare qualche altra parola. "Stasera c'è un atmosfera incredibile, un sacco di gente."

"Si, un sacco di ragazzi davvero carini." Ride una splendida creatura dalle gambe abbronzate e muscolose e dai cortissimi capelli biondi.

"Mi spiegate perché tra tutta questa bella gente ci sono sempre così poche bimbe?" Chiede una morettina.

"Perché le bimbe sono più furbe e stanno a casa a fare ben altro!" Le risponde una ragazza riccioluta, decisamente carina e decisamente interessata ad un gruppetto di altre ragazze che ballano vicino a noi.

"E io dove la trovo la fidanzata!" Ribatte la prima.

"Eddai, ma sei sempre in cerca del grande amore!" Le risponde un ragazzo castano, che continua a puntare la mischia.

"A te non rispondo neanche, screanzata che non sei altro. Sempre in cerca di avventure, ma quando metterai la testa a posto." Replica la ragazza con vocina fessa e agitando la manina.

"Come fare a rinunciare a tutto questo ben di dio, almeno lascia che mi rifaccia gli occhi!"

Si mettono tutti a ridere. Mentre le risate si sperdono nell'aria salata, il ragazzo castano mi guarda e aggiunge, con voce a metà tra il serio e il faceto "E te Leonardo, che fai stanotte?"

"Mi guardo attorno" Rispondo, stando al gioco.

"Mmmhhh, interessante, davvero moltooo interessante..." Continua lui, con voce da ispettore della polizia che ha scoperto un indizio importante. "E mi dica, c'è nessuno da queste parti che le interessa?" continua con lo stesso tono di voce, risistemandosi la camicia chiara a mezze maniche e sfoggiando un sorriso a 24 carati.

"Non so... ci devo pensare." Rispondo facendo il sostenuto.

La nostra scenetta ha catturato l'attenzione di tutti.

"Mi spieghi perché hai amici tutti così carini ma così tanto evasivi?" Chiede a Viviana, che nel frattempo si è spostata di fianco a me.

"Ah si, ho amici evasivi? A chi ti riferisci, di grazia o fanciullo?" Lo punzecchia lei.

"Ad esempio quel moretto che era con te l'altra volta."

"Concordo, carino un monte e anche evasivo un monte." S'intromette il biondino.

I miei pensieri si annodano. Xavier. Mi ritorna in testa in un lampo, proprio quando mi stavo dimenticando, almeno per un istante, di lui.

"Non c'è stasera?" Chiede la ricciola.

"Non credo" Risponde Viviana, poi mi guarda complice "Giusto?"

Alzo le spalle. "Non lo so." Rispondo un poco sconsolato.

"Deh, un altro cuore fulminato." Dichiara il biondino con fare teatrale alla Duse, portandosi il dorso della mano sulla fronte.

Si girano tutti verso di me e iniziano a ridere. Non mi resta che ridere con loro, mentre una nube s'insinua nella mia testa.

"Ragazzi, qualcuno di voi vuole qualcosa da bere?" Chiede Viviana. Poi mi prende sotto braccio, e prima che qualcuno risponda aggiunge "Mi accompagni?"

Annuisco.

"No no, andate pure, poveri assetati, non v'invidio per niente, a entrare in quel casino."

Ci allontaniamo dal gruppetto in direzione del bar accerchiato da una marea di gente.

"Mi piace questo posto. C'è davvero un sacco di gente e poi trovo sempre qualcuno con cui fare due chiacchiere. Sai, è un modo per non perdere il contatto con la realtà."

Annuisco, anche se la mia testa è ormai grondante di Xavier.

"Ho provato a coinvolgere anche Xavier, ma per adesso non ho ottenuto un gran risultato."

Il suo nome brucia nelle mie orecchie.

"Perché?"

"Bah, credo sia in periodo introspettivo."

"Non intendevo questo. Perché hai cercato di coinvolgerlo."

"Occupa il tavolo, mentre io vado alla cassa." Dice in un tono che non ammette obbiezioni.

"Quale tavolo?" Lei indica un tavolino poco distante da noi da cui si stanno alzando due ragazze. Lo raggiungo e mi stupisco che durante la mia traversata non sia stato occupato da nessuno. Torna Viviana con una Sangria.

"Spero ti vada bene, non mi avevi detto cosa volevi."

"Si, benissimo, grazie." Tiro fuori il portafoglio.

"Lascia che te la offra io."

Ringrazio e bevo un sorso di liquido rosso e dolce, in cui galleggiano i pezzi di frutta. Più che una sangria è una macedonia affogata. Ma è fresca e dolce.

"Dolce come te." Sussurra senza malizia, come fosse una constatazione ovvia.

La guardo allibito. Sto per chiederle cosa intende, ma lei mi batte sul tempo.

"Lascia perdere. Cosa volevi sapere di Xavier."

Basta una parolina magica per farmi andare in tilt i circuiti logici.

"Cosa intendevi prima?"

"Che siamo venuti qui, ma lui è rimasto quasi inavvicinabile. Il suo atteggiamento mi preoccupa." Prende fiato, guardandomi fisso negli occhi. "Non mi piace che si lasci andare così. Non va per niente bene che perda interesse nella realtà. Sai, quando il tempo scorre diversamente è importante non affogarci dentro, e lui stava scivolando via."

Mi accorgo di avere la bocca aperta a mo' del solito pesce che è in me.

Mi fissa sempre più intensamente, il suo volto è un poco tirato.

"Il rischio maggiore è l'inedia, e se ti dimentichi di cosa ti circonda, ti piomba addosso come un falco sulla preda."

Rabbrividisco un istante per il paragone.

"L'inedia ha un brutto odore, sa di plastica bruciata. È quando l'ho sentito addosso a lui mi è presa paura. Ne ho visti troppi trascinati via dall'apatia e non mi va che succeda anche a lui."

"Perché mi dici tutto questo?"

"Mi è sembrato che tu lo volessi sapere."

"Beh, si"

"E poi." Continua fissandomi "Sembra che tu ci riesca."

"Eeeehh?"

"Non hai idea di quanto tempo è passato da quando Xavier ha chiesto l'ultimo bicchiere vuoto per un commensale non ancora presente." Il suo sguardo si addolcisce. "E non sai quanto mi faccia piacere tutto ciò."

"Ma... e se io non fossi molto intenzionato a collaborare?"

"Ne dubito. Anche se si stava lasciando andare è ancora in grado di scegliere."

"Ma come fai ad essere così sicura di quello che dici?"

Un sorriso le increspa le labbra. Scuote un attimo la testa. "Perché sai di malinconia."

Il pesce si impossessa di me. Strabuzzo gli occhi e mi cade la mascella.

"Scusa, è una battuta. Senza scherzi, credi proprio che lui non ti abbia studiato bene prima di offrirti da bere? O forse dovrei dire il contrario?" Mi dà una gentile pacca sul braccio appoggiato al tavolino. "Riflettici, è lui che rischia, non te. E nonostante qualche errore fatto in passato, dovrebbe aver imparato a scegliersi con cura i compagni di bevute."

Prende il bicchiere e ne sugge un piccolo sorso.

"Comunque quella sera alle Rampe c'ero anche io. Lui poteva anche essersi sbagliato, ma errare in due non capita così di frequente."

"O.K. io non..." Non so che dire. Troppe informazioni tutte insieme, mi serve tempo per riflettere, capire in che casino sono finito, decidere, valutare, cioè ma... e se io non sono d'accordo?

Fermate il mondo, voglio scendere!

**********************************************************************************

Riempio la bocca, vuota di parole, con un sorso di sangria. Viviana mi guarda, in attesa di una qualche reazione, ma adesso non sono in grado di fare o dire niente. Sorride e annuisce, come a capire il mio stato confusionale, poi rompe il mio silenzio che stona con il rumore esterno carico di voci e della musica del bar.

"Credo sia meglio che ti lasci riflettere."

Guarda con attenzione verso l'oscurità che dilaga nella pineta e si alza di scatto.

"Ti chiedo solo di non fargli male."

Guarda nuovamente verso la pineta immersa nel buio "Non stasera." Bisbiglia quasi tra se e se.

Si allontana. Tempo trenta secondi arriva un gruppetto di ragazzi che guardano con bramosia il tavolo a cui sono ancora seduto. Mi alzo, prendo il resto della bevanda dolce e libero il tavolo.

Mi dirigo verso la spiaggia, con la mente in subbuglio. Arrivo sul bagnasciuga immerso nell'oscurità. Frammenti di quello che è successo in questi giorni si rincorrono, mischiandosi nel fluido vischioso delle emozioni.

Il contatto con le sue labbra, il suo addio al giardino delle rose, i suoi occhi scuri, il mio desiderio di rivederli ancora, la paura di essere in una situazione ingestibile, la voglia di fargli un'infinità di domande, Cosa vuole? Cosa cerca? Perché io? Perché prima mi ferma e poi m'invita a sedere al suo tavolo? Quali sono i suoi bisogni? Chissà quanto sono diversi dai miei, come potrei fargli io del male? In che situazione sono finito e cosa voglio da tutto questo, da lui? Cercavo lui? Chi stavo cercando la sera del concerto? Cosa stavo cercando? Come mai è riuscito a quietarmi i pensieri e le mani? Perché non riesco a togliermelo dalla mente? Cosa è giusto fare adesso? Sparire? Non farsi più vedere? Si, come se fosse facile. Io non sono in grado né di rintracciarlo tantomeno di non farmi più trovare. E poi voglio davvero evitarlo? Al pensiero un'onda di tristezza mi trascina in basso, nei meandri della malinconia, e di nuovo mi assale quel dannato senso d'inappartenenza a tutto ciò che mi circonda, alla musica che arriva a refoli dai due bar, al suono del mare, all'odore della pineta, a qualcosa che ha a che fare con la vita.

Mi siedo sulla sabbia appiccicosa per la salsedine e cerco di calmare i pensieri. Non so più che pesci prendere. Non so neanche se sono in grado di affrontare di nuovo la sua voce, il suo tocco, le sue labbra, le sue mani che accarezzano il mio corpo, la sua bocca che scende sul mio petto a baciare, succhiare i capezzoli, chissà com'è assaggiare la sua pelle, se ha un sapore, un odore, come è sentire il suo corpo a contatto del mio, e... oddio, che qualcuno mi aiuti a capire cosa fare adesso. Perché i miei desideri sono così difficili da interpretare, perché lo voglio ancora e nello stesso tempo ho paura di averlo davanti un'altra volta, perché io devo essere un contatto con il mondo reale, perché mi ha scelto, ma io cosa ho scelto per me? Ho qualcosa da scegliere o posso solo lasciarmi andare, galleggiare in questa strana realtà, adesso che so dell'esistenza di un suo nuovo aspetto, che nessuno mi ha mai insegnato ad affrontare?

Mi sento solo ad affrontare la notte, abbandonato in un nuovo spazio dove non so come muovermi e dove non ho nessun mentore. Invidio Xavier, lui ha Viviana che lo aiuta, ma lei non può aiutare anche me, io sono l'elemento di perturbazione nell'esistenza di Xavier, l'elemento di casualità, anche se Viviana non era così tanto convinta che la mia presenza sia dovuta solo al caso. E se ciò fosse vero?

Mi viene da ridere. Da una parte desidero che sia tutto vero, dall'altra vorrei che fosse stata solo l'avventura di una sera, ma so già che non lo è stata perché, anche se lui esce dalla mia vita, quella notte ha stravolto le mie concezioni del reale.

Una risata stridula esce da me e si spegne in un mezzo singhiozzo.

"Perché non mi aiuti? Perché non mi spieghi cosa fare, e poi a cosa si riferiva Viviana?" sussurro al mare, nella speranza che la voce porti fuori da me non solo i suoni, ma anche i pensieri che infestano la mente.

Non succede niente. I pensieri non si possono rottamare. Non sono valori erronei di un esperimento, che, con la dovuta cautela, si possono buttare senza tornarci più sopra.

Appoggio il bicchiere di plastica sulla sabbia e inizio a farmi una sigaretta. Movimenti reali, che riesco a decifrare e di cui conosco tutto. Qualche boccata di tabacco dolce mi calma i nervi. L'aria della notte è rilassante e scende come balsamo sulla mia mente sovreccitata. Mi lascio trascinare via dal rumore delle onde e riesco quasi a sorridere, perché anche se adesso sono nel baratro, qualcosa succederà e dopo saprò cosa fare, capirò forse cosa fare.

"Con o senza di te nella mia vita." Sigillo la frase con un sorso di sangria.

"Spero tu non abbia ancora deciso." Giro la testa di colpo. È in piedi, qualche passo dietro di me.

Un brivido mi attraversa la schiena mentre la mente è invasa nuovamente dal caos. Se basta una frase a farmi perdere la lucidità, come faccio a sostenere una conversazione intera?

Si ferma accanto a me, e io lo invito, con mano tremante, a sedersi.

Faccio un altro tiro, mentre mi tornano alla mente le parole che poco prima Viviana ha sussurrato. "Ti chiedo solo di non fargli male. Non stasera." Lei lo sapeva che stava arrivando. Come faccio io a fare male a lui?

"È da parecchio tempo che non mi trovo più a parlare con qualcuno."

Annuisco, anche se non sono in grado di capire quanto sia per lui parecchio tempo. Mi volto e vedo solo il suo profilo che si staglia nella notte leggermente illuminata dai lampioni della strada alle nostre spalle.

"E non mi riesce più tanto bene."

Forse Viviana voleva dirmi di non scappare? La tentazione è davvero forte.

"Per cui, beh, se non hai niente di meglio da fare e ti va di ascoltarmi..."

"Ho qualche altra scelta?" Sono sulla difensiva e il mio tono è teso.

"Certo. Ti sento addosso la paura e la voglia di andartene. Sei liberissimo di farlo. Non ti fermerò. Non farò come quella sera al concerto." La sua voce trema.

Un fremito mi riporta alla mente il concerto. Sorrido appena al ricordo. È un sorriso amaro perché, se da una parte vorrei tanto, dall'altra realizzo che non posso chiudere questa faccenda con un 'I want to tell you this in a gentle way, thank you goodbye'

Alea iacta est. Tiro il fiato mentre cerco di fare chiarezza sulle cose che vorrei chiedergli. La domanda è quasi scontata.

"Cosa hai fatto quella sera?"

"Ti ho imposto di seguirmi. È vero che mi è bastato poco, ma sono sicuro che non l'avresti fatto di tua spontanea volontà."

La mia volontà... Cosa volevo quella sera?

"Stavi cercando tante di quelle cose, ma principalmente qualcuno che ti calmasse."

Si è vero. "E tu cosa cercavi?"

Sorride amaro. "Da qualche anno a questa parte le mie ricerche sono dettate solo dalla sopravvivenza più spicciola. Il minimo indispensabile per arrivare alla notte dopo."

"Cioè?" Non voglio dare niente di scontato, anche se ho decisamente capito a cosa si riferisce, ma visto il tipo che è e le parole di Viviana...

"Cibo." Risponde a bruciapelo, senza che la sua voce tradisca nessuna emozione.

"Perché io?"

"Per il tuo odore. Ogni tanto è bello concedersi il lusso di un buon piatto."

"Io ero un 'buon piatto'?"

"Ottimo."

"E mi spieghi il perché?"

"Perché in te regnavano la malinconia e le emozioni più incredibili. E poi non ho dovuto faticare molto per prevedere che sapore potevi avere. Per capirlo mi è bastato guardarti qualche minuto. Ma mi sono fidato troppo del mio intuito e questo mi ha fregato."

Resta in silenzio per qualche istante. Poi riprende, con voce bassa e fluida.

"Non mi aspettavo una reazione di quel genere. La tua anima ha iniziato a bruciare, e a quel punto io non potevo più controllarmi, ero troppo inebriato dall'odore della tua pelle, dal sapore del tuo sangue, dalla reazione del tuo corpo e dalle grida della tua mente. Di solito non finisce in quel modo."

"In quale modo? Di solito come finisce?"

"Con l'immobilità."

"Cosa?"

"Quante volte ti è capitato di trovare un pasto che ti salta addosso per fartisi?"

"Direi mai, ma io di solito non mi alimento di esseri vivi!"

"Ognuno ha i suoi problemi!" Risponde ironico.

"Dove era il problema nel mio comportamento?"

"Che, non ostante la mia influenza sulla tua volontà tu hai reagito in quel modo. Ad un certo punto eri tu che volevi me."

"E allora?"

"Ma lo sai da quanto tempo non mi capitava una cosa simile?"

"No, dimmelo."

"Un sacco di tempo."

"Ahhhh, ora si che ho capito tutto!"

"Che fai, sfotti?"

"È possibile. Hai un'idea di quanto sia difficile per me seguire i tuoi discorsi? "

"E tu hai un idea di quanto sia difficile per me dire queste cose?"

"Per TE è difficile dire che IO ti volevo saltare addosso?" Grido.

"No, è difficile dire che avevo paura che tu mi saltassi addosso." Risponde sconsolato.

Resto attonito. Avevo pensato a tutte le possibili risposte, ma non a questa eventualità. Finisco di bere la sangria, e lascio cadere nel bicchiere vuoto la sigaretta ormai spenta da un pezzo. Guardo il mozzicone sperso tra qualche pezzo di frutta sul fondo del bicchiere e mi ritornano a mente le parole di Viviana. 'Ti chiedo solo di non fargli male. Non stasera.'

La situazione mi sta precipitando addosso come una valanga, e mi sa che in questo momento sono solo io che posso evitare il peggio. Lo sento muoversi. Si sta alzando.

"Che fai?"

"Quello che volevi fare te all'inizio di questa conversazione." Il suo tono è sommesso. "Non credo sia una buona idea continuare a parlarne."

"Resta qui." La mia voce è implorante. "Se non erro sei stato tu a cercarmi stasera. E adesso vuoi mollarmi così?"

Si immobilizza e, per quanto strano, mi sembra di leggere paura nei suoi occhi.

Resta immobile un istante poi si abbassa lentamente su di me, il suo volto chiaro inizia a sfumare, gli occhi neri, senza più traccia di paura, invadono il mio campo visivo, la sua bocca si avvicina pericolosamente alla mia per fermarsi a qualche centimetro dalla mia pelle. Un brivido freddo corre lungo tutta la schiena. Mi sono dimenticato che è lui il più forte e io sono sempre alla sua mercé. Schiude le labbra e intravedo il bianco dei suoi denti. Inizio a galleggiare nell'immagine delle sue labbra che si muovono, mi perdo nei suoi denti. La presa sul bicchiere si fa più debole e il pezzo di plastica scivola via dalla mano. I suoni del mare si attenuano e la sensazione della sabbia sotto il mio sedere si fa più sfilacciata, come a diventare seta. Mi iniziano a tremare le mani, la mia volontà sta volando via mentre le sue labbra coprono la distanza che le separa dalle mie. Le sento appoggiarsi fresche sulle mie. La pressione mi sbilancia indietro e cado disteso sulla sabbia. L'urto non attutito dalle mani, che sono rimaste immobili e tremanti davanti a me, mi concede un barlume di lucidità. Realizzo che è come la sera del concerto. Un campanello di allarme mi urla nella testa. Boccheggio cercando di ritrovare il filo dei pensieri mentre il suo corpo continua ad avvicinarsi.

Devo trovare una soluzione rapida, sfruttando questo istante imprevisto. Un milione di idee si riversano istantaneamente nei circuiti logici. Ne isolo solo una. Lo voglio. Voglio sentire il suo corpo su di me e la sua pelle che sfiora la mia. I suoi ansimi, il suo fiato e la sua voce suadente e sensuale che lambisce le mie orecchie mentre le sue mani mi sfiorano, mi toccano, mi fanno gemere e gridare.

Ma non così. Devo essere lucido. Voglio essere totalmente lucido. Devo capire. Sapere cosa mi fa, vivere tutto fino in fondo, scoprire come Xavier è legato a questa sensazione d'inappartenenza che mi grava sulla testa.

Si avvicina e nel mentre sento la volontà che inizia ad allontanarsi nuovamente da me. Quando poggia una mano fresca sul mio petto coperto solo dalla maglietta accuso un colpo che quasi manda al diavolo il debole controllo che riesco ancora ad esercitare su me stesso. Annaspo. Mi agito, distendo le braccia sulla spiaggia. Mi aggrappo alla sabbia che fornisce un supporto insufficiente al mio bisogno di afferrarmi a qualcosa. La sabbia scivola fuori dalla mano che continua a stringere, lasciando nel suo interno un pezzetto di legno appuntino, consumato dal mare. La mia unica possibilità è in quel pezzo di ramo.

