Hi everybody!

Velocissima introduzione:

Questa fic è il seguito di “The night the sky fell down”.  Tra le mail che ho ricevuto molti si “lamentavano” del fatto che la madre di Sendoh fosse troppo intransigente, che non tutti i genitori sono di mentalità così ristretta.

Lo so.

Colgo qui l’occasione per chiarire che sono perfettamente cosciente che molto spesso la gente reagisce meglio di quel che pensiamo, ma dovete ammettere che non sempre è così; io ho voluto rappresentare la “faccia buia” del coming-out, volontario o meno che sia.

Cmq, in questa fic scoprirete che dopotutto non sono così pessimista (e basta solo leggere il titolo per capirlo)^^

Un particolare ringraziamento va alla mai grandissima amica Francesca: sei la musa che ispira tutte le cose comicamente folli che scrivo… ^^… e non solo quelle!

Il ritornello dei disclaimers lo conoscete a memoria, vero? A scanso di equivoci, sappiate comunque che i personaggi di Slam Dunk non mi appartengono, sono tutti di Inoue Sensei... la mia campagna per l'appropriazione non ha ancora dato i suoi frutti, ma io non dispero!!

Un grosso bacio a tutti quelli che mi conoscono e a voi, che state per leggere quello che ho scritto.

Spero vi piaccia

Un bacio

An

 


Raising the sky again and covering it with stars

di Antares



Parte prima:               Fragments of life

 

Un’altra mattina, un altro risveglio.

Non solitario, però.

Nessuna sveglia a cacciarlo fuori dalle terre di Morfeo, solo un respiro fattosi più leggero mano a mano che la buia signora esce mogia di scena, quel ritmo calmo e tranquillo come la marea che l'aveva traghettato al sicuro per tutta la notte ed ora lo svegliava.

Il miglior buongiorno che si potesse mai desiderare.

Sendoh cercò con lo sguardo la sagoma del compagno che gli dormiva accanto... accarezzò piano la pelle morbida, quasi con reverenza.

Non voleva che si svegliasse, non ancora

Voleva avere il tempo di ammirarlo, senza che lui sbuffasse infastidito.

Improvvisamente Koshino si voltò nel sonno, finendogli praticamente addosso.

Imbarazzato, Sendoh fece per scostarlo... se avesse aperto gli occhi in quel momento sarebbero stati dolori.

L'avrebbe accusato di essersi approfittato di lui, o Kami sapeva che altro.

Con un sospiro, l'alto giocatore del Ryonan si accinse a rimetterlo supino sul futon.. nonostante dormissero assieme, Hiro-kun non gli permetteva mai di andare più in là di qualche bacio, e ad essere sinceri, a lui andava benissimo così.

La vicinanza del ragazzo era più che sufficiente, per ora.

Voleva imparare a conoscerlo meglio, a dare un senso a tutto quello che sembrava averli investiti, prima di azzardare altre mosse.

C'era tutto il tempo del mondo.

Strani pensieri da parte di un ragazzo che con il sesso non si era mai fatto troppi problemi… a 17 anni poteva vantare una media estremamente alta di “conquiste”, il miglior seduttore della prefettura… ma se ora ripensava a tutte le ragazze che si era portato a letto, non riusciva ad abbinare il nome alla faccia corrispondente.

Fastidioso, doveva ammetterlo; e anche… imbarazzante, si.

Delicatamente appoggiò la mano sulla spalla del ragazzo e cercò si spingerlo via da sé.

Niente da fare.

Anzi.

Ogni suo tentativo veniva ulteriormente frustrato da sbuffi annoiati della "bell’addormentata", che sembrava avere tutta l'intenzione di rimanergli accoccolato addosso.

"Koshino, accidenti!" sbottò, esasperato.

La causa della sua irritazione mugolò qualcosa nel sonno, e gli si fece ancora più vicino, passandogli un braccio attorno alla vita e appoggiandogli il viso sul petto.

D'improvviso sembrò acquietarsi, come un gattino che finalmente conquista l’agognato posto in grembo al padrone.

Sendoh desistette, se avesse insistito sicuramente Koshino si sarebbe svegliato; e questa, ora, era l’ultima cosa che voleva.

Si risistemò sul futon, agganciando con un braccio la vita del compagno e allacciando le loro mani.

 

So close, no matter how far,
couldn' t be much more from the heart;  
forever trusting who we are,  
and nothing else matters.

