Attenzione!!!
Questa è una fanfiction di gusto yaoi realizzata per puro divertimento senza scopo di lucro. I personaggi non sono originali ma ripresi dal cartone animato di Weiss Kreuz i cui autori ne detengono tutti i diritti. Qui compaiono come coppietta yaoi Schuldich degli Schwarz e Ken dei Weiss Kreuz. Ricordatevi che Shushu possiede il potere di leggere nella mente delle persone...^___^
Inoltre questo marcantonio ha i capelli rossi, ma di una tonalità più scialba rispetto a quelli di Aya (che è rosso rosso) potremmo dire tendente all'arancione o più semplicemente "pel di carota", ma chiamarlo "carotina" non mi sembrava il caso quindi è diventato un "rossino" di color biondo ramato.
Un particolare ringraziamento va al mio "jedi master" Kamui-chan, alias Ayakun, che mi ha sostenuto e mi sostiene in queste produzioni ludiche, anche se questa volta l'ho tradito con Shushu ^///^...
Spero vi piaccia.

Buona lettura


Red sunshine

di Ken-ken


Accese l'ultima sigaretta del pacchetto ed inspirò profondamente, il gusto del fumo entrò nei polmoni così da agire come calmante. Dal terrazzo si poteva ammirare la Tokyo notturna.

"Una boccata d'aria era proprio ciò che ci voleva" per un breve istante si sentì sollevato, quasi fuori dal mondo, un estraneo osservatore di quella cinetica città.

Un senso.

Questo cercava: un senso alla propria esistenza. Doveva avere un senso ciò che faceva.

Il denaro.

Un motivo banale, necessario, ma non sufficiente a dare un senso all'esistenza di un uomo, troppo effimero.

Il piacere.

Dava un insolito piacere scoprire i pensieri di altri e poi agire di conseguenza, sconvolgere come animali in trappola le proprie vittime. Così indifese.

Inspirò ancora e gettò la cicca dal terrazzo seguendone la caduta con lo sguardo, finché giunse sulla strada sottostante, forse sopra una della auto parcheggiate.

Quella sera si sarebbe divertito, certe fisime esistenziali non erano da lui.

Rientrò nello studio:

"Nagi, vado a farmi un giro, tornerò." Ed avvertendo il più giovane degli Schwarz uscì dall'attico.

Schuldich non aveva la minima idea dove sarebbe andato, l'importante era uscire per divertirsi, quindi passeggiò per un poco fino a raggiungere la metropolitana, per una volta si sarebbe lasciato guidare dal fato. Caso volle che il primo treno disponibile fosse quello per Rippongi, il quartiere dei divertimenti di Tokyo.

Tra la miriade di insegne luminose e colorate che inondavano la via , ne spiccava una, quella dello Sweet Honey con accanto al nome del locale un'ape sbarazzina con dei grandi occhi blu. Il buttafuori lo scrutò dall'alto in basso. In un'altra situazione, Schuldich avrebbe penetrato le mente dell'energumeno fino a scorgerne i pensieri più profondi e si sarebbe vendicato ritorcendoglieli contro. Ma non quella sera.

Il giovane assassino gli allungò un biglietto da cento dollari: "C'è posto là dentro?"

L'uomo prese il denaro: "Si gaijin, entra pure, ma prima togliti la fascia sui capelli, qui non digeriscono le cose eccentriche".

Il giovane fece come ordinatogli ed entrò.

"Un locale di strip teese" si disse dopo una rapida occhiata in giro nel locale scuro. C'erano delle pertiche su un palco e già qualche ragazza stava dando esibizione di sé, mentre altre, al ritmo della stessa musica martellante, si dimenavano all'interno di gabbie d'acciaio sospese sopra alcuni tavoli.

"Desidera?" domandò il barman, un tipo muscoloso che indossava solo dei pantaloni neri e un farfallino dello stesso colore.

"Un Bacardi & cola." Rispose il tedesco appoggiandosi al bancone e scrutando in giro notò un gruppo di giovani, assai alticci, attorno ad un tavolo che parlottavano con una "artista".

"Cosa stanno festeggiando?"

"Addio al celibato. Mentre dall'altra parte della sala abbiamo un addio al nubilato."