Cala sulla mia bocca. Sento il suo tocco leggero, poi i denti che imprigionano un labbro. Inizia a baciarmi e a succhiare il labbro, con lentezza, mentre una mano mi preme al suolo. Ho poco tempo, pochissimo per giocarmi il tutto per tutto. Mi concentro solo sulla mia mano mentre la sua lingua lambisce il labbro intrappolato. Stringo la mano il più forte possibile. Sento il legno che scricchiola e poi, docile, affonda nel palmo. La pelle si tende, con lentezza quasi ossessiva. Il legno affonda sempre più lentamente, preme timido ma imperterrito finché non inizia a lacerarmi la mano.

Mi sta baciando con foga, e risucchia l'aria dai miei polmoni. Non ho quasi più il controllo di me, e quel poco rimastomi è tutto concentrato nella mano. Restare lucido è quasi impossibile, come muoversi contro vento sotto la pressione della bora triestina. La mano. Devo continuare a chiuderla. Non devo perdermi nella sua fresca lingua che sta carezzando le mie labbra immobili. Devo arrivare fino in fondo. Non ho altra scelta. Non mi lascia altra possibilità. Con un ultimo sforzo serro la mano. Il legno si conficca nel palmo, frantumandosi, scricchiolando, emettendo lo stesso rumore delle ossa spezzate da una mannaia. Il dolore irrompe come un lampo nella mia testa. Riconquisto la lucidità in un unico colpo.

Lo blocco con l'altra mano, artigliandolo alla nuca e lo strattono via da me. La mano offesa pulsa indecentemente mentre il sangue inizia a scorrere sul mio palmo.

Ansimo. "Non lo fare mai più. E se ci riprovi, devi farlo più in fretta, stronzo!" È solo un sussurro ma glielo lancio addosso come fosse un macigno.

Resta immobile, accanto a me. Mi affloscio sulla sabbia. Il cielo trapuntato di stelle rotea sopra il mio corpo disteso, mentre riprendo fiato, mentre la mia testa è invasa dal dolore e dalla voglia di spaccargli la faccia per quello che ha tentato di farmi. Lui non si muove. Lo sento solo ansimare, quasi terrorizzato. La sabbia torna ad essere sabbia e il mondo lentamente si ferma da suo folle roteare.

Lo sento muovere. Si sta alzando. Lo afferro d'impulso con la poca forza che mi è rimasta. Il pezzo di legno finisce di entrare nella mia carne che geme altro sangue. Altro dolore. Un altro lampo di lucidità.

"Dove pensi di andare." Cerco di gridare, ma esce solo un suono strozzato.

Potrebbe strattonare via la mia presa, liberarsi, andarsene e lasciarmi qui o saltarmi addosso e finirmi, ma resta piantato. Cerco di tirarmi su, puntellandomi con l'altra mano. Mi guarda, sconvolto, in una rapida sequenza che va dalla mia faccia alla mano sporca di sabbia e sangue stretta intorno al suo braccio per poi tornare sul mio volto.

"Non ti mollo. Almeno non di mia volontà." Sibilo. Stringo la presa, mentre il dolore aumenta e rende difficile l'operazione.

Si siede, sconfitto. Non mi fido e non allento la presa.

"Va bene." La sua voce bassa mi penetra nelle viscere.

"Va bene cosa?" Sputo tra un respiro e l'altro.

"Hai vinto. Non vado via e non ti faccio niente. Puoi lasciarmi il braccio."

Allento, riluttante, la presa, che sta diventando insostenibile per il dolore. Lui non si muove. Lo mollo e mi lascio andare sulla sabbia, esausto. Mi guardo la mano. È completamente imbrattata e ha l'aspetto di un campo di battaglia. In un attacco di sadismo gliela metto sotto gli occhi. "Gradisci?"

Mi guarda con occhi duri. "Hai vinto, ma questo non ti da' il diritto di insultarmi."

Le parole di Viviana rimbombano nella testa per l'ennesima volta. 'Ti chiedo solo di non fargli male. Non stasera.' Vaffanculo. Ma guarda che situazione del cazzo. E mi tocca pure farmi degli scrupoli. Sospiro "Scusa."

Non risponde. Non si muove. Guarda verso il mare.

"E ora dimmi cosa diavolo volevi fare." Ho ripreso a respirare normalmente, anche se la mano mi duole all'inverosimile. Mi servirebbe dell'acqua non salata, un po' di sapone, del disinfettante, una garza, che so io, robe di questo genere, ma se mi allontano non lo ritrovo più. Devo sfruttare questo piccolo vantaggio che sono riuscito a conquistare.

"Andarmene."

"Non dirmi che non sei in grado di farlo tuo piacimento." Sollevo solo la testa da terra.

"Si posso."

"E allora perché sei ancora qui?"

"Mi hai fregato. Potevo semplicemente alzarmi e andare via, ma volevo un altro po' di te. Non chiedevo molto, no?"

Lascio andare giù la testa, che cade sulla sabbia con un suono sordo. È tutto così assurdo.

"Perché non me lo hai chiesto, credi che mi sarei negato?"

"No. Ma poi mi avresti lasciato andare?"

"No."

"No, ovviamente."

"Ma lo sai che sei una bella faccia di culo!" Mi viene da ridere. Se non fosse per il dolore, potrei anche credere che è stata solo un'allucinazione.

"Perché ridi?"

"Beh, perché dopo quello che mi hai appena fatto è folle che sia tu ad avere paura di me."

"Dopo quello" E indica la mano offesa "Forse dovrei averne più di quanto tu non creda."

"Mi vuoi dire per cosa?"

"Sei una persona troppo testarda. E riesci a prendermi in contropiede troppo spesso. Di solito non succede." Mi scruta dall'alto, resta in un silenzio pensoso per qualche minuto, senza togliermi gli occhi da dosso, poi aggiunge "La vuoi sentire una storia?"

Annuisco.

"Qualche tempo fa," Pausa "direi una settantina d'anni fa, ho conosciuto un ragazzo." Pausa.

Cerco di figurarmi una settantina d'anni fa e lui immutabile nel tempo, ma mi risulta difficile.

"Beh, questo tipo mi affascinò a tal punto che io persi il capo, e decisi di farlo entrare nella mia vita. Per un po' è andato tutto bene; ovviamente dopo il suo stupore iniziale, anzi all'inizio sapere cosa sono lo mise malissimo, e non ti dico come la prese Viviana. Lei mi disse subito di lasciar perdere, che non le sembrava una buona idea, ma io non le diedi retta. Comunque passai qualche mese fenomenale. Era divertente, con un cervello acuto, uno spirito libero, squattrinato, faceva la fame, ma riusciva sempre ad arrivare a fine giornata." Il suo tono è di una dolcezza che non gli avevo mai sentito. "Lo conobbi ad una riunione di artisti in una bettola di Parigi. C'era una specie di vernissage e lui mi squadrò e si attaccò letteralmente alle mie calcagna. Direi che fu lui a scegliermi. Mi disse che era affascinato dal mio modo di camminare. Beh, per non farla troppo lunga, dopo qualche mese io mi ero quasi assuefatto a lui e alla realtà che mi faceva vivere. Il mio contatto con il mondo reale, quel mondo dove il tempo scorre diversamente dal mio. Poi accadde che si stancò di me." La sua voce si vela di tristezza. "Della mia passività." Sussurra come se se ne vergognasse. "Ma a quel tempo non colsi bene cosa volesse dire fino in fondo, perché lui non si riferiva solo al semplice aspetto fisico del rapporto. Io credevo che il problema fosse principalmente quello, e per qualche tempo trovammo una soluzione, o almeno io pensavo che quella fosse una soluzione. In realtà oltre a rinfacciarmi la passività fisica, e ti posso assicurare che è tutt'altro che divertente, iniziò ad accusarmi di apatia, di disinteressarmi alla vita, di vivere fuori dal tempo e dal mondo. In realtà il problema era un altro. Per me il tempo scorre diversamente, un anno per me è solo la durata di un fiammifero che brucia, ma per lui era tutt'altro. Così iniziò a evitarmi, anche se io non gli davo molta tregua. A quel punto ero io a stargli attaccato come un'ombra, ad essere dipendente. Ne avevo bisogno per entrare nel mondo che forse tu definiresti reale. Per me è tutt'altro che reale, ma..." Sospira triste.

"La realtà cambia in base al sistema di riferimento in cui sei." Dico.

"Bella frase." Risponde cinico.

"Dimentichi che io sono 'uno scienziato', lo dice Viviana. E per gli scienziati è tutto relativo. Il tempo in primis."

"Uno scienziato! Mah secondo me sei solo un po' strano."

"Ma senti da che pulpito!"

Ride. Cacchio l'ho fatto ridere! La tensione si allenta.

"Beh, per concludere, una sera mi disse chiaro e tondo di non cercarmi più. E io iniziai a scivolare via."

"Plastica bruciata?"

Mi guarda sorpreso. "Viviana?"

Annuisco. Scuote la testa con un mezzo sorriso amaro sulle labbra.

"Quella volta ho rischiato davvero. Se mi concedi l'espressione, ho rischiato di morire. Sparire e basta. Avevo fatto affidamento sulla persona sbagliata. Così decisi di non interessarmi più a nessuno in particolare, e di strappare barlumi della vostra realtà un po' a destra e un po' a manca. Senza un punto preciso di riferimento. Non è una grande soluzione, perché un morso qua uno la non basta per assaporare la molteplicità delle cose che succedono nella durata di un fiammifero che brucia."

"E in settant'anni non hai trovato nessun'altro?"

"Ho evitato di cercarlo."

Il pesce torna a impossessarsi di me, ed apro la bocca come un ebete.

"Non capisci, vero?"

"In tutta sincerità mi riesce difficile."

Annuisce. "Vedi scienziato?"

"Dammi tempo per ammortizzare. Sono uno scienziato limitato, non ho dei tempi di apprendimento istantanei!"

"Il tempo. Brutta bestia."

"O.K. Ho focalizzato il problema e guarderò di capirlo. Però adesso mi devi dire cosa ti spaventa di me.

"Di legarmi a te e finire nello stesso modo dell'altra volta."

"Non ti sembra di correre un po' troppo? Non mi hai neanche fatto una proposta, cosa ti fa credere che io la voglia accettare?"

"Le tue reazioni alla mia presenza. Il fatto che sei qui ad ascoltarmi, la reazione del tuo corpo quando ti sono vicino, il tuo bisogno di appartenenza, la tua necessità di non affogare nella realtà in cui vivi, il tuo bisogno di vedere lontano, di andare oltre, la ricerca spasmodica di qualcosa che giustifichi la tua presenza nel qui e nell'adesso, tutte le emozioni che uscivano da te durante quel concerto." Mi pianta gli occhi addosso "Devo continuare? Guarda che posso farti un elenco che dura qualche settimana."

"Direi che può bastare." Mi fa paura sentirmi dire tutte queste cose, dannatamente vere. "Dammi tempo per ammortizzare, va bene?"

"Il tempo è l'unica cosa che ho in abbondanza." Sorride sornione.

Resta in silenzio e si gira verso i bar.

Un colpo di vento porta, dal bar, la voce suadente di David Sylvian. Mi stupisco della scelta musicale, è la prima volta che la mettono, anche se è una canzone del '99. Ma c'è sempre tempo per scoprire qualche piccola perla.

I opened up the pathway of the heart / The flowers died embittered from the start / That night I crossed the bridge of sighs and I surrendered

I looked back and glimpsed the outline of a boy / His life of sorrows now collapsing into joy / And tonight the stars are all aligned and I surrender

(aprii il sentiero del cuore / I fiori morirono avvelenati dall'inizio / quella notte attraversai il ponte dei sospiri e mi arresi

guardai indietro e intravidi il profilo di un ragazzo / la sua vita di tristezza ora si tramuta in gioia / e stanotte le stelle sono allineate e io mi arrendo)

"Non ho trovato niente altro che possa esprimere ciò che vorrei dirti. Ho preso a prestigio la voce, le parole, e la musica per dirti che..." La voce di Xavier si mischia alla trama fine della canzone, lasciando che solo alcune strofe giungano al mio orecchio.

I've travelled all this way for your embrace / Enraptured by the recognition on your face / Hold me now while my old life dies tonight and I surrender

(ho passato tutto questo per un tuo abbraccio / incantato dal tuo volto / stringimi ora mentre la mia vecchia vita questa notte muore e io mi arrendo)

"Adesso lo sai. Prendi tutto il tempo che vuoi." Si abbassa a darmi un bacio. Io quasi non reagisco, ancora occupato a ingoiare tutte queste informazioni, canzone compresa. "E vai a curarti quella mano."

"Non vieni con me?"

"No. Credo sia meglio di no. Prima inizi a rimuginare, prima finisci."

Mi alzo lentamente e lo lascio a sedere sulla spiaggia. Arrivo alla strada, cercando di nascondere lo sfacelo della mia mano. Vado al bagno e inizio a lavarmi via sabbia e sangue. Adesso non voglio pensare a tutto quello che mi ha detto. Voglio solo lavare via il sangue raggrumato.

Esco dopo un tempo interminabile. All'uscita c'è Viviana che mi aspetta. Mi porge un cd. "Everything and Nothing". Adesso ho la certezza che la canzone non sia stata un caso.

PARIGI

È giovedì. Un giorno qualunque. Ho passato la mattina a riempire fogli, fare firme e prendere visione delle norme di sicurezza. La mia presenza in questo istituto di ricerca ha creato scompiglio. Attendevano Anna ed invece sono arrivato io. Anche se li hanno avvertiti con qualche giorno di anticipo che Anna non poteva venire a causa un idiota che non ha rispettato uno stop e l'ha investita, procurandole una frattura al radio; gli ingranaggi della burocrazia si muovono lentamente. E dopo vari tentativi di farmi entrare, messi in pratica dal gruppo di ricerca con cui collaboriamo, le beghe burocratiche hanno avuto la meglio e sono stato sbattuto fuori. In due giorni non sono riuscito a oltrepassare il banco dell' "accueil", la reception. Forse domani potrò superare il cancello, controllato da un ragazzo in uniforme e con la fondina piena.

Questo pomeriggio ho preso vacanza. Sono andato al Louvre, a pagare il mio tributo all'arte. I lunghissimi dedali del museo mi fanno incontrare la copia della statua dell'ermafrodito, che si riposa su di un grosso cuscino trapuntato, la schiena e il sedere sodo e giovane esposti verso il pubblico, il volto appoggiato su di un braccio e i lineamenti rilassati nel sonno di chissà quale riposo, il torace maschile ornato dal seno di una splendida ninfa a lui unita indissolubilmente, armoniosamente ruotato dall'altra parte, il membro rilassato, che s'intravede tra le cosce ed un drappo che avvolge i polpacci.

Scosso dalla visione del giovane corpo nato dall'unione di Ermes e Afrodite sono approdato alla statua di amore e psiche del Canova e per poco non sono rimasto secco dalla bellezza eterea delle figure marmoree abbracciate, e, ancora inebetito e con i sensi risvegliati dai corpi bianchi, sono scivolato davanti ai due prigioni di Michelangelo, e mi sono perso a contemplare l'espressione quasi estatica dello schiavo morente.

Un ragazzo giovane, dai capelli corti e mossi, i lineamenti abbozzati che esce dalla materia, la maglia, quasi una canottiera da muratore, arrotolata sotto il petto, il ventre e i capezzoli turgidi scoperti, il braccio destro languidamente appoggiato sul petto, il braccio sinistro piegato sopra la testa leggermente rovesciata all'indietro e le labbra dolcemente chiuse, come se da esse stesse uscendo non l'ultimo sospiro vitale, ma un gemito di piacere.

In un lampo quel volto, che mi è sembrato dannatamente segnato dall'estasi, quel corpo giovane e liscio, mi hanno trascinato in una dimensione parallela, dove paura e piacere si mescolano, dove i confini sono labili e fatti apposta per essere oltrepassati, dove il mio spirito grida per prendere il posto del giovane, per avere davanti un aguzzino che mi procuri si tante emozioni e mi faccia assumere quell'espressione di doloroso piacere che può placarmi l'animo.

Sono scappato dal museo, incapace di connettere oltre, sconvolto dalla epifania di Joyciana memoria che mi ha colto davanti al corpo uscito dalle mani del grande scultore toscano.

Abbandonato su di una sedia di metallo tinta di verde scuro, sotto le fronde di un tiglio, che mi protegge dal sole del tardo pomeriggio, mi godo il fresco del giardino delle Tuileries, la vista del Louvre, che si disegna imponente sullo sfondo, dei bambini che fanno navigare delle barchette di legno dalle vele di stoffa colorata nella grande vasca circolare posta all'ingresso del giardino.

Questo pomeriggio di forzato riposo, e la recente visita al Louvre, interrotta per incapacità di andare oltre, mi obbligano a pensare a qualcosa di diverso dal lavoro.

Da quel fine settimana trascorso al mare, ho fatto i salti mortali per non pensare più a Xavier, e devo dire che l'operazione mi è riuscita assai bene, tra le mie simulazioni e l'imprevisto dell'incidente di Anna ho avuto tempo solo per dormire e lavorare. Il problema è che ora non so bene come affrontare la situazione, e per dirla fino in fondo ho anche paura. Questo è il motivo principale che mi ha spinto a rimandare il più possibile, restando sordo ai richiami del corpo e del desiderio.

Ma adesso che sono lontano, e il sole fa bella mostra di se mi sento più protetto. Ora non può certamente vedermi, sentirmi, sia perché sono lontano 1200 chilometri, sia perché è giorno.

La logica mi serve a poco perché se ripercorro gli avvenimenti riesco a dedurre solo alcune cose, che Xavier può piombarmi tra capo e collo quando più gli aggrada, che quando è con me sembra riesca a capire cosa penso, e forse mi conosce meglio di quanto io non conosca me stesso. Se ripenso alla facilità e alla lucidità con cui ha snocciolato le mi paure e i miei dubbi mi vengono i brividi, che si trasformano in scosse di tutt'altra natura al solo ripensare all'epifania appena avuta.

Quando tornerò in Italia dovrò risolvere questa cosa e mandare al diavolo la paura. Non posso continuare a trascinarmi dietro il fantasma di Xavier e della mia ostinata fuga. E poi anche se per lui il tempo non è un gran problema, io ho solo una vita da giocarmi.

Mi alzo, rinfrancato nello spirito per la brillante decisione e, ancora carico della visione del Louvre, mi dirigo verso il centro Pompidour, nel marais. Sorrido ironico all'idea che i reietti sociali, omosessuali ed ebrei, si trovino a convivere insieme nel quartiere più centrale di tutta Parigi.

Mi voglio guardare un po' attorno, mangiarmi un bel panino con le falafel e le melanzane fritte, e respirare l'aria notturna. Alla faccia di tutti, il marais è un quartiere ricchissimo, tirato a lustro, dove il così chiamato getto ebraico, che è tutt'altro che un ghetto, è immerso in strade stracolme di locali, birrerie, rainbow flag, librerie aperte la sera e un mucchio di gente. Di tutte le razze.

Mi faccio le falafel con fettona di melanzana fritta che scappa da tutte le parti e tenta, più di una volta di finirmi sulla camicia, poi approdo, stanco per la camminata dal Louvre fino a qui, e con la pancia piena, in una brasserie dove mi piazzo, in compagnia di una birra ambré ad un tavolino fuori dal locale. Punto strategico di osservazione. Soddisfatto penso che realmente "Parigi val bene una messa" e che Anna è una fottuta bastarda, dato che tra qualche giorno approderà, insieme al suo braccio ingessato, in questa magnifica città, e ci resterà sei mesi.

Sollevo il bicchiere colmo di liquido del colore del sole morente e faccio un brindisi alla salute di Anna. Passa una coppia splendida, un ragazzo di colore, con i capelli raccolti in centinaia di treccine fini fini, che cammina abbracciato ad un ragazzo castano chiaro all'aspetto francese. Sento le loro voci che corrono veloci da una bocca all'altra, toni morbidi e avvolgenti come il sorso di birra che ho appena mandato giù. Non posso evitare di girarmi per seguirli, finché non svoltano l'angolo, lo sguardo calamitato dal movimento sinuoso dei fianchi e dalle rotondità dei loro culi. Ci vuole un brindisi anche in onore di tanto ben di dio.