(Così vicini, non importa quanto lontani, 
più di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore;  
confidando in chi noi siamo,  
e nient'altro importa)

Sospirò, soddisfatto… questo non l’aveva mai provato, con nessuna delle precedenti fiamme…

Un bozzolo caldo, come il sole a picco sulla spiaggia a mezzogiorno e sicuro.

Aveva la sensazione che non potesse capitargli nulla di male, fino a che se ne restava lì.

Stringendosi al suo ragazzo, scivolò di nuovo nel sonno.

***

“A-kiiiii-raaaa” 

Il suo nome, pronunciato in tono palesemente infastidito, gli trapanò l’orecchio.

Non si dette pena di rispondere, sapeva benissimo qual era il problema.

“Akiraaaaaa….”

Kami, che stress!

“Mhhh?”

“Cerca di svegliarti e toglierti da sopra di me… mi soffochi!!” 

Sendoh sorrise tra sé… riecco il caro, vecchio Koshino.

Sempre mantenendo gli occhi ben serrati, allentò l’abbraccio con cui teneva imprigionato a sé il ragazzo, e rotolò lontano, trascinandosi dietro le coperte, e finendo in un angolo del futon.

Koshino rimase ad osservare per qualche istante quella specie di involtino umano con una zazzera di capelli neri che spuntava dalla sommità, suo malgrado curioso di vedere se stesse per stabilire il nuovo record di apnea.

Dato che il “coso” non dava segni di voler uscire dal letargo, ne approfittò per vestirsi e fare una puntata in bagno; tornato in camera, vide che la situazione non era cambiata.

“Oi Sendoh…” lo chiamò.

Non gli arrivò alcuna risposta dall’ammasso di coperte.

Che si fosse riaddormentato? In quel caos??

No, non era possibile.

*Ma in fondo stiamo parlando di Sendoh…* riflettè.

Si avvicinò, e, con un piede, scosse quelle che, dopo un’attenta valutazione, sperava essere le gambe dell’amico.

“Akira, sei vivo?”

“Mhhhhh” 

Il cavernoso mugugno lo rassicurò… era ancora in questo mondo.

“Senti, non credi sia ora di alzarti?”

“Mhhhhhhhh”

No, non credeva.

Non era possibile ogni mattina inscenare il teatrino per tirarlo giù dal letto!!!!

“See… ok, Akira Sendoh, credo tu abbia poltrito anche troppo”

Veloce e risoluto, si diede da fare, e cominciò a svolgere il bozzolo di coperte nel quale si era rifugiato Akira in versione orso-in-letargo.

Dalle pieghe della tana ormai in sfacelo, Koshino vide brillare due occhi ancora pesti di sonno e palesemente intenzionati a dormire ancora. Borbottando fra sé, con un ultimo strattone si riappropriò della coperta, l’avvolse sotto il braccio, e la portò in un angolo della stanza, fuori dalla portata di Akira.

“Hiro-kunnnnn” Si lamentò Sendoh, rannicchiato a terra.

Koshino lo osservò un istante, dominando l’impulso di chinarsi e scompigliargli i capelli… 

“Piantala e alzati!” lo zittì Koshino, prima di uscire dalla stanza e cancellare così il pericolo di correre ad abbracciarlo.

Pochi secondo dopo lo sentì ciabattare in giro per casa; non riuscì a trattenere un sorriso di trionfo, la sua cura drastica aveva funzionato!

Con il cuore in pace, si avviò verso la cucina, e, una volta arrivato, fissò con aria truce i fornelli, arrovellandosi su cosa preparare e soprattutto su come riuscirci.

Odiava cucinare, per pochi, precisi motivi: prima di tutto, si perdeva troppo tempo, poi c’era da contare che era un lavoro faticoso e di poca soddisfazione e, ultimo ma non meno importante, lui tra i fornelli faceva pietà… era ragionevolmente sicuro di aver ormai totalizzato i punti necessari per partecipare all’elezione “cuoco fallito dell’anno”, se mai ce ne fosse stata una.

Il fiorente ampliarsi dell’industria dei tegami era dovuto a lui a tutte le pentole che aveva distrutto, questo era certo.

Ma piuttosto che lasciare che Akira Sendoh si avvicinasse alla cucina, Hiroachi-carbonizzatore-folle-Koshino era disposto a diventare massaia dell’anno.