"Ohooo." esclamò Sculdrich sorseggiando "Abbiamo anche strip maschile…" la frase però non la concluse, al che il barman si sentì il diritto di dire: "Che tipo di compagnia desidera?"

"Dipende da cosa c'è" rispose il ragazzo sollevando un sopracciglio.

L'uomo gli si avvicinò: "Qui le ragazze sono molto disponibili, basta sceglierne una, invece se desidera un ragazzo…bhè, deve accontentarsi dei clienti, ce ne sono diversi… tutti molto discreti."

Un ragazzo.

Da diverso tempo non si faceva un ragazzo, l'ultima volta era stato alcuni anni prima ad Amsterdam con un prostituto.

"Mhmmm…un ragazzo." Finì di bere il drink.

Contemporaneamente dal gruppo di festeggianti uscì un giovane correndo in direzione del bancone.

Era rosso in volto: "Basta io ci rinuncio…" disse quasi tra sé. Indossava una camicia semiaperta, blu elettrico con dei bottoni trasparenti, sopra a dei pantaloni dello stesso colore, leggermente scampanati che esteticamente lo facevano sembrare più alto e snello. Il barman allora fece cenno con il capo nella sua direzione.

"Che succede Ken?" chiese con familiarità.

Il giovane si passò la mano fra i capelli lentamente quasi avesse difficoltà a coordinare il movimento: "Non è per cattiveria...ma si stanno tirando le cartine!" rise imbarazzato.

"Siete peggio dei bambini, vorrà dire che prima di uscire vi farò spazzare il locale per bene…" poi si volse verso il gaijin "Desidera?". Solo a quell'ultima parola pronunciata dal barman Ken si accorse del bel giovane bianco vestito che sedeva al suo fianco, era uno straniero dai lunghi capelli biondo ramati che lo guardava in modo particolare. Arrossì.

"Posso offrirti da bere?" disse il gaijin in perfetto giapponese.

Ken lo guardò stupito, poi, dopo un breve esame di coscienza sulla propria capacità di reggere un altro drink, rispose: "Un Campari con ghiaccio, grazie." E si sedette sullo sgabello.

"Ed un altro Bacardi & Cola".

Ken si sentiva scrutato da quegli occhi occidentali, come se lo volessero penetrarlo nel profondo, quell'uomo aveva la stessa espressione di Aya quando i suoi ormoni andavano in subbuglio e si preannunciava una notte di fuoco.

Il suo Aya…

Da quanto si erano lasciati?

Una mese?

Si! Un mese di sofferenze e angosce nell'inutile tentativo di sopprimere quel sentimento che, così prepotentemente, gli sgorgava dal cuore e chiedeva a gran voce di essere appagato. Non era facile per lui vivere e lavorare accanto alla ragione del proprio tormento, pur sapendo che l'oggetto del suo amore non avrebbe mai più ricambiato il suo affetto.

Bevve un sorso del drink appena servito: "Sei qui per lavoro?" chiese non sapendo come intavolare un discorso.

"Oh si, io lavoro a Tokyo già da diverso tempo…" gli rispose divertito, evidentemente aveva intuito l'imbarazzo dell'orientale.

"Di dove sei esattamente? Europa, America…?" ma che cosa stava dicendo? Erano tutte domande superflue, era palese quale fossero le intenzione del rossino.

Le labbra di Schuldich si arcuarono leggermente in una smorfia maliziosa: "Judehi, il mio nome è Judehi" disse sempre divertito.

Ken arrossì imbarazzato: "Scusa, che maleducato… sono…Ken"

Schuldich gli si avvicinò col gomito. C'era un qualcosa in quel giovane non ancora del tutto ubriaco che lo attraeva sensibilmente, non era solo sesso. Dai suoi occhi leggermente velati dall'alcool traspariva una certa malinconia mescolata a dolore, sofferenza, Lui si sentiva attratto dalla sofferenza…

L'immagine di un uomo dai capelli rossi apparì nella sua mente, un'espressione gelida e staccata adombrava il bel viso affilato…"Non provo più niente per te" aveva detto. Qualcosa andò in frantumi…era il cuore di Ken…disperazione…dolore…

Una sensazione inebriante, quasi palpabile, invase le membra del telepate: la sofferenza altrui era la sua droga ed in quel ragazzo dai capelli castani ne poteva attingere a piene mani...

Il tedesco tornò in se e vide Ken fissare il drink rosso dentro il bicchiere.

Seguì un sospiro del moretto: "Andiamo a sederci dentro una nicchia, qui c'è troppo chiasso…" propose con voce incerta e aprì la strada al biondino.

Le nicchie erano delle strutture in legno fisse alla parete, con divanetto e tavolino e divise dal resto del locale da una lunga tenda.

"A cosa servono queste cose?" chiese Schuldich uno volta sedutosi.

"Si potrebbe dire: a familiarizzare…ma...ma credo che il termine giusto sia petting o qualcosa di simile"

"E i tuoi amici cosa diranno non vedendoti?"

L'orientale scostò un poco la tenda per vedere la tavolata da dove era scappato: "Visto che sono alquanto brilli e che il locale vive in costante penombra, con quei capelli lunghi ti avranno scambiato per una donna" sorrise. Il sorriso di un bambino, dolce, innocentemente sperduto.

Schuldich non poté trattenersi oltre e accarezzò la guancia dell'altro. Com'era morbida e liscia. Il pollice poi sfiorò le labbra. Si dischiusero e avvolsero col loro calore umido quel dito impertinente. Ken succhiò. I suoi occhi, un oceano verde, fissavano il gaijin quasi a provocarlo. Un brivido percorse il braccio e la schiena di Judehi per poi sciogliersi nei lombi in una calda sensazione. Si morse le labbra consapevole della propria debole carne e accolse l'invito, lo baciò. Un bacio dolce a fior di labbra, sempre più intenso, fino ad infilare la lingua in quella bocca peccatrice dal sapore dolce-amaro del drink appena bevuto. Il brunetto si sistemò meglio costringendo l'altro quasi a sdraiarsi sopra di lui. Le dita affusolate cercarono i bottoni ed aprirono la camicia blu, ne scostarono i lembi mettendo a nudo il torace dell'orientale che nel frattempo era percorso da piccoli e sempre più frequenti brividi. Il ragazzo sembrava apposto, i suoi atteggiamenti se pur provocatori non avevano la disinvoltura dovuta all'abitudine, poi quelle guance leggermente imporporate lasciavano trasparire un certo imbarazzo mentre le dita di Schuldich gli accarezzavano l'aureola del capezzolo.

I baci di quell'occidentale si posavano dolcemente sulla sua pelle come petali vellutati di un fiore, i lunghi capelli biondo ramati erano al tocco morbida seta, emanavano un profumo di balsamo fresco mescolato a quello del fumo, inebriante, eccitante…Anche i capelli di Aya erano così morbidi quando li toccava e per gioco gli scompigliava dispettoso, anche Aya depositava baci così dolci sul suo petto…depositava…tempo passato di un fatto che fu, che ora non è e non sarà mai più…mai più. Gli bruciarono gli occhi, gli si annebbiarono di lacrime per il dolore che provava dentro, nel cuore.

Un tintinnio attirò la sua attenzione: il rossino gli aveva slacciato la cintura. Le dita si insinuarono nuovamente, stavolta all'interno dei pantaloni blu. In verità Ken non riusciva a spiegarsi come mai quell'uomo così affamato di sesso perdesse tempo "prezioso" in preliminari, si era aspettato che lo avesse già portato in camera. Un lamento uscì dalla sue labbra ad interrompere i suoi pensieri. "Se continui così…" gli sussurrò all'orecchio " …se continui così non riuscirò a trattenermi a lungo…" confessò imbarazzato il brunetto incontrando lo sguardo penetrante di quel partner occasionale che sembrava dirgli "posso fare molto di più se solo mi lasci fare", non cercava il suo consenso, avrebbe comunque agito, era determinato.

Schuldich si sentì premere il capo sul torace da un abbraccio allo stesso tempo dolce ed intenso.

Un groviglio di emozioni emersero da un passato remoto, emozioni che il gaigin non avrebbe mai pensato di poter provare ancora, emozioni pericolose che rivelavano la sua vulnerabilità, emozioni che scaldavano il cuore, una lastra di ghiaccio, oltre che i lombi. Per un attimo ebbe il desiderio di scappare via, lontano da quel ragazzo che gli si concedeva pensando ad un altro, era troppo dolce, troppo per bene per stare con uno come lui, uno Shwartz, un assassino. Ma il membro di Ken si gonfiò sotto le sue dita, divaricò un poco le cosce e quelle labbra posate sul suo orecchio emisero gemiti dai quali non poteva difendersi. No, non poteva scappare e perdersi tutto ciò che sarebbe seguito. "Aspetta…" il sussurro di quella parola gli solleticò l'orecchio scatenando altre emozioni difficili da controllare "Aspetta …se continui così rischio di venirti in …" le parole furono interrotte dall'arrivo del barman, il quale scostò la tenda separatrice e pose sul tavolo due drink.

Ken si girò verso l'intruso, era rosso in volto più per il piacere che per l'imbarazzo, lo guardò negli occhi: "Di sopra c'è una camera libera?"

Il barman sorrise e dopo aver frugato nella tasca dei pantaloni posò una chiave sul vassoio per poi dileguarsi fuori dalla nicchia.

Sete.

Ken afferrò il bicchiere di Campari e ne deglutì velocemente il contenuto, qualche goccia uscì fuori dalle labbra e scese giù sul mento e lungo il collo. La lingua di Schuldich seguì il percorso di quelle gocce galeotte che scivolavano sull'epidermide del compagno rendendola più eccitante, fino a raggiungere le labbra tinte di rosso. Un altro bacio. Lentamente il brunetto sciolse il groviglio di lingue, ansimava: "Andiamo di sopra" e così dicendo tolse la mano del gaijin dai suoi pantaloni e si alzò un po’ barcollante. Era brillo, questo lo sapeva, ma ancora cosciente ed in grado di camminare almeno fino alla camera. Richiuse i pantaloni e cercò di placare il proprio membro che mai gli era sembrato così avulso da lui come in quel momento, sembrava vivere di una volontà propria, non voleva ubbidirgli. Prese le chiavi.

"Non guardarmi così, di sopra ci spogliamo…" e dicendolo baciò la guancia di Schuldich dolcemente.

Il rossino si accorse della propria erezione , del sangue che gli fluiva nel pene, era eccitato dalla dolcezza di quel ragazzo, da quella sua malinconia. Ubbidì e si alzò dal divanetto rubando ancora un altro bacio al dolce sconosciuto, stavolta accompagnò il gesto con un abbraccio. Ken divenne ancor più rosso in volto e i suoi occhi languidi, verdi, guardarono con imbarazzo lo straniero. L'altro sorrise intuendo che probabilmente aveva sentito la sua eccitazione: "Andiamo".

Mentre Ken si voltò per precederlo qualcosa rimase impigliato fra le dita della mano: "Cos'è questo?" chiese osservando la fascia bianca. Ma non lasciò neppure il tempo per la risposta perché proseguì con un sorriso: "Ti piacciono i giochetti?" Attorcigliò la fascia intorno al polso.

"Potrebbe…" rispose enigmatico il gaijin.

Le sopracciglia di Ken si arcuarono verso l'alto in un espressione di preghiera: "Non mi piace provare dolore mentre faccio sesso"

Dopo un breve momento di paura Sculdrich si riebbe, Ken doveva aver pensato che a lui piacesse il sadomaso o simili: "E se ti lego i polsi…se ti mordo…Posso?" chiese sfiorandogli il mento con le dita.

L'orientale gli sorrise: "Avanti"

L'ascensore si fermò al terzo piano. Il corridoio che dava alle camere era ricoperto di moquette e le lampade a muro diffondevano una luce soffusa, calda. Ken precedette il compagno, uscì dall'ascensore, la sua camminata aveva un andamento così incerto, sembrava che le ginocchia gli potessero mancare da un momento all'altro e nel contempo quel suo passo sapeva di felino, conturbante. Aprì la camicia totalmente e la fece scendere scoprendosi un poco le spalle, con la coda dell'occhio guardò l'altro e un sorriso ammiccante animò il suo volto.

Schuldich si senti ribollire le vene, affrettò il passo verso l'amante e lo afferrò baciando e mordendogli il collo, mentre lui si agitava e come un'anguilla tentava di divincolarsi da quella stretta.

"Cosa c'è che non va ?" chiese il rossino, confuso.

Ken non rispose, si sottrasse all'abbraccio e appoggiò la schiena alla porta di una stanza, sorrise e con la mano agitò la chiave: "Questa è la stanza, aprila."

Schuldich non ci pensò su due volte, afferrò la chiave ed aprì. Ken gli passò davanti , entrando per primo e dirigendosi verso il letto, in mezzo alla stanza, fece scendere ulteriormente la camicia fino a farla cadere sul tappeto, poi si girò verso il rossino e si buttò di schiena sopra il letto, con le braccia verso l'alto. L'occidentale chiuse la porta dietro di sé con un gesto risolutore, dopodiché si tolse la giacca bianca e lentamente sbottonò la camicia sottostante.

Intanto Ken sventolava in aria la fascia quasi fosse una bandiera bianca, quella della resa. Schuldich non si fece attendere oltre e lo raggiunse sul letto; a cavalcioni su di lui gli sfilò dalle dita la fascia con la quale armeggiava e gliela mise ai polsi, bloccandoli alla testiera del letto: "Sono troppo stretti?" chiese preoccupato.

"No…" sussurrò l'altro, una risposta che sembrava venire da lontano, un velo opaco copriva gli oceani verdi che erano i suoi occhi, forse col pensiero era altrove. "Guarda che ora sei con me…" aggiunse Schuldich seccato dalla presenza della figura coi capelli rossi stampata nella mente di Ken.

"Mele?…Usi il balsamo alle mele, vero?" chiese ad un tratto annusando la ciocca ramata che gli ricadeva sulla guancia.

Il gaijin sorrise e gli posò un bacio sulla fronte, seguì un profondo sospiro di Ken, di quelli che si fanno dopo una sofferta decisione: "Non farmi male" e a queste parole chiuse gli occhi, ormai la decisione era presa.

***

Frugò la giacca alla ricerca delle chiavi, le trovò, ma per un inspiegabile motivo non avevano l'intenzione di infilarsi nella serratura. Ken dovette appoggiarsi allo stipite della porta, non ce la faceva a reggersi da solo, sulle proprie gambe, era già un miracolo che fosse arrivato lì senza inciampare. Cento metri non erano molti in condizioni normali, solo che ora il brunetto non era del tutto sobrio, cosciente si, ma non sufficientemente per reggersi in piedi. Aveva fatto fermare il taxi molto prima di raggiungere la fioreria nel timore che il gaijin potesse rintracciarlo. Ma poi di cosa aveva paura? Che Aya lo vedesse?

Le chiavi finalmente si infilarono nella serratura.

Raggiunse le scale a tentoni finché trovò il muro, quindi facendo leva sulla schiena, quasi fosse una terza gamba, salì sulle rampe di scale, lentamente. Pensò a quella bottiglia di Martini scolata assieme allo sconosciuto straniero, sul letto, distesi, nudi…Sentiva ancora i suoi baci e i suoi morsi bruciargli la pelle, le natiche poi era indolenzite. Quante volte lo avevano fatto? Cercò di ricordare, ma nella sua mente c'era il buio e un forte senso di vertigini gli impediva ogni ragionamento.

La sua camera, tutto ciò che desiderava era sdraiarsi e dormire sopra il suo letto. Con una leggera pressione alla maniglia aprì la porta della agognata stanza, ma invece di trovarvi oscurità vide la luce di una lampada da tavolo che illuminava poco più in là il volto sorpreso di una persona conosciuta. "Ho sbagliato stanza" pensò il brunetto e fece per ritornare sui propri passi quando una voce alle sue spalle lo fermò:" Ken torna indietro, questa è camera tua."

Cosa ci faceva Aya nella sua camera? E a quell'ora di notte?

Con difficoltà Ken arrivò sino al sofà e sedendosi di peso fissò il rossino: "Perché sei qui?" le parole risultarono masticate a causa della bocca impastata dall'alcool.

"Hai bevuto troppo." Constatò l'altro avvertendo l'odore dell'alito.

"Si…sono ubriaco, ho bisogno di dormire…" dicendolo si alzò e raggiunse il letto, vi si sdraiò sopra, a pancia in giù, con le braccia allargate quasi ad abbracciare il materasso, in poche parole: era sfinito. Sfinito per l'esercizio fisico di quella notte, sfinito dal mal di testa che gli batteva nelle tempie, il rimasuglio della sbornia, sfinito dall'immagine di Aya che persisteva nella sua mente come un incubo.

Aya accese la lampada del comò: "Non puoi dormire in camicia." A queste parole si sedette sul letto a fianco dell'ex compagno e lo fissò. Poteva inventarsi tutte le scuse possibili, dichiarare al mondo intero che non l'amava più, addirittura fingere che non gliene importasse più nulla, ma erano solo parole al vento, in verità soffriva nel vederlo in quelle condizioni. Una morsa al cuore gli impedì di pronunciare altre parole e si limitò a osservarlo, silenzioso. Non era mai stato loquace, a questo suo difetto sopperiva la spigliatezza del brunetto, entrambi si completavano a vicenda, lo riconosceva: Ken aveva il pregio di riuscire a capire i suoi pensieri senza troppi preamboli, gli bastava guardarlo negli occhi e lui, lui capiva subito, non c'era bisogno di parole superflue fra loro.

Allora perché lo aveva lasciato? Per giorni e giorni si era convinto che era un gesto necessario. Un assassino non poteva legarsi troppo a qualcuno, soprattutto ad un collega.

E se durante una missione gli fosse successo qualcosa?

Certamente Ken ne avrebbe sofferto, alle volte era così passionale ed impulsivo, avrebbe potuto compiere un gesto disperato.

E nel caso contrario, se fosse stato Ken la vittima?

Una cosa è soffrire per la morte di un amico, un'altra per la morte del proprio compagno. Ma mai, come ora in quella stanza, fu chiaro ad Aya che non poteva più provare solamente amicizia per quel ragazzo, ogni tentativo di affermare il contrario sarebbe stato un inganno. Era quel sentimento chiamato amore che l'aveva spinto ad attendere il suo ritorno dalla festa di addio al celibato, si era preoccupato per il ritardo, non era mai rimasto fuori di casa fino all'alba senza avvertire prima. Doveva dirglielo, doveva assolutamente riuscire a spiegare i propri pensieri e i propri turbamenti a Ken, doveva.

La luce della lampada illuminava di una calda luce il capo del giovane ubriaco, i capelli scuri, lisci, brillavano di riflessi rossastri, però dei lividi alla base del collo attirarono l'attenzione di Aya che scostò immediatamente il colletto della camicia blu per poter vedere meglio.

"Cosa sono questi?" chiese istintivamente, però le parole caddero nel vuoto, non ci fu alcuna risposta da parte di Ken.

Erano tre lividi rossastri, circolari, di quelli che rimangono quando si succhia continuamente la stessa zona della pelle, gergalmente dei succhiotti. Aya avvampò in volto per la collera momentanea che si impadronì di lui, gelosia.

"Cos'è? Una coniglietta si è seduta sulle tue ginocchia?" l'inflessione della voce tradì l'emozione.

"Mhmmm…"

Aya notò dell'altro e scoprì interamente la spalla: dei segni di denti erano impressi sulla pelle. Un turbinio di emozioni gli prese lo stomaca fino a salirgli in volto, violentemente girò Ken verso di lui.

"Te la sei portata a letto?" insistette ormai fuori di sé "Deve esserti costata cara starle fra le cosce."

Ken si riebbe un poco, si ricordò di essere a casa, in camera sua e che c'era pure Aya… Perché Aya stava urlando? Aprì di più gli occhi e si accorse che il rossino lo fissava furente. Perché Aya era in camera sua? Non era forse stato lui a lasciarlo, così, senza apparente motivo se non un "Non provo più nulla per te"? E allora, perché era in camera sua? Cosa gli importava di sapere come e con chi aveva passato la notte? Solo che i pensieri uscirono immediatamente dalle sue labbra.

Aya si calmò: "Ero preoccupato per il tuo ritardo…"

"Preoccupato?!" sbottò Ken e alzò a fatica il busto per sedersi sul letto con le gambe incrociate, poi colpì più volte con due dita della mano il torace dell'altro "Tu…eri…preoccupato?"

Il rossino tossì per schiarirsi la voce: "A ragione, visto che, sconsiderato come sei, sei andato con una prostituta."

"Con una prostituta?" Ken sorrise beffardo "Io sarei stato con una prostituta?" Lo fissò incredulo, i suoi occhi verdi erano ancora velati dall'alcool e ci volle qualche secondo per mettere del tutto a fuoco l'immagine. Poi continuò, ma il tono della voce si abbassò ad un sussurro e accompagnato da un sorriso malizioso rivelò: "Ti sbagli…" avvicinò il volto a quello di Aya perché lo potesse udire meglio "Non sei l'unico UOMO che mi ritiene… carino."

All'altro Weiss gli si gelò il sangue all'istante, quasi gli mancò il respiro all'udire quella frase.

" Ho fatto…" proseguì il brunetto ridendo istericamente "…no… mi sono fatto scopare da uno sconosciuto, da uno di cui non me ne fregava niente, proprio niente…e…e mi ha rigirato come un calzino, tanto che non mi ricordo nemmeno quante volte l'ho fatto…" Ken sentiva gli occhi bruciare, ormai era un torrente in piena, non riusciva a frenare la lingua, stava dando aria a tutti i pensieri che lo tormentavano da ore. Il sorriso lasciò subitaneamente posto alle lacrime: "Il bello è che, mentre lo facevo, io pensavo ad un idiota come te…E poi vorrei sapere…" alzò la voce e prese un lembo della maglia di Aya attorcigliandola in tono di sfida, ma nel gesto perse l'equilibrio e spinse Aya con le spalle sul letto cadendovi sopra "…Già, vorrei sapere perché vieni qui e pretendi di dirmi quello che devo e non devo fare, proprio tu. Sei stato tu a mollarmi ed io come uno stupido penso a te mentre faccio sesso con un altro…" le parole scemarono lasciando spazio ai singhiozzi.

Aya lo abbracciò, con delicatezza scompigliò la chioma dell'amico ed amante. Provò vergogna di sé stesso, della sua incapacità di comunicare e soprattutto per aver fatto del male ad una delle persone che amava di più.

"No!" disse deciso "Lo stupido sono io, io che ero convinto di poter vivere senza amore, senza amare, senza farmi coinvolgere." Strinse Ken a sé "Invece stanotte non riuscivo a dormire al solo pensiero che non eri ancora rientrato…sono un debole, uno che ha paura di amare per paura di soffrire.

Ken potrai mai perdonare questo stupido?"

"Io…io ho una gran voglia di picchiarti fino a farmi male le mani."

"Fallo…Picchiami." Gli disse fissandolo.

Ma Ken non aveva alcuna intenzione di picchiare Aya, aveva bevuto troppo e aveva troppo sonno, quindi si asciugò la faccia con la maglia dell'altro e poi finalmente chiuse gli occhi sprofondando nel sonno.

"Ken…" lo chiamò Aya.

Il silenzio era interrotto solo dai loro respiri.

"Ti amo Ken" gli sussurrò ad un orecchio certo di non essere udito "Ti amo..."

***

Le prime luci dell'alba salirono all'orizzonte e si levò un leggero vento freddo che lo fece rabbrividire.

"Forse è l'ora di andare a dormire" pensò Schuldich in piedi sul terrazzo dell'appartamento.

"Addio mio bel sconosciuto è stato un piacere conoscerti…" pensò ancora.

Provava un senso di smarrimento, come se avesse perso qualcosa di importante, forse se avesse chiesto a Ken di dargli l'indirizzo…forse anche un assassino come lui poteva ambire ad una vita normale.

Prima di rientrare si fermò: "Se fossi stato il ragazzo dai capelli rossi non ti avrei lasciato" e confessando questo pensiero al vento attraversò la porta vetrata e la richiuse dietro di sé.

Fine


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