Mi giro verso il tavolo, alla mia sinistra, dove è poggiato il bicchiere, ma mi blocco bruscamente a metà tragitto. Il cuore perde un colpo e l'aria si rifiuta di scendere nei polmoni.

È qui, seduto sulla sedia posta di là dal tavolo, e mi guarda, rilassato e tranquillo con un sorriso aperto.

"Merda, mi vuoi far morire d'infarto. Ma che ci fai qui?"

"Ti ho portato la frutta." Risponde come se fosse la cosa più ovvia sulla faccia della terra. Appoggia un sacchetto di carta marrone in mezzo al tavolo.

Le lancette dell'orologio girano frenetiche, ma io non accenno a muovermi, paralizzato dall'apparizione ad effetto.

"Aprilo. Se le lasci ancora sul tavolo fermentano!"

Afferro il sacchetto. Ciliege rosse come il sangue.

"Sono di qui. All'aspetto sembravano così invitanti."

Ne mangio una, almeno ho la bocca piena e non posso parlare, non è educazione e poi così prendo tempo, perché non so cosa dire.

"Sono molto saporite, con una punta di asprigno alla fine. Sono ottime, grazie."

"Non c'è di che."

Mi metto in bocca un'altra ciliegia, continuando la tattica del silenzio per educazione. Mi guarda e sorride soddisfatto.

"L'hai vista?"

"Cosa?"

"Non sei andato al Louvre?" indica il volantino informativo, con la mappa del museo che sporge appena dal taschino della camicia.

Mi assale l'immagine dello schiavo morente e le viscere iniziano a danzare la tarantella. "Beh, si ma cosa dovevo vedere?"

"La Gioconda!"

"No."

"Ahh" sembra dispiaciuto.

"No è che, beh..." Mi sembra quasi doveroso scusarmi, dato il suo tono. "A dire il vero la Gioconda non mi piace un gran che, non ha cromatismo, sono tutti toni del marrone e del verde, come dire, manca di... di qualcosa. Non so. Non sono un gran che come critico d'arte."

"Va beh, ma non dirlo mai a Viviana che non ti piace la Gioconda."

"Perché? Ci sono tanti altri quadri di Leonardo, molto più belli, la Vergine delle rocce, per non parlare dei pochi affreschi, l'ultima cena e..."

"Si, ma solo la Gioconda ha il sorriso di Viviana"

"Scusa ma cosa vuoi dire?"

"Che Leonardo chiese a Viviana di poterle ritrarre il sorriso e lo cacciò sul volto della Gioconda."

"Ma dai, mi prendi in giro."

"No, affatto."

Resto allibito.

"È per questo che ti chiama scienziato con tanta soddisfazione. Sarà per il nome e per la tua professione. È estremamente orgogliosa della sua passata conoscenza e del sorriso della Gioconda. È un modo tutto suo per gongolare un po'."

Resto muto.

"Ehi scienziato, che ti prende adesso?"

"Scusa ma mi fa uno strano effetto conoscere la realtà sulla leggenda del sorriso."

Sogghigna. "Sono cose che capitano." Aggiunge ironico.

"Dici?"

Fa un gesto elusivo con una mano.

"Comunque io preferisco Michelangelo a Leonardo, come artista." Replico un po' disturbato dalla posizione d'inferiorità in cui sono.

"Mmmhhh, il David, sguardo carismatico."

"E le mani, sono perfette, sembrano vere. E poi ha un culo!"

"Ahh qui ti volevo!" Commenta divertito.

"E dai, che ci posso fare se un bel fondo schiena mi fa ribollire il sangue."

"Interessante."

Realizzo il senso della sua affermazione dopo qualche istante, e mi scappa da ridere.

"Allora avrai visto i prigioni!"

"Si." La testa reclinata all'indietro, l'espressione del volto, il torace scoperto, come a mostrare una ferita invisibile, forse celata dietro alla mano destra, e quel senso di appagamento, anche se sta morendo. Il cuore inizia a battere più veloce e devo fare uno sforzo per controllare il respiro. Quel ragazzo morente mi ha fatto aprire gli occhi. Io devo, io voglio, io...

"Xavier, cosa vuol dire essere il tuo contatto con il reale?"

Mi punta gli occhi addosso, come a penetrare nel mio stesso essere e un brivido scivola sinuoso lungo la schiena.

"Sei sicuro?"

Annuisco. Si alza, prende il sacchetto di ciliege e m'invita a seguirlo. Bevo un altro sorso di birra e lasciamo il tavolo alla compagnia del bicchiere mezzo vuoto.

Mentre ci dirigiamo verso una meta a me ignota mi coglie un istante di panico. Mi cinge le spalle con un braccio e sussurra sicuro "Niente che tu non voglia."

Annuisco, lo so, niente che io non voglia, non a questo giro, ma non riesco a fermare il tremore.

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Si ferma davanti ad un vecchio edificio col tetto a spiovente in ardesia nera. Armeggia con la porta, che docile si apre.

"Preparati a scarpinare. Dobbiamo arrivare al sesto piano e non c'è ascensore."

Sale rapido, mentre io arranco già al terzo piano.

Si ferma al pianerottolo del quarto piano "Già stanco?"

"Beh, sono un uomo di pensiero, non d'azione!" Replico con un po' di fiatone.

"Non mi è sembrato..." Mi lancia un sorrisetto malizioso e riprende la scalata.

Quando raggiungo il sesto piano ha già aperto una porta di legno scuro.

"Entra." Mi fa passare per primo. Odore di polvere e di chiuso. Devo aspettare qualche istante per far abituare gli occhi all'oscurità che regna nella stanza.

Mi passa accanto, sfiorandomi la schiena. Un brivido mi fa trasalire.

"Se mi ricordo dove è l'interruttore..." Armeggia al buio, poi desiste e si dirige verso una finestra. La spalanca, permettendo alla luce della notte di illuminare lievemente l'ambiente. Intravedo forme indistinte di mobili in legno, una poltrona in un angolo, una libreria sul lato destro, un tavolo vicino alla finestra appena aperta. Resto fermo mentre lui si muove sicuro verso la parete.

"Finalmente, eccolo qui." Accende la luce. Fioca e gialla. Gli oggetti riacquistano forme definite. Qualche libro riposa nella libreria, tele appoggiate al pavimento, un divano stile ottocento occupa la parete davanti alla libreria, sedie dallo schienale alto e rivestito di velluto rosso sbiadito disperse nella sala. I muri sono di un colore indefinito, a metà tra il grigio e il giallo scuro, e uno strato spesso di polvere avvolge tutto.

"Ma da quanto tempo non fai le pulizie?"

"Mmmhhhh, parecchi anni."

Mi muovo con cautela perché il pavimento è ingombro di oggetti di vario tipo. Sul tavolo giace, sotto qualche centimetro di polvere, una scacchiera con sopra dei pezzi di strana foggia disposti in posizione di apertura. Il cavallo dei bianchi è in avanti, nella casella davanti all'alfiere.

"È un po' presto per abbandonare una partita, dopo la prima mossa!"

"Non è abbandonata, è un invito."

"Mi sembra non sia stato accolto."

"No, ma la mia avversaria è una tipa che si concede poco. Solo una volta nella vita." Ride. "E anche se si dà a tutti, dubito che si conceda a me."

Sorrido. "Chissà perché ti rifiuta!" Rispondo ironico.

Mi guarda e solleva un angolo della bocca in un mezzo ghigno. "Mi piace il tuo acume." Sussurra.

Abbasso gli occhi. "Ah si?"

"E il tuo imbarazzo." Sempre più vicino al mio orecchio.

"Bene, se non erro volevi sapere qualcosa." La sua voce scivola liquida nella viscere e le infiamma.

"Si ma se continui così" Deglutisco "dubito che sia in grado di capire la risposta."

"Dipende con cosa ascolti." Il soffio delle sue parole mi fa fremere.

È alle mie spalle, i suoi vestiti strusciano contro la mia schiena, il volto quasi appoggiato sulla mia spalla. Mi cinge la vita con un braccio e le mie gambe diventano burro. Mi appoggio al suo petto.

"Allora insegnami con cosa devo ascoltarti."

"Lo sai, lo sai." Deposita un bacio leggero sotto l'orecchio. Trattengo il fiato mentre le sottili strisce di carne entrano in contatto con la mia pelle accaldata.

"Dici? Vorrà dire che resterò fermo ad ascoltarti" La mia voce suona più bassa di qualche tono rispetto al normale.

Scende lungo il collo e prosegue la scia di baci fino ad incontrare la clavicola. Inizia a mordicchiarmi l'osso sinuoso. I denti affondano leggermente nella pelle, per poi essere sostituiti dalle labbra che succhiano gentilmente la pelle appena morsa. Brividi percorrono impazziti il mio corpo. Gemo per il contatto con la sua bocca così innaturalmente fresca. Piego la testa dalla parte opposta rispetto a quella che sta deliziosamente torturando, in modo da concedergli più spazio e mi abbandono completamente, sorretto solo dalla sua stretta che mi avvolge la vita. Con l'altra mano mi sbottona il colletto della camicia e s'intrufola sotto di essa. Le punte delle dita mi sfiorano appena, lasciando dietro di esse scie di brividi. Avvolge la mia gola con la mano e resta immobile, con le labbra poggiate sulla spalla, ad ascoltare il battito, sempre più frenetico, del mio cuore, che si ripercuote in tutto il mio essere. Respira piano sul mio collo, come ad assaporare ogni mia emozione. Chiudo gli occhi, galleggiando tra le sue mani; la testa, leggera, invasa da melassa ambrata, si srotola in onde di desiderio che partono dal ventre e allagano tutto il corpo, che si scioglie, ceruleo, sotto il suo respiro. Altri due bottoni vengono liberati dalle asole. La sua mano si distende sul mio petto, e lo percorre, con studiata lentezza, fino a raggiungere il cuore, povero muscolo impazzito che si contrae sempre più in fretta, sotto le spinte della mia crescente eccitazione. Solleva il volto dal mio collo e veleggia tra i capelli che mi coprono la nuca. Approda sull'altra spalla dove incontra la mia guancia ormai a temperatura di metallo rosso. Sfiora con le labbra l'angolo raggiungibile della mia bocca. La sua mano preme sul petto, come se volesse affondare nella carne. Il mio respiro rotto rotola fuori dal mio essere e defluisce docile in lui, che beve avidamente alla mia fonte.

Non connetto più. Restare in piedi è un'impresa che trascende ogni umana facoltà. Afferro la stoffa dei suoi pantaloni e stringo le mani, spasmodicamente. Il silenzio regna intorno a noi ed è rotto solo dal mio ansimare. Il suo respiro è leggero e sottile come un felino che si muove tra bicchieri di cristallo.

La mano scivola via dal cuore e libera qualche altro bottone. Con movimenti fluidi separa i due lembi della camicia, scoprendomi quasi completamente il petto. Inizia a seguire strani tracciati che portano le sue dita a sfiorare ogni centimetro della pelle, evitando di proposito i capezzoli, che nel frattempo si sono svegliati ed iniziano a inturgidirsi. Solca con destrezza i fianchi e ne saggia la consistenza, affondandovi di quando in quando le dita. Risale lungo il torace, fino a solleticarmi le ascelle, rendendomi sempre più difficile l'impresa di stare in piedi e stare fermo.

Vorrei spingermi contro di lui, far aderire completamente il mio corpo al suo, sentire le ossa del bacino che premono contro i glutei, la schiena che affonda nel petto, ma mi sforzo di restare immobile.

Ritrae la mano con uno scatto rapido. Afferra un lembo della camicia e lo strattona via. La camicia risponde rigida, scivolando verso terra, e scopre mi una spalla. Aumenta la pressione con cui mi cinge la vita e, con un unico, deciso gesto, morde il mio collo mente le sue dita acchiappano e imprigionano un capezzolo ed iniziano a torturarlo. Trasalgo per il contatto con i denti e gemo sotto la sua mano che friziona e stringe il mio corpo. I denti scivolano, sadici sulla pelle tesa del collo, mentre il movimento ritmico della mano che titilla il capezzolo mi fa gemere sempre più forte. Incapace di restare ancora fermo inizio a contorcermi nella sua presa, spingendo il bacino contro il suo e tendendomi contro di lui, come se io fossi corda e lui il legno di un arco.

Soddisfatto della mia risposta solleva la bocca dalla mia pelle e concentra tutte le attenzioni nella mano. Circumnaviga la rosa del capezzolo con l'unghia, solcando quasi dolorosamente la pelle tesa del petto che si alza e si abbassa senza ritegno e sempre più velocemente. Imprigiona la pelle inturgidita tra indice e pollice e inizia un lento movimento rotatorio delle dita, come se volesse farsi una sigaretta con la pelle arrossata del mio capezzolo. Dalla mia bocca escono solo suoni sconclusionati, misti a qualche boccata d'aria. Non soddisfatto della reazione percorre con la lingua tutta la lunghezza della spalla, fino ad approdare alla gola. Vi preme sopra le labbra, muovendole verso la vena che pulsa dannata nel collo e si ferma. Trattengo il fiato, mentre un brivido di paura mi solca la mente e mi scuote il corpo. Allarga le labbra e imprigiona un brandello di pelle. Il mio respiro è veloce e sincopato. Affonda i denti nella mia carne e mi strappa un gemito incredibile, di paura e piacere indissolubilmente legati. Spalanco gli occhi, irrigidisco il collo, ma il mio copro continua la sua danza contro il suo. Ansimo, mentre sento la pelle lacerarsi, il sangue che affiora timido alla pelle, le sue labbra che vi si bagnano, ma solo per sollevarsi immediatamente dopo. Mi volta. Ruoto docile nel suo abbraccio ancora stretto intorno alla mia vita. Ha lo sguardo febbricitante, le pupille dilatate, profonde millenni, e penetranti come se volesse trapassare il mio essere. La bocca schiusa, appena macchiata dal mio sangue, i denti biancheggiano, nascosti dalle labbra sensuali. Mi guarda folle, stringendomi sempre più forte la vita, quasi ad essere lui ad aggrapparsi a me. Oscillo, perso nei pozzi dei suoi occhi, la pelle nuda del petto sfrega contro la sua camicia e contro i bottoni procurandomi un piacere che si diffonde in tutto il corpo. Muovo il bacino contro il suo, il sesso gonfio che cerca il suo.

Dischiudo le labbra, come se fossero due metà di un'albicocca che vengono separate da mani abili e forti, e tendo il collo da un lato, offrendogli quel piccolo taglio che mi colora la pelle.

Le sue pupille si dilatano maggiormente, mentre la mia testa è sovreccitata, il mio copro è impossibilitato a stare fermo e la mia gola continua a emettere gemiti bassi e penetranti.

Allenta la presa intorno alla vita, e io rischio di afflosciarmi a terra. Mi riprende quasi immediatamente, e, con mossa abile, infila una gamba tra le mie. Mi appoggio alla sua coscia e inizio lentamente a strusciarmi. Il mio sesso pulsa impazzito contro la stoffa dura dei jeans, e guida il movimento pressante e inesorabile del bacino contro la sua gamba. Rovescio la testa all'indietro e torno ad offrire il collo alla sua bocca. Non si muove, mi tiene stretto a se, con mani tremanti e finalmente sento il suo respiro incresparsi e diventare più rapido.

Affondo maggiormente sulla sua gamba.

Mi afferra la nuca, bloccando per un istante il mio movimento. Riapro gli occhi, che mi sembrano fluidi come miele. Il suo volto è a un soffio dal mio, le narici dilatate, il collo teso e la bocca aperta in un'espressione di stupore. Mi avvicino, lento, alle sue labbra, mentre la mano sulla nuca inizia a tremare. Assaporo prima il suo fiato, che ha solo il vago sentore del ferro, e poi oscillo leggermente la testa davanti al suo volto, in modo che le nostre bocche possano solo sfiorarsi. Il movimento si ripercuote in tutto il corpo, fino al bacino, che riprende il suo contatto altalenante. Mi allontana la testa con la mano ancorata dietro i capelli e mi guarda ansimante. Torno nuovamente ad offrire il collo. In questo istante non mi interessa cosa potrebbe farne, mi basta che ci faccia qualcosa, qualunque cosa. Ritira la mano dalla nuca, come se scottasse. Un lampo passa nel suo sguardo. I suoi occhi dilatati si fanno più profondi e penetranti e una strana luce determinata gli riempie i due pozzi scuri.

Poggia la mano nel mezzo alle scapole, sulla pelle nuda, che si elettrizza immediatamente, e mi preme contro il suo petto. Afferra le mie labbra con le sue ed inizia lentamente a succhiarle. La sua mano scivola, lungo la mia schiena e si ferma alla cintura. Mi aggrappo a lui mentre le sue labbra si trasformano nei denti e affondano nelle mie.

Sfruttando il movimento del mio bacino che continua a muoversi contro il suo, infila la mano dentro i miei pantaloni e arriva direttamente al sedere. La sua lingua prende il posto dei denti e s'infila nella cavità umida della bocca. Chiudo le labbra intorno alla sua lingua fresca e inizio a succhiarla, a lambirla, ad accarezzarla, come se stessi facendo l'amore solo con quella parte del suo corpo.

La sua mano scivola sui glutei, sfiorandogli appena e approda alle anche. Le dita entrano prepotentemente nella carne e afferrano l'osso. Perdo il respiro, dovendo così abbandonare la mia opera a metà. Coglie l'occasione al volo per baciarmi con foga, la lingua che affonda nella mia, i denti che solcano le mie labbra, la sua bocca che cerca quasi di assorbirmi in se.

"Slacciati la cintura." La sua voce arrochita dal desiderio mi colpisce in pieno petto. Ansimo mentre apro la fibbia, mentre mi guarda negli occhi, dritto fino all'anima. Quando inizio a sbottonarmi i jeans aggiunge "Solo il primo." Sorrido e, finito il mio lavoro, mi spingo nuovamente contro di lui. La sua mano errabonda scivola lungo il mio petto fino ad incontrare l'ombelico. Gioca un po' con l'elastico degli slip e poi lo abbassa leggermente, in modo che un piccolo ciuffo di riccioli castani emerga da sotto la stoffa. Inizia a giocarci, arrotolandoselo su di un dito, e sfiorando casualmente, di tanto in tanto la pelle dell'inguine pulsante e sensibile. Ansimo ad ogni passaggio della mano, mentre l'altra, carezzevole, indugia sul solco tra i miei glutei. Protendo il collo contro di lui e mi bacia, lambendo appena la bocca con la lingua. Inizia a camminare, spingendomi verso il divano. Il moto dei nostri corpi aumenta la pressione delle sue dita sulla pelle sensibile del mio basso ventre e ad ogni passo mugolo sempre più forte nella sua bocca.

Cado sul divano, sollevando una nuvola incredibile di polvere e trascinandolo giù con me. Inizio a tossire, ma Xavier non è minimamente intenzionato a lasciarmi andare le labbra. Beve ogni filo d'aria che esce dalla mia bocca, con avidità crescente.

Toglie la mano dai miei glutei e la passa tra le mie gambe, le divarico senza esitare e lui s'inginocchia in mezzo ad esse. Il suo volto sbuca da dietro il vistoso rigonfiamento a mala pena trattenuto dai miei pantaloni. Guarda soddisfatto il mio sesso ingabbiato lo accarezza da sopra i jeans. La sua mano sicura segue le forme ripiegate del mio cazzo, che freme ad ogni tocco. Si avvicina e vi appoggia le labbra. Inspira profondamente e inizia a far scorrere i denti sulla protuberanza dolente. Quasi grido quando la sua bocca si chiude più decisa intono alla stoffa tesa dei pantaloni.

Poggia le mani sulle mie anche e le fa scorrere verso l'alto, lungo tutto il torace, per incagliarsi poi sui capezzoli, che vengono nuovamente torturati da dita sapienti e calme.

Il mio corpo è scosso da brividi ed imperlato di sudore. Mi muovo convulsamente sotto le sue mani, cercando di spingermi nella sua bocca, di trovare soddisfazione alla quasi dolorosa erezione.

Vorrei implorarlo di appagare il mio desiderio, ma dalla mia bocca escono solo suoni inarticolati, misti a gemiti.

Con fulminea rapidità le sue mani abbandonano i capezzoli ormai dolorati e afferrano saldamente la stoffa ruvida dei pantaloni e il cotone degli slip. Solleva la testa, mentre io mi muovo verso la sua bocca che si allontana. Mi scruta dal basso e con un unico gesto libera il mio inguine e il mio cazzo teso.

Strattona i pantaloni fino alle caviglie. Il cotone leggero degli slip, obbligato attorno alle mie gambe, geme per la tensione e si lacera.

Senza darmi il tempo di prendere fiato spinge la bocca dischiusa sulla mia erezione, che sparisce nella sua gola, tra le pareti tese della sua cavità. Grido per l'affondo e mi contorco come un pesce appena pescato. Preme una mano sul mio stomaco impedendomi ogni movimento.

Inizia una danza estenuante dalla lentezza esasperante. Pulso nella sua gola. Impossibilitato a seguire, con il corpo, il suo movimento ritmico dibatto la testa, sollevando nuvole di polvere che si disperdono nell'aria, trasformandola in uno spesso velo di spirali opache. Il suo movimento aumenta di velocità. Affondo una mano nei suoi capelli. Mi blocca il polso e solleva la mano dalla sua testa, poggiandomela sul torace.

L'immobilità che mi ha imposto mi fa quasi impazzire. Le mie mani, di loro volontà, dato che la mia è nella bocca di Xavier, iniziano a vagare sul mio torace e si contraggono ad ogni suo affondo, finché non raggiungono i capezzoli e si fermano a torturarli. Le sue labbra scorrono verso l'alto, scoprendo il mio sesso bagnato e congestionato. Restano sospese sulla punta, senza perdere il contatto con la mia carne, mentre guarda, divertito, il movimento folle delle mie mani ormai inarrestabili.

Non muovo più il bacino. Sono a sua completa disposizione.

Si abbassa nuovamente, lasciandomi fuori dalla sua bocca, ma seguendo la mia carne con il tocco lieve della lingua. Arriva alla base e inizia a leccare lentamente le palle. Ad ogni passaggio il mio corpo è scosso da tremiti. Ne accoglie una in sè e la accarezza dolcemente con le labbra in un lento succhiare. Perdo definitivamente contatto con la realtà. Le mie mani si accaniscono sul mio corpo, senza osare scendere sotto la linea della vita. Quello è adesso il suo territorio. Dalla mia gola escono solo suoni inarticolati, ho le labbra secche e la lingua incollata al palato, ansimo, gemo, agito la testa, e mi lamento ogni volta che cerco di spingere il bacino contro la sua bocca, moto immediatamente bloccato dalla sua mano impassibile. Il desiderio rientra in me, affonda in una parte sempre più profonda del mio essere, mentre la sua bocca continua a succhiare e correre da una parte all'altra dei miei genitali. Iniziano a farmi male le gambe per la tensione accumulata nell'inguine, sono tese e spasmodiche come il mio cazzo orfano delle sue labbra. Risale lungo tutto il mio corpo, e mi bacia, lasciandomi il sapore del mio bisogno urlante e ancora inappagato. Mi osserva per qualche istante, gli occhi lucidi e pieni di desiderio, poi riscende e si riavventa sulla mia erezione. Non sono più in grado di resistere, ma inizia un gioco sfiancante di rapidi cambi di ritmo. Resto alla mercé del suo desiderio, mentre la realtà perde consistenza e il tempo è sospeso. Non so più valutare per quanto si accanisca a far crescere e frustrare il mio desiderio, so solo che il mio copro è un'unica immensa zona erogena, ogni lieve movimento del busto, sfregato contro la stoffa lisa del divano, si trasforma in brividi di piacere che confluiscono tutti nella sua bocca diabolica.

Il suo ritmo è diventato più regolare, spinte profonde e lente, che crescono d'intensità e di velocità. Aggancio il respiro al suo movimento. Mi sta traghettando dall'altra parte di quest'incredibile scopata. Afferra saldamente il bacino con entrambe le mani e inizia a risucchiarmi ad ogni movimento che riporta la sua bocca verso l'alto. Un affondo, un secondo, una fitta di dolore incredibile alla base del cazzo... Inizio a gridare come un ossesso, mentre il mio sesso viene scosso da inarrestabili contrazioni, e lui succhia con voracità il mio seme e il mio sangue. Le mie grida riecheggiano nella stanza finché non sono completamente esausto e la tensione di tutto il mio corpo finisce nella bocca di Xavier. Mi affloscio sul divano, le gambe cedono di botto e rischio di battere una culata in terra. Mi afferra al volo sotto la schiena e mi sostiene, permettendomi di sdraiarmi completamente sul divano. Sono sconvolto, allucinato, soddisfatto e dolorante. Non so se riempirlo di botte o pregarlo di farlo ancora. Si siede all'altezza del mio volto e mi accarezza i capelli zuppi di sudore e intrisi di polvere. Sorride, beato, direi angelico, mentre il mio respiro torna regolare e i battiti si placano. Mi bacia, sento il sapore dei due fluidi del mio corpo perfettamente uniti nella sua bocca e capisco perché l'ha fatto, sol perché io l'ho voluto, solo perché lui ne aveva bisogno, solo perché hanno un sapore incredibile.

Mi guarda, incredulo, felice, estasiato, con gli occhi finalmente calmi. Ma i miei non lo sono. Gli afferro una mano e la tiro verso la mia bocca. Inizio a succhiare le sue nocche, che sanno di polvere, ma questo non mi fa desistere.

Si china nuovamente su di me e mi bacia di nuovo. Questa volta mi accorgo che le sue labbra sono gonfie e quasi lacerate, e non sono così fresche come di solito. Il suo volto è estatico, e un lieve rossore gli si è diffuso sulle guance. Assimilo queste informazioni e afferro il suo collo. Lo bacio con foga e non gli permetto di staccarsi da me. Si trova costretto a sdraiarsi accanto a me sul divano, il mio corpo sudato e appiccicoso aderisce ai suoi vestiti. Inizio a tirargli via la camicia dai pantaloni. Non mi fermerò per niente al mondo, neanche se mi attacca al muro con un ceffone, e, in tutta sincerità non so se lo riceverò o meno. Mi guarda divertito, sorride e non parla, mi prende il volto tra le mani e inizia a riempirlo di lievi baci. Macché lievi baci, bello mio; mi libero dalla sua presa, per poi imprigionargli le labbra con le mie e baciarlo con foga. Il suo sorriso si scioglie in un gemito di piacere. Questo mi fa rimescolare il restante sangue nelle vene. Infilo frenetico le mani sotto la sua camicia e il suo corpo, levigato e liscio come marmo di Carrara, si stende docile sotto il mio tocco. Il contatto mi shocca un istante, la sua pelle è decisamente fresca, in modo quasi incedibile, ma le sue guance sono rosse e tiepide... in archivio anche questa informazione. Ma ora ho altro da fare.

Le mie mani scorrono frenetiche sul suo torace che si riempie di brividi. Salgo a mordicchiargli gli zigomi pronunciati. Si agita splendidamente sotto le mie mani, come fosse fatto d'argento vivo. Mi concentro su un'operazione difficilissima da eseguire dato il mio stato psico-fisico, sbottonagli la camicia. Inciampo tra la stoffa e i bottoni che non collaborano, mentre e lui guarda divertito la scena. Mi ferma le mani ed inizia a far scivolare fuori i bottoni dalle rispettive asole. Resto ad osservarlo, mentre si spoglia ad un palmo dal mio corpo. Le sue mani si muovono sicure e armoniche intorno ai fori sul bordo della stoffa, per farmi intravedere porzioni sempre più abbondanti del suo torace chiaro. Il fiato si rifà corto e devo respirare velocemente, se voglio far arrivare l'ossigeno necessario al cervello.

Finito il suo lavoro abbandona la stoffa, lasciando la camicia chiusa sul torace, in modo da dare a me la soddisfazione di aprirla. Mi getto sul suo corpo, spinto da un bisogno inarrestabile, e spalanco i lembi del tessuto scuro. Alla vista si rivela quello che avevo prima conosciuto con le mani e resto immobile ad osservare il torace ben cesellato e marmoreo, che si solleva ritmicamente. Calo su di lui come un falco. Il mio movimento brusco lo fa rotolare giù dal divano e atterra nella polvere. Mi sporgo, preoccupato che si sia fatto male, ma lui è laggiù, con un sorriso beato in volto e mi tende una mano.

Ragazzo mio, ti seguo fino all'inferno, se è necessario. Salto giù e riprendo da dove l'avevo interrotto. Bacio il collo, le spalle, lecco vorace le sue braccia e finisco a mordicchiargli le punte delle dita. Sospira ad ogni mio piccolo morso. Passo frenetico le mani sul ventre, gli addominali cedevoli ma resistenti, le linee morbide dei fianchi, scorro una ad una le costole che mi portano direttamente ai suoi capezzoli. Freschi, duri e di un rosa così tenue da perdersi nel colore della pelle. Li accarezzo con i polpastrelli, che, docili mi passano ogni scossa, ogni movimento del suo corpo. Due piccoli cerchi rosa pallido che s'increspano mentre le mie mani li accarezzano ripetutamente. Scivolo su di lui, verso il basso, il mio ventre struscia contro la sua cintura e mi provoca un'incredibile scossa di piacere misto a dolore. Ho la testa sul suo petto e senza indugiare imprigiono un capezzolo tra le labbra. Lo lambisco, e la sua pelle fresca mi lascia una sensazione incredibile sulla lingua bollente. Lo succhio, prima con dolcezza, poi con foga, che aumenta d'intensità ogni volta che dalla sua bocca scappa un gemito. Il suono del suo corpo che gode mi fa salire la pressione e il desiderio inizia a pulsare feroce. Passo i denti sopra l'altro capezzolo e dalla sua bocca scappa un urlo soffocato. S'inizia a muovere sotto il peso del mio corpo e della mia passione, mentre il mio sesso cresce e inizia a farmi male la dove mi ha lasciato due piccoli segni rossi. Ansimo un istante, più per il dolore improvviso che per altro, ma non mi fermo. Ti voglio sentire, voglio udire il tuo fiato che si spezza e si frantuma sotto la mia bocca, ti voglio vedere ansimante e stravolto. Ti voglio.

Abbandono i capezzoli sensibili e serpeggio fino al suo ventre. Resto ammaliato dall'ombelico, che circumnavigo più volte e in cui affondo la lingua curiosa. Si contorce sotto l'errante moto della mia carne bagnata, e lascio che il suo corpo sussulti e gema sotto il mio. Lecco minuziosamente ogni centimetro di pelle che fa capolino, timida, dai suoi pantaloni, poi mi avvento sulla cintura dei pantaloni e cerco di aprila con denti. Giungono in mio aiuto le sue mani tremanti. S'insinuano tra le mie labbra e il cuoio della cintura e iniziano a sganciare la fibbia. Gli rendo il lavoro difficile, perché succhio ogni dito che arriva a portata della mia bocca, ne mordicchio i polpastrelli, scorro con la lingua sulle nocche, e poi, accecato dal desiderio, le mordo immobilizzandole.

"Diabolico." Rantola al mio indirizzo, con voce rotta.

Lascio che sganci la cintura e poi riprendo il mio lavorio sulle sue mani, mentre le mie vagano, come missili impazziti, sul suo torace.

Le sue dita sgusciano via dalla mia bocca, lasciandola libera per affrontare i suoi pantaloni. Mi sposto, mettendomi a quattro zampe, ben puntellato sulle braccia e sulle gambe ancora doloranti e inizio ad azzannare la stoffa e a strattonarla verso il basso. Mi aiuta, sollevando il bacino, e venendo incontro alla mia bocca. Dai pantaloni finalmente aperti e umidi della mia saliva emergono i boxer. Infilo la lingua sotto l'elastico e percorro il bordo della stoffa, stando ben attento ad affondare il più possibile sotto il cotone. Si agita ad ogni passaggio, ogni volta che i miei denti restano incastrati nella stoffa e la tirano verso il basso. Solleva il bacino, staccando il sedere da terra. Afferro i pantaloni e li tiro giù, poi torno a circumnavigare il suo inguine con la lingua, spingendomi tra le sue gambe dischiuse, arricciando i gambali dei boxer verso l'alto, sempre più vicino al suo sesso. Ansima e si contorce in sincronia con le mie viscere, che si agitano come serpenti. Incapace di resistere alla pelle che emerge lentamente dalla stoffa, tiro via boxer e pantaloni, che si rannicchiano ai suoi piedi. Mi fermo nuovamente a guadarlo, la bellezza marmorea, peli scuri del sesso, arricciati, che staccano contro la sua pelle chiara, i lineamenti delicati, l'armonia del corpo, la carne soda, quasi muscolosa.

Ma che fa, va in palestra? Ma chi se ne frega.

Dirigo la bocca verso la macchia scura tra le sue gambe e trovo il suo sesso addormentato. Inizio a baciarlo, leccarlo, morderlo, il suo corpo si contorce, il suo respiro si spezza e l'espressione del suo volto si fa liquida e tesa, ma sotto la mia bocca non si muove nulla.

Scivolo verso il basso, verso il perineo e assaporo la consistenza della pelle che divide il sesso dal sedere. Morbida e cedevole, ma senza odore. La mancanza è ben compensata dai suoni che escono dalla sua gola, suoni sempre più bassi e rochi, quasi ancestrali, come di sciamani in trance, in contatto con gli dei. Non importa, tra un po' la tua pelle saprà del mio sudore. Mi sdraio su di lui, che mi abbraccia. Tutto il suo corpo sembra un prato carezzato dalla brezza notturna, la stessa temperatura, la stessa morbidezza, la stessa cedevole sensazione di seta sotto la mia pelle accaldata. Il mio sesso gonfio preme sul suo, la mia mente è fuori da ogni logica, anche quello che sto facendo è fuori da ogni logica, ma il suo volto arrossato, le sue labbra turgide, gli occhi chiusi, la testa spinta all'indietro, a esporre la gola bianca, mi portano in uno spazio dove la logica non serve.

Lo bacio, mentre mi strusci sinuoso su di lui. Mi accoglie la sua lingua frenetica quanto la mia. La sua mano scivola sulla mia schiena e segue tutto il braccio fino ad incontrare la mia. Se la porta alla bocca e ne succhia l'indice e il medio. Escono dalla sua bocca completamente bagnati e tremanti. Mi guida nel mezzo ai nostri corpi fino a farmi sfiorare la sua fessura chiusa. Mi lascia li e riporta la mano sulla mia schiena, dove inizia a seguire strani percorsi.

Quel semplice gesto mi fa uscire di senno. Vorrei sprofondare nel suo corpo, sentire il mio essere che fluisce in lui, ma devo andarci piano, se non erro è a digiuno da qualche anno. L'idea mi fa rabbrividire un attimo. Inizio a compiere movimenti circolari intorno al suo piccolo orifizio, che si rilassa un poco, ma troppo poco. Mi separo da lui e mi piazzo tra le sue gambe. Solleva il bacino e continuo il lavoro con la lingua. Lo lecco con cura, ad ogni passaggio vedo le sue gambe oscillare e tremare, lo afferro dai glutei e lo sostengo, mentre affondo la punta della lingua in lui. I muscoli delle gambe s'irrigidiscono di colpo e la sua voce si perde in un grido basso e penetrante. Potrei impazzire, forse lo sono già. Lentamente si rilassa tra le mie mani, sotto il tocco deciso della mia lingua.

Mi richiama su. Raggiungo la sua bocca che mi è offerta con totale abbandono. Mi succhio un dito e poi lo bacio. Forzo piano il dito in lui, un gemito si spegne nella mia bocca quando sento che mi lascia entrare. Inizio a fare la prima croce. È buffo pensare che sto facendo una croce dentro di lui, ma non sembra gli crei grossi problemi, solo un immenso gemito di piacere. Esco da lui e porto due dita nelle nostre bocche allacciate. Le succhia e le guida nuovamente giù. Entrano in lui con qualche difficoltà, tanto che non so se continuare. Mi fermo proprio all'ingresso, ma il movimento del suo bacino mi obbliga ad entrare più a fondo in lui. Le due croci. Geme e si contorce per qualche istante, durante il quale sono colto dal panico.

"Continua." Un sussurro sempre più basso e profondo.

Obbedisco. Inserisco anche l'anulare e traccio le tre croci. Conficca le dita nelle mie costole, poi si rilassa. Io resto titubante se continuare o no, il mio corpo vorrebbe, ma lui è così stretto che ho dei dubbi.

"Prendi... il lubrificante nella tasca dei miei pantaloni." Dio, questa voce, un sussurro, m'intossica.

Scivolo fuori da lui, che geme per il mio gesto, e mi metto in ginocchio tra le sue gambe. Trovo una piccola confezione monouso contenente un gommino e il lubrificante. Sopra c'è stampato il nome di una associazione gay di Parigi.

Apro la prima bustina. Mi guarda, abbandonato sul pavimento.

"Se preferisci usarlo." Respira "Io sono un repellente naturale." Ride "Cioè innaturale."

Lascio fare il gommino e apro l'altra. Metto una dose generosa di lubrificante sul mio sesso rigido e ne applico altrettanta su di lui. Inizia a muoversi provocante e sensuale, sollevando ancora di più il bacino e sfiorando la punta del mio sesso. Mi appoggio a lui, cauto e un po' timoroso, ma il suo volto è così dannatamente erotico, in attesa e invitante che lascio sia l'istinto a guidarmi.

Spingo in lui, che si contorce, ma non s'irrigidisce. Apre la bocca per bere tutta l'aria che riesce a trovare, contrae le mani, serra gli occhi, rovescia la testa all'indietro. La sua carne mi lascia entrare, si dischiude al mio passaggio per poi riavvolgersi fresca attorno a me. È come immergersi in acqua che fendo per entrare, e che mi avvolge completamente. Mi predo nella sensazione inusuale del suo corpo freddo e lascio che i miei movimenti siano fluidi come il suo profondo respiro. Scivolo dentro di lui e dalla sua gola escono suoni di onde che carezzano una spiaggia di conchiglie. Nuoto lento in lui, in un rimescolarsi di sensazioni, emozioni azzurre e verdi, cullato dal suono della sua voce bassa e liquida che farfuglia qualcosa che non comprendo. Mi perdo nel suo volto, gli occhi chiusi, finché non sento il contrarsi e lo scuotersi del suo corpo, accompagnato da un gemito. Scusa Xavier, ma non ce l'ho fatta, mi sei sfuggito via. Resto fermo e pulsante in lui che riprende fiato.

"Continua, non ti fermare, non ora."

Mi muovo, tenendo strette le sue gambe tremanti, mentre ad ogni spinta i suoi gemiti si arricchiscono di spessore e aumentano d'intensità. Il bisogno del mio corpo diventa pressante, rosso come il sole che affoga nel mare, come il sangue che rotola folle nelle mie vene. Mi viene incontro, m'impone un ritmo più veloce, che mi porta rapidamente ad un gridato orgasmo.

Lascio le sue gambe ancora tremanti e lo guardo. Ha la bocca aperta, il volto infiammato, il corpo scosso da brividi e coperto di polvere che riluce, opalescente, sulla sua pelle chiara. Mi sdraio accanto a lui, lo raccolgo tra le braccia, il suo corpo scosso ancora da tremiti inarrestabili, gli accarezzo il volto. Si gira verso di me e mi sorride. I suoi occhi sono neri con degli incredibili riflessi blu. Gli offro la bocca, ma mi sfiora appena le labbra.

"Fammi riprendere fiato, non ci sono più abituato a queste cose!"

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Ho le braccia intorno al suo torace, ma non sento il battito del cuore. Seguo con gli occhi il contorno del suo corpo, fino a raggiungere l'inguine. Il suo sesso è silenzioso e tranquillo, riposa indisturbato e ignaro di quanto sia successo poco prima. Guardo il mio. È adagiato mollemente tra i nostri corpi, ma è ancora lucido e arrossato e spicca come una pennellata di colore sul pallore del suo addome.

Tiro il fiato mentre troppe domande bussano alla porta della curiosità. È questo il reale che cercava? Può bastare una sana scopata? Gli è piaciuta? Cosa gli è successo poco fa? Cerco di scacciarle dedicandomi a qualcosa di concreto. Inizio ad accarezzare il torace di Xavier, a vagarci sopra con la punta di un dito seguendo percorsi casuali, ma non mi applico molto in questo lavoro.

Il suo volto è rilassato e reca ancora traccia dell'eccitazione di poco prima. Ha gli occhi chiusi e respira di nuovo con regolarità.

Dio quanto sei bello, recito tra me e me in una litania ripetitiva.

"Anche se la mia pelle è fredda e il mio cuore è silente?" Le sue parole forzano il silenzio e interrompono il vagabondaggio della mano.

Ruota il volto verso il mio, le nostre bocche quasi si sfiorano. Apre gli occhi, che s'infilano immediatamente nei miei. Sorride con le labbra, con le sopracciglia, con gli zigomi.

Mi coglie alla sprovvista, mi spiazza ogni volta, un gesto, una frase...

"Ti diverte stupirmi, vero?" Chiedo con un tono a metà tra la sfida e l'ironico.

Annuisce.

Silenzio.

"Si." Gli rispondo, accarezzando nuovamente la sua pelle fredda, ben consapevole che ho accettato tutte le regole del gioco.

"Anche se non capisci?" E indica il suo corpo ancora attaccato al mio.

"Perché tu ci riesci?" Indicando a mia volta il mio corpo.

Sogghigna. Passa un polpastrello sul mio volto, la sua mano si tuffa tra i capelli e giunge dietro la nuca. Attira il volto a sé e mi bacia, la lingua saetta in me, sfiora le labbra, dardeggia nella cavità della bocca, aggancia la lingua ed inizia a succhiarla.

Il mio corpo si risveglia, i muscoli dell'addome fremono, il sesso è percorso da uno spasimo, il respiro si spezza, il cuore accelera. Si stacca dalla mia bocca.

"No, ma adesso m'interessa il risultato."

Vorrei aggiungere che... ma le parole muoiono in bocca perché le sue labbra sono scese sul collo e v'indugiano, baciando e sfiorando la fossetta sotto la gola. Sono quasi tiepide. Torna a torturarmi le labbra con foga, prima di staccarsi di nuovo. Tutto il suo corpo inizia a muoversi verso il basso, scivolando lungo il mio.

"No." farfuglio. "Non andare." Lo fermo agganciandolo alla vita.

"Non voglio mica lasciarti così" Indica il mio sesso che ha ripreso un aspetto decisamente arzillo.

"E con questo? Se non erro le tue mani sono abili quanto la tua bocca." Lo trascino verso l'alto, in modo da riavere le sue labbra all'altezza delle mie. "E poi non mi vuoi spiegare..."

"Ci avrei giurato!" Ride, mentre si sdraia accanto a me, il suo corpo freddo nuovamente premuto sul mio. "Ma lo sai che sei davvero testardo?" Posa la mano sui miei fianchi ed inizia ad accarezzare le rotondità del culo.

Faccio un cenno con la testa, dato che i suoni non escono più dalla gola.

"Se è ciò che vuoi, come fare a negartelo?" Ride, mentre la sua mano sonda il solco tra i glutei. Indugia un instante, solo per sentire il moto del mio corpo che quasi lo invita ad entrare, poi risale verso i fianchi e scivola sulle anche.

Sospira. "Non credere che un po' di sesso basti a soddisfare la mia sete di reale." Raggiunge il mio sesso che si adagia nel palmo della sua mano. "Non è solo questo. È come lo vivi." La sua mano si stringe intorno al mio membro, che, incurante del freddo del suo palmo, dimostra di gradire molto le attenzioni concessegli.

"Per conoscere il reale ci sono le emozioni delle parole, che sono intime e profonde, ma sempre solitarie, con una parola ci puoi giocare, te ne puoi innamorare..:"

Le sue dita si muovono sulla pelle. Cresco, caldo, nella sua mano. Non connetto bene, tra le parole, la sua pelle, la sua mano, il mio cazzo che va avanti per la sua strada, la sua voce che diviene un sussurro, basso e roco.

"... puoi scambiarla con altri, puoi falsarla, puoi mistificarla, ma in ogni caso resterà sempre chiusa nella tua testa e con essa anche le emozioni che tale parola ti ha concesso..."

Oddio ma che sta dicendo. Come è difficile seguirlo, se la smettesse di farmi. La sua mano non sembra minimamente intenzionata a mollare la presa, anzi! Le dita si chiudono intorno al mio cazzo che adesso è rigido e molto orgoglioso di se stesso e lo percorrono per tutta la lunghezza, in un massaggio lento e profondo.

"...ma vedi scienziato..." La sua voce è dolce e suadente, non so se sto seguendo il senso del suo discorso, ma entra in me come se fosse un coltello caldo che affonda nel burro. "... le emozioni della pelle, quelle sono soggette ad altre regole, non sempre le puoi scambiare con il primo che passa, e di solito non mentono..."

La sua mano accelera la velocità con cui mi carezza, mente le dita variano la pressione della stretta ad ogni passaggio. Immagini di parole che mi stanno masturbando si mischiano ai suoni della sua voce e ai gemiti rochi che escono dalla mia gola, che cerco di trattenere per provare a capire cosa sta' dicendo.

"... e mentre la realtà delle parole la puoi carpire da tutti, quella della pelle no..."

Sto affogando, la sua mano continua il suo incessante lavoro, il mio cervello è in tilt mentre cerca di annotare le sue parole, il corpo è in tilt mentre cerca di esplodere, la pelle brucia, tanto da sembrare fuoco liquido in contrasto con il fresco del suo corpo, e il cuore batte troppo veloce, troppo forte, troppo rumoroso.

"E' questo ciò di cui ho bisogno, pelle e parole di qualcuno che porti in sé il vissuto di questo pezzo di secolo." Mi guarda. Ride beato del mio volto sconvolto, dei miei occhi ubriachi, del colore delle mie guance. Mi bacia mentre la sua mano continua a correre sul mio sesso, mentre il mio respiro si fa più spezzato, mentre il mio corpo si tende sotto le spinte del mio cazzo, mentre il mio bacino spinge contro la sua mano, mentre grida di piacere affiorano alla bocca ed io cerco invano di farle uscire silenziose per ascoltarlo ancora.

"No, lascia che riempiano la stanza." Mi bacia ancora "Pelle e parole"

Sciolgo la voce che fluisce in ansimi sempre più forti e ravvicinati.

Aumenta il ritmo e la pressione, agganciando il movimento ai suoni cadenzati che escono dalla mia bocca. Perdo il respiro, sto per venire.

La sua mano si ferma un istante, si stacca appena dal mio sesso. La pelle s'increspa di brividi di desiderio frustrato. Mi si stringe addosso.

"Ti prego." Farfuglio nel suo orecchio, mentre le viscere mi si annodano.

Stringe la presa, mi cinge la vita con l'altro braccio, il suo corpo completamente pressato sul mio e la sua mano ingabbiata tra le nostre gambe. Accompagna il movimento della mano con spinte del bacino, ogni volta che le sue dita percorrono la lunghezza del mio sesso, il suo corpo si schiaccia maggiormente contro il mio, senza fretta, senza ripensamenti, godendosi ogni affondo.

Il mio cazzo freme, trema, è percorso da un unico interminabile brivido e si svuota nella sua mano, mentre la mia mente fa altrettanto nel suo orecchio, in cui grido frasi spezzate. Poi solo silenzio. Mi tiene così, stretto a sé finché i battiti non si placano e la temperatura eccessiva del mio corpo si sperde in quella del suo.

"Credo che l'unico modo per non farti parlare, non farti agitare, non farti assalire da orde barbariche di domande sia farti." Ride.

Annuisco, e con il poco fiato che sono riuscito a raccogliere riesco a dirgli, quasi a sfidarlo "Ti mancano le emozioni delle viscere."

Mi guarda sorpreso "Viscere eh? Non molli mai?"

Scuoto il capo in un cenno di diniego.

"Già, ho fatto una domanda scema. Lo so già che non molli." Cerca con le dita il palmo della mia mano. Non ci sono quasi più tracce della notte sulla spiaggia.

Sorrido radioso. "No non mollo, e se non erro hai ancora qualche cosa da dirmi." La voce esce stridula, ho la gola secca.

Sospira, annuisce sconfitto, ma si separa da me, si alza e, con passo lieve, sparisce in un'altra stanza. Sento scorrere dell'acqua, un tintinnio come vetri sbattuti, un colpo secco, silenzio.

Stai a vedere che mi ha mollato qui come un idiota! Mi muovo per andare a vedere cosa diavolo è successo dall'altra parte, ma la stanza inizia a ruotare.

Mi rimetto giù, schiena a terra, braccia aperte nel miglior stile 'crocifissione', forse dovrei smetterla di essere così rompi. In fin dei conti qualcosa gli ho già cavato fuori, anche se non credo di aver compreso fino in fondo cosa stia davvero cercando da me.

"Ehi, dove stai navigando?"

È sul vano della porta. Nudo è quasi abbagliante, quel pallore innaturale, quei capelli scuri che circondano il volto, macchie nere al posto degli occhi, la posizione morbida, il petto immoto, il corpo armonico, il passo silenzioso che lo porta fino a me.

Mi porge un bicchiere di vino rosso, l'altro lo poggia a terra e si siede vicino a me, senza toccarmi.

"Beh, forse non è alla giusta temperatura, mi sa che è ancora troppo freddo."

Mi siedo, gambe incrociate. Avvolgo il calice tra le mani e lo scaldo, facendo di tanto in tanto roteare il liquido rosso nella coppa. Profumo di spezie piccanti e pepe.

Mi guarda, la testa appoggiata sulle braccia che circondano un ginocchio sollevato da terra, l'altra gamba traccia un angolo acuto chiarissimo che stacca sul pavimento scuro, un sorriso sardonico sulle labbra.

"Lo riconosci?"

Annuso nuovamente il vino. Niente da fare. Scuoto la testa. Continuo a scaldarlo un altro poco, poi porto il bicchiere alle labbra. Mi fermo a qualche centimetro dalla bocca, fulminato da un'idea.

Xavier è freddo. Sorrido al vino, allungo il braccio e gli porgo il bicchiere. Mi guarda sorpreso.

"Adesso è a temperatura giusta."

Prendo l'altro bicchiere ed eseguo la stessa operazione, cullando il vetro e il suo contenuto tra le mani. Mi avvicino, gli sciolgo la presa sulla gamba non stesa in terra e m'insinuo tra le sue gambe, poggiando la schiena sul suo torace. Rabbrividisco al contatto. S'irrigidisce ma resta immobile. Mi sistemo meglio. Non sarà un po' di freddo a spaventarmi. La mia testardaggine ha la meglio.

Si rilassa, mi cinge con un braccio e poggia la testa sulla mia spalla. Soddisfatto bevo, con gratitudine, un sorso di vino.

"Sirah in purezza" mi bisbiglia nell'orecchio.

"Mmmhhh" Ma il mio pensiero non è rivolto all'aroma speziato del vino.

Abbandono la testa contro il suo corpo e chiudo gli occhi. Sono tua completa disposizione, quando vuoi.

"Sei tra le creature più stimolanti e contraddittorie che abbia mai incontrato." Come esordio non c'è male. "Curioso, attento, ironico, sagace, e disposto ad accettare anche una realtà che non credevi esistesse. Ma la cosa che più mi affascina è il modo in cui la contraddizione di questi tempi si riflette in te. Ti sei dedicato alla scienza, a qualcosa che deve spiegare, capire la realtà, interpretarla, ma allo stesso tempo non ti basta, non ti soddisfa pienamente. Quando ti ho incrociato la prima volta stavi bruciando per una 'deconnessione', un'assenza che non riuscivi a colmare con niente o nessuno e, a mio avviso, non avevi a disposizione alcuna soluzione per ovviare a questa mancanza. Eri come uno specchio di quello che accadeva intorno a te, e ne amplificavi il mood."

Annuisco.

"Ti serviva qualcosa che andasse oltre, come a completare il quadro, a bilanciare la realtà di cui sei intriso. È un po' lo stesso bisogno che ti spinge a cercare piacere screziato da sensazioni di dolore"

"E secondo te stavo cercando proprio te?"

"Mhhh forse, ma non ne eri consapevole!" sussurra suadente.

"Però mi hai fatto faticare non poco per avvicinarti."

"Vero, ma io mi dovevo rimettere in gioco, mentre tu ci eri già e da tempo, visto lo stato penoso in cui eri!"

"Ma senti il signore! Io sarei stato in una condizione penosa! Non ero io che scappavo, colto da terrore per un bacio o poco più."

"Beh, ho già una dipendenza dagli umani, non volevo aggiungerne un'altra!"

"Stronzate." Sentenzio. Mi stringe più forte, irrigidendo i muscoli.

"Forse." Elusivo al massimo.

"Cosa? Non ho capito bene l'ultimo concetto." Lo punzecchio.

"Non posso permettermi altre dipendenze."

"Perché?"

"Perché divento vulnerabile. E per me significa la fine. Non tutti sono tolleranti o folli come te, ragazzino."

"Folli? Solo per un po' di conoscenza?"

"No. Penso sia paura di sconvolgere un ordine che è supposto essere 'naturale'."

"Quando ne sei già fuori una volta, non ci sono problemi ad uscirne una seconda. Ma del naturale ne parliamo un'altra volta. Ho una domanda che mi preme di più e che necessita una risposta. "

"Dimmi?" rilassa i muscoli, ma la voce tradisce ancora tensione.

"Tranquillo, è semplicissima. Cosa ti è successo prima?"

"Semplicissima dici? Mi prendi in giro?"

"Naaaa, tu rispondimi a parole tue e se non capisco, beh, vedremo in seguito."

"Come vuoi. La mia percezione del piacere è un po' diversa dalla tua. Io godo non solo con il mio corpo, ma anche attraverso la tua pelle e le tue emozioni. Mi passano addosso come scariche elettriche. E prima, quando eri dentro di me, sentivo anche il modo in cui tu mi percepivi. Sensazioni che vanno e vengono, come dice Giovanni? 'A tratti percepisco tra indistinto brusio, particolari in chiaro'. Un po' la stessa cosa."

"Come erano?"

"Liquide. Per te ero acqua. E quando mi ha investito, beh, mi ha fatto tremare tutta la pelle."

"Solo la pelle?"

"Che non ti basta?"

"No, cioè cercavo di capire con cosa mi hai sentito, tutto qui."

"Pelle e parole."

Annuisco, mentre un pensiero striscia nella mia testa. Finisco il vino. Prendo un po' di tempo per formulare la domanda, non so in che modo porla, mi sembra così scema.

"Hai mai goduto in altro modo?" chiedo titubante.

"Si, prima, quando mi era ancora possibile." Voce impassibile, come se non parlasse di se.

Tento di sciogliere il suo abbraccio. Rafforza la presa.

"Tranquillo, non è per la tua risposta, volevo solo un altro po' di vino."

Leva il braccio dalla mia vita. Mi allungo, sdraiandomi sulle sue gambe e prendo il suo bicchiere.

"Posso bere un sorso del tuo?"

"Certo, se posso fare lo stesso anche io."

Guardo il mio bicchiere vuoto. Poi realizzo il senso delle sue parole.

"Chiedo in cambio anche un bacio."

"Mmh non so se lo scambio mi conviene." Risponde ironico.

"O.K. Cosa altro vuoi per accettare lo scambio?"

Mi tira a se e mi bacia. Il suo sapore è un mélange di vino e del mio corpo, sperma e sudore. Mi perdo in questo gusto, nel contatto con il suo corpo, nell'ovale del suo viso, che intravedo sotto palpebre semichiuse, nel colore scuro dei suoi occhi che scavano nei miei. Si separa, riprendo fiato.

"Scambio accettato."

Bevo e poi mi metto a sua disposizione, in ginocchio davanti a lui, il torace che quasi lo sfiora, il capo reclinato su un lato. "A te la scelta."

Mi prende una mano e porta il polso alle labbra. Non mi stacca gli occhi da dosso, mentre le labbra lasciano il posto alla lingua e poi ai denti. Affondano. Un dolore acuto, due spilli. Trasalisco, spalanco gli occhi ma tengo la bocca serrata, trattenendo un gemito. I suoi occhi fissi nei miei. I suoi denti nel mio corpo. Il suo sguardo febbricitante. Le narici dilatate a respirare l'aroma del mio sangue. Le labbra tirate. Chiude la bocca sulla mia pelle. Se ne stacca immediatamente dopo. Mi bacia il polso e mi lascia andare la mano.

"Tutto qui?"

"Avevamo patteggiato per un sorso, no?"

Sorrido.

"Solo per il sapore. Come la sigaretta dopo il caffè." Aggiunge.

"O dopo il sesso." Replico, ma non mi muovo per prendere il tabacco. Resto a cullarmi con i sapori che ho in bocca, intrisi di una striscia di dolore che fascia il mio polso.

Mi sistemo con la schiena contro il suo torace, mentre il tempo scivola via dalle nostre dita. Lo sento muoversi sotto il mio peso, si sorregge con un braccio, mentre con l'altra mano mi sfiora il viso, indugia sulle labbra, sulla gola, poi l'abbandona sul petto, racchiudendo il cuore.

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Emergo dopo un tempo non definito dal torpore della stanchezza, del vino e del sesso. Non si è mosso. È dietro di me, sveglio e vigile, gli occhi aperti puntati sul mio volto. Fuori è ancora scuro. Butto un'occhiata all'orologio. Sospiro.

"Attento a non fare la fine di Klaus Kinski nel Nosferatu di Herzog." Mi costa una fatica incredibile pronunciare una frase tanto cretina, non per l'idiozia del discorso, ma perché lo sto gentilmente invitando ad andarsene. Tra poco il cielo cambierà colore.

"Si, mammina."

"Fottiti"

"No, quello è compito tuo." Si fa una risata aperta, ma nonostante le sue parole si alza.

"Se vuoi restare qui, fai pure, io devo andare."

"O.K." Mi sdraio nuovamente a terra. Si riveste, mi lancia un ennesimo sguardo, lungo, come ad avvolgere tutto il mio essere, mi fa un cenno di saluto con la mano, lascia le chiavi sul tavolo, esce. La porta sbatte rumorosa.

Mi è passato il sonno, ma la stanchezza fisica mi piomba addosso come un avvoltoio. Con calma, mi sollevo da terra, combatto con il mondo che mi ruota attorno ed inizio la vestizione. Operazione difficile ma non impossibile. Chiudo la finestra, metto i bicchieri su un tavolo. Esco. Fortuna che i sei piani adesso sono in discesa.

L'aria è fredda e pungente, il cielo inizia a schiarirsi. Incrocio poche persone, chi con la faccia assonnata, abiti da lavoro, la borsa e il giornale sotto braccio; chi con il volto segnato dalla notte e con addosso gli abiti stropicciati della sera prima.

Mi fermo ad un bar dove trangugio un caffè atroce e tre croissant fenomenali. Devo raggiungere casa, fare una doccia per levarmi da dosso tutta la polvere che ho rimosso dal pavimento di Xavier e prepararmi alla prima, vera giornata di sano, concreto lavoro da uomo di scienza quale io sono. O dovrei esserlo? Mi scappa da ridere.

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Dopo la doccia, una doverosa rivestitura e la seconda colazione della giornata esco di casa. Acchiappo una manciata di cd a caso, per ascoltarli nel metrò che mi porta all'istituto di ricerca. Mentre arranco verso la stazione del metrò trovo un vecchio album degli Almamegretta. Lo metto su e scelgo una canzone a caso. La voce avvolgente di Raiss mi penetra l'anima.

"ah che bella voce ca ll'anima se squaqlia quanno cante / ah che bella voce nun saccio si so diavolo o so santo / saccio sulo ca quanno te sento / sento dint"a ll'anema 'o turmiento / nun saccio manco cchiù addo' stongo / si 'mparaviso o all'inferno / 'a vita mia sta dinte mmane toje"

Direi che sono diavolo. Ho un'idea che mi frulla in testa e sono disposto a tutto per realizzarla. Accanimento infernale verso un demone che ha tenuto la mia vita nelle sue mani.

 

 

 

PELLE, PAROLE E VISCERE

Venerdì sera. Crollo distrutto sul letto. Una giornata massacrante. Detesto gli sperimentali. C'è sempre qualcosa che non va. Sono a pezzi. Sono più sudicio di stamani, dopo una notte di polvere. Abiti macchiati di grasso della macchina. Capelli intrisi di limatura di ferro. Il dannato apparato di misura non funzionava. E dopo l'altra notte mi hanno fatto fare anche gli straordinari. Gli unici desideri sono una doccia e del cibo. Sarà la stanchezza, sarà la quantità di liquido che è passato da me a lui, ma se oggi sono ridotto così, chissà che ne sarà di me quando riuscirò a mettere in atto il mio proposito. Devo parlare con Viviana ad ogni costo. Mi dovrà trovare lei.

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Mi sveglio nel tardo pomeriggio di sabato. Non ho fatto neanche la doccia, mi sono addormentato vestito, con le scarpe ancora ai piedi. Lo stomaco emette gemiti persistenti. Una stanchezza abissale pervade le membra. Mi alzo a fatica, e riesco a cacciarmi sotto la doccia. Chissà se stanotte Xavier mi ha cercato. Esco di camera per andare a mangiare. Mentre scendo incrocio un gruppo di ragazzi che alloggiano qui alla Maison d'Italie, nella Citè Universitaire. Mi propongono, per stasera, di andare con loro a sentire un concerto jazz. Non rispondo ne si ne no. Magari appare Xavier. Mi dicono ora e posto del ritrovo. Annuisco ed esco a prendere un panino alla greca, come chiamano qui, quello che per me è un kebab.

Mi aggiro nella Citè Univeristaire, indeciso sul da farsi per la serata. Nonostante il panino di dimensioni incrociatore stellare ho ancora fame. Devo recuperare per il prossimo incontro, quando si degnerà di renderlo possibile. Una vena di rabbia colora i miei pensieri, sono ancora una volta in balia degli eventi, senza poter decidere. Ma adesso non c'è più malinconia, non c'è inappartenenza, non che mi senta così perché sia legato a lui, una sua proprietà, detesto solo l'idea. È che mi sento finalmente a mio agio in questa realtà perché ne ho trovato l'altro, il suo perfetto contrario, il bilanciamento. Adesso tutto sta nel bilanciare le cose con Xavier.

Lo stomaco continua a brontolare. Guardo l'orologio. Ora dell'appuntamento per il concerto jazz. Mi sa che darò buca. Devo mangiare qualcos'altro. Ho le gambe fiacche.

Aspetto che siano andati via e mi dirigo nella cucina comune, posta all'ultimo piano del palazzo, per prepararmi qualcosa. Ci sono due ragazze che si fanno spaghetti con i broccoli. M'invitano al loro banchetto e io contribuisco con quel poco che ho in frigo, formaggio, pane e con una bottiglia di vino.

Mangiamo chiacchierando del più e del meno, di cosa fanno loro qui, i loro studi, il mio lavoro, le solite cose. Chiedo loro perché non sono andate al concerto con gli altri. Rispondono con aria complice che non ne avevano molta voglia, che hanno altri progetti per la serata. Mi rigirano la comanda. Rispondo che sono stanco e affamato. Mentre parlo mi accorgo che è solo una scusa non troppo convincente, che la verità è tutta un altro, e si chiama Xavier. Merda. Tanti bei discorsi, niente appartenenza a nessuno, bilanciamento, diciamo di più, equità, quell'equità che gli ho imposto quando si è avvicinato a me e che ho deciso di raggiungere anche nel sesso, ed invece sono qui ad attendere la sua comparsa come una pulzella dell'ottocento che aspetta l'eroe di turno.

Mi alzo di scatto e vado fuori, sulla terrazza a fumarmi una sigaretta. Le altre due commensali escono dopo di me, mi porgono un bicchiere di vino, e brindiamo alla bella serata. L'aria è dolce, carica del profumo di alberi e vegetazione inumidita dalla guazza che inizia a calare. Il cielo è del tipico colore rosa malato delle grandi città, ma non stona forse perché sono anche io di umore rosa malato o forse perché sotto di noi la città è Parigi.

Le due ragazze si abbracciano, si baciano, parlottano tra loro.

Vado a lavare i piatti, non mi piace essere di troppo. Adesso capisco perché non sono andate al concerto. Le saluto augurando loro buona serata. Ridono e ricambiano l'augurio.

Vado a letto. È prestissimo, forse sono stanco, forse no, forse dovrei pensare, o forse dovrei solo uscire e non stare qui ad aspettare.

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Domenica mattina presto. Ho dormito altre 10 ore e ho ancora fame. Esco e passo la giornata a mangiare e a fare il turista. Non riesco a levarmi dal capo Xavier. Cerco di capire come mi sento a causa della sua assenza e del suo totale disinteresse. Non giungo a capo di niente. Istintivamente mi sento abbandonato, razionalmente è ovvio che sia così, avrà da fare, sarà impegnato, e poi non abbiamo fissato alcun tipo di ulteriore appuntamento. E tutto quello che doveva dirmi me lo ha detto sul pavimento di quella casa che io reputo casa sua. Mi attanaglia la tentazione di andare fino là a cercarlo. Invece torno alla Maison d'Italie mentre il cielo inizia ad imbrunire. Mi faccio una doccia e continuo a pensare a Xavier. Mi sento più sbalestrato di ieri, sempre più confuso, non voglio dipendere da lui, non voglio legarmi a lui, non voglio neanche essere succube delle sue decisioni, della sua voglia di vedermi, del suo atteggiamento. La confusione muta quasi in rabbia. Dovrei trovare Viviana in ogni caso. Devo parlarle, nonostante il comportamento non corretto di Xavier, non ho alcuna intenzione di rinunciare al mio progetto nei suoi riguardi. Mi sembra di avere in testa una grossa macedonia di pensieri e di umori.

Bussano alla porta. Mi si ferma il cuore per un istante. Balzo sulla porta ancora con l'accappatoio addosso e l'asciugamano in mano. Spalanco l'uscio.

"Ciao Leo, come te la cavi tra gli sperimentali?"

"Anna, ma che ci fai qui?"

"Non hai ricevuto la mia e-mail?

Scuoto la testa. In realtà non ho proprio guardato la posta.

"Beh, mi ero rotta di aspettare e sono venuta su. Tanto gli ortopedici esistono anche qui, no?" Il suo tono è allegro, squillante.

"Mi fai entrare?"

Mi sposto dal vano della porta.

"Beh, grazie dell'accoglienza calorosa ed entusiasmante, non me la sarei mai aspettata!"

"Scusa Anna, benvenuta. Davvero, sono felice di averti qui." Il mio tono suona fesso come un anello di latta che tintinna in terra.

"Che c'è Leo?"

Non posso ignorare il suo tono preoccupato, la sua gentilezza, che nonostante il viaggio, il braccio rotto e i bagagli sia qui a chiedermi cosa è successo.

"Niente, speravo ci fosse qualcun'altro alla porta."

"E chi attendevi?"

"Un vampiro." Rispondo in tono serissimo.

"Si, si, ed io sono la fata turchina. Non hai bisogno di scherzare, me lo puoi dire che sono inopportuna, tolgo il disturbo."

"Lascia perdere, tanto non verrà." Il mio tono è tutt'altro che allegro.

"Ti va di parlarne?"

"No."

"O.K."

Silenzio.

"Mi puoi dare una mano a mettere i bagagli in camera?"

Annuisco. Mi vesto in fretta e sistemo i suoi bagagli al terzo piano. La sua stanza è più grande della mia ed ha anche l'angolo cottura. In fin dei conti deve restarci qualche mese. Mentre sfacchino mi racconta le sue vicissitudini con il braccio rotto, la faccia del capo quando gli ha detto che partiva per Parigi, per poco non gli faceva venire un infarto, ma Anna è più dura del diamante, quando si mette in testa una cosa. Alla fine del lavoro il mio umore è decisamente migliorato.

"Sai che, facchino, dato che sono solo le dieci e mezzo, andiamo a farci un giro."

"Ma non sei stanca dopo il viaggio?"

"No, sono in forma smagliante."

"O.K. cosa vuoi fare?"

"Ti va un Cognac?"

"Perché no? E dove vuoi andare? "

"Caffè della Paix"

"Vieni a prendere un the al caffè della Paix?" canticchio.

"Precisamente. Offro io."

Arriviamo davanti all'Operà e ci sediamo al caffè. Guardo i prezzi, mi viene un coccolone.

"Ho detto che offro io. È da anni che lo volevo fare."

"Feticista"

"Battiato è sempre Battiato." Ribatte.

Sorseggiamo uno dei migliori Cognac che io abbia mai sentito, chiacchierando allegri. D'un tratto Anna smette di parlare e fissa un punto alle mie spalle.

Una mano si appoggia sul mio braccio. Mi giro di colpo.

"Ciao anima fiammeggiante, come va?"

"Ciao Viviana." Mi si secca la gola. Viviana si siede al nostro tavolo. Mi giro verso Anna, che fissa ancora il punto alle mie spalle.

"Scusa, ho solo due minuti e se non erro ti preme chiedermi qualcosa."

"E Anna?"

"È un attimo assorta." Risponde con voce cristallina.

Un brivido serpeggia lungo la schiena.

"Allora?"

Tiro il fiato e arrivo diretto alla domanda. Tanto so già che potrebbe rispondermi anche senza che io esofoni alcuna frase.

"È solo una questione d'idraulica?"

"Sei te lo scienziato, cosa me lo chiedi a fare?"

Resto in silenzio. Speravo in un altro genere di risposta.

"Che io sappia nessuno ci ha provato. E non so cosa potrebbe accadere. Penso però che sia un grosso rischio più che altro per te. Non so come potrebbe reagire Xavier. Per certe cose è ancora giovane. Non ha un controllo completo sul suo corpo. Ma per quanto riguarda l'idea di partenza, mi sembra corretta. Però riflettici bene prima di provarci, d'accordo scienziato?"

Si alza e si allontana con passo leggero.

"Mi era sembrato di aver visto una donna con i capelli rossi e vestita con un lungo abito scuro che si avvicinava a noi, ma devo essermi sbagliata."

La voce di Anna mi fa trasalire. La guardo e mi metto a ridere.

"Che c'è?"

"Niente." Ma non riesco a smettere di ridere.

Mi guarda interrogativa.

"È che adoro questa realtà." Continuo a ridere come un matto. "Mi ci sento a casa. Decisamente."

"Mi sa che il cognac ti ha dato alla testa."

"Hai ragione." Smorzo le risate e finiamo di bere.

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Lunedì mattina arriviamo in due al centro di ricerca. Anna può entrare subito, dato che il suo pass è già pronto da tempo. Seguo la preparazione del primo esperimento. Anna, nonostante il braccio rotto, smanetta sugli strumenti, neanche fosse la dea Kali.

Dopo aver trafficato una mezz'oretta con altri due francesi intorno all'apparato di misura, siamo pronti per partire. Fila tutto liscio come l'olio, tanto che a fine serata siamo tutti soddisfatti e strafelici. Ceno fuori con Anna. Di Xavier nessuna traccia. Penso a lui per appena un infinitesimo. Ricaccio altrove i pensieri.

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Altri due giorni di lavoro che viaggiano veloci e soddisfacenti. Raccolgo una buona quantità di dati per sviluppare un'altra simulazione. Posso ricominciare finalmente il mio lavoro. Mi siedo davanti al terminale. Questo è il momento più difficile. Sono solo con i miei dati e i miei pensieri. Prima di mettermi a lavorare seriamente devo fare mente locale. Caffè e sigaretta.

Mentre rollo il tabacco le mani non tremano. Primo punto a favore. Non mi tremano più le mani e sono più o meno tranquillo. Per questo devo ringraziare Xavier. Perché mi ha dato sicurezza, e perché mi ha dimostrato che quel poco di esistenza che conoscevo prima di lui, era davvero limitata. Ovvio che mi sentissi scorrelato da essa.

Però il bastardo mi ha anche incasinato l'esistenza. Punto a sfavore. Mi ha reso instabile nella volontà e nei desideri. Lo voglio e non lo voglio. Vorrei appartenergli ma non del tutto perché questo significherebbe appartenere anche alla sua realtà. Questo non deve accadere, devo prima finire di vivere la mia.

Però rischio di perdere le sue entrate ad effetto. Punto a favore. Adoro il modo in cui mi arriva tra i piedi, di colpo, con una piccola cosa, un bicchiere di vino, una ciliegia, un sorriso.

Però lo fa solo quando vuole lui. Punto a sfavore. Sono in balia dei suoi tempi e desideri. Qui non va per niente. Ma l'unica soluzione è incatenarlo a me. A ciò che sono, a come sono. E l'ideuccia di come fare c'è già.

O.K. ragazzo mio, non ti preoccupare, aspetterò i tuoi comodi e poi vedremo come ti comporterai. Questo è un punto a favore, ma a favore mio.

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La settimana scivola via. Domenica sera. Sono a cena fuori con Anna e con qualche ragazzo del gruppo francese, la cena d'addio prima del mio rientro in Italia. Siamo tutti un po' allegri, sarà a causa del vino, che qui scorre a fiumi. Non credevo che i francesi fossero dei così gran bevitori. Stiamo facendo un ulteriore brindisi, ogni scusa è buona per alzare i bicchieri al cielo, quando un cameriere si avvicina al nostro tavolo e ci chiede gentilmente di fare meno confusione. Io colgo l'occasione per chiedergli il dolce e tutti mi guardano come se fossi un alieno. Effettivamente abbiamo mangiato come maiali, ma io non sono ancora sazio e soddisfatto. Il cameriere, un ragazzo molto giovane non propriamente bello, ma con un modo di fare gentile e amichevole, m'invita a seguirlo e mi porta al banco dei dolci. Sarà per l'espressione soddisfatta che ho stampata in volto o per l'atmosfera allegra che avvolge il nostro tavolo, ma si ferma qualche minuto con me, a scambiare due chiacchiere. Con il mio francese stentato riesco a rispondergli che è una cena di lavoro o quasi. Mi sorride e credo dica qualcosa riguardo le cene di lavoro, l'atmosfera sempre seriosa e mai rilassata fino in fondo. Poi, come si ricordasse improvvisamente di qualcosa, si scusa per l'ambasciata che è venuto a farci, quando ci ha chiesto di abbassare la voce, ma è colpa di un'altra cena di lavoro. E, con un gesto involontario, indica un angolo della sala che non riesco a vedere.

Mi punge curiosità di vedere in faccia questi lavoratori 'pacco'. Mi incammino verso il bagno, che è dalla parte giusta per passare proprio nelle vicinanze del tavolo dei 'seri'. Lancio uno sguardo fugace.

Cinque persone intorno ad un tavolo. Abiti scuri e doppiopetto. Formale, freddo. E Xavier.

Entro rapido in bagno e mi blocco. Non può essere vero. È stata un'allucinazione. Sarà stato uno che gli assomigliava. Non può essere lui, aveva anche una forchetta in mano e se la portava alla bocca. No, è uno sbaglio. Mi spruzzo il volto con acqua gelida. Tiro il fiato. Un bel respirone lungo.

Nel tragitto verso il mio tavolo guarderò meglio. All'andata lo avevo di lato, posso aver visto male, posso essermi confuso. Ora è impossibile sbagliare.

Mi muovo rigido, a scatti, mentre apro la porta del bagno ed esco. È lui, non c'è dubbio. I suoi occhi mi inquadrano nello stesso istante in cui varco la soglia. Inespressivi. Freddi. Impenetrabili. Non un movimento del volto, non un cenno, non un sorriso.

Non dico niente, non faccio niente, non mi avvicino, non lo saluto, non un movimento falso. Passi rigidi ma senza fretta. Come un normale estraneo. Lui riabbassa gli occhi sul tipo che ha davanti e porta nuovamente la forchetta alla bocca. Passo oltre, confuso, stordito quasi incredulo. Non c'è stata la sua volontà che ha influito sul mio comportamento. Di questo ne sono certo. Sono bastati i suoi occhi.

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Torno al tavolo senza il dolce, ma nessuno lo nota eccetto Anna. Mi guarda un attimo. Vede che c'è qualcosa che non va ma non fa domande. Prendo un sorso di vino. Mi faccio una sigaretta. Le mani non tremano, lavoro alla perfezione e sforno il miglior rotolo di tabacco che sia mai riuscito a fare. Fumo ed ascolto con metà orecchio i discorsi. Ci portano il conto. Uscire il prima possibile mi sembra l'unica cosa saggia da fare.

Il tragitto in metrò verso la Maison è silenzioso. Ringrazio mentalmente Anna per il silenzio. Mi saluta sulla porta di camera mia con un bacio sulla guancia.

Entro e mi affloscio.

Non dormo. Non penso. Non aspetto Xavier. Resto vuoto, attendendo il mattino della partenza. Solo le parole di Giovanni

"Quello che vale lo serba il cuore / quello che serve lo voglio abbracciare / pesante quanto posso sostenere sulle spalle / intimo spazio vitale"

Il mio spazio vitale. Le mie spalle. Il mio abbraccio. Il mio cuore.

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Dall'aeroporto di Firenze mi faccio portare direttamente al lavoro. Ho dei dati da sistemare. Ho cose di cui occuparmi. Il resto non è affar mio. Quando sarà il momento. Se ci sarà il momento. Metto su il cd di Giovanni da solista e ascolto in ripetizione l'ultima traccia.

"Non c'è Futuro, inconsistente ora / non c'è Passato che significhi ancora / niente che valga il buio del presente / Spenta ogni luce indulgente / s'allertano i sensi, si restringe lo sguardo / s'affina penetrante"

Non ho mai capito fino in fondo il testo di questa canzone ma adesso non m'importa perché lo sento nelle viscere.

"Quello che non mi sono concesso / quello che non mi sono permesso / quello che chiude il conto adesso / les jeux sont faits, messieurs / s'insinua, frammento, l'eternità / nella vita di un giorno è niente / come da sempre"

Il mio tempo non è l'eternità. Non voglio che lo sia. Mi resta la vita di un giorno.

Lavoro tutto il pomeriggio.

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Sono tornato da due settimane. Lavoro bene, ho degli ottimi risultati, incoraggianti. Ho ripreso ad uscire con gli amici, che mi trovano molto migliorato dopo il soggiorno in Francia. Sto bene, mi sento a mio agio in tutto quello che mi circonda perché ho iniziato a guardarlo con occhi diversi. Più consapevoli della relatività del reale. Questo placa la smania di appartenere. A cosa se tutto non è? Quando ci penso mi viene da ridere. La soluzione era così semplice.

A volte Xavier entra prepotente tra i pensieri. E mi viene da sorridere. Un altro pezzo di qualcosa di altrettanto relativo. Ma non per questo da disprezzare, anzi. Voglio afferrare e affrontare ogni aspetto della realtà con le regole e con i tempi propri della dimensione in cui è l'istante del vissuto.

Non cerco più niente. Tutto mi trova e devo dire con abilità e al momento opportuno.

Viviana mi arriva alle spalle mentre sono assorto nel lavoro e nei pensieri. Non mi stupisco più di come riesca ad entrare ovunque, di come non mi accorga della sua presenza finché lei non vuole farsi notare, di come mi affascini con il suo sorriso, degli strani minuti che trascorre con me, guardandomi, chiedendomi se va tutto bene, se si è aperta una crepa in me, se mi manca, e sorridendo con gli occhi quando le rispondo che il vuoto può essere riempito con tempi diversi.

Mi accarezza il volto, le sue dita, fresche come quelle di Xavier, confermano che ha capito cosa volessi dire con la mia risposta vaga e sibillina. Si alza per raggiungere la porta.

Prima di salutarmi accuso quasi una sensazione fisica, alla base dello stomaco, dentro le viscere. Il vuoto. In nulla. L'assenza. Lei si gira di scatto verso di me, mi pianta gli occhi addosso, quasi allarmati. Non sono stato io. È lui. Lo sento a volte nella notte. Lo sento intorno, non si avvicina, non si rivela, ma lo sento nella carne delle viscere. Non mi accanisco a cercarlo Viviana, non temere, non gli do la caccia e non lo fuggo. Non lo biasimo per il suo negarsi ma non lo aspetto. Forse lo bramo. Ma solo quando sarà il tempo giusto. Per me lo è già. E poi una notte mi dicesti che è lui che rischia con me, non io. Credi che ora io non capisca cosa intendevi? Lasciami provare.

I suoi occhi si separano dalla mia figura. Se ne va.

Finisco di lavorare a notte fonda. Prima di tornare a casa mi fermo a prendere una birra. Mi siedo su di una panchina, in pieno centro, con la bicicletta accanto e il bicchiere di plastica in mano. Respiro soddisfatto l'aria dell'estate. Calda e sporca come solo nelle città può essere. Mi lascio andare, gli occhi socchiusi, la mente sgombra, l'animo tranquillo. Lo intravedo tra le ciglia, ma non mi muovo, non un gesto, non un guizzo di alcun muscolo, non un pensiero. Registro la sua presenza. Le mie viscere gemono di strane, incomprensibili assenze. Questo basta a farlo sparire di nuovo. Quando vorrai.

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È passato quasi un mese dal mio rientro. Con Xavier è il solito nascondino. È snervante. Ma la pazienza è la virtù dei forti. Anna è tornata per sbrigare delle faccende con l'assicurazione, sempre per via dell'incidente e per togliersi il gesso. L'ho invitata a bere qualcosa prima di tornare a casa, ma data l'ora abbiamo optato per una cena invece di un aperitivo. Tavolino piccolo e traballante, coperto con due tovagliette di carta gialla da pacchi, posizionato all'esterno di questa piccola osteria, direi che siamo a mangiare in strada. Per fortuna che a quest'ora in S. Niccolò non passano molte macchine, sennò avremmo avuto una cena a base di monossido.

"È una mia impressione o hai ripreso a mangiare come un essere normale?" chiede in tono scherzoso dopo che abbiamo chiesto il conto.

"Cosa vorresti dire?" Rispondo facendo finta di essere offeso.

"Che a Parigi mangiavi come se fossi stato a digiuno da secoli."

"Ma dai..."

"Beh, se per te trangugiare un antipasto, un primo, due piatti di carne immensi e pure doppia porzione di patate fritte è mangiare normalmente, adesso sei a dieta.!"

"No, è che, beh, come dire, avevo da recuperare le forze."

"Si, si, troppo lavoro ti ha consumato nel fisico e nello spirito."

"All'incirca." Rispondo volutamente vago e misterioso. "Allora, che dici, andiamo al cinema a qualche arena estiva o sei distrutta?" Cambio argomento in modo tattico.

"Non saprei, sono un po' a pezzi, ma se ci fosse un bel film..."

"Che ne dici di Denti?"

"Naaaaaa"

"Aspetta che guardiamo sul giornale." Mi metto a frugare tra i fogli che sono stipati nella valigietta, in cerca del giornale. "Cavolo l'ho lasciato sulla scrivania."

Anna sorride radiosa. Comprendo che il cine non le va poi tanto. "Che peccato, vorrà dire che faremo due chiacchiere e poi nanna!" Quando Anna usa questo tono c'è da aver paura, mi aspetta un terzo grado.

Uno spasmo allo stomaco, poi un senso di vuoto.

"Se vi serve il giornale di oggi potete usare il mio." Prima ancora di sentire il suono della carta che si posa sul tavolo capisco perché lo stomaco si è agitato.

"Buonasera Xavier." Mi ha colto nuovamente di sorpresa con le sue entrate ad effetto.

È in piedi in strada, fermo all'altezza del nostro tavolino.

"Ciao Leonardo, come va?" Poi si volta verso Anna e si presenta. Scambio amichevole di convenevoli mentre il cameriere ci porta il resto e attende impaziente che ci alziamo per ripreparare il tavolo.

Adesso che è qui mi sento agitato e ansioso, mentre lui sembra così controllato, padrone della situazione, sebbene io non credo lo sia poi tanto. È riapparso adesso che non sono da solo, come se la presenza di altre persone fosse sufficiente a temermi a bada.

Che fai, mi vuoi studiare per bene senza darmi la possibilità di avvicinarti troppo? O semplicemente stasera non sapevi che fare? O finalmente hai deciso di riprendere da dove abbiamo interrotto l'ultima volta? O hai sete?

Ma c'è qualcosa che non mi convince, un vibrato basso e continuo alla bocca dello stomaco. Una sensazione a metà tra il vuoto e l'assente. E la percepisco solo quando è vicino.

Camminiamo in mezzo di strada, loro due avanti chiacchierano, io dietro; il giornale volutamente lasciato sul tavolo dell'osteria. Anna propone di prendere un gelato, che a Parigi non li fanno così buoni, che qui in S. Niccolò c'è questa latteria che fa solo 10 gusti, ma sono fenomenali, che è un peccato non prenderlo. Xavier rifiuta, mentre io e Anna ci abbandoniamo al fresco del gelato. Come la tua bocca, ragazzo. Mi è mancata, sai? Xavier mi guarda di sfuggita, per non interrompere la conversazione con Anna.

Quanto sei affascinante. Lo sai e ci giochi, vero? Termina la frase abbassando il tono, la sua voce diventa ancora più sensuale. Me lo fai apposta? Sorride e mi guarda concludendo il discorso con un "E te cosa ne pensi Leonardo?"

Che sei un infame perché sai benissimo che non ho ascoltato una sola parola. Restano in silenzio ad aspettare una mia risposta. Potrei confessare che stavo pensando ad altro, potrei fare la faccia a punto interrogativo, ma non faccio niente di tutto questo.

"Penso che io e te abbiamo un discorso in sospeso." Gli rispondo con voce ferma ma non aggressiva "E vorrei concluderlo prima dell'alba, o prima che tu sparisca di nuovo." Lo sfido con gli occhi.

"A te dispiace se ci salutiamo qui?" chiedo ad Anna.

Replica prontamente che sta morendo dal sonno, ma dal suo tono capisco benissimo che non è vero. Chissà cosa percepisce Xavier. Speriamo sia alle prese con Anna e che non sia attento a me, sennò mi sgama subito. Non deve accorgersene prima del tempo giusto, potrebbe mollarmi qui come un idiota, scappare di nuovo. Sarà difficile evitare di pensarci. Speriamo in bene.

Ci saluta e s'incammina verso la fermata dell'autobus.

"Ehi Anna, aspetta un istante." Corro verso di lei. "Mi fai un altro favore?" Non aspetto la sua risposta. "Domani vai a lavorare?"

"Si"

"Bene, digli che io sto male. Domani non ci sono di sicuro." Ci penso un istante. "Anzi no, digli che mi sono preso un'influenza fulminante e che chiamerò appena posso."

"O.K. però poi mi spieghi tutto."

"Si, grazie." Promessa da marinaio.

Torno indietro. "Andiamo?"

"Ti sei fatto audace." Dice carezzevole.

"Perché prima ero una mozzarella?"

"No."

"Allora?"

Recupero la bicicletta. C'incamminiamo.

"Sei cambiato, adesso più che anima fiammeggiante sei un'anima incendiata." Attacca di punto in bianco, con voce tuttavia dolce.

"Non tanto, non temere."

Devo trovare qualcosa da dirgli per evitare che...

"Ti ho visto in quel ristorante a Parigi. Cena di lavoro, giusto?"

Annuisce.

"Non credevo lavorassi."

"I soldi servono anche a me." Secco.

"Ah, e cosa fai?"

"Perché t'interessa?" il tono è brusco.

"Curiosità."

"Se è solo quella, fai meglio a tenertela."

"Mmmhh tasto delicato?"

"Si."

"Non mi puoi dire niente?"

"No."

"O.K., non importa."

Pausa.

"Ti ho visto mangiare. Come fai, cioè puoi?"

"No." Guarda diritto aventi a se.

"Ma quella roba l'hai messa in bocca, l'hai masticata, era reale!"

"Si."

"Ma..."

Mi guarda con occhi duri e si gira di scatto. Mi da le spalle e s'incammina in direzione opposta.

"Va bene, smetto."

Non si ferma. Merda. Come sei complicato!

Lo inseguo, reggendo con una mano la bici e con l'altra lo afferro per un braccio. "Tu vieni a casa con me e niente storie."

Non dice niente, resta immobile.

Tiro il fiato. Sei duro, sei difficile. Ma io non sono da meno.

"La prossima volta basta dirmi che non ne vuoi parlare. Le parole le capisco."

Non fa un gesto, un suono.

Gli lascio il braccio. "Se vuoi venire con me, fallo." È il mio turno a girarmi e riprendere a camminare. Vuoto. La carne grida di assenze abissali. È la mia o la tua? Ti posso perdere definitivamente. Lo sai vero che non voglio. Potrei anche perderti, ma non voglio.

Mi affianca. Mi sembra di aver perso un anno di vita e la tensione è alle stelle.

"Hai un caratterino." Lo cingo alla vita. Mi serve per rilassare i nervi e alleviare la tensione. Il suo corpo è duro come il suo carattere.

"Anche te non scherzi." La rigidità defluisce via dalle sue membra, i muscoli si ammorbidiscono.

**********************************************************************************

Entra nella mia reggia-bilocale.

"Perché hai detto ad Anna di coprirti per domani?"

"Stasera dobbiamo fare una cosa, e non voglio avere l'assillo del tempo."

"Cosa dovremmo fare?" Chiede malizioso.

"Lo scoprirai, non avere fretta." Mi siedo in terra. Xavier resta in piedi, poggiato alla scrivania.

"Devo dire che sei un bel tipo, mi fuggi come fossi la peste per un mese e poi eccoti qui." Per un istante mi sfiora l'idea che sia qui non per me ma per il mio sangue. "Ma se ti va mi spiegherai in seguito. Adesso ti voglio raccontare una cosa, anche se suppongo tu la sappia già."

Pausa.

"Continua."

"Come hai notato, io sono un po' cambiato, non molto in verità, ma quanto basta. E devo ammettere che questo lo devo a te, e a quello che ho imparato da te. Ma gli scambi non equi mi piacciono poco, ed ho deciso che devo sdebitarmi."

"E in che modo vorresti fare?" Si avvicina e mi sfiora il collo con le labbra.

"Fermati." Un brivido lungo la schiena.

"Perché dovrei? Mi sembrava fosse uno scambio più che equo questo" Sussurra suadente sulla mia pelle mentre le sue labbra lambiscono il lobo dell'orecchio.

"No. Non lo è." Mi discosto a fatica da lui.

"Strano, se non erro era soddisfacente per tutti e due."

"Non mi sembra proprio. Se vuoi entrare in contatto con questa epoca, devi accettare quello che ti offre senza remore."

Mi prende il volto tra le mani. Mi guarda con aria interrogativa.

"Quali remore?"

"Paura di metterti in gioco."

"Io? Mi sembra un tantino esagerato, dato che sono qui."

"O.K. Dici che è esagerato. Allora guarda se ti va quello che ho da proporti." Lascio che i pensieri fluiscano liberi dopo averli tenuti a freno per tutta la sera., e le mie parole inondano l'aria, come se dovessero bastare a stordire, ammaliare, incuriosire, incantare le sue viscere.

"Sangue. Il mio. Che fluisce copioso dentro il tuo corpo. Caldo che invade le tue membra. Il battito del tuo cuore che si fa più forte, più veloce. Fiumi di liquido caldo che corrono selvaggi dentro le tue vene. Il tuo desiderio che si sveglia. Le tue labbra che mi prosciugano, il tuo cazzo che affonda in me. La mia carne che ti avvolge. Le viscere che ti fanno perdere il controllo, i tuoi gemiti che fanno perdere il mio. Il piacere, tuo, mio, non so, te in me, te che senti le mie budella che gridano, le tue finalmente che pulsano, esplodono. La ragione che cede il posto all'istinto, e l'abbandono ad esso. Totale, senza remore."

Prendo fiato, ho riversato tutto così come mi si agita nella testa da quasi un mese e ho fatto un casino della madonna. Lo leggo nei suoi occhi, attoniti, increduli, forse spaventati, non so.

"Come posso spiegarti a parole? Dire che voglio tu mi scopi è troppo poco, è così, così non-corretto. Dire che voglio solo il tuo cazzo in me è limitato, banale. Dire che voglio sentire la carne delle tue viscere che si agita, spinta da un bisogno incalzante, bruciante, anche questo è poco. Come posso spiegarti quello che solo la tua carne può capire? Tu come hai fatto l'altra volta? Non hai spiegato, hai agito. Ora sta a me."

"No." Freddo e secco.

"Perché?"

"È folle e te sei pazzo." Distacco. Si alza. Si allontana da me quanto la stanza glielo permette.

"Si. Come quest'epoca. O tutto o niente. Se ci vuoi entrare devi rischiare. Mi hai cercato per questo, no?" Sono ancora infervorato.

"Sei un cretino." Grida. "Sei uno scemo, non sai cosa dici, non sai un accidenti. Non sai che diavolo stai dicendo, sei solo un povero pazzo." Urla sempre più forte, come un ossesso.

"E allora? E con ciò? Sono pazzo e questo che vuole dire?" Grido anche io. Mi alzo e mi scaglio contro di lui. "Mi credi pazzo? Non ti ho proposto di andare al mare a prendere il sole, ti ho chiesto di essere ciò che sei; di provare e di rischiare a capire cosa sei adesso, in questo tempo forse per te limitato , ma è questo che sei venuto a cercare da me, È QUESTO!"

"No." Il suo grido mi trapana la testa. "Mi stai dicendo di ucciderti. Lo capisci vero, povero idiota?"

"No. Non lo capisco perché è solo una stronzata di cui stai cercando di convincerti. È solo paura di rischiare e chissà, forse anche di sapere."

"Ma cosa ne sai te, piccola pulce umana."

Le parole non bastano e la pelle è solo un ottimo placebo. Così non arriverò mai alle sue viscere. Non ho molte soluzioni, non ho altra strada se non metterlo davanti al fatto compiuto.

"Viviana ha detto che potresti perdere il controllo."

"Viviana?" Grida ancora. "Ne hai parlato con Viviana? Ma allora sei davvero da manicomio, non ti può aver detto di seguire quest'idea folle. Non capisci niente, neanche quello che ti viene detto." Si stacca dalla finestra, si dirige verso la porta. Mi travolge. È chiusa a chiave, ci metterà un po' di tempo ad aprirla. Solo una manciata di secondi, ma sono l'ultima carta che ho a disposizione per fermarlo, per fargli capire che epoca è, che tempo è, e anche per legarlo a me, si, alla piccola pulce umana che vive in questo secolo, con le mie contraddizioni, le mie idee, la mia sensibilità. Prendo il taglierino che ho messo sulla scrivania appena tornato dalla Francia e affondo la lama nel polso sinistro, che si tinge immediatamente di rosso. La macchia si allarga, indecente.

Mi sembra che la pelle non faccia un suono, ma lui smette immediatamente di armeggiare alla porta d'ingresso. Si volta verso di me. "Che cazzo fai?" Ha le narici dilatate, gli occhi fuori dalle orbite e le mani sugli orecchi. "Smettila subito."

Non parlo, non serve. Passo nuovamente la lama sulla carne già tagliata e affondo ancora. Grasse gocce di sangue cadono a terra.

"Smetti. Smettiiiiii. Quel suono, SMETTIIII." Grida.

Non mi fermo. "O a te o sul pavimento. Scegli." Un altro affondo. Però fa male, dannazione. Una processione di gocce rosse mi tiene in contatto con la terra. "Decidi in fretta, sai bene che è prezioso sia per me che per te." Lo incalzo.

Toglie le mani dagli orecchi e si avvicina. Porta il polso alla bocca. La lingua scorre rapida sulla ferita che brucia. Non sono un abile maneggiatore di lame, il taglio non è preciso, non è profondo, ma spero sia servito allo scopo. Mi rilasso perché sono ad un passo dal mio obbiettivo.

Solleva la bocca. Un'indistinta macchia rossa copre le sue labbra. Gli occhi neri, profondi, spiritati, lucidi come ossidiana. La pelle chiara. Una visione evocativa che mi toglie il fiato.

Il taglio sul polso ha ridotto la gittata delle sue preziose gocce. Mi siedo sul letto, trascinandolo con me. "Te lo chiedo ancora, vuoi provarci?"

"Non vorrei. È un'idea completamente campata in aria. Mi sembra un'idiozia, una follia." Si gira verso di me guardandomi diritto in faccia. "Ma se rifiuto... Mi lasci la possibilità di rifiutare?"

"No. Mi sembra ovvio!"

Si lascia cadere sul letto. Posso quasi sentire le rotelline del suo cervello girare frenetiche e vedere una nuvoletta di fumo che si alza dalla sua testa.

"Mi spieghi cosa ti turba?" Chiedo dopo qualche minuto di totale silenzio.

"Non mi piace. Oltre a non essere convinto che tu abbia ragione riguardo alle mie reazioni fisiche, non ha senso neanche il resto, il tempo, le possibilità, questa epoca, tutta questa storia. E poi Viviana ha ragione, posso perdere il controllo, ma te lo immagini? No, non puoi." Tira il fiato. "Mi sembra una stronzata."

Allungo il braccio e gli metto il polso sulla bocca, come se fosse una sigaretta condivisa. Continuo a gemere sangue. Lo lecca via. Mi ripassa il braccio.

"Prima di parlare dovesti provare. Solo dopo puoi dire che è una stronzata." Replico.

"Ma il prezzo da pagare..." L'ho messo in crisi.

Pausa.

"Comunque grazie." Rompo il silenzio.

"Di cosa?"

"Mi hai ascoltato, potevi andartene senza che mi accorgessi di nulla."

"Ti ho già promesso di non fregarti più."

Pausa. Situazione in stallo.

Gli giro il volto verso il mio e lo bacio. Le sue labbra sono serrate mentre le mie assaporano il mio sangue. Passo accuratamente la lingua sul profilo della sua bocca, per rimuovere ogni traccia di me da esse. È immobile, ma sento la tensione dei suoi muscoli contratti nell'immobilità. Non mi fermo e inizio a lambire, sedurre quelle due strisce di carne che finalmente si dischiudono e scivolo dentro la sua cavità. Il gusto ferrigno del mio corpo, il fresco della bocca, la morbidezza della lingua m'inebriano. Mi metto a cavalcioni sopra di lui, senza abbandonare il contatto con la sua bocca. Un bacio profondo, senza fiato, senza riserve, come promessa per quello che posso offrire. La accetta ricambiandomi con la sua lingua che serpeggia, con i denti che tirano gentilmente le mie labbra, con il suo fiato che si spezza e fluisce in me. Mi sollevo solo per affondare le mani nei suoi abiti e aprirli. Il polso continua a tingersi di rosso. Lo poggio sulla pelle chiara del suo petto. Lascio la mia firma, poi lo porto alla mia bocca. Mi guarda un po' deluso, a bocca asciutta.

"Adesso siamo ingordi?"

Mi tira giù con un colpo secco e imprigiona nuovamente le mie labbra tra le sue, mentre, con gesti abili sfila la maglia dai pantaloni e la solleva fino alle spalle. Pelle fresca e serica contro il mio petto. Gemo.

Stacca le labbra "Perché sei così ammaliante? Mi perdo in te, nella tua pelle, nel tuo sapore, nei tuoi respiri."

"Non parlare." Rispondo secco.

Mi bacia di nuovo. Mi spoglia, i pantaloni s'incastrano nelle scarpe. Mi ribalta e rimuove l'ostacolo. Riporto il polso, che reca solo una leggera scia rossa, alle sue labbra. Me lo rende candido. Mi strattona via i boxer, poi si spoglia sua volta. Lo guardo mentre si libera dagli abiti scuri da cui emerge il corpo chiarissimo. Mi sistemo meglio sul letto e lo invito a raggiungermi. Si sdraia sopra di me. Il suo corpo mi avvolge, il fresco della sua pelle mi fa fermare il cuore per un istante. Mi bacia, si muove sinuoso sopra di me, sfregando con i fianchi il mio sesso già turgido. Mi lecca nuovamente il polso, mentre una gamba s'insinua tra le mie. Mi sfrego, m'inarco contro la sua coscia, in un movimento lento ma inequivocabile. Sorride, mi accarezza il torace con un movimento fluido che porta la sua mano prima sul cuore, poi sull'ombelico. Raggiunge il sesso e lo circonda. Mi aggrappo a lui, lasciando lievi scie rosse sulla sua schiena. Muove la mano con estrema cautela e lentezza, ascoltando il mio respiro che si fa più veloce. Affonda il volto tra collo e spalla, respirando il mio odore. Il corpo schiacciato dal suo peso, la sua pelle fresca, serica, è ovunque, mentre il sangue scorre rapido, rosso, rovente, nel mio corpo.

Stacco le mani dalla schiena e lo spingo verso il basso. La calata è accompagnata dal moto della sua lingua che traccia scie fresche e sinuose lungo il mio torace.

Mi avvolge in un unico movimento, e il mio calore si stempera nella sua bocca. Perdo il respiro, mentre le labbra percorrono la pelle del sesso, la lingua segue percorsi spiraleggianti attorno a me, la sua bocca mi risucchia gentilmente. Il movimento ritmico diventa sempre più preciso, come seguisse una partitura musicale di un crescendo. Afferro la stoffa delle coperte e mi ancoro all'unico baluardo che non sta vorticando al ritmo dei suoi affondi. Uno spasimo, un gemito strozzato, una sua mano afferra la mia anca, l'altra accarezza delicatamente i testicoli, finisce per un istante nella sua bocca insieme al mio sesso e poi scivola verso il perineo. Il caldo del mio sesso, il freddo della sua bocca, un brivido lungo tutta la colonna vertebrale e il mio bacino che si muove incontro alla sua bocca oscillante. Un brivido scuote il mio sesso dalla base. L'ultima spinta, accompagnata dalle sue dita che entrano prepotenti in me, mi spinge fino in fondo alla sua gola con un gemito liberatorio. Mi risucchia in se, finché il mio cazzo non si squaglia in lui. Resta a baciare l'inguine per qualche minuto. Risale, sdraiandosi sopra di me. Lo accolgo tra le braccia. Cerco di baciarlo ma si sottrae alle mie labbra. Lo guardo negli occhi. Sfuggenti e profondi.

"Lo so che non vuoi, ma non credi di dovermelo?" Sussurro.

"Non parlare."

Mi accarezza il volto. Gli occhi tristi e ancor più profondi. Respira tra i miei capelli, indugia.

Lo accarezzo, cerco di tranquillizzarlo. Se sentissi il suo cuore, batterebbe ad una velocità folle.

Mi guarda con un'espressione incredibile, neanche dovesse partire per la guerra senza più speranza di rivedermi.

Solleva il capo dalla mia spalla e poi s'irrigidisce. Afferra saldamente il mio collo con una presa ampia e sicura. Cala fulmineo sulla base del mio collo e lacera la pelle. Un istante di dolore acuto. I denti che affondano in profondità, aprendo una ferita ampia. Inizia a suggere lentamente. Sento il sangue che scorre via da me, defluisce in lui. Per qualche minuto la stanza si riempie del suono cadenzato del suo deglutire, poi il suo respiro diviene più pesante, profondo, e un suono ancestrale sale dalla sua gola. Inizia a succhiare con più forza, i muscoli s'irrigidiscono mentre un formicolio invade il mio braccio e si spande in tutta la spalla. Le labbra non staccano la presa dal mio collo. Il mio respiro si trasforma in una serie di sforzi per bere più aria possibile, mentre la sua presa intorno al collo diviene più serrata, dolorosa.

Con il braccio libero mi circonda la vita, insinuandosi tra il materasso e il mio copro e mi blocca completamente. Continua a succhiare con voracità. Afferro le sue spalle e mi aggrappo a lui. Adesso c'è solo un dolore sordo che invade tutto il torace. Il cuore batte all'impazzata. Ho paura.

Si stacca da me quasi a fatica. Ha i lineamenti completamente alterati dal puro piacere di succhiarmi. Respira forte, i denti macchiati di rosso, le labbra vermiglie, le guance che bruciano di un rosso fuoco, gli occhi che brillano, profondi, scuri, selvaggi. Cerco di sollevarmi in cerca della sua bocca. Il braccio su cui mi puntello cede, mi gira un poco la testa. Mi spinge contro il materasso. La sua mano mi preme verso il basso e m'incatena. Scioglie la presa dietro la schiena e scivola tra le mie gambe. Le divarica e ne solleva una, dalla parte opposta a dove mi ha solcato il collo. Mi guarda negli occhi e poi si accoccola tra le mie gambe divaricate. Con una mano mi spinge il bacino contro il materasso, con l'altra tiene ferma la coscia. Affonda nella pelle morbida dell'interno coscia, nella femorale. Un dolore acuto, una ferita inflitta da una lama molto affilata e non pietosa. Le sue labbra si posano sulla pelle. Sono calde. Rinizia a suggere il mio sangue, che si riversa ancora più velocemente nella sua bocca. Un senso di freddo invade la mia gamba. Le sue mani stringono convulsamente la mia carne, le dita affondano in me, mi lasciano segni rossi sulla pelle, mi bruciano come tizzoni ardenti, mi dilaniano.

Suoni inarticolati emergono dalla sua gola, forti, profondi, e sovrastano il lieve mugolio che riesco appena ad emettere. Ho la bocca secca e la lingua attaccata al palato. Le viscere si contraggono e si ribellano, si squagliano spinte dal flusso uscente dal mio corpo. Le estremità delle braccia diventano fredde, il formicolio non cessa e invade tutto il corpo. Sento sempre più lontano il battito del mio cuore, sostituito dal pulsare delle sue membra. Le sue mani artigliano la mia carne, mentre una strana sensazione di lontano scivolare s'insinua in me. Mi sembra di galleggiare, gira tutto, il soffitto, il letto, solo il dolore alla coscia è fisso e pulsante. Lo sento gemere, gridare sopra la mia pelle, il movimento incessante delle labbra che succhiano, non mi sembra neanche più abbia un ritmo preciso. Assorbono frenetiche tutto quello che esce da me. La mano sull'anca brucia. La stoffa del lenzuolo non ha più consistenza. Non ho più sensibilità nelle dita. Il mondo è sottile, leggero, o sono io? Non ho più idea di cosa stia fermo. Ho voglia di vomitare. Lo stomaco si contrae dolorosamente. Alzo un braccio. Una fatica incredibile. Riesco a portarlo sulla nuca di Xavier, che non molla la sua presa. Il suo collo è bollente, o forse la mia mano è fredda. Sento freddo. Un brivido mi scuote il corpo. La gamba, stretta nella sua presa, ha un tremito. La mia mano scivola via da lui e cade con un tonfo sordo.

Sento la sua presa che si chiude spasmodica, si apre, si chiude, stringe e poi lascia la pelle, le sue labbra restano appoggiate sulla mia carne squarciata. Sono arroventate. Mi fanno male, mi stanno bruciando. Ho freddo, ho sete. Questa sensazione mi dilania. Mi lamento, gemo piano. Mi sembra che il battito del suo cuore sia più forte dei miei gemiti. È un delirio freddo.

Si stacca da me. Lascia la gamba che cade sgraziata.

Si solleva. Sembra così grande. Lo guardo con gli occhi socchiusi. È troppo faticoso tenerli completamente aperti. Il suo volto è congestionato, rosso, iniettato di sangue. Cerco di sorridere. Hai visto che avevo ragione? Mi guarda. Occhi dilatati, come drogati. Mi prende una mano e la poggia sul petto. Il suo cuore fa un casino infernale. Si mette in ginocchio accanto a me, sempre tenendo la mia mano. Se la passa lungo il corpo, sul torace, sui capezzoli, fino alle anche, al sesso che pulsa sotto la mia carezza guidata. Cerco di stringerlo, ma non ho forza per la presa. Lui mi aiuta, mi tiene ferma la mano, mentre le mie dita fredde passano sul suo corpo bruciante. Vorrei stringerle intorno al suo sesso, sentirlo, impararne la consistenza, la morbidezza, seguirne la forma, trovare i nervi e le vene che pulsano, valutarne la dimensione, soppesarlo in una mano, fargli festa ma non ce la faccio. Lascia la mano. Il braccio ricade sul materasso come corpo morto cade.

Si alza e mi solleva il busto. Il mondo sta ballando la tarantella, ondeggia davanti a me.

"Guardami." La voce arriva ovattata ma potente come un tuono. Bassa, roca, cavernosa. È la tua? Mi riempio gli occhi della sua figura, ma è difficile, troppo difficile. Li chiudo. Sento la stanchezza che preme su di me.

"Guardami ho detto." Voce imperante. Non posso sottrarmi o disubbidire. Riapro gli occhi. Sei bellissimo. Fatti toccare. Si avvicina, gli sfioro il sesso, che è percorso da un brivido. Spalanca gli occhi, un po' stupito. Cerco di ripetere l'operazione, le dita indugiano qualche istante di più, stringono appena, sfiorano tutta la sua lunghezza. Sento il suo respiro farsi pesante.

Allora ci sei? Cosa aspetti? L'alba?

Mi solleva dal letto, la sua pelle è calda. Mi posa ad un'estremità del letto e poi spinge, facendomi rotolare sulla pancia. Levo le braccia da sotto il mio corpo e le apro a croce. Si avvicina e mi allarga le gambe. Le mani calde percorrono i glutei, la schiena, le spalle e poi ridiscendono. Il respiro si fa serrato. La lingua scivola su di me, sparisce tra i glutei, sparisce dentro di me senza troppi convenevoli. Sono completamente aperto, i muscoli non oppongono alcuna resistenza, mentre la carne umida della sua bocca segna il mio corpo. Brividi di freddo e di piacere si mischiano e confluiscono nello stomaco. Si sdraia sopra di me, una sensazione incredibile, la pelle bollente che s'imprime sulla mia carne fredda, il suo cazzo appoggiato tra i miei glutei, una scia di paura che serpeggia tra i miei pensieri, e il desiderio di averlo in me. La mia volontà dominata dal desiderio del piacere, dalla paura di averlo addosso, dentro, dalla sensazione del mondo che si dissolve.

Il letto rotea, gli occhi si vorrebbero chiudere, riposare un istante, ma le sue mani non me lo permettono, mi toccano, mi esplorano, la sua pelle carezza la schiena, il suo cazzo sfrega sulla rotondità del mio culo, i gemiti escono dalla sua bocca e fluiscono dentro il mio orecchio. Mi allarga i glutei. Le viscere si annodano. La lingua bagna, lubrifica, assaggia, scorre instancabile su di me, dentro di me, affonda per poi ritirarsi, e il mio copro che si contrae appena, quanto basta a farmi impazzire, scivolare, sparire, affogare.

Entra con due dita. Le assorbo completamente, senza alcuna resistenza. Sento il tremito del desiderio che percorre tutto il suo corpo. Gli occhi si vorrebbero chiudere di nuovo. Allarga bene i glutei e entra in me. Il dolore mi fa aprire di brutto gli occhi. Sento il sapore dell'adrenalina in bocca. Dolore.

Ansima dietro di me, trattiene il respiro, resta fermo un istante, poi un altro affondo. Il mio corpo lo accoglie docile dopo il primo grido iniziale. Sento litanie inarticolate che escono dalla sua bocca, mentre il cazzo caldo, si conficca in me. Arrivato in fondo, quando il mio corpo è del tutto spalancato, spaccato e marchiato a fuoco, mi cinge alla vita con un braccio e si abbandona sulla mia schiena. Sprofondo nel materasso, schiacciato dal suo peso. Inizia a muoversi rapidamente, cambiando cadenza e angolazione delle spinte, lo sento nelle viscere, lo sento ustionante nella carne mentre si conficca sempre più in profondità con spinte potenti, accompagnate da grida che si perdono tra i miei capelli. Il mondo ondeggia, il materasso ondeggia senza ritegno, mentre il mio copro si fa burro sotto le sue mani. Il piacere allaga le membra, ma il mio cazzo non risponde mentre tutto il mio interno grida piacere. Le viscere si contorcono ad ogni spinta, dolore ogni volta, poi piacere, pelle che si lacera, quella della spalla, dove ha affondato nuovamente i denti, dove fa morire un grido, mentre le sue spinte fanno tremare le pareti del mio intestino e il mio corpo è invaso dal piacere, dal dolore, dal perdersi, dai suoni liquidi che il suo muoversi produce, dai risucchi che fa il mio culo ogni volta che esce per poi affondare di nuovo in me, ed io spero arrivi sempre più giù, in profondità ad ogni affondo, che mi riempia, m'invada, mi colonizzi.

Geme, grida, una scossa passa dal suo copro al mio, sento le contrazioni del suo cazzo che si svuota in me, inondandomi, affogandomi, riempiendomi, mentre le spinte non si placano, mentre il movimento non cessa, mentre i suoi denti continuano a lacerare la mia pelle e il dolore si alterna al piacere e il piacere si perde nelle viscere che si contraggono, pulsano, si rilassano, si squagliano.

Resta così, sopra di me, il suo respiro si placa, il suo corpo brucia ancora più di prima, il suo cazzo si ritira, si affloscia in me e ne esce. Mi abbraccia e si gira, tenendomi stretto a se.

Resta sotto, io sono appoggiato con la schiena sul suo torace; respiro piano, la mente stravolta, il corpo allucinato, le viscere che spasimano ancora.

Mi abbraccia, stringe forte, mi fa quasi male. Mi agito per sottrarmi almeno in parte a questa presa. Allenta di poco, ma non mi lascia. È lui a tremare o è il letto che trema? Il mondo gira ancora, forse un pò meno, ma è sempre più lontano, irraggiungibile. Percepisco solo le sue mani che vagano sul mio corpo, mi accarezza le anche, gioca con il mio sesso, con i riccioli dell'inguine, sfiora la carne imbrattata di sangue della coscia che ha lacerato, per tornare a sentire la gola, alla ricerca delle pulsazioni del mio cuore. Mi bacia il collo, il lobo dell'orecchio, mi mordicchia quel poco di carne che riesce ad afferrare e si muove sinuoso sotto di me. Sento una nuova erezione che anima il suo sesso. La sua danza porta anche me a muovermi, io unito a lui dal suo abbraccio. Il suo sesso struscia tra le mie gambe, accarezza i glutei, batte contro la pelle ancora umida delle palle, e cresce tra le mie gambe socchiuse. Con il braccio libero prende la mia mano e mi porta giù con se. Mi guida diretto sul suo cazzo, insinuando le due mani tra le mie gambe e mi regge la presa mentre i suoi movimenti si fanno più rapidi, le spinte del suo bacino si trasmettono al mio corpo e il suo petto si alza e si abbassa veloce. Sono spinto dal suo respiro, dalla volontà e dalle sue viscere che gridano nuovamente. Sento i nervi che si tendono e le vene che s'ingrossano. Cresce nella mia mano. La stanza è carica di suoni, di odori, umori quasi liquidi permeano l'aria. Mi abbandono al suo movimento, la mano stretta nella sua, chiusa attorno a lui, accarezza, preme, stringe, affonda sempre più velocemente per poi fermarsi un istante. La presa si fa più forte, mi stringo attorno a lui e mi lascio guidare in un nuovo affondo. S'inarca, mi spinge in alto, il cuore che quasi esce dal suo petto e penetra nella mia schiena.

Lascia che la voce si liberi dalla gola in un gemito vibrante, bassissimo, quasi al limite dell'udibile. Rimbomba nella stanza e resta sospeso nell'aria. La mia mano viene inondata dal suo fluido caldo, pungente. Odore di ferro, di sangue, di sperma, tutto mischiato. Lascia la presa. La mano resta attorno al sesso, tremante. Si abbandona sotto di me, sulle lenzuola zuppe di sudore. Il mondo rotea nelle mie viscere, le sue, ancora scosse da tremiti, pulsano sotto la mia schiena. Respiro a fatica, la gola riarsa, la bocca secca, il fiato irregolare mentre il suo rallenta e torna ad avere una cadenza regolare.

Sono stanco, ogni gesto mi sembra una lotta contro divinità più grandi di me, ma voglio assaggiarti, almeno una volta. Cerco di muovere la mano, impresa impossibile se non fosse per la sua presa che si chiude sul mio polso e mi guida nel tragitto fino al volto. Succhio l'incavo tra pollice e indice. Sa di te? Sa di ferro, sesso, sudore.

Scivola via da sotto il mio corpo. Resto al freddo, nel letto. Si alza e va nell'altra stanza. La sua camminata è traballante, o sono io che vedo la stanza traballare? Chiudo gli occhi. È stato fin troppo difficile tenerli aperti fino ad ora. Lo sento rientrare. Mi si avvicina e mi solleva il busto.

"Guardami." Vibra nelle viscere. "Apri gli occhi." Mi porta un bicchiere alle labbra. Acqua e zucchero. Che schifo, ma bevo avido, grato. Si sdraia accanto a me e poggia la testa sul petto.

Ascolta silenzioso il leggero suono cadenzato e regolare del mio cuore. Chiudo gli occhi. Lo sento accanto a me, ancora caldo. Sorrido. Avevo ragione su tutto.

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Un rumore mi riporta alla realtà. Il suono del telefono. Apro lentamente gli occhi. Luce ovunque. Il suono è martellante, persistente. Mi sento la testa pesante, come dopo una sbornia e il mondo continua a roteare. Allungo il braccio fino alla cornetta posta sul comodino. Pesante come piombo.

"Era ora, ma dove diavolo eri?" Voce maschile, è il mio capo.

Mugolo qualcosa.

"Leonardo, ma che c'è, Anna mi ha riferito che ieri sera non ti sentivi bene. Come stai?" Le parole battono in testa come martellate.

"Io.." Mi spavento al suono della mia voce. Bassa, quasi inarticolata, spezzata. "Non sto molto bene"

"Lo sento. Ma che hai?" Provo il dolore dei suoni.

"Non so." Respiro piano, con attenzione, per recuperare un po' di forze. "Influenza."

"O.K., mi sembri a pezzi. Riposati, rimettiti in sesto. Non ti preoccupare. Qui va tutto bene."

"Si." L'ultima parola è farfugliata a fior di labbra. Un soffio. Lascio cadere la cornetta. Il mondo gira ancora, instancabile.

Sul comodino c'è un bicchiere mezzo pieno. Lo prendo. Ancora acqua e zucchero. Bevo avido. Lascio scivolare il bicchiere sul pavimento. Richiudo gli occhi. Le palpebre sono pesanti.

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"Leonardo" una mano fresca mi accarezza il volto. Voce lontana. "Leonardo" Ancora. Lontana. "Svegliati anima fiammeggiante, devi mangiare." Mi scuote. Apro gli occhi a fatica.

Xavier mi guarda. È seduto al bordo del letto. Ho il suo volto ad un soffio. Ciao ragazzo, come va?

"Cosa hai detto?"

"Come va?" Faccio fatica, ma meno di prima. Prima quando?

"Ora si che ti sento. Beh io bene, e te?"

"Mhh." La bocca è sempre riarsa. Mi tira su, mi fa bere uno strano intruglio dolce.

"Succo di un sacco di frutta con miele."

Annuisco. Comunque fa schifo.

"E ora ti tocca anche questo." Mi avvicina un cucchiaio alla bocca.

Non ci provare ad imboccarmi come un paralitico. Mi faccio forza e afferro il cucchiaio. Pesante. Mi trema nella mano ma raggiunge la bocca.

"O.K. Fai da solo."

Mi guarda ingurgitare questa strana pappetta. Ha un sapore orrido, mica come il tuo.

"Non rompere e mangia." Mi guarda e non si schioda finche non finisco.

Si siede a terra, il volto poggiato sul materasso. Aspetto le sue parole mentre mi porge nuovamente il bicchiere pieno di liquido ocra-rosso.

Non dice gran che. Gli occhi brillanti, forse un po' arrossati, come iniettati di sangue.

Mi poggia una mano sul torace. Ascolta il mio battito.

"Avevi ragione, mi mancavano le viscere."

Rido con un po' di fatica.

Compare Viviana.

"Ciao anima fiammeggiante."

Le sorrido. Mi tiro un po' più su. Mi accorgo che sono nudo, per fortuna mi ha tirato il lenzuolo addosso.

"Beh, mica farai sesso vestito?" Xavier si gira a guardarla, un po' attonito dalla sua uscita.

Rido. "Vero." La voce suona normale adesso o forse sono io che la percepisco normale.

"Ci sei riuscito."

Annuisco.

"Non ha perso il controllo."

"Ma ci è andato vicino. Te lo assicuro."

Guardo Xavier che fa cenno di si con il capo.

"Vicino non conta." Replico.

Viviana sorride. "Beh, dato che non sei in fin di vita, io toglierei il disturbo."

La guardo interrogativo.

"Ieri, quando ti ha lasciato è venuto da me. Mi ha detto cosa era successo. Aveva paura che tu fossi fuori dai confini. Stanotte sono venuta ad assicurarmi delle tue condizioni di salute, ma dato che stai benone..."

"E se non lo fossi stato?"

Viviana guarda Xavier, che è ancora a sedere accanto a me, immobile.

"Beh, avremmo dovuto trovare una soluzione."

"Cioè?" Un campanello di allarme mi suona in testa.

"Si, sta decisamente meglio, è il solito rompiscatole testardo." Dice Xavier rivolto a Viviana.

Lei mi guarda. "Chissà, forse ti avremmo preso con noi."

Ci avrei giurato. "Neanche per idea! Voglio restare una piccola pulce umana." Guardo Xavier in tono di sfida.

Alza le mani in segno di resa. "Scusa."

"Non ci provare mai più." Riesco anche ad usare un tono imperativo.

Ho la gola secca e inizio a sentire la fame atavica che scorrazza nello stomaco. Bevo ancora.

"Che altro c'è da mangiare?"

Viviana ride. "Lo hai voluto te il contatto con questa epoca, ora prenditene cura!" Guarda Xavier, gli batte la mano sul capo, una pacchetta amichevole, saluta e va via.

"Si, una bella gatta da pelare" mi guarda con occhi ridenti mentre sparisce in cucina.

 




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