Aveva assistito a troppe battaglie epocali combattute dalla stella del Ryonan contro assurde brodaglie che strabordavano dalle pentole per fidarsi… se con i piatti preparati da lui si poteva rischiare al massimo un leggero mal di stomaco, con i deliziosi manicaretti semoventi che riusciva a creare Akira si finiva attaccati ad una flebo in ospedale, dopo aver subito una lavanda gastrica d’emergenza.

No way… per il suo sorridente ragazzo la cucina era e sarebbe sempre stata off-limits.

Mentre ragionava su queste ed altre disgrazie che sapeva avrebbero costellato la sua convivenza con Sendoh, Koshino non riusciva comunque a non sorridere.

In fondo non gli dispiaceva avere un simile pasticcione sorridente che gli girava per casa; Akira lo metteva di buonumore, stemperando con la sua dolcezza i lati burberi del suo carattere; era un ragazzo straordinario… pacifico, certo, alle volte quasi chiuso nel suo mondo di tranquillità, un po’ matto, ma meraviglioso.

 

Never opened mysel this way,
life is ours, we live it our way; 
 all these words I don't just say, 
and nothing else matters.

(Non mi sono mai aperto così, 
la vita è nostra, la viviamo a modo nostro;  
più di quanto queste parole non dicano,   
e nient'altro importa)

*Il mio ragazzo* pensò Koshino.

E gli venne da ridacchiare, alla strana sensazione di calore alle guance

“Il mio ragazzo” ripetè, a voce alta.

Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura (bhè, magari se l’avessero obbligato a mangiare qualcosa cucinato da Sendoh, avrebbe anche potuto pensare di cedere… un pochino), ma gli piaceva come suonava.

Gli piaceva da pazzi.

Un odore di bruciato lo distolse dalle sue fantasticherie, riportandolo bruscamente a terra.

“Merda!” esclamò, contrariato, appena vide quel che restava della loro colazione… o di quello che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la colazione… un ammasso di roba non ben identificabile, quasi completamente bruciato.

Corrucciato, provò a sollevarlo dalla pentola avvalendosi di un cucchiaio di legno.

“Magari se lo ricopro di panna, Akira lo mangia…” riflettè.

In fondo Sendoh ingoiava di tutto.

Il cucchiaio affondò in quell'agglomerato gommoso… e lì rimase.

Nonostante gli sforzi di Koshino sembrava essersi cementificato dentro, diventando un tuttuno con il suo esperimento culinario…

Affranto, considerò che non c’era speranza di far passare quella cosa per commestibile e rifilarla ad Akira, specie con quella stoviglia inquietantemente inglobata…

“Ma bene! Ho perso una pentola, un cucchiaio e un sacco di roba da mangiare… ma bene davvero!” mentre occhieggiava disperato il disastroso esito del suo estro creativo, una profonda ruga gli andava increspando la fronte “Ottimo! Ora mi toccherà andare fuori a comprare qualcosa, e io odio uscire la mattina presto, e se non lo faccio Akira mi tirerà scemo dicendo che ha fame… peggio di così non può andare!!!!”

Da qualche parte, nella casa, qualcuno cominciò a cantare a squarciagola.

Oh no, questo NO! Non anche quella mattina, non di nuovo!!! 

“SENDOHHHHHHHHH!!”

Senza quasi pensarci, Koshino abbandonò la cucina e tutto il disastro che troneggiava sui fornelli, per affrontare a passo di carica le scale, travolgendo qualunque cosa si trovasse sul suo cammino.

Mano a mano che si avvicinava alla stanza da bagno il disgustoso berciare (perché non poteva essere definito canto, no, assolutamente, nemmeno avvalendosi di tutta la buona volontà del mondo) aumentava in modo esponenziale. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successo, ormai era una costante; ogni volta che quell'imbecille decideva di sguazzare nella vasca doveva dare ascolto a quell'insano impulso che lo spingeva a far vibrare le sue corde vocali in assurdi, stonatissimi ritornelli.

Arrivato davanti alla porta, picchiò con violenza il pugno chiuso, schiantandolo sul legno.

“AKIRA!” gridò.

Niente da fare, l’esibizione canora continuava, con più entusiasmo di prima.

Risoluto, ruotò la maniglia, catapultandosi nel bagno.

Venne investito dalla nebbia provocata dall’acqua calda e contemporaneamente dalla voce del ragazzo che se ne stava beatamente a mollo nella vasca (il bagno è quello tradizionale giapponese… la stanza che contiene unicamente la vasca da bagno enorme; ndA), beatamente ignaro del nervosismo crescente di Koshino.

“Hiro-kun!” lo accolse, sorridente, agitando felice una mano grondante d’acqua per salutarlo.

Koshino respirò a fondo; bhè, perlomeno aveva smesso di cantare. Si stava quasi calmando, quando si accorse di quello che galleggiava nella vasca… NON ERA POSSIBILE!!

“E quelle, dove le hai trovate???” squittì, ancora incredulo, non sapendo bene se prendersi la testa tra le mani e piangere o scattargli una foto e attaccarla negli spogliatoi della squadra.

“Erano nell’armadietto, dietro ai flaconi del bagnoschiuma… sembrava mi chiamassero!” asserì, ridacchiando.

Koshino lo fissò, per la prima volta a corto di parole. Tutto quello che stava accadendo sembrava uno di quegli episodi della serie "Ai confini della realtà", e la faccia pacificamente in pace col mondo di Akira non lo aiutava di certo a mantenere il controllo... lo stava fissando di rimando, con lo sguardo che scintillava, palesemente divertito, e Koshino non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, quasi per assicurarsi della veridicità di quella scena.

“Vuoi fare il bagnetto con me?” interloquì Sendoh, squadrandolo malizioso e fraintendendo la ragione di quell’accurato esame.

“No, razza di pervertito!” ribatté Koshino, freddandolo, anche se una vocetta dentro di lui gli sussurrava che invece era esattamente una delle cose che desiderava fare; e la sua attenzione si spostò quasi naturalmente su quella pelle lucida d'acqua, sui muscoli delle braccia, sui capelli che ricadevano morbidi fino quasi a lambire le spalle... contro ogni sua volontà, deglutì pesantemente.

“Hiro-kun…” lo richiamò Sendoh.

“Senti.. vuoi fare il bagno.. fallo!" esplose Koshino, che per nascondere l'imbarazzo e lo strano calore che gli aveva invaso le membra ricorse al solito vecchio trucco di scaricare la tensione prendendosela con lui " Vuoi giocare con le paperette di mio cugino… giocaci! Ma per favore, ti prego, NON CANTARE!”

“Vuoi dire che non apprezzi le mie doti canore???” chiese sbalordito Sendoh, il tono della voce genuinamente incredulo.

“Tu non hai doti canore, è questo il guaio!!” gli fece notare Koshino, sbuffando.

“Hiroachi Koshino, sei senza cuore!”

“Meglio senza cuore che con i timpani sfondati!!”

“Come osi!!!” 

Intuendo dall’espressione risoluta del suo ragazzo che in capo a pochi secondi si sarebbe ritrovato in acqua, Koshino batté in ritirata.

Una volta chiusasi la porta alle spalle, rimase qualche secondo in ascolto.

Tese l’orecchio, ma era solo il silenzio più assoluto.

Soddisfatto, si concesse un sorrisetto trionfante, mentre si accingeva a recuperare il giubbotto e qualche yen per andare a prendere la colazione, seppellendo le sensazione di poco prima in un angolino remoto di sè... cercando di farlo perlomeno.

Era riuscito a farlo alzare dal letto e a farlo smettere di gorgheggiare come un usignolo ubriaco… perfetto!

2-0 per lui, quella mattina.

Stava per chiudersi la porta d’ingresso alle spalle, quando la voce di Sendoh, più stonata e pimpante che mai, invase di nuovo la casa.

Stavolta si era lanciato in una personalissima interpretazione dell’inno giapponese.

2-2… quel massacro di note valeva doppio.

“Io lo uccido… vado, compro da mangiare, e lo uccido” decise Koshino, mentre si avviava verso il negozio all’angolo.

***

Appena Sendoh fu sicuro che Koshino aveva lasciato la casa, smise di ululare.

“La mia povera voce” esclamò, massaggiandosi la gola.

In realtà non era così stonato, solo che si divertiva un sacco ad esasperare il povero Hiro-kun… l’apice l’aveva toccato con la storia delle anatre di plastica; le osservò beccheggiare attorno a lui, e scosse la testa

Aveva visto benissimo la smorfia che Koshino si sforzava di trattenere… stava per ridere! Era quasi riuscito a farlo ridere. E Kami sapeva se non ne aveva bisogno!

Aveva pure fatto la figura dell’idiota, certo, ma…

Sospirò pesantemente.

Era da una settimana che il suo Hiro-kun era teso, e era facile intuirne il motivo; il giorno dopo sarebbero tornati i suoi, dal famoso viaggio a casa della zia.

E, una volta tornati, avrebbero dovuto essere informati di un paio di cosette che erano successe durante la loro assenza. 

La parte pessimista di lui era convintissima che avrebbe assistito alla replica di quel che era accaduto quasi due settimane prima con sua madre, e che anche Hiroachi sarebbe stato costretto a dover scegliere tra lui e la sua famiglia.

“Non è giusto!” sbottò, spazzando via con una manata irata le paperelle che galleggiavano innocentemente, ignare e silenziose.

Si prese la testa tra le mani… non poteva continuare a nascondersi, sapeva benissimo che sarebbe dovuto tornare a casa ed affrontare nuovamente sua madre; avrebbe dovuto farlo, anche perché non poteva aspettarsi che i genitori di Koshino accettassero di vederlo girare per casa loro, in special modo dopo che avessero saputo che genere di rapporto intercorreva tra lui ed il loro adorato figlio.

Quella sera stessa, al più tardi domattina, si sarebbe trovato davanti a sua madre… e non aveva la minima idea di cosa dirle.

Lei non l’aveva più cercato, non si era più fatta sentire, e questo non era molto incoraggiante… non era assolutamente incoraggiante.

Restò a mollo per qualche altro minuto, fino a che l'acqua calda non cominciò a dargli fastidio... gli era venuta voglia di andare a correre, di muoversi, pensare a sua madre lo aveva fatto diventare nervoso, cosa che di solito non gli accadeva mai; si alzò pesantemente dalla vasca, acchiappando un asciugamano e strofinandoselo negligentemente addosso e poi legandoselo alla vita.

Uscì dal bagno, pensieroso, il viso irato e sconvolto di sua madre davanti agli occhi, che gli impediva di pensare coerentemente.

“Akira”

La voce calda di Koshino lo riscosse.

Sendoh alzò lo guardo, e si ritrovò a fissare il suo ragazzo: era al centro del piccolo corridoio, le gote leggermente arrossate e stringeva in mano un sacchettino.

Dal delizioso profumo che invadeva l'aria, Sendoh dedusse che era appena tornato dal comperare la colazione.

“Ehy” lo salutò, sorridendogli.

Koshino non dette segno di averlo sentito; con un imbarazzo che credeva di non essere capace di provare, Sendoh si accorse di come lo sguardo del ragazzo vagasse sul suo corpo, rendendolo acutamente consapevole della sua quasi totale nudità. Era lo stesso sguardo che gli era sembrato di intercettare anche prima, durante la loro scenetta in bagno, solo che stavolta sembrava più intenso, bruciante.

Degluttì, e per un attimo trovò difficile respirare: l’aria si era fatta spessa, bollente.

O era lui ad avere caldo?

Come camminando in un sogno Koshino venne avanti, fino a fermarsi a pochi centimetri da lui.

Una volta che furono uno di fronte all’altro, allungò tentativamente un dito fino a sfiorargli la pelle nuda, una leggera e timida carezza a corrergli lungo la linea dei pettorali.

Sendoh trattenne il respiro.

Le cose stavano prendendo una piega inaspettata e lui non si sentiva propriamente sicuro.

Per la prima volta aveva quasi paura… e la contrazione al basso ventre che avvertì lo allarmò.

“Hiroachi…” lo chiamò, la voce scesa di un’ottava, come il sensuale ronfare di un gatto.

Koshino si riscosse, e fece precipitosamente due passi indietro, confuso.

Che gli era preso, per Kami?!

“Hiroachi…” 

Ancora la sua voce, roca e meravigliosamente sensuale.

Koshino alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello di Sendoh… era febbrile, dolce, eccitato.. e spaventato?

Anche, anche spaventato.

Paradossalmente fu questo a rassicurarlo.

Senza dire una parola gli si riavvicinò e gli passò le braccia attorno al collo, cercando le sue labbra, divorandogliele in un bacio profondo e umido, lasciandosi a sua volta assaggiare.

Mugolò qualcosa, parole senza senso alcuno, ma non riusciva a stare zitto.

Baciare Akira era sconvolgente; sentire le  sue mani abbrancargli con forza la vita era sconvolgente.

I suoi capelli, senza la solita impalcatura di gel, gli ricadevano morbidi, fino a lambirgli il collo, sfiorandogli gli occhi, e intrecciandosi ai suoi… con una mano li accarezzò, mentre avvertiva la lingua di Sendoh esplorare la propria.

Non riusciva a fermarsi, non voleva fermarsi… voleva solo sentire Akira contro di lui, la sua pelle sulla sua, e nient’altro.

Terminarono il bacio, a corto di fiato.

“Forse è meglio se mi faccio una doccia fredda” scherzò l’alto giocatore del Ryonan, strofinando giocosamente il naso contro quello del compagno prima di sciogliere l’abbraccio.

Koshino aggrottò le ciglia, e, istintivamente, abbassò lo sguardo a fissare un punto al di sotto della cintola dell’amico.

Arrossì, imbarazzato.

Sendoh ridacchiò, portandosi una mano dietro la testa, per nasconderne il tremito.

Stavolta ci erano andati davvero vicini.

Si voltò e fece per ritornare nella stanza da bagno… e valutò ci sarebbe rimasto molto a lungo.

Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio.

“No.” Sussurrò Koshino

Il cuore di Sendoh mancò un battito.

“No?” ripetè, stupidamente.

“Rimani” un altro sussurrò, flebile.

Ma l’aveva sentito.

Sendoh ritornò a guardare il compagno, costringendolo con una mano sotto il mento ad alzare il viso. 

“Non credo che sia una cosa saggia da fare…” solo Kami sapeva quanto gli costassero quelle parole, ma Hiroachi era troppo importante per lui, non voleva rischiare di commettere errori, non voleva bruciare le tappe… non se lo sarebbe mai perdonato.

Così, la furia che lesse negli occhi di Koshino lo colse completamente impreparato.

“Ma cosa diavolo ne sai tu di quello che è meglio fare, eh?” la furia delle sue parole lo investì come un treno lanciato a piena velocità “Non fai altro che comportarti da hentai, e poi non appena te ne do l’occasione, mi rifiuti.. CHI TI CREDI DI ESSERE?”

Sendoh lo fissava, attonito. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo, e la cosa lo sconcertava.

"Non mi vuoi, è per questo?? E' PER QUESTO?"

Il ragazzo più alto scosse la testa, frastornato, incapace di dare un senso alle accuse che gli venivano urlate contro. Come poteva anche solo pensare che per lui fosse facile allontanarlo? Come poteva non capire che lo stava facendo per lui? Hiroachi era sconvolto, confuso... gli stava accadendo tutto in fretta, e Sendoh non voleva che poi ci fossero pentimenti e recriminazioni... voleva che lui fosse sicuro del passo che stava per fare, che si sentisse pronto a prendere quella decisione con calma e lucidità. E al momento non gli sembrava nè calmo nè lucido.

Koshino, una volta esaurito il fiato, rimase immobile, respirando a fondo, fronteggiandolo nel più assoluto silenzio. Sendoh prese fiato, per dare voce a tutto quello che stava pensando, per fargli capire... ma la voce gli morì in gola quando lo vide cominciare a tremare e le lacrime iniziare a rotolargli giù dalle guance, sempre più copiose.

“Oh, no..no, no, ti prego, non fare così…no…” bisbigliò Sendoh, avvicinandosi e prendendolo ancora una volta tra le braccia.

Hiroachi si svincolò, tentando di scappare, ma ben presto smise di opporre resistenza e si lasciò andare, permettendo ad Akira di cullarlo dolcemente.

“Va tutto bene Hiro-kun, shhhh… va tutto bene” bisbigliò Sendoh contro i suoi capelli, accarezzandogli piano la schiena per calmarlo.

“Scusami, io non so … non so davvero cosa… cosa mi sia preso… io…” 

Le parole di Koshino venivano fuori con difficoltà, poi il ragazzo tacque dal tutto, rannicchiandosi contro il petto dell’amico e cominciando a singhiozzare.

“Lo so amore, lo so… shhh…”

I singhiozzi di Koshino gli facevano male… sapeva del turbinio di sentimenti che dovevano squassarlo; l’arrivo dei genitori, quello che provava per lui, ammettere tutto di fronte alle persone che l’avevano cresciuto e magari rischiare di perderle… lo strinse più forte, cercando di confortarlo con la sua presenza.

So close, no matter how far,
couldn' t be much more from the heart;  
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and nothing else matters.

(Così vicini, non importa quanto lontani,  
più di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore;   
confidando in chi noi siamo,  
 e nient'altro importa)

La paura di Koshino, il suo bisogno di essere rassicurato… li aveva provati anche lui, solo poche settimane prima.

E ora si rendeva conto che nessuna parola sarebbe servita, perché per certi dolori le parole sono come un refolo di vento contro la roccia.

Dolcemente lo sospinse verso la camera, e, una volta arrivati vicino al futon, trascinò entrambi sulle coperte. Lo teneva sempre stretto, contro di sé, avvertendolo tremare… il pianto si era placato, e il respiro si andava regolarizzando. 

“Ci sono io… tranquillo…”

“Aki…”

“Io non ti lascio, mi hai capito? Io non ti lascio”

Never opened mysel this way,   
life is ours, we live it our way;   
all these words I don't just say,  
 and nothing else matters.

(Non mi sono mai aperto così,    
la vita è nostra, la viviamo a modo nostro;  
più di quanto queste parole non dicano,  
e nient'altro importa)

Avvertì i leggeri baci che Koshino gli dava sul petto, e questa volta non lo allontanò.

Non sarebbe servito, a nessuno dei due. In quel momento Hiro-kun voleva solo sentirsi accettato, amato, e stava chiedendo a lui di dimostrargli il suo affetto; bene, se era questo che voleva, se era questo di cui aveva bisogno Akira non si sarebbe tirato indietro... forse era giusto così, forse non ci sarebbe mai stato momento migliore.

Il volto del ragazzo risalì, a baciargli il punto proprio sopra il cuore, poi le scapole, la gola… mordicchiandogli piano il mento, le labbra arrivarono sulle labbra… assetate, voraci… disperate.

“Stai con me.. Akira, ho bisogno di sentirti…”

Un lieve sussurro, tra un bacio e l’altro.

“Si”

Trust I seek and I find in you,    
 every day for us there's something new;   
opened mind for a different view,   
and nothing else matters

(Cerco fiducia, e la trovo in te,    
ogni giorno ci riserva qualcosa di nuovo;    
menti aperte per una visione differente,   
e nient'altro importa)

Un altro bacio.

Profondo, quasi a suggellare un patto solenne; l’inizio di un rito antico quanto la terra.

Curiosità…

Mani che esplorano, esitanti, mani che accarezzano… mani che si allacciano e si sciolgono. Mani che creano legami.

“Per me è la prima volta…”

…timore…

“Anche per me, Hiro-kun… non ho mai *fatto l’amore*, prima, mai…”

…dolcezza…

La lieve frizione della pelle sulla pelle arrossata, dall’imbarazzo, dall’eccitazione; una sensazione calda che dal centro del corpo dilaga fino alle estremità… fuoco liquido.

…frenesia…

Ansiti di desiderio, gemiti… parole bisbigliate in lingue sconosciute.

Incoerenti, magiche, sussurrate come una litania. 

…passione, dolce come il peccato.

Poi solo brividi e luce.

 

***

I loro respiri andavano normalizzandosi.

Schiantati, come fulminati da tutto quello che era appena accaduto, se ne restavano sdraiati sul futon, l’uno addosso all’altro.

Koshino si sistemò meglio contro il petto di Sendoh… sfregando il naso contro la sua pelle.

Aveva un buon odore, ed era così morbida… da mordere.

Era bello stare così… lui, Akira, era bello.

E dolce, e tenero, e paziente.

Non avrebbe mai pensato che la sua prima volta  sarebbe potuta essere così intensa.

“Grazie”  bisbigliò.

“E di cosa, scemo?”

“Di essere con me”

Sendoh sorrise, un sorriso dolcissimo, mentre scostava i capelli umidi dalla fronte del compagno e  scendeva a posargli un bacio leggero sulla tempia

“Dicevi sul serio, prima?”

“Hn?”

“Si, insomma.. quando hai detto che non l’avevi mai fatto…”

“C’è un oceano di differenza fra sesso e amore, Hiro-kun, e io non sono così stupido da non capirlo”

Rimasero nuovamente in silenzio, ad ascoltare l’uno i battiti del cuore dell’altro.

“Andiamo da tua madre, stasera.”

Sendoh si riscosse, allarmato.

“Cosa?”

“Lo sai benissimo” continuò imperterrito Koshino, sollevandosi sui gomiti e fissandolo in viso “Devi affrontarla, e non lