Hi everybody!
Velocissima
introduzione:
Questa
fic è il seguito di “The night the sky fell down”. Tra le mail che ho ricevuto molti si “lamentavano” del
fatto che la madre di Sendoh fosse troppo intransigente, che non tutti i
genitori sono di mentalità così ristretta.
Lo
so.
Colgo
qui l’occasione per chiarire che sono perfettamente cosciente che molto spesso
la gente reagisce meglio di quel che pensiamo, ma dovete ammettere che non
sempre è così; io ho voluto rappresentare la “faccia buia” del coming-out,
volontario o meno che sia.
Cmq,
in questa fic scoprirete che dopotutto non sono così pessimista (e basta solo
leggere il titolo per capirlo)^^
Un
particolare ringraziamento va alla mai grandissima amica Francesca: sei la musa
che ispira tutte le cose comicamente folli che scrivo… ^^… e non solo
quelle!
Il
ritornello dei disclaimers lo conoscete a memoria, vero? A scanso di
equivoci, sappiate comunque che i personaggi di Slam Dunk non mi appartengono,
sono tutti di Inoue Sensei... la mia campagna per l'appropriazione non ha ancora
dato i suoi frutti, ma io non dispero!!
Un
grosso bacio a tutti quelli che mi conoscono e a voi, che state per leggere
quello che ho scritto.
Spero
vi piaccia
Un
bacio
An
Raising the
sky again and covering it with stars di
Antares
Parte
prima:
Fragments of life
Un’altra
mattina, un altro risveglio.
Non
solitario, però.
Nessuna
sveglia a cacciarlo fuori dalle terre di Morfeo, solo un respiro fattosi
più leggero mano a mano che la buia signora esce mogia di
scena, quel ritmo calmo e tranquillo come la marea che l'aveva traghettato
al sicuro per tutta la notte ed ora lo svegliava.
Il
miglior buongiorno che si potesse mai desiderare.
Sendoh
cercò con lo sguardo la sagoma del compagno che gli dormiva accanto...
accarezzò piano la pelle morbida, quasi con reverenza.
Non
voleva che si svegliasse, non ancora
Voleva
avere il tempo di ammirarlo, senza che lui sbuffasse infastidito.
Improvvisamente
Koshino si voltò nel sonno, finendogli praticamente addosso.
Imbarazzato,
Sendoh fece per scostarlo... se avesse aperto gli occhi in quel momento
sarebbero stati dolori.
L'avrebbe
accusato di essersi approfittato di lui, o Kami sapeva che altro.
Con
un sospiro, l'alto giocatore del Ryonan si accinse a rimetterlo supino sul
futon.. nonostante dormissero assieme, Hiro-kun non gli permetteva mai di
andare più in là di qualche bacio, e ad essere sinceri, a lui andava
benissimo così.
La
vicinanza del ragazzo era più che sufficiente, per ora.
Voleva
imparare a conoscerlo meglio, a dare un senso a tutto quello che sembrava
averli investiti, prima di azzardare altre mosse.
C'era
tutto il tempo del mondo.
Strani
pensieri da parte di un ragazzo che con il sesso non si era mai fatto
troppi problemi… a 17 anni poteva vantare una media estremamente alta di
“conquiste”, il miglior seduttore della prefettura… ma se ora
ripensava a tutte le ragazze che si era portato a letto, non riusciva ad
abbinare il nome alla faccia corrispondente.
Fastidioso,
doveva ammetterlo; e anche… imbarazzante, si.
Delicatamente
appoggiò la mano sulla spalla del ragazzo e cercò si spingerlo via da sé.
Niente
da fare.
Anzi.
Ogni
suo tentativo veniva ulteriormente frustrato da sbuffi annoiati della
"bell’addormentata", che sembrava avere tutta l'intenzione di
rimanergli accoccolato addosso.
"Koshino,
accidenti!" sbottò, esasperato.
La
causa della sua irritazione mugolò qualcosa nel sonno, e gli si fece
ancora più vicino, passandogli un braccio attorno alla vita e
appoggiandogli il viso sul petto.
D'improvviso
sembrò acquietarsi, come un gattino che finalmente conquista l’agognato
posto in grembo al padrone.
Sendoh
desistette, se avesse insistito sicuramente Koshino si sarebbe svegliato;
e questa, ora, era l’ultima cosa che voleva.
Si
risistemò sul futon, agganciando con un braccio la vita del compagno e
allacciando le loro mani.
So
close, no matter how far, couldn'
t be much more from the heart; forever
trusting who we are, and
nothing else matters.
(Così
vicini, non importa quanto lontani, più
di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore; confidando
in chi noi siamo, e
nient'altro importa)
Sospirò,
soddisfatto… questo non l’aveva mai provato, con nessuna delle
precedenti fiamme…
Un
bozzolo caldo, come il sole a picco sulla spiaggia a mezzogiorno e sicuro.
Aveva
la sensazione che non potesse capitargli nulla di male, fino a che se ne
restava lì.
Stringendosi
al suo ragazzo, scivolò di nuovo nel sonno.
***
“A-kiiiii-raaaa”
Il
suo nome, pronunciato in tono palesemente infastidito, gli trapanò
l’orecchio.
Non
si dette pena di rispondere, sapeva benissimo qual era il problema.
“Akiraaaaaa….”
Kami,
che stress!
“Mhhh?”
“Cerca
di svegliarti e toglierti da sopra di me… mi soffochi!!”
Sendoh
sorrise tra sé… riecco il caro, vecchio Koshino.
Sempre
mantenendo gli occhi ben serrati, allentò l’abbraccio con cui teneva
imprigionato a sé il ragazzo, e rotolò lontano, trascinandosi dietro le
coperte, e finendo in un angolo del futon.
Koshino
rimase ad osservare per qualche istante quella specie di involtino umano
con una zazzera di capelli neri che spuntava dalla sommità, suo malgrado
curioso di vedere se stesse per stabilire il nuovo record di apnea.
Dato
che il “coso” non dava segni di voler uscire dal letargo, ne approfittò
per vestirsi e fare una puntata in bagno; tornato in camera, vide che
la situazione non era cambiata.
“Oi
Sendoh…” lo chiamò.
Non
gli arrivò alcuna risposta dall’ammasso di coperte.
Che
si fosse riaddormentato? In quel caos??
No,
non era possibile.
*Ma
in fondo stiamo parlando di Sendoh…* riflettè.
Si
avvicinò, e, con un piede, scosse quelle che, dopo un’attenta
valutazione, sperava essere le gambe dell’amico.
“Akira,
sei vivo?”
“Mhhhhh”
Il
cavernoso mugugno lo rassicurò… era ancora in questo mondo.
“Senti,
non credi sia ora di alzarti?”
“Mhhhhhhhh”
No,
non credeva.
Non
era possibile ogni mattina inscenare il teatrino per tirarlo giù dal
letto!!!!
“See…
ok, Akira Sendoh, credo tu abbia poltrito anche troppo”
Veloce
e risoluto, si diede da fare, e cominciò a svolgere il bozzolo di coperte
nel quale si era rifugiato Akira in versione orso-in-letargo.
Dalle
pieghe della tana ormai in sfacelo, Koshino vide brillare due occhi ancora
pesti di sonno e palesemente intenzionati a dormire ancora. Borbottando
fra sé, con un ultimo strattone si riappropriò della coperta,
l’avvolse sotto il braccio, e la portò in un angolo della stanza, fuori
dalla portata di Akira.
“Hiro-kunnnnn”
Si lamentò Sendoh, rannicchiato a terra.
Koshino
lo osservò un istante, dominando l’impulso di chinarsi e scompigliargli
i capelli…
“Piantala
e alzati!” lo zittì Koshino, prima di uscire dalla stanza e cancellare
così il pericolo di correre ad abbracciarlo.
Pochi
secondo dopo lo sentì ciabattare in giro per casa; non riuscì a
trattenere un sorriso di trionfo, la sua cura drastica aveva funzionato!
Con
il cuore in pace, si avviò verso la cucina, e, una volta arrivato, fissò
con aria truce i fornelli, arrovellandosi su cosa preparare e soprattutto
su come riuscirci.
Odiava
cucinare, per pochi, precisi motivi: prima di tutto, si perdeva troppo
tempo, poi c’era da contare che era un lavoro faticoso e di poca
soddisfazione e, ultimo ma non meno importante, lui tra i fornelli faceva
pietà… era ragionevolmente sicuro di aver ormai totalizzato i punti
necessari per partecipare all’elezione “cuoco fallito dell’anno”,
se mai ce ne fosse stata una.
Il
fiorente ampliarsi dell’industria dei tegami era dovuto a lui a tutte le
pentole che aveva distrutto, questo era certo.
Ma
piuttosto che lasciare che Akira Sendoh si avvicinasse alla cucina,
Hiroachi-carbonizzatore-folle-Koshino era disposto a diventare massaia
dell’anno.
Aveva
assistito a troppe battaglie epocali combattute dalla stella del Ryonan
contro assurde brodaglie che strabordavano dalle pentole per fidarsi… se
con i piatti preparati da lui si poteva rischiare al massimo un leggero
mal di stomaco, con i deliziosi manicaretti semoventi che riusciva a
creare Akira si finiva attaccati ad una flebo in ospedale, dopo aver
subito una lavanda gastrica d’emergenza.
No
way… per il suo sorridente ragazzo la cucina era e sarebbe sempre stata
off-limits.
Mentre
ragionava su queste ed altre disgrazie che sapeva avrebbero costellato la
sua convivenza con Sendoh, Koshino non riusciva comunque a non sorridere.
In
fondo non gli dispiaceva avere un simile pasticcione sorridente che gli
girava per casa; Akira lo metteva di buonumore, stemperando con la sua
dolcezza i lati burberi del suo carattere; era un ragazzo straordinario…
pacifico, certo, alle volte quasi chiuso nel suo mondo di tranquillità,
un po’ matto, ma meraviglioso.
Never opened mysel this way,
life is ours, we live it our way;
all these words I don't just say,
and nothing else matters.
(Non mi sono mai aperto così,
la vita è nostra, la viviamo a modo nostro;
più di quanto queste parole non dicano,
e nient'altro importa)
*Il
mio ragazzo* pensò Koshino.
E
gli venne da ridacchiare, alla strana sensazione di calore alle guance
“Il
mio ragazzo” ripetè, a voce alta.
Non
lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura (bhè, magari se l’avessero
obbligato a mangiare qualcosa cucinato da Sendoh, avrebbe anche potuto
pensare di cedere… un pochino), ma gli piaceva come suonava.
Gli
piaceva da pazzi.
Un
odore di bruciato lo distolse dalle sue fantasticherie, riportandolo
bruscamente a terra.
“Merda!”
esclamò, contrariato, appena vide quel che restava della loro
colazione… o di quello che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la
colazione… un ammasso di roba non ben identificabile, quasi
completamente bruciato.
Corrucciato,
provò a sollevarlo dalla pentola avvalendosi di un cucchiaio di legno.
“Magari
se lo ricopro di panna, Akira lo mangia…” riflettè.
In
fondo Sendoh ingoiava di tutto.
Il
cucchiaio affondò in quell'agglomerato gommoso… e lì rimase.
Nonostante
gli sforzi di Koshino sembrava essersi cementificato dentro, diventando un
tuttuno con il suo esperimento culinario…
Affranto,
considerò che non c’era speranza di far passare quella cosa per
commestibile e rifilarla ad Akira, specie con quella stoviglia inquietantemente
inglobata…
“Ma
bene! Ho perso una pentola, un cucchiaio e un sacco di roba da mangiare…
ma bene davvero!” mentre occhieggiava disperato il disastroso esito
del suo estro creativo, una profonda ruga gli andava increspando la fronte
“Ottimo! Ora mi toccherà andare fuori a comprare qualcosa, e io odio
uscire la mattina presto, e se non lo faccio Akira mi tirerà scemo
dicendo che ha fame… peggio di così non può andare!!!!”
Da
qualche parte, nella casa, qualcuno cominciò a cantare a squarciagola.
Oh
no, questo NO! Non anche quella mattina, non di nuovo!!!
“SENDOHHHHHHHHH!!”
Senza
quasi pensarci, Koshino abbandonò la cucina e tutto il disastro che
troneggiava sui fornelli, per affrontare a passo di carica le
scale, travolgendo qualunque cosa si trovasse sul suo cammino.
Mano
a mano che si avvicinava alla stanza da bagno il disgustoso berciare
(perché non poteva essere definito canto, no, assolutamente, nemmeno
avvalendosi di tutta la buona volontà del mondo) aumentava in modo
esponenziale. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successo, ormai era
una costante; ogni volta che quell'imbecille decideva di sguazzare nella
vasca doveva dare ascolto a quell'insano impulso che lo spingeva a far
vibrare le sue corde vocali in assurdi, stonatissimi ritornelli.
Arrivato
davanti alla porta, picchiò con violenza il pugno chiuso, schiantandolo
sul legno.
“AKIRA!”
gridò.
Niente
da fare, l’esibizione canora continuava, con più entusiasmo di prima.
Risoluto,
ruotò la maniglia, catapultandosi nel bagno.
Venne
investito dalla nebbia provocata dall’acqua calda e contemporaneamente
dalla voce del ragazzo che se ne stava beatamente a mollo nella vasca (il
bagno è quello tradizionale giapponese… la stanza che contiene
unicamente la vasca da bagno enorme; ndA), beatamente ignaro del
nervosismo crescente di Koshino.
“Hiro-kun!”
lo accolse, sorridente, agitando felice una mano grondante d’acqua
per salutarlo.
Koshino
respirò a fondo; bhè, perlomeno aveva smesso di cantare. Si stava quasi
calmando, quando si accorse di quello che galleggiava nella vasca… NON
ERA POSSIBILE!!
“E
quelle, dove le hai trovate???” squittì, ancora incredulo, non sapendo
bene se prendersi la testa tra le mani e piangere o scattargli una foto e
attaccarla negli spogliatoi della squadra.
“Erano
nell’armadietto, dietro ai flaconi del bagnoschiuma… sembrava mi
chiamassero!” asserì, ridacchiando.
Koshino
lo fissò, per la prima volta a corto di parole. Tutto quello che stava
accadendo sembrava uno di quegli episodi della serie "Ai confini
della realtà", e la faccia pacificamente in pace col mondo di Akira
non lo aiutava di certo a mantenere il controllo... lo stava fissando di
rimando, con lo sguardo che scintillava, palesemente divertito, e Koshino
non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, quasi per assicurarsi della
veridicità di quella scena.
“Vuoi
fare il bagnetto con me?” interloquì Sendoh, squadrandolo malizioso e
fraintendendo la ragione di quell’accurato esame.
“No,
razza di pervertito!” ribatté Koshino, freddandolo, anche se una
vocetta dentro di lui gli sussurrava che invece era esattamente una delle
cose che desiderava fare; e la sua attenzione si spostò quasi
naturalmente su quella pelle lucida d'acqua, sui muscoli delle
braccia, sui capelli che ricadevano morbidi fino quasi a lambire le
spalle... contro ogni sua volontà, deglutì pesantemente.
“Hiro-kun…”
lo richiamò Sendoh.
“Senti..
vuoi fare il bagno.. fallo!" esplose Koshino, che per nascondere
l'imbarazzo e lo strano calore che gli aveva invaso le membra ricorse al solito
vecchio trucco di scaricare la tensione prendendosela con lui
" Vuoi giocare con le paperette di mio cugino… giocaci! Ma per
favore, ti prego, NON CANTARE!”
“Vuoi
dire che non apprezzi le mie doti canore???” chiese sbalordito Sendoh,
il tono della voce genuinamente incredulo.
“Tu
non hai doti canore, è questo il guaio!!” gli fece notare Koshino,
sbuffando.
“Hiroachi
Koshino, sei senza cuore!”
“Meglio
senza cuore che con i timpani sfondati!!”
“Come
osi!!!”
Intuendo
dall’espressione risoluta del suo ragazzo che in capo a pochi secondi si
sarebbe ritrovato in acqua, Koshino batté in ritirata.
Una
volta chiusasi la porta alle spalle, rimase qualche secondo in ascolto.
Tese
l’orecchio, ma era solo il silenzio più assoluto.
Soddisfatto,
si concesse un sorrisetto trionfante, mentre si accingeva a recuperare il
giubbotto e qualche yen per andare a prendere la colazione, seppellendo le
sensazione di poco prima in un angolino remoto di sè... cercando di farlo
perlomeno.
Era
riuscito a farlo alzare dal letto e a farlo smettere di gorgheggiare come
un usignolo ubriaco… perfetto!
2-0
per lui, quella mattina.
Stava
per chiudersi la porta d’ingresso alle spalle, quando la voce di Sendoh,
più stonata e pimpante che mai, invase di nuovo la casa.
Stavolta
si era lanciato in una personalissima interpretazione dell’inno
giapponese.
2-2…
quel massacro di note valeva doppio.
“Io
lo uccido… vado, compro da mangiare, e lo uccido” decise Koshino,
mentre si avviava verso il negozio all’angolo.
***
Appena
Sendoh fu sicuro che Koshino aveva lasciato la casa, smise di ululare.
“La
mia povera voce” esclamò, massaggiandosi la gola.
In
realtà non era così stonato, solo che si divertiva un sacco ad
esasperare il povero Hiro-kun… l’apice l’aveva toccato con la storia
delle anatre di plastica; le osservò beccheggiare attorno a lui, e scosse
la testa
Aveva
visto benissimo la smorfia che Koshino si sforzava di trattenere… stava
per ridere! Era quasi riuscito a farlo ridere. E Kami sapeva se non ne
aveva bisogno!
Aveva
pure fatto la figura dell’idiota, certo, ma…
Sospirò
pesantemente.
Era
da una settimana che il suo Hiro-kun era teso, e era facile intuirne il
motivo; il giorno dopo sarebbero tornati i suoi, dal famoso viaggio a casa
della zia.
E,
una volta tornati, avrebbero dovuto essere informati di un paio di cosette
che erano successe durante la loro assenza.
La
parte pessimista di lui era convintissima che avrebbe assistito alla
replica di quel che era accaduto quasi due settimane prima con sua madre,
e che anche Hiroachi sarebbe stato costretto a dover scegliere tra lui e
la sua famiglia.
“Non
è giusto!” sbottò, spazzando via con una manata irata le paperelle che
galleggiavano innocentemente, ignare e silenziose.
Si
prese la testa tra le mani… non poteva continuare a nascondersi, sapeva
benissimo che sarebbe dovuto tornare a casa ed affrontare nuovamente sua
madre; avrebbe dovuto farlo, anche perché non poteva aspettarsi che i
genitori di Koshino accettassero di vederlo girare per casa loro, in
special modo dopo che avessero saputo che genere di rapporto intercorreva
tra lui ed il loro adorato figlio.
Quella
sera stessa, al più tardi domattina, si sarebbe trovato davanti a sua
madre… e non aveva la minima idea di cosa dirle.
Lei
non l’aveva più cercato, non si era più fatta sentire, e questo non
era molto incoraggiante… non era assolutamente incoraggiante.
Restò
a mollo per qualche altro minuto, fino a che l'acqua calda non cominciò a
dargli fastidio... gli era venuta voglia di andare a correre, di muoversi,
pensare a sua madre lo aveva fatto diventare nervoso, cosa che di solito
non gli accadeva mai; si alzò pesantemente dalla vasca, acchiappando un
asciugamano e strofinandoselo negligentemente addosso e poi legandoselo
alla vita.
Uscì
dal bagno, pensieroso, il viso irato e sconvolto di sua madre davanti agli
occhi, che gli impediva di pensare coerentemente.
“Akira”
La
voce calda di Koshino lo riscosse.
Sendoh
alzò lo guardo, e si ritrovò a fissare il suo ragazzo: era al centro del
piccolo corridoio, le gote leggermente arrossate e stringeva in mano un
sacchettino.
Dal
delizioso profumo che invadeva l'aria, Sendoh dedusse che era appena
tornato dal comperare la colazione.
“Ehy”
lo salutò, sorridendogli.
Koshino
non dette segno di averlo sentito; con un imbarazzo che credeva di non
essere capace di provare, Sendoh si accorse di come lo sguardo del ragazzo
vagasse sul suo corpo, rendendolo acutamente consapevole della sua quasi
totale nudità. Era lo stesso sguardo che gli era sembrato di intercettare
anche prima, durante la loro scenetta in bagno, solo che stavolta sembrava
più intenso, bruciante.
Degluttì,
e per un attimo trovò difficile respirare: l’aria si era fatta spessa,
bollente.
O
era lui ad avere caldo?
Come
camminando in un sogno Koshino venne avanti, fino a fermarsi a pochi
centimetri da lui.
Una
volta che furono uno di fronte all’altro, allungò tentativamente un
dito fino a sfiorargli la pelle nuda, una leggera e timida carezza a
corrergli lungo la linea dei pettorali.
Sendoh
trattenne il respiro.
Le
cose stavano prendendo una piega inaspettata e lui non si sentiva
propriamente sicuro.
Per
la prima volta aveva quasi paura… e la contrazione al basso ventre che
avvertì lo allarmò.
“Hiroachi…”
lo chiamò, la voce scesa di un’ottava, come il sensuale ronfare di un
gatto.
Koshino
si riscosse, e fece precipitosamente due passi indietro, confuso.
Che
gli era preso, per Kami?!
“Hiroachi…”
Ancora
la sua voce, roca e meravigliosamente sensuale.
Koshino
alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello di Sendoh… era febbrile,
dolce, eccitato.. e spaventato?
Anche,
anche spaventato.
Paradossalmente
fu questo a rassicurarlo.
Senza
dire una parola gli si riavvicinò e gli passò le braccia attorno al
collo, cercando le sue labbra, divorandogliele in un bacio profondo e
umido, lasciandosi a sua volta assaggiare.
Mugolò
qualcosa, parole senza senso alcuno, ma non riusciva a stare zitto.
Baciare
Akira era sconvolgente; sentire le sue
mani abbrancargli con forza la vita era sconvolgente.
I
suoi capelli, senza la solita impalcatura di gel, gli ricadevano morbidi,
fino a lambirgli il collo, sfiorandogli gli occhi, e intrecciandosi ai
suoi… con una mano li accarezzò, mentre avvertiva la lingua di Sendoh
esplorare la propria.
Non
riusciva a fermarsi, non voleva fermarsi… voleva solo sentire Akira
contro di lui, la sua pelle sulla sua, e nient’altro.
Terminarono
il bacio, a corto di fiato.
“Forse
è meglio se mi faccio una doccia fredda” scherzò l’alto giocatore
del Ryonan, strofinando giocosamente il naso contro quello del compagno
prima di sciogliere l’abbraccio.
Koshino
aggrottò le ciglia, e, istintivamente, abbassò lo sguardo a fissare un
punto al di sotto della cintola dell’amico.
Arrossì,
imbarazzato.
Sendoh
ridacchiò, portandosi una mano dietro la testa, per nasconderne il
tremito.
Stavolta
ci erano andati davvero vicini.
Si
voltò e fece per ritornare nella stanza da bagno… e valutò ci
sarebbe rimasto molto a lungo.
Improvvisamente
si sentì afferrare per un braccio.
“No.”
Sussurrò Koshino
Il
cuore di Sendoh mancò un battito.
“No?”
ripetè, stupidamente.
“Rimani”
un altro sussurrò, flebile.
Ma
l’aveva sentito.
Sendoh
ritornò a guardare il compagno, costringendolo con una mano sotto il
mento ad alzare il viso.
“Non
credo che sia una cosa saggia da fare…” solo Kami sapeva quanto gli
costassero quelle parole, ma Hiroachi era troppo importante per lui, non
voleva rischiare di commettere errori, non voleva bruciare le tappe… non
se lo sarebbe mai perdonato.
Così,
la furia che lesse negli occhi di Koshino lo colse completamente
impreparato.
“Ma
cosa diavolo ne sai tu di quello che è meglio fare, eh?” la furia delle
sue parole lo investì come un treno lanciato a piena velocità “Non fai
altro che comportarti da hentai, e poi non appena te ne do l’occasione,
mi rifiuti.. CHI TI CREDI DI ESSERE?”
Sendoh
lo fissava, attonito. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo, e la
cosa lo sconcertava.
"Non
mi vuoi, è per questo?? E' PER QUESTO?"
Il
ragazzo più alto scosse la testa, frastornato, incapace di dare un senso
alle accuse che gli venivano urlate contro. Come poteva anche solo pensare
che per lui fosse facile allontanarlo? Come poteva non capire che lo stava
facendo per lui? Hiroachi era sconvolto, confuso... gli stava accadendo
tutto in fretta, e Sendoh non voleva che poi ci fossero pentimenti e
recriminazioni... voleva che lui fosse sicuro del passo che stava per
fare, che si sentisse pronto a prendere quella decisione con calma e
lucidità. E al momento non gli sembrava nè calmo nè lucido.
Koshino,
una volta esaurito il fiato, rimase immobile, respirando a fondo,
fronteggiandolo nel più assoluto silenzio. Sendoh prese fiato, per dare
voce a tutto quello che stava pensando, per fargli capire... ma la voce
gli morì in gola quando lo vide cominciare a tremare e le lacrime
iniziare a rotolargli giù dalle guance, sempre più copiose.
“Oh,
no..no, no, ti prego, non fare così…no…” bisbigliò Sendoh,
avvicinandosi e prendendolo ancora una volta tra le braccia.
Hiroachi
si svincolò, tentando di scappare, ma ben presto smise di opporre
resistenza e si lasciò andare, permettendo ad Akira di cullarlo
dolcemente.
“Va
tutto bene Hiro-kun, shhhh… va tutto bene” bisbigliò Sendoh contro i
suoi capelli, accarezzandogli piano la schiena per calmarlo.
“Scusami,
io non so … non so davvero cosa… cosa mi sia preso… io…”
Le
parole di Koshino venivano fuori con difficoltà, poi il ragazzo tacque
dal tutto, rannicchiandosi contro il petto dell’amico e cominciando a
singhiozzare.
“Lo
so amore, lo so… shhh…”
I
singhiozzi di Koshino gli facevano male… sapeva del turbinio di
sentimenti che dovevano squassarlo; l’arrivo dei genitori, quello che
provava per lui, ammettere tutto di fronte alle persone che l’avevano
cresciuto e magari rischiare di perderle… lo strinse più forte,
cercando di confortarlo con la sua presenza.
So close, no matter how far, couldn' t be much more from the heart; forever trusting who we are, and nothing else matters.
(Così vicini, non importa quanto lontani, più di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore; confidando in chi noi siamo, e nient'altro importa)
La
paura di Koshino, il suo bisogno di essere rassicurato… li aveva provati
anche lui, solo poche settimane prima.
E ora
si rendeva conto che nessuna parola sarebbe servita, perché per
certi dolori le parole sono come un refolo di vento contro la roccia.
Dolcemente
lo sospinse verso la camera, e, una volta arrivati vicino al futon,
trascinò entrambi sulle coperte. Lo teneva sempre stretto, contro di sé,
avvertendolo tremare… il pianto si era placato, e il respiro si andava
regolarizzando.
“Ci
sono io… tranquillo…”
“Aki…”
“Io
non ti lascio, mi hai capito? Io non ti lascio”
Never opened mysel this way, life is ours, we live it our way; all these words I don't just say, and nothing else matters.
(Non mi sono mai aperto così, la vita è
nostra, la viviamo a modo nostro; più di quanto queste parole non dicano, e nient'altro importa)
Avvertì
i leggeri baci che Koshino gli dava sul petto, e questa volta non lo
allontanò.
Non
sarebbe servito, a nessuno dei due. In quel momento Hiro-kun voleva solo
sentirsi accettato, amato, e stava chiedendo a lui di dimostrargli il suo
affetto; bene, se era questo che voleva, se era questo di cui aveva
bisogno Akira non si sarebbe tirato indietro... forse era giusto così,
forse non ci sarebbe mai stato momento migliore.
Il
volto del ragazzo risalì, a baciargli il punto proprio sopra il cuore,
poi le scapole, la gola… mordicchiandogli piano il mento, le labbra
arrivarono sulle labbra… assetate, voraci… disperate.
“Stai
con me.. Akira, ho bisogno di sentirti…”
Un
lieve sussurro, tra un bacio e l’altro.
“Si”
Trust I seek and I find in you, every day for us there's something new; opened mind for a different view, and nothing else matters
(Cerco fiducia, e la trovo in te, ogni giorno ci riserva qualcosa di nuovo; menti aperte per una visione differente, e nient'altro importa)
Un
altro bacio.
Profondo,
quasi a suggellare un patto solenne; l’inizio di un rito antico quanto
la terra.
Curiosità…
Mani
che esplorano, esitanti, mani che accarezzano… mani che si
allacciano e si sciolgono. Mani che creano legami.
“Per
me è la prima volta…”
…timore…
“Anche
per me, Hiro-kun… non ho mai *fatto l’amore*, prima, mai…”
…dolcezza…
La
lieve frizione della pelle sulla pelle arrossata, dall’imbarazzo,
dall’eccitazione; una sensazione calda che dal centro del corpo dilaga
fino alle estremità… fuoco liquido.
…frenesia…
Ansiti
di desiderio, gemiti… parole bisbigliate in lingue sconosciute.
Incoerenti,
magiche, sussurrate come una litania.
…passione,
dolce come il peccato.
Poi
solo brividi e luce.
***
I
loro respiri andavano normalizzandosi.
Schiantati,
come fulminati da tutto quello che era appena accaduto, se ne restavano
sdraiati sul futon, l’uno addosso all’altro.
Koshino
si sistemò meglio contro il petto di Sendoh… sfregando il naso contro
la sua pelle.
Aveva
un buon odore, ed era così morbida… da mordere.
Era
bello stare così… lui, Akira, era bello.
E
dolce, e tenero, e paziente.
Non
avrebbe mai pensato che la sua prima volta
sarebbe potuta essere così intensa.
“Grazie”
bisbigliò.
“E
di cosa, scemo?”
“Di
essere con me”
Sendoh
sorrise, un sorriso dolcissimo, mentre scostava i capelli umidi dalla
fronte del compagno e scendeva a posargli un bacio leggero sulla tempia
“Dicevi
sul serio, prima?”
“Hn?”
“Si,
insomma.. quando hai detto che non l’avevi mai fatto…”
“C’è
un oceano di differenza fra sesso e amore, Hiro-kun, e io non sono così
stupido da non capirlo”
Rimasero
nuovamente in silenzio, ad ascoltare l’uno i battiti del cuore
dell’altro.
“Andiamo
da tua madre, stasera.”
Sendoh
si riscosse, allarmato.
“Cosa?”
“Lo
sai benissimo” continuò imperterrito Koshino, sollevandosi sui gomiti e
fissandolo in viso “Devi affrontarla, e non lo farai da solo”
“Hir…”
“Lascia
stare, ci andiamo insieme, stasera, e domani lo diremo ai miei.”
“Non
ti sembra di essere troppo precipitoso?”
“No”
secco, lapidario.
“Senti,
ormai mia madre è una causa persa, ma dovresti andarci piano con i tuoi,
abituarli all’idea…” cercò di farlo ragionare Sendoh.
“Ma
non essere scemo! E che gli dico? Comincio a fare commenti su quanto trovi
estremamente sexy il mio nuovo vicino?”
“Hai
un nuovo vicino?” si informò Akira, stringendo gli occhi, preoccupato
per una possibile minaccia.
“NON
è QUESTO IL PUNTO!”
“COME
NO?! Mi vieni a dire che qui intorno bazzica un uomo sexy, che io non ho
mai visto, e dovrei star tranquillo??”
”Akira,
alle volte ti strozzerei!”
“Ecco,
bravo, così poi te la vai a spassare dal vicino!”
“Ma
sarai idiota!” urlò, esasperato, Hiroachi “Era solo un esempio!”
“Ahhh…
bhè, potevi dirlo subito!”
“Cretino!”
“Imbecille!”
Si
sorrisero.. o almeno, Sendoh sorrise, Koshino esternò il solito broncetto
che il suo compagno trovava a dir poco delizioso e che per lui equivaleva
ad un sorriso.
“Comunque,
riguardo ai miei …” tornò alla carica “… figurati se tua madre
non dirà nulla! E preferisco che lo sappiano da me, piuttosto che…”
“Sei
sicuro?”
Koshino
annuì.
“Sono
sicuro… di te e di me. Il resto viene di conseguenza”
Sendoh
scosse la testa, suo malgrado ammirato.
Poi
lo attirò contro di sé, facendolo appoggiare sul suo petto, labbra
contro labbra.
“Sei
straordinario lo sai?”
“Si”
Sendoh
sbottò a ridere, seguito a ruota da Hiroachi… ma la risata durò poco,
quelle labbra erano così invitanti…
“Hiro-kun…”
“Dimmi”
“Ma
sei sicuro che non ci sia nessun nuovo vicino?”
“AKIRAAAA!!!”
Seconda
parte: It’s
not easy to say, but…
(Sendoh’
s pov)
Strano.
Strano
come la mente distorca il tempo e le distanze.
Nei pochi minuti
che abbiamo impiegato per arrivare a casa di mia madre ho fatto a tempo a
ripensare a tutta la mia vita. La strada non è lunga ma ora so cosa prova
un condannato quando avanza verso il patibolo.
E ho paura.
Paura
di essere respinto di nuovo, perché se questo avverrà, io non farò più
passi in avanti per cercare di farle capire le mie ragioni.
I
miei sentimenti.
Quello
che mi spaventa davvero è la minaccia di perdere l’unica persona che
rappresenta la mia famiglia, mia madre, la donna che mi ha nutrito e dato
affetto da quando sono nato. E io non voglio. Perché se questo accadrà
una parte di me se ne andrà per sempre.
Il
mio Hiro-kun mi cammina a fianco, sento che è teso… lo vedo da come
cammina, dalle occhiate rapide che mi lancia e che crede che io non
percepisca. E’ preoccupato per me, e anche per se stesso, perché,
esattamente come me, crede che quello a cui assisterà tra poco sarà la
copia esatta di quello che è successo due settimane fa e di quello che
accadrà domani, con i suoi.
Non
sono ancora convinto che sia un bene affrontarli, così, di petto, ma
forse non ci sono davvero altre soluzioni.
E'
tutto così maledettamente difficile, e quasi vorrei nascondere la testa
sotto la sabbia e non pensare più a nulla.
Ma
non posso, non sono mai stato un vigliacco.
Ecco,
siamo arrivati.
La
villetta, casa mia, è qui davanti a noi.
Casa
mia.
E'
questa.
Guardo
il campanello... si, c'è pure scritto "Sendoh" sulla targhetta.
Devo
suonare? Devo suonare.
"Dai"
A
parlare è stato Hiroachi.
Io
mi limito ad annuire, mentre allungo la mano e lascio trillare il
campanello. Quasi spero che non ci sia nessuno a casa, ma so che non è
così. Non è mai così.
Il
sangue mi romba nelle orecchie... mi tremano le gambe...
"Aki..."
il mio nome viene sussurrato con urgenza.
Guardo
Koshino, che mi fa segno con la testa di andare al citofono; la luce è
accesa, e qualcuno sta parlando. Una voce femminile, la sua voce, che
chiede insistentemente chi è.
"Sono
io, mamma"
Il
citofono si zittisce... è il silenzio più assoluto, da entrambe le
parti. Non se lo aspettava? Credeva che non sarei più tornato? O forse è
stupita della mia sfacciataggine, a ripresentarmi qui, dopo la vergogna
che le ho gettato addosso?
Il
cancelletto si apre, con uno scatto metallico.
Ok,
ok.
Lo
spalanco del tutto e mi avvio verso la porta d'entrata. Sento i passi di
Koshino, dietro ai miei, e credo sia questo che mi impedisce di non
scappare a gambe levate; tutto il mio coraggio è ridotto ad un cumulo di
cenere. Arrivo alla porta, quando questa comincia ad aprirsi, e la figura
di mia madre mi compare davanti.
La
prima cosa che penso è che voglio abbracciarla. Abbracciarla forte. E'
mia madre, e le voglio bene.
Ma
poi la guardo negli occhi, e vi scorgo una durezza adamantina che non
c'era mai stata prima. Sembra invecchiata. Ci sono rughe sul suo viso.
Rughe profonde. I primi fili grigi fra i capelli.
E'
cambiata così tanto, da quando me ne sono andato, o sono io a vederla con
occhi estranei?
Non
riesco a non pensare che non sia colpa mia.
"Akira"
è tutto quello che dice.
Anche
la sua voce è diversa. Fredda, distante.
Ho
ancora qualche possibilità? Oppure mi ha già giudicato e condannato?
"Ciao
mamma"
Non
si scosta dalla porta.
Ho
quasi paura che sia il chiaro invito a non entrare.
Improvvisamente
vedo che i suoi occhi si dilatano, e capisco il perché non appena la
sagoma di Hiroachi mi compare di fianco. La saluta con un cenno timido del
capo, ma non viene ricambiato. Gli occhi di mia madre sono nuovamente
fissi su di me; ha preso atto della presenza del mio compagno, ma non è
disposta a considerarla oltre. Sento le prime avvisaglie della rabbia
montarmi dentro, ma non sono intenzionato a permetterle di prendere il
sopravvento.
Io
sono qui per parlare, per discutere e cercare di capire e far capire.
Non
voglio litigare, non di nuovo e non con lei.
L'odio
non è mai stato nel mio vocabolario, e non voglio iniziare adesso.
"Sei
tornato, alla fine"
Annuisco.
"Perché?"
Come
perché? Non capisco cosa vuole dire...
"Ti
dispiace?" è tutto quello che riesco a rispondere, e subito dopo
averlo detto mi mordo la lingua. Stupido. Non devo litigare.
Mia
madre scrolla le spalle, socchiudendo appena gli occhi, e poi torna a
guardarmi.
"Avresti
preferito che non fossi tornato?"
Non
era così che intendevo parlarle, non era così. Nella mia mente ci
saremmo seduti in salotto, io le avrei esposto il mio pensiero, lei il
suo. Magari alla fine non avrebbe condiviso, ma ci saremmo abbracciati, e
lei mi avrebbe detto che nonostante tutto mi voleva bene, che le ero
mancato, perchè ero suo figlio e qualsiasi decisione avessi preso mi
sarebbe stata accanto.
E
invece siamo qui, sul porticato di casa, come tre estranei.
"Credevo
preferissi altre compagnie" il suo tono è calmo, monotono
"Pensavo fossi troppo occupato per cercarmi"
La
sento di nuovo.
La
rabbia, come un velo rosso sui miei occhi.
Chi
è la madre? Chi è il figlio? Chi ha bisogno di essere aiutato a
crescere? CHI??
La
guardo intensamente, e mi sento meschino e cattivo.. per la prima volta in
vita mia ho il cosciente desiderio di fare del male, di ferire.. e so che
sarei felice nel vedere la sofferenza. Le sue parole, sono le parole che
mi aspetterei da un mio coetaneo, da un ragazzino.
Non
da un adulto, non da una madre.
E'
colpa mia, in parte è così.
Il
mio essere gay è colpa mia.. ma si può parlare di colpa? No, in fondo al
cuore so che non si può. Io sono così, e il fatto di amare un altro
ragazzo non fa di me una persona diversa, meno meritevole.
Non
ho ucciso nessuno, non ho fatto nulla di cui vergognarmi; allora perché
tutta questa indifferenza? Tutto questo rancore?
Vorrei
dirgliele tutte queste cose, vorrei, ma tutto quello che mi esce è una
sola domanda, l'unica che ora davvero mi preme di fare.
"Mi
odi?" sussurrò.
So
che ha sentito, perché le sue mani si serrano a pugno e sussulta, come se
l'avessi colpita. Poi sembra rilassarsi, e sospira.
"No,
Akira, non ti odio..." confessa, forse più a se stessa che a me.
E'
sollievo quello che provo? Se lo è dura lo spazio di un respiro.
"...ma
non ti approvo" continua, fissando il pavimento ai suoi piedi" e
non potrò mai farlo. Stai distruggendo la tua vita, e la mia con la tua,
e di questo non posso perdonarti."
Le
sento, le sue parole, le vedo le lacrime che affiorano negli occhi,
avverto lo sguardo indignato e preoccupato di Koshino... e il vento sulla
pelle, il calore del sole al tramonto... e il mio cuore che si
sgretola.
"Sai
cosa accadrà quando la cosa si verrà a sapere, vero? Ti troverai.. vi
troverete, soli. Soli, Akira. Ci avevi mai pensato? E la gente eviterà
anche me, anche i genitori di Koshino. Non ti spaventa? La solitudine? Non
ti spaventa?" ormai la sua voce è solo un bisbiglio rotto,
petulante.
Scuoto
la testa, per negare le sue parole, e anche per scacciare le lacrime.
"No,
non mi spaventa... e sai perché?"
Voglio
che mi guardi, mentre glielo dico, voglio che mi legga negli occhi...
aspetto che il suo sguardo allacci il mio, e poi parlo.
"Perché
avevo sempre creduto che saremmo stati insieme, che avremmo potuto trovare
sostegno l'uno nell'altro. Cosa vuoi che mi importi del giudizio della
gente se le persone che mi amano davvero mi stanno accanto? Questo è
tutto quello di cui ho bisogno, tutto quello che conta... e con
questo non ci sarebbe alcuna, alcuna solitudine!!"
Sento
la mano di Hiroachi che si intrufola nella mia e la stringe con
forza, e io non posso fare a meno di attirarmelo vicino. Mia madre ci
guarda, e sembra davvero senza parole.
"Non
sai rispondere vero? Già, non ci avevi mai pensato..."
Faccio
dietro front, senza dire altro, senza aspettare che ribatta, trascinando
con me Hiro-kun. Esco dal cancelletto e mi incammino. Avevo sperato di
poter rimanere ma mi ero sbagliato; non mi accetta, e io sono troppo
orgoglioso per elemosinare il suo affetto.
Ora
tutta la rabbia che avevo in corpo è diventata amarezza. Non tornerò più
a chiederle nulla, ha avuto due occasioni, e se le è lasciate sfuggire.
Se vorrà parlarmi, sarà lei a dovermi cercare.
"Akira,
e adesso?"mi chiede il povero ragazzo che mi sto praticamente tirando
dietro.
"Bhè,
spero che stasera mi ospiterai da te, poi cercherò un appartamento,
credo"
"Certo
che ti ospito, baka, ma..." è confuso.
Lo
sono anche io.
Appartamento=soldi=lavoro=un
sacco di problemi.
Va
bene, Akira Sendoh, un passo alla volta; per stanotte hai ancora un tetto
sulla testa, poi si vedrà.
In
questo momento l'unica cosa a cui riesco a pensare è alla fine della mia
adolescenza, al passo in più che mi ha fatto passare la linea di
confine... e mi chiedo se sono davvero pronto.
***
(Koshino's point of view)
E'
stata l'ultima notte che Akira ha passato da me.
Non
*con me*, per quello credo che dovranno passare anni... se Kami vuole
anche mai.
Abbiamo
rifatto l'amore, ed è stato sempre bellissimo. Adoro il modo di fare di
Akira... è attento ad ogni mia piccola esigenza, o smorfia o richiesta.
Sa interpretare uno sguardo, una carezza, un gemito. Mi fa impazzire
quando mi tocca... mi fa andare a fuoco solo sfiorandomi.
Non
lo avrei mai detto; fino a ieri il sesso per me era una cosa distante ed
oscura, ora, non appena lui mi guarda l'unica cosa che vorrei è
stendermi con lui su una qualsiasi superficie e lasciarmi amare.
Non
è solo per le sensazioni che mi fa provare.. certo, sarei un ipocrita se
negassi il puro piacere fisico che mi invade, è anche questa una
componente importante, ma non è la più importante; è il fatto di
sentirlo parte di me, di sentirlo una cosa sola con me... legato, vicino
come nessun altro mai. Stanotte, mentre lui dormiva, non sono riuscito a
smettere di fissarlo, incantato. Piano, molto piano, per non svegliarlo,
gli ho accarezzato tutti i lineamenti del viso, e ho sentito come un
groppo in fondo alla gola e gli occhi pungere.
So close, no matter how far, couldn' t be much more from the heart; forever trusting who we are, and nothing else matters.
(Così vicini, non importa quanto lontani, più di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore; confidando in chi noi siamo, e nient'altro importa)
Stavo
per piangere.
Non
so perché mi sia successo, ma avvertivo una cosa talmente grande
premermi dentro, un affetto così profondo che non trovava parole.
E
questo è assurdo, perché c'è una parola per definire ogni cosa.
Ma
vederlo lì, abbandonato nel sonno... così bello, così fragile... così
tutto, e pensare che era mio, che mi apparteneva, che era totalmente,
indissolubilmente mio...
Che
lui aveva scelto ME, di stare con ME...
Ho
capito di amarlo come niente al mondo.
Amare...
è una parola grossa, forse troppo per dei ragazzini quali siamo, ma...
non riesco a non pensarlo. Ed è questo che mi dà coraggio, mentre sento
la chiave girare nella serratura della porta, la vedo spalancarsi e saluto
i miei che entrano in casa.
Akira
è di fianco a me, ha sorriso poco stamattina, ed è preoccupato, si vede.
Non possiamo farci molto, dobbiamo affrontare questa cosa, e forse sono un
pò vigliacco perché non riuscirei mai a farlo da solo. Non gli ho
chiesto se voleva restare, come lui ha fatto con me, perché dentro di me,
in un angolino buio e oscuro, una vocetta maligna mi sussurrava che se
gliene avessi dato la possibilità lui si sarebbe defilato, lasciandomi
solo. Sono uno sciocco, lo so, ma...
"Allora
ragazzi, tutto bene?"
E'
stato mio padre a parlare, e riesco a cogliere il tono perplesso della
voce... ha capito che c'è qualcosa nell'aria, e comunque non ci vuole un
genio per comprenderlo.
"Meglio
se ci sediamo un attimo, devo parlarvi" esordisco.
Akira
mi fissa.
Lo
so, avevamo stabilito di aspettare dopo pranzo, di far loro almeno
scaricare la tensione del viaggio, ma non ce la faccio, finirei per
innervosirmi e diventare irascibile... e non è la cosa migliore, data la
situazione.
Ci
accomodiamo in salotto, io e Akira sulle poltrone, da un lato del
tavolinetto basso di mogano, i miei genitori sul divano, dall'altro lato.
"E'
difficile da dire, ma..." mi interrompo, e deglutisco.
Ora
posso leggere la preoccupazione, nei loro occhi.
Piano
piano riprendo a parlare, e racconto loro tutto quello che è successo.
Ovviamente taccio sui particolari, non vorrei sconvolgerli oltre misura,
ma il succo del mio discorso è il fatto che io e Akira stiamo assieme.
Cala
il silenzio, appena finisco di parlare.
Non
ho il coraggio di aggiungere altro, e abbasso lo sguardo. Non dovrei. è
come un'ammissione di colpa, quando colpa non ce n'è, ma non posso farne
a meno. Non riesco a sostenere la fissità dei loro lineamenti impietriti.
"Akira,
tua madre lo sa?" chiede mio padre, atono.
Che
ironia, è la stessa domanda che la signora Sendoh aveva fatto a me.
Akira
annuisce.
"Come
ha reagito?" stavolta è mia madre a parlare.
"Molto
male" risponde lui, e non aggiunge altro.
"Tu
eri con lui, quando glielo avete detto?" questa domanda è rivolta a
me, ed è il mio turno di annuire.
Mia
madre sospira, pesantemente, appoggiandosi allo schienale del divano. Poi
guarda Akira.
"Raccontaci
tutto ragazzo"
E
Akira parla. Parla a cuore aperto, e sentire dalle sue labbra tutto quello
che ha passato mi fa rabbrividire, non posso fare a meno di chiedermi se
mi toccherà la stessa sorte. Mano a mano che va avanti a raccontare
smetto di guardarlo in viso e mi concentro sui volti dei miei; mio padre
è impassibile, guarda fuori dalla finestra, mia madre ascolta,
attentamente, la sua espressione si incupisce sempre di più, diventando
via via più grave.
Quando
Akira finisce di parlare, torna di nuovo il silenzio.
E'
carico di aspettativa, di timore... non posso negarlo, ho paura.
"Non
so che dire, ragazzi.. non me lo aspettavo questo è certo"
Sia
io che Akira annuiamo. Neppure noi ce lo aspettavamo, ma è accaduto.
Mio
padre non dice una parola, si alza e sale stancamente le scale, verso
il piano superiore. Mia madre lo guarda andarsene, poi torna a fissare il
suo sguardo su di noi.
"Vi
mentirei se dicessi che approvo e che sono contenta per voi. Tua madre ha
ragione, Akira, non avete fatto una scelta felice. Tutto questo è
scioccante, e non so... non sono in grado di dire nulla, ora come
ora." mia madre si alza in piedi, e si passa una mano sul viso
"Comunque, tu non puoi certo dormire all'addiaccio, quindi fino a che
le cose non si sistemeranno, puoi stare nella nostra camera degli
ospiti."
Calca
molto su quest'ultima precisazione... e in un certo senso mi fa male; sin
da quando ci conosciamo, tutte le volte che Akira ha dormito da me è
sempre rimasto in camera mia.
Akira
annuisce, in silenzio... anche lui deve aver pensato alla stessa cosa.
"Bene...
ora è meglio che vada a disfare le valige, e a parlare con tuo padre...
Hiroachi, preferirei che tu restassi qui in casa, credo che fra non
molto vorrà discutere con te di questa cosa. In quanto a te, Akira... è
una questione di famiglia, mi capisci?"
Lo
sta gentilmente invitando ad andare a farsi un giro; e io vorrei dire che
no, non capisce, perché lui non è un estraneo, e ha diritto a rimanere,
ma Akira precede ogni mia rimostranza.
"Certo
signora, andrò a fare qualche tiro al campetto".
Mia
madre approva, e per la prima volta dall'inizio di questa lunga
confessione sorride.
"Sei
un bravo ragazzo, Akira" gli dice, mentre gli si avvicina e gli
accarezza il capo.
Vedo
il mio compagno che tenta di rispondere, di sorridere, ma l'unica cosa che
riesce a fare è rimanere immobile, per trattenere le lacrime che gli vedo
luccicare negli occhi.
Poi
si avvicina a me e mi bacia la guancia.
"Anche
tu sei un bravo ragazzo, Hiroachi."
Fa
per andare verso le scale, ma io la fermo, e la abbraccio.
Forte.
E
sento che lei mi abbraccia di rimando.
Altrettanto
forte.
Terza
parte:
Discovering throuth and finding friends
Sendoh
camminava verso il campetto da basket, riflettendo su quello che era
appena accaduto; era andata molto meglio di quello che si era aspettato,
tutto sommato la madre di Koshino si era dimostrata aperta al dialogo...
la cosa che lo aveva toccato maggiormente era stata la frase che gli aveva
detto poco prima che se ne andasse... quel "sei un bravo
ragazzo" e la carezza sulla testa lo avevano rinfrancato,
sollevandolo da un peso che ormai credeva saldamente ancorato alle sue
spalle. L'aveva perfino accolto in casa, permettendogli di restare da loro
fino a che la situazione non si fosse stabilizzata... certo, nella stanza
degli ospiti, ma non poteva pretendere troppo; erano stati proprio loro a
voler chiarire il tipo di rapporto che li legava, e poteva immaginare che
ora i genitori non fossero propriamente entusiasti nel saperli in camera
assieme.
Tutto
questo poteva capirlo, e accettarlo.
Ora
però doveva trovare una soluzione per il suo personale problema di
alloggio... non poteva certo sperare che l'ospitalità dei Koshino durasse
ad oltranza.
Avrebbe
dovuto affiggere richieste in giro, e controllare se nelle vicinanze
qualcuno affittasse camere o monolocali... e trovarsi un lavoro... e
recuperare almeno in parte qualche abito e qualcuna delle sue cose, anche
se questo implicava dover tornare ancora una volta a casa... bhè, poteva
sempre andarci quando sua madre era al lavoro, tanto le chiavi le
conservava ancora, e...
Qualcosa
si infilò fra le sue gambe e gli fece perdere l'equilibrio, facendolo
franare a terra. Massaggiandosi il posteriore dolorante, scannerizzò il
terreno intorno, alla ricerca di cosa diavolo l'avesse fatto inciampare...
la sua curiosità fu presto soddisfatta; poco lontano da lui, ancora
rotolava un pallone da basket.
Sorpreso,
Sendoh si guardò alle spalle e vide che in effetti era proprio davanti al
campetto; era talmente perso nei suoi pensieri che non se n'era neppure
accorto.
Imprecando
contro il pallone e l'idiota che lo aveva lanciato, si chinò a
raccoglierlo, pronto a cercare poi il suo possessore.
"E'
mio" affermò una voce.
Glaciale
e monolitica, come se stesse esercitando un diritto costituzionale
improrogabile.
A
Sendoh pareva di conoscerla e difatti, quando si voltò verso il punto da
cui l'aveva sentita arrivare, vide che non si era sbagliato.
"Rukawa!"
lo salutò, sorridendo, i propositi di vendetta interamente sopiti
"Per poco non mi ammazzavi!"
"Hn,
sei tu che non guardi dove vai"
Ok,
QUASI interamente sopiti.
"Sempre
il solito" sbuffò Sendoh, facendo roteare il pallone sull'affusolato
dito indice.
"E'
mio" ribadì Rukawa, tendendo una mano.
"Ma
non sai dire altro? Non te lo consumo, no!"
"Hn"
*Di
bene in meglio* sospirò fra sé e sé il giocatore del Ryonan, lanciando
comunque il pallone verso Rukawa. Non aveva voglia di discutere, ne aveva
avuto abbastanza per una vita e mezza di litigate.
Rukawa
prese il pallone al volo e si ridiresse vero il centro del campetto,
palleggiando con estrema disinvoltura.
E,
con la stessa estrema disinvoltura, insaccò in sequenza una serie
praticamente infinita di tiri, esibendosi in una parata di finte e
controfinte, lanci da tre, dunk e scatti da centroarea.
Sendoh
sorrise, e si accomodò sul bordo del campo, oltre la linea di
demarcazione. Gli piaceva vederlo giocare, aveva un'eleganza innata, e
possedeva la rara dote di un'agilità estrema combinata con
un'infallibilità micidiale. Lui non si limitava a giocare... che termine
banale, se applicato a uno come lui... Rukawa quando scendeva in campo
faceva l'amore con il basket, un unico, intenso assoluto atto d'amore.
Totale
e totalizzante.
Irradiava
passione per quello sport e la trasmetteva a tutti quelli che assistevano
alle sue evoluzioni. Niente da dire, un giocatore come Rukawa Kaede
capitava di incontrarlo una volta ogni dieci anni.
"One-on-one?"
"Mh?"
Sendoh si riscosse, di scatto. Aveva capito male, o gli aveva proposto una
sfida?
Rukawa
sbuffò, irritato.
"Ti
ho chiesto se vuoi fare un uno contro uno"
"Con
te?"
Il
giocatore dello Shohoku scosse la testa, esasperato.
"No,
con l'amministratrice del mio condominio..." ribatté, serio.
Suo
malgrado Sendoh si ritrovò a ridere... dunque anche quel ghiacciolo
sapeva mettere assieme un tentativo di battuta! Questa era decisamente una
novità... da che lo conosceva, Rukawa non avrebbe mai e poi mai sprecato
più di tre parole per chiunque. Lo osservò più attentamente.
"Allora?"
il suo tono si era fatto impaziente.
Magnifico!
Ora riusciva perfino a dimostrare una parvenza di emozione! Ridacchiando
fra sé, Sendoh fece segno di no con la testa.
"No,
per oggi passo" rispose, sdraiandosi a fissare il cielo "Se
giocassi contro di te ora, finirei per perdere miseramente"
"Ti
sei rammollito?"
Uh,
parlava ancora... bhè, questo lo poteva annoverare come "tentativo
di conversazione"...
"Ti
piacerebbe, eh?" lo stuzzicò, apparentemente concentrato nel
definire la forma di una nuvola "No, non mi sono rammollito, è che
ho altre cose a cui pensare, e non riuscirei a concentrarmi, neanche sotto
la minaccia di una disfatta da parte del mio più vecchio rivale"
Quella
nuvola... si, assomigliava ad una nave... e quella accanto?
Ora
non avvertiva che il frinire delle cicale, l'eco delle sue parole andava
spegnendosi, e la mancanza di risposta da parte del suo interlocutore
aumentava la convinzione che Rukawa, l'algido dio del basket, se ne fosse
andato. Bhè, non c'era da stupirsene, dopotutto lui aveva declinato
l'invito a giocare, e a parte quello, non c'era null'altro che
interessasse a quel benedetto ragazzo.
Nuvole...
grasse e spumose... quella era incredibilmente simile a Taoka
mentre gli dava dell'imbecille...
"Problemi
seri?"
Sendoh
sussultò e voltò di scatto la testa alla sua sinistra. Rukawa si era
avvicinato, un asciugamano attorno al collo e una sacca in mano,
probabilmente contenente il pallone. Si sedette accanto a lui,
abbracciandosi le ginocchia, e poi si limitò a fissarlo, come a dire...
io il sasso l'ho lanciato, vediamo cosa fai.
Incredulo,
considerò fra sé la possibilità che quello che aveva accanto non fosse
il vero Rukawa... da quando in qua cercava di interessarsi agli altri? A
lui, poi, quando fino a poco tempo prima non poteva neppure vederlo senza
sprizzare fiamme dagli occhi? *La gente cambia* gli suggerì la sua
coscienza... si, certo, ma così?! Scrollando mentalmente le spalle decise
di vedere che ne usciva fuori... parlare con qualcuno gli avrebbe fatto
bene, e Rukawa sembrava disponibile.. e poi non ce lo vedeva ad andare a
raccontare in giro la loro discussione.
Il
suo segreto.
"Diciamo
di si"
"Mh"
Sendoh
sorrise.
"Vuoi
parlarne?"
"Perché
ti interessi così a me, Rukawa?"
Il
giocatore dello Shohoku esalò un sospiro piccato.
"Mi
sembra che tu abbia bisogno di parlare... ma se non vuoi, fa niente"
detto questo, fece per alzarsi, risoluto ad andarsene.
"No!"
lo bloccò Sendoh, prendendolo per un braccio" No, è solo che... mi
hai colto di sorpresa, ecco. Non sei proprio la persona che mi aspettavo
volesse saperne di più sui miei affari, tutto qui..."
"Hn"
fu l'unico commento di Rukawa, mentre tornava a risistemarsi accanto a
lui.
Per
un pò se ne rimasero zitti, poi Sendoh fece un bel respiro e decise di
sganciare la bomba.
"Io
e Koshino stiamo insieme" Confidò, fissando ostentatamente il cielo
"e i nostri rispettivi genitori non hanno accolto troppo bene la
notizia... bhè, ad essere sinceri i suoi sembrano almeno
tentare di fare uno sforzo per capire, mia madre invece..." non
concluse il discorso con le parole, ma fece un veloce movimento con la
mano in aria, che poteva significare tutto e niente."Comunque sia,
ora sto cercando un appartamento.. per la verità anche un lavoro
..."
"Hiroaki
Koshino?" fu l'unica cosa che chiese Rukawa, incuriosito
"Aha"
rispose Sendoh.
Nella
voce di Rukawa non aveva sentito alcun tono riprovevole o disgustato e
questo lo spinse ad alzarsi a sedere e guardarlo negli occhi. Con uno
scatto di reni, si sollevò da terra, appoggiando le mani dietro la
schiena, per mantenere l'equilibrio.
"Non
hai nessun altro commento da fare?" lo provocò. Non poteva
essere così semplice. Non poteva incassare quell'informazione senza
nemmeno un sussulto.
"Siete
felici?" la domanda di Rukawa lo colse in contropiede.
"Cosa?"
"Insieme,
siete felici?" ripetè pazientemente l'altro, girando la testa per fare
in modo di guardarlo dritto in viso.
"Certo
che si!"
"E'
tutto quello che mi serve sapere" commentò, sdraiandosi a fissare
anche lui il cielo.
Sendoh
strabuzzò gli occhi. Possibile? Nessuna acrimonia, nessuno sfottò,
nessuno sguardo allucinato? Forse Rukawa era davvero un alieno. Dopo tutto
quello che aveva passato con sua madre, dopo tutto quello che aveva letto
negli occhi dei genitori di Hiroachi, questa totale mancanza di stupore
lo disorientava; lui, che avrebbe voluto che quella stessa identica reazione
l'avessero avuta gli adulti, si ritrovava perplesso nello scoprirla in
Rukawa.
"Per
il lavoro non posso fare molto, ma forse per l'appartamento..."
sussurrò il ragazzo che gli era sdraiato a fianco, come se stesse
confabulando con se stesso.
"Eh?"
Rukawa
gli fece segno di aspettare mentre estraeva un cellulare dalla tasca
superiore della sacca, e componeva velocemente un numero. Attese circa tre
secondi e poi attaccò a parlare con il suo misterioso interlocutore.
"Si,
sono io... ciao... sono al campetto, dove vuoi che sia? Piantala, adesso
torno! Si, si, senti una cosa... tua madre sta ancora cercando di
affittare il monolocale sopra casa tua? Sei sicuro? Bene... si, forse
si... Sendoh... me l'ha detto adesso... si, sono al parco con lui...
Ancora!!! Mi stai facendo perdere la pazienza Do'aho! Ci vediamo a casa...
ok.. anche io, ciao"(*)
Sendoh
era sinceramente, completamente, totalmente sbalordito. Rukawa che
chiamava Sakuragi? Perché, da che mondo è mondo, l'unico Do'hao
esistente era lui... e lo apostrofava con una simile confidenza? E che
voleva dire ci vediamo a casa???
"Rukawa..."
balbettò, in una muta richiesta di informazioni.
"La
madre del Do'aho ha un monolocale da affittare... è un posto carino, e
sono sicuro che non costa poi tanto..." lo informò l'altro
"Puoi passare oggi pomeriggio a casa mia, sai dov'è no?, così ti
puoi mettere d'accordo con il Do'aho e visitare l'appartamento"
concluse, spazzolandosi il retro dei pantaloni e avviandosi verso la
bicicletta che aveva assicurato contro la rete del campetto.
"Ok?"
chiese, voltando la testa oltre la spalla e fissandolo un attimo
"Si
perfetto, ma... Rukawa... cioè.. grazie, davvero..." balbettò
ancora, estremamente confuso da tutto quello che gli era capitato tra capo
e collo, sapendo benissimo di sembrare lo scemo del villaggio, a
giudicare dallo sguardo divertito che gli stava lanciando quello che
aveva sempre considerato essere un freezer ambulante, incapace di
scongelare la sua espressione in una qualsiasi smorfia che non fosse la più
assoluta indifferenza " tu e Sakuragi, voglio dire... da quando
siete così in confidenza?"
Rukawa
riprese a camminare, e Sendoh quasi si convinse che non gli avrebbe
risposto. Ma poi la sua voce gli giunse, dritta agli orecchi come un treno
espresso.
"Da
quando stiamo insieme"
L'unica
cosa che il giocatore del Ryonan fu in grado di fare fu quella di buttarsi
indietro a braccia aperte, e tornare a fissare il cielo.
***
Appoggiò
il dito al campanello, e premette il pulsante una sola volta.
In
risposta, avvertì il trillo secco e deciso rimbalzare per le pareti
dell’appartamento.
“Sei
proprio sicuro…?”
“Hiro-kun,
ne abbiamo già parlato, no? E poi è stato proprio Rukawa a
propormelo…”
Pochi
attimi dopo la porta si aprì e il volto impassibile di Rukawa Kaede fece
capolino.
“Uh,
siete voi” borbottò.
Dopo
essersi accertato della loro identità, spalancò la porta, facendo loro
cenno di entrare.
“Ciao
Rukawa” lo salutò Sendoh, con il solito entusiasmo.
Koshino,
molto meno espansivo, si limitò ad un cenno del capo, lo stesso tipo di
saluto che il ragazzo aveva rivolto ad entrambi.
Mentre
ancora si stavano togliendo le scarpe, giunse loro una voce.
“Kitsuuuu-neeeeeee…
chi èèèèèèè???”
Rukawa
scosse la testa, e rivolse uno sguardo di scuse ai due.
Sendoh
si limitò a ridacchiare.
“Allora,
stupida volpe, perché diavolo non mi rispondi???”
La
voce e tutti gli improperi che urlava si avvicinavano costantemente, fino
a che nell’ingresso comparve la figura del ciclone umano per
antonomasia.
Sendoh
voleva freddarlo con una battutaccia di quelle che serbava nella riserva
speciale, ma appena riuscì a metterlo a fuoco meglio le parole gli
morirono in gola.
Era
Sakuragi, su quello non c’era dubbio, ma… si era spesso chiesto che ci
trovasse Rukawa nella scimmia rossa.
Insomma,
l’avvenenza del volpino era cosa nota, mentre Sakuragi veniva incoronato
dalla notte dei tempi come re degli sfigati.
Invece…
bhè, ora che lo vedeva qui, fuori dall’ambiente scolastico, quasi non
ci credeva…
I
capelli rossi, tagliati a spazzola, sembravano essere stati pettinati in
uno studiato disordine, tanto che luccicavano di gel.
La
leggera felpa nera, senza maniche, e con i bordi slabbrati, privi di
cuciture, si attagliava perfettamente al suo torace muscoloso, mentre i
jeans chiari gli slanciavano le lunghe gambe…
Non
era lo stesso tipo che si era beccato 50 rifiuti, non era possibile.
Il
silenzioso esame dell’asso del Ryonan non passò inosservato al rossino,
la cui bocca si atteggiò in un sorrisetto sghembo di scherno.Non aveva
poi fatto così male a seguire i consigli della volpaccia per quanto
riguardava il look, allora! (scusate, ma non ho resistito… Vai
Hana-kun, è il tuo momento di gloriaaaaaaaa!!! NdA) E la prova
evidente ero lo sguardo sbalordito che gli stava rivolgendo Sendoh.
"Bhè,
felice di vedervi, ragazzi" esclamò, inchinandosi cerimoniosamente
davanti ai suoi stupitissimi ospiti...
"Do'hao"
lo apostrofò Rukawa
"Idiota
a chi, stupidissima ed immensamente fastidiosa volpastra???"
"A
te, l'unico ed il solo"
"MA
COME TI PERMETTI EH???" strillò Sakuragi, cominciando a salterellare
attorno a Rukawa, che intanto stava tranquillamente sospingendo la coppia
di amici verso l'interno dell'appartamento " Come osi???? Ma chi ti
credi di essere?? Oh, ma io ti distruggo, sai? Ti frantumo! Ti
carbonizzo!!"
Lanciando
queste inquietanti minacce il rossino, che sembrava davvero furioso,
continuava ad agitare senza requie il pugno a pochi centimetri dal viso di
Rukawa... ma senza mai neppure sfiorarlo, non poté fare a meno di notare
Sendoh.
"La
signora Sakuragi verrà qui a momenti, e poi parlerete
dell'appartamento" spiegò il moretto, rivolgendosi sia a Sendoh che
a Koshino.
"SMETTILADIIGNORARMISTUPIDAVOLPEEEEEEE!!!!!"
Rukawa
alzò gli occhi al cielo.
"Ma
è sempre così?" chiese Koshino.
Rukawa
scosse la testa, come a significare che alle volte era pure peggio.
"NONPUOIFAREFINTACHEIONONESISMPFHFFFFFFFFFFFF"
E,
sotto gli occhi increduli dei due giocatori del Ryonan, Kaede Rukawa, asso
indiscusso del basket, nonché a detta di tutti impassibile come un
maestro zen in meditazione perenne, prese il volto del rossino urlante tra
le mani e tacitò le sue proteste con un lungo, caldo, appassionato bacio.
"Io
non faccio finta che tu non esista... " bisbigliò Rukawa,
accarezzandogli il viso.
Hanamichi
gongolò, completamente in balia di quegli occhi ...
Sendoh
e Koshino assistettero alla scena tentando di rimanere impassibili, ma,
nonostante tutta la buona volontà, non era semplice; li avevano sempre
visti dichiararsi odio eterno e pestarsi a sangue, e ora..
"...fai
troppo casino per essere ignorato" concluse la volpe, dando un
leggero colpetto sul naso al rossino, e allontanandosi incurante.
"MALEDETTOOOO!!!"
Sendoh
si preparò ad assistere al massacro... negli occhi di Sakuragi si era
accesa una luce assassina, e sembrava pronto a scattare contro l'ignaro
Rukawa, ora dedito a preparare il thè.
Proprio
in quell'istante il campanello trillò.
"Vado
ad aprire, sarà mia madre..." annunciò Hanamichi, mentre l'eco del
campanello si spegneva, rinunciando magicamente ai propositi di vendetta
"... e tu, volpaccia, ritieniti fortunata... ma continueremo
dopo il discorso..."
L'occhiata
che Rukawa gli lanciò fece intendere a Sendoh che forse quello che
avrebbero continuato non sarebbe stato solo un platonico scambio
verbale...
"Siete
due pazzi" dichiarò il giocatore del Ryonan, quando fu sicuro che la
sua voce non sarebbe giunta alle orecchie della furia rossa.
"Hn"
Pochi
secondi dopo, la madre di Sakuragi si catapultò in salotto, completamente
ignara di Koshino e Sendoh, trascinandosi il figlio dietro.
“Mamma!!”
Sakuragi protestava inutilmente, arrancando alle calcagna della piccola
donna, e cercando di dirigerla verso i due giocatori del Ryonan.
“Ohhh,
meno male che vi siete decisi a fare un po’ di pulizie, qua dentro…”
esclamò la signora sondando con il luminoso sguardo vispo il pavimento ed
ogni superficie dell'appartamento.
Sendoh
la fissò, sbalordito: quel piccolo scricciolo non poteva essere la madre
della scimmia… ma quando poi la studiò meglio non poté non notare il
viso franco e aperto, i caldi occhi nocciola e l’inconfondibile
capigliatura rossa.
“Kaede,
caro, come stai?” intanto la donna aveva individuato il volpino
dall’altra parte della stanza, e non aveva perso un istante.
Lo
aveva abbracciato, con affetto, e a quanto pareva, l’algida kitsune non
sembrava disprezzare la cosa, tanto che avvolse la piccola signora fra le
braccia, con molta naturalezza.
La
madre del rossino sembrò quasi sparire, inghiottita dall’abbraccio;
Sendoh non poté fare a meno di osservare il volto sorridente di
Sakuragi… era rimasto indietro, rispetto ai due, e fissava sua madre che
abbracciava la volpe con qualcosa che assomigliava moltissimo
all’orgoglio…
Lì,
appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto, era
l’immagine della fierezza.
Il
giocatore del Ryonan intercettò il suo sguardo e Hanamichi ammiccò, come
a dire “Hai visto? Non ci si crede, vero?”
Già.
Una
gelida morsa gli artigliò il cuore. Per lui non ci sarebbero mai state
scene simili.
Sua
madre non avrebbe mai abbracciato Koshino in quel modo. Lui non si sarebbe
mai sentito il petto scoppiare di felicità alla vista della sua genitrice
che trattava il suo ragazzo come un figlio.
Era
invidioso. Maledettamente invidioso. E una parte cattiva del suo cuore,
quasi si augurava che le cose
per quella famiglia perfetta si mettessero male, così avrebbero sofferto
tutti, non solo loro due, e lui non si sarebbe sentito così solo… così
dannatamente gelido…
La
mano di Koshino si intrufolò nella sua, stringendola.
Sendoh
abbassò gli occhi, per guardare in viso Hiroachi e si pentì
immediatamente di quello che aveva anche solo osato pensare.
Chi
era lui per augurare una cosa simile ad altri?
Meschino.
Era stato orribilmente meschino, e il suo Hiro-kun invece era lì, che gli
sorrideva, appena appena, per non perdere la sua nomea di burbero
insensibile di fronte ad altri, e gli assicurava che andava tutto bene.
*Lo
amo* pensò Sendoh, accogliendo quel pensiero limpido, puro, come si fa
con un dono prezioso.
Strinse
la mano in risposta.
La
voce della donna lo distrasse, costringendolo a riportare gli occhi sulla
scena di poco prima.
“Puoi
anche lasciarmi ora, figliolo, altrimenti il mio Hana comincerà a
diventare geloso” esclamò la donna, ridendo.
Aveva
una risata fresca, da bambina.
Hanamichi
sbuffò.
“Non
che mi debba preoccupare di una vecchietta come te…”
“Porta
rispetto, ragazzino!” lo redarguì la madre, sciogliendosi
dall’abbraccio del gigante moro e voltandosi verso il figlio, sul piede
di guerra.
*Ecco
da chi la scimmia rossa ha preso il suo temperamento* pensò Sendoh
“Tua
madre è una bella donna, Do’aho” sottolineò con voce monocorde
Rukawa.
“KITSUNE!”
“Grazie
caro”
I
due rappresentanti della famiglia Sakuragi avevano parlato in
contemporanea, con toni completamene opposti.
“Volpastra,
hai le ore contate! Come osi stare dalla sua parte, eh? EH? “ strillò
Hanamichi, esibendosi nella sua miglior interpretazione di Do’hao “Oh,
ma io vi ho capiti! Vi siete alleati perché sapete che da soli non
potreste mai battere un Tensai come sono!! AHAHAH! !l mito vivente, il
genio del basket…”
Il
presunto genio continuò la sua autoproclamazione, completamente ignaro
del completo disinteresse di sua madre e di Rukawa, intenti a parlottare
fra loro.
“Allora
mio figlio ti tratta bene? Ti fa mangiare? Mi domando come fai a
sopportarlo quando fa così…” disse la donna, lanciando un’eloquente
occhiata al ragazzo che, mani ben piantate sui fianchi, gridava al soffitto
la sua grandezza.
“Non
è facile…”
“Mah,
ti capisco sai, in fondo ho dovuto sopportarlo per 16 anni…”
“E’
stata coraggiosa!”
“Non
me lo dire”
“VI
HO SENTITIII!!!”
I
tre si fissarono in cagnesco…e poi, sotto lo sguardo allibito di Sendoh
e Koshino, scoppiarono a ridere.
Anche
Rukawa.
Sendoh
non riuscì a trattenersi, tutta la situazione aveva dell'incredibile, così
si unì anche lui al coro di voci, lasciando sfumare tutta la tensione in
una lunga, liberatoria risata.
La
madre di Sakuragi si volse improvvisamente verso di lui, accorgendosi
della presenza degli altri due ragazzi. Li abbagliò con un sorriso, e si
diresse verso di loro.
"Oh,
salve! Voi dovreste essere quelli che vogliono vedere
l'appartamentino..." constatò " Piacere, io sono Mariko
Sakuragi"
"Akira
Sendoh, molto piacere"
"Hiroachi
Koschino"
Si
presentarono con molta formalità, e negli istanti che seguirono ci fu
quel silenzio che sempre segue le presentazioni, nel quale si decide se il
nuovo conoscente ci sta simpatico oppure no. Ci volle meno di un secondo
prima che Mariko Sakuragi decidesse di prendere sotto la sua custodia
anche quei due ragazzi, eleggendoli a figli putativi. Sembravano entrambi
così beneducati, e anche spaesati... bhè, se avevano assistito alle
scene appena svoltesi nel soggiorno, non c'era poi da stupirsene.
"Allora,
vogliamo andare? Non penso vi interessi rimanere qui a sentire gli
sproloqui di mio figlio..."
"Mamma!!!"
"...
quindi propongo di andare a vedere il monolocale. Si va?"
"Si
va" fu la risposta quasi unanime.
Una
sola voce discordante in quel coro, quella di un certo rossino che
borbottava di una oscura congiura ai suoi danni.
Quarta
parte:
Raising the sky again and covering it with stars
(Sendoh's
pov)
E'
diverso vivere da soli, ti senti libero e prigioniero allo stesso tempo.
Scadenze da pagare, pulizie da fare... mhh, non avrei mai pensato che
potessero esserci così tanti problemi di cui tener conto.
Sembra
quasi impossibile, ma è già passato quasi un mese, da quando mi
sono trasferito nel mio nuovo appartamento.
Non
è grandissimo, ma pieno di luce... era una sorta di mansarda, una volta,
ma da quando Hanamichi è andato a vivere con Kaede, sua madre si è
ritrovata con un sacco di spazio inutilizzato, quindi l'ha convertito in
un altra zona abitabile. Ho il mio ingresso indipendente, da una scaletta
esterna, il mio campanello, in cui c'è scritto "Akira Sendoh",
e ogni volta che lo leggo, non posso fare a meno di sorridere.
Perché
Akira Sendoh sono io e questo è il mio appartamento e io vivo qui.
Mi
piace.
Me
ne sono innamorato un attimo dopo averlo visto; con l'aiuto di Hiro-kun e
dei ragazzi (senza sottostimare il prezioso appoggio della Signora
Sakuragi che me l'ha praticamente affittato seduta stante) l'ho ridipinto
e sto cominciando ad arredarlo.. piano, piano.
La
camera da letto, la cucina, il tavolo adibito a studio... è tutto "a
vista". In fondo c'è un piccolo cubicolo, il bagno
all'occidentale,comprensivo di una doccia, ma ho il permesso di
scendere al piano di sotto, ogni tanto, e usare la vasca della madre di
Hanamichi.. basta solo che avvisi, di modo che lei non entri "nel bel
mezzo".
C'è
qualche mia vecchia cosa, portata via da casa mia, mentre mia madre era al
lavoro. Le ho telefonato e le ho spiegato tutto, chiedendole se potevo
venirmi a prendere i vestiti e i libri e qualche cianfrusaglia. Non ha
detto molto, ma ha acconsentito. Solo che forse io sono stato troppo
vigliacco, perché ho fatto una veloce incursione mentre la sapevo essere
fuori casa. Non mi andava di vederla.
Certo
mi manca , non posso nasconderlo, anche se Hiro-kun e la mia nuova
"famiglia adottiva" sono qui quasi ogni giorno, non è la stessa
cosa; la madre di Sakuragi mi ha preso sotto la sua ala protettrice...
l'affitto che mi fa pagare è una somma irrisoria, praticamente si riduce
alle sole bollette della luce e del telefono; ogni tanto io cerco di
farle capire che posso permettermi di pagarla anche di più, ora che ho
trovato un lavoro (il venerdì, il sabato e la domenica sera mi hanno
assunto come cameriere in un bar; la paga è buona e sfruttando
spudoratamente il mio fascino, le mance sono alte), ma lei mi dice sempre
di non essere sciocco, che a lei i soldi non servono e che è meglio che
me li metta da parte, perché potrebbero capitare tempi difficili, e
io non posso fare a meno di pensare che il rossino è davvero fortunato ad
avere una donna come lei a vegliare su di lui. Come lo siamo io, Hiro-kun
e Kaede.
E
poi non devo dimenticarmi dei genitori di Koshino...strano, ma
sembrano aver incassato la notizia, suo padre una settimana fa è
addirittura venuto qui a vedere se avevo bisogno di qualche attrezzo per
fare lavoretti in casa (in effetti il tubo del lavandino continua a
perdere... se continua così mi solleverà tutto il pavimento
sottostante!!). Naturalmente era una scusa, in realtà, voleva parlare con
me. E lo abbiamo fatto, parlato intendo. Una chiacchierata lunga, di
quelle che credo faccia un padre al fidanzato ufficiale di sua
figlia... mi viene quasi da ridere, non deve essere stato facile per lui,
come non lo è stato per me. Mi ha fatto promettere che mi sarei preso
cura di suo figlio, lasciandomi intendere che se lo avessi ferito si
sarebbe preoccupato personalmente di distruggermi.
Nessun
problema. Se mai dovessi fare qualcosa che induca Hiro-kun a lasciarmi
sarei io il primo ad autostaccarmi la testa. Con sommo sprezzo del
dolore.
Alla
fine, prima di andare via, ci siamo stretti la mano, da uomo a uomo. Non
mi ricordo come fosse mio padre, è morto quando io ero troppo piccolo per
far si che la sua immagine restasse impressa indelebile nella mia memoria,
ma credo di averne appena trovato uno.
Fino
a poco tempo fa ero convinto che il cielo mi fosse franato addosso. E
adesso mi sto rendendo conto che sto riuscendo a ripararlo, con fatica,
certo, e molte crepe si vedono ancora... ma ora posso perfino
permettermi il lusso di coprirle attaccandoci sopra delle stelle; quello
che è accaduto con il padre del mio Hiro-kun l'ho visualizzato come una
stella grande e rossa.. ma poi ci ho ripensato, vale quanto un'intera
costellazione, che ho ribattezzato "la riappacificazione"....
ora brilla e scintilla, fiera, nel nuovo firmamento della mia vita.
Mi
piace riflettere su tutte queste cose, il mattino appena
sveglio, proprio come sto facendo adesso. Sotto l'acqua calda della
doccia, mi concedo di pensare a tutto quello che farò oggi, alla gente
che incontrerò, ai piccoli lavori da fare in casa, al regalo che ho in
mente di comperare alla mamma di Sakuragi, alla festa per
l'anniversario di Kaede e Hanamichi (fra poco saranno sei mesi che sono
insieme), al mio Hiro-kun... mi scappa un sorriso.
Nonostante
lo scroscio dell'acqua lo sento trafficare in cucina... scommetto mi starà
preparando la colazione; il mio stomaco protesta al pensiero, in effetti i
piatti che cucina fanno piuttosto schifo, ma stiamo migliorando, sotto lo
sguardo vigile e attento della signora Sakuragi che ci fa da maestra...
giusto ieri sera sono riuscito a cuocere degli hamburger senza bruciarli,
e considerata la mia reputazione in cucina è stato un successo clamoroso.
Koshino non voleva crederci, quando è arrivato per cenare con me, che li
avessi preparati io. Mi ci è voluto del bello e del buono per convincerlo
del fatto e per farglieli assaggiare. Appurato che erano commestibili, ha
dichiarato che era un evento da festeggiare.
E
mi ha trascinato a letto. Abbiamo fatto l'amore, e poi si è addormentato
tra le mie braccia, lo fa sempre. Non lo ammetterebbe mai, ma adora essere
coccolato. E io adoro coccolarlo. Stamattina mi ha svegliato con un
bacio.. e da cosa nasce cosa... lo abbiamo fatto ancora e ancora, fortuna
che è domenica e non dobbiamo andare a scuola.
Dolce,
tenero Hiro-kun. Ho voglia di riabbracciarti, anche se ti ho lasciato solo
cinque minuti fa.
"Akira!"
lo sento chiamarmi dalla cucina.
"Dimmi!"
gli urlo di rimando, abbassando appena il getto dell'acqua.
"Se
non ti muovi qua diventa tutto freddo!!"
Sporgo
la testa dal vano-doccia, per essere sicuro che mi senta bene.
"Prima
di preoccuparti di questo, dovresti essere sicuro che sia roba
commestibile..."
In
capo a due secondi lo vedo sbucare davanti a me, con il grembiule da
cucina infilato addosso alla buona e un cucchiaio di legno in mano;
la sua espressione non è delle più pacifiche.
"Vuoi
ripetere?" mi apostrofa, sul piede di guerra.
Mi
sporgo di qualche centimetro, e lo bacio sul naso.
"Ti
amo" gli confido e sorrido.
Mi
fissa confuso, l'ho spiazzato... oh, è così carino quando assume
quest'espressione! Mi viene una mezza idea di trascinarlo sotto l'acqua
con me, ma il mio cervello mi avvisa che la sua reazione sarebbe molto
simile a quella di un gatto selvatico... decido di conservare il mio
slancio passionale per dopo, almeno avrò salva la vita!
"Imbecille"
borbotta lui, riprendendosi dall'attimo di smarrimento e tornando in
cucina "ma non pensare di cavartela con così poco..."
Riapro
il getto dell'acqua al massimo e mi sento davvero bene. Sto per chiudere
definitivamente tutto, quando sento il campanello squillare. A quest'ora?
Non conosco nessuno che di domenica mattina sia in piedi così presto. Mi
giunge il cigolio della porta che viene aperta, e metto un mentale appunto
per ricordarmi di oliarla, poi il suono soffocato di una rapida
conversazione.
"Akira"
di nuovo Hiro-kun che mi chiama, ma sento una nota di urgenza nella sua
voce, stavolta "Vieni qua"
Incuriosito
afferro l'accappatoio, me lo infilo ed esco dal bagno; non mi passa
neppure per l'anticamera del cervello di vestirmi, se quello che rompe le
scatole a quest'ora di mattina non ha di meglio da fare, non si
scandalizzerà di certo per la mia tenuta, dopotutto avrà pure
preventivato che la gente normale di domenica prima delle 10:00 non si
alza, no?
Quando
vedo chi è la persona che rimane ferma all'ingresso, mi pento
immediatamente di non essere vestito e pettinato di tutto punto... credo
sia una reazione ancestrale che la vista della mamma ti evoca, retaggio
dei tempi dell'infanzia.
"Ciao"
mi saluta.
"Mamma..."
balbetto.
Non
so bene cosa dire, non mi aspettavo di vedermela comparire così
all'improvviso. Hiroachi fissa prima me, poi lei, poi il suo sguardo torna
su di me, e sembra prendere una decisione.
"Credo
che voi due abbiate bisogno di parlare... io vado a fare un pò di
spesa..." mi comunica, risoluto, prima di afferrare il giubbotto.
Evito
di fargli notare che dubito seriamente che qui intorno ci sia un negozio
aperto, oggi, anche perché capisco l'opportunità che mi sta offrendo.
"Signora"
saluta mia madre con un cenno del capo, e senza aspettare risposta si vota
verso di me, ansioso di lasciarci soli "Akira, ci vediamo dopo"
Annuisco,
lui mi passa accanto e fa per uscire... di solito, quando se ne va, ci
salutiamo sempre con un bacio, e non vedo perché ora debba essere
diverso. Questa è casa mia, e lui è il mio ragazzo. Quindi, quando lo
prendo per un braccio e gli sfioro le labbra con le mie non sono stupito
di non provare alcun imbarazzo. Le sue gote si fanno di fuoco, ma non
protesta.
"A
dopo" gli dico, mentre lo lascio andare, e lo vedo eclissarsi, giù
per le scale.
Riporto
il mio sguardo su mi madre... non fa alcun commento sulla scena a cui ha
appena assistito. Meglio così. Si guarda nervosamente attorno, e sembra
sfuggire i miei occhi; la pelle del suo viso è pallida, tirata, come se
non dormisse da un pò; indossa un bel completo, un tailleur beige che le
ha sempre donato, ma non posso non notare che le cade male, come se le
fosse stato appeso addosso... è dimagrita.
Con
un gesto la faccio accomodare su una sedia della cucina, mentre dal canto
mio vado verso i fornelli, e annuso il thè che ha preparato Hiroachi
prima di uscire. Non sembra malaccio, e decido che posso rischiare di
servirlo.
Lo
porto sul tavolo, assieme alle tazze, spaiate, e alla zuccheriera,
sbeccata in ben tre punti lungo il bordo. Mi accorgo di quanto misero
possa apparire tutto questo, ma non ho intenzione di scusarmi, non ce n'è
motivo.
La
vedo che aggrotta le sopracciglia, fissando l'assurdo insieme di
porcellana che le ho messo davanti agli occhi.
"Mi
arrangio come posso" le confido, alzando le spalle "ma è tutto
pulito..."
Lei
scrolla la testa.
"Lo
so, non è questo..."
Vorrei
chiederle allora che c'è, perchè è qui, ma mi limito a mettere due
cucchiai di zucchero nel thè. Mescolo piano e poi bevo.
Fa
schifo.
Appoggiò
la tazzina e ci aggiungo altri quattro cucchiaini.
"Se
vuoi berlo, ti consiglio di zuccherarlo molto" avviso mia madre
"Così non senti il sapore"
E'
l'ombra di un sorriso quella che le passa sulle labbra? Ho paura di
illudermi, se lo penso, ma...
"L'hai
fatto tu?" mi chiede, il tono leggermente ironico, giocando con il
manico della tazza.
"Certo
che no!" protesto, indignato. Almeno il thè lo so fare, io! "E'
stato Hiro... di solito non lo fa lui, ma stamattina ne ha approfittato,
dato che io ero sotto la doccia"
Annuisce,
e comincia timidamente a guardarsi attorno. Il suo sguardo si sofferma un
attimo sul futon a due piazze, sulle coperte sgualcite da entrambi i lati,
e credo le ci voglia un nanosecondo per capire e passare oltre. Avverto
che mi fissa un istante di sottecchi, ma non ho intenzione di darle alcuna
spiegazione; se vuole chiedermi qualcosa, io sono qui, ma non anticiperò
le sue domande, sarebbe come mettersi sulla difensiva.
"Kosh...
Hiroachi, vive qui?" mi domanda, e non so capire che tipo di
sentimento animi la sua voce.
"No,
ma ogni tanto, specie se il giorno dopo non c'è scuola, dorme da me"
Ci
sono un mare di implicazioni, nella mia semplice risposta, e sono quasi
sicuro che lei le abbia colte tutte; perchè certamente starà pensando
che se Hiro viene da me e resta qui la notte, sicuramente lo fa con
l'approvazione dei suoi, e questo vuol dire che loro sanno di noi, e lo
accettano; e che io e lui non ce ne restiamo di certo a
fissarci platonicamente negli occhi tutta la serata, per quello basterebbe
vederci di giorno, in qualche bar...
Non
dice nulla, ma il suo sguardo passa dalla "camera da
letto", al tavolo ingombro di libri. Credevo che si sarebbe lasciata
scappare qualche commento, invece sembra intenzionata a rimanere in
territorio neutrale... raccogliere il massimo delle informazioni
esponendosi al minimo.
Non
ho niente in contrario, dopotutto in questo campo è come se non sapesse
nulla di me. Non so come mai sia venuta qui, forse l'idea che il figlio
minorenne viva da solo le impedisce di dormire tranquilla, forse vuole
accertarsi che non stia *soffrendo di solitudine*... non posso fare a meno
di pensare acidamente tra me queste cose, ma in fondo in fondo spero che
invece sia qui *per me*, per me in quanto suo figlio, perchè gli manco,
perchè...
"La
scuola, come va?" credo stia seguendo un itinerario ben preciso,
dando retta agli stimoli visivi che le vengono sottoposti.
"Bene...
sono un pò debole in matematica ma Hiro mi dà una mano; e l'inglese va
meglio, da quando studio con Rukawa... un ragazzo dello Shohoku, quello
bravo a basket" preciso, ma sicuramente se ne ricorderà, gliene
parlavo spesso.
"Anche
tu sei bravo" commenta, piano.
"No,
io sono il migliore" rispondo, sogghignando; nonostante tutto, la
volpe non mi ha ancora detronizzato.
"Andrete
ai Campionati Nazionali, quest'anno?"
"Non
lo so... ci sono un sacco di squadre da battere... io lo spero..."
Continua
a guardarsi attorno, mentre le parlo; il suo sguardo intercetta ora la
mensola vicino all'entrata; è un piccolo scaffale, un pò storto, che ho
fissato io; uno dei miei primi lavoretti manuali, secondo me un capolavoro
di ingegneria, secondo Sakuragi e l'allegra brigata un assurdo pezzo di
legno che se ne resta attaccato al muro solo grazie alla misericordia
infinita di Buddha. Sopra ci sono tantissime fotografie, un'accozzaglia
infinita di cornici, che racchiudono momenti della mia vita; alcune sono
di me da piccolo, le ho prese quando sono andato a casa per radunare la
mia roba, altre sono più recenti... la squadra di basket, Hiro-kun, io e
lui, Hanamichi e Kaede...
Mia
madre si alza, e va verso lo scaffale, per esaminarle da vicino. Le sfiora
tutte, con la punta delle dita. Non resisto, e le vado vicino.
"E'
lui Rukawa?" mi chiede, indicando il rossino.
Sorrido
e scuoto la testa. Le spiego che Rukawa è quello di fianco alla
testarossa, che in realtà è il famoso Sakuragi.
"Ah"
commenta lei. Sicuramente si ricorderà anche di lui, lo nominavo spesso
quando le parlavo delle nuove promesse della prefettura.
Prende
tra le mani una foto; la riconosco. L'abbiamo scattata due settimane fa,
quando siamo andati a Tokyo. Io e Hiro festeggiavamo il nostro primo mese
insieme, e a noi si erano aggregati sia la scimmia urlante che Kaede.
Lì siamo davanti alla stazione, io con le braccia attorno alla vita di
Hiro e Rukawa che sonnecchia appoggiato alla spalla di Sakuragi. Mi
ricordo che abbiamo accerchiato un povero vecchietto e l'abbiamo costretto
a farci la foto... e come resistere a tre giocatori ben piantati, di un
metro e novanta di altezza che ti chiedono un favore?
Posa
la foto, e passa in rassegna le altre... fondamentalmente i soggetti
principali siamo io e Hiro; tranne l'ultima. Quando i suoi occhi la
raggiungono si dilatano, sorpresi. Non la prende in mano, ma la fissa con
insistenza. E' stata fatta qua fuori, il primo giorno in cui mi sono
trasferito qui... io, Hiro, Sakuragi e Rukawa, la madre del rossino siamo
in centro alla foto, sorridenti; la madre di Hanamichi è fra me e
Hiroachi, e ci tiene abbracciati, mentre dietro spuntano le facce della
scimmia e di Kaede, come al solito mezzo addormentato... ma la vera
sorpresa sono i genitori di Hiro, è vero, sono un pò in disparte
rispetto a noi, ma ci sono; sua madre ha perfino abbozzato un sorriso, e
il padre ha il volto sereno; per me questa foto vale oro.
"Dovrei
esserci anche io, qui" sussurra mia madre, portandosi una mano alle
labbra.
Sta
tremando.
"Mamma..."
"Akira,
io..." fa fatica a parlare, sento quasi il pianto nella voce.
No,
no, ne ho abbastanza di lacrime. Lascio da parte tutto l'orgoglio, lascio
da parte me stesso, e la abbraccio, esattamente come avrei voluto che
avesse fatto lei molto tempo fa. La abbraccio e spero capisca che non c'
è nulla da dire, nulla di cui scusarsi, nulla per cui umiliarsi; ora
è arrivato il momento di ricominciare. Quando sento le sue mani
aggrapparsi alle mie spalle so di essere stato compreso, e so di averla
capita.
Rimaniamo
così a lungo, poi la lascio andare e noto con sollievo che i suoi occhi
non sono più lucidi.
"Hai
il portafoglio, qui?" le chiedo, di getto.
Aggrotta
le sopracciglia, ma si astiene dal fare domande. Torna al tavolo, fruga
nella borsetta, ed estrae il portafoglio. Me lo porge, ed una volta che ce
l'ho fra le mani, lo apro; ecco quello che cercavo. Glielo restituisco,
trattenendo una piccola foto; è un'istantanea per la patente, so che mia
madre ha sempre avuto il vizio di portarsela dietro; non è
particolarmente riuscita, ma è LEI, e, al momento, in mancanza di altro,
è sufficiente.
Velocemente,
rovisto sopra il tavolo, frenetico, e afferro lo scotch; torno da mia
madre, che ancora non ha capito che mi succede. Prendo in mano la foto,
quella con tutto il clan riunito, scattata il giorno dell'inaugurazione
del mio appartamento, e, nell'angolo libero in alto, attacco l'istantanea
di mia madre.
"Eccoci"
le dico, porgendole il capolavoro di arte fai-da-te"Temo ti dovrai
accontentare, almeno fino a che non ne potremo farne una "in presa
diretta"" scherzo, tentando di calmare questo cuore impazzito.
Dopo
un mese e mezzo, finalmente rivedo il sorriso sulle sue labbra, e
quando le prime lacrime le segnano le guance non ho nulla da ridire, perché
so che non sono date dalla tristezza; anche i miei occhi bruciano, quando
la sento che mi abbraccia, prendendo da sola l'iniziativa.
Mentre
il sole di questa pigra domenica mattina illumina con più forza la
stanza, io rimango abbracciato a mia madre, come quando facevo quando ero
piccolo, e mi sembra che nulla sia cambiato, che nulla sia andato in
pezzi, anche se so che non è così.
Ma
sto ricostruendo il mio cielo, e lo sto ricoprendo di stelle.
Trust I seek and I find in you, every day for us there's something new; opened mind for a different view, and nothing else matters
(Cerco fiducia, e la trovo in te, ogni giorno ci riserva qualcosa di nuovo; menti aperte per una visione differente, e nient'altro importa)
OWARI
Eccoci
qui, alla fine.
Che
dirvi, spero che vi sia piaciuto e che la fic l'abbiano apprezzata anche
tutte coloro che non sopportano l'uomo della mia vita, Akira Sendoh...
dai, cercate di essere buone, non è malaccio, e poi qui non infastidisce
Rukawa, quindi...^^
Prima
di lasciarvi, devo fare due precisazioni:
1-(*)
la telefonata di Ru mi è stata ispirata da Greta, che usa lo stesso
espediente nella sua fic "Molto rumore per nulla"; mi è
piaciuta un sacco l'idea che hai avuto, e quindi me ne sono avvalsa
pure io... ah, che approfittatrice, che si fa bella sulla base delle
trovate degli altri!
2-La
canzone che intervalla alcuni momenti della fic è la splendida
"Nothing else matters" dei Metallica^^
Grazie
per l'attenzione^^, sayonara!
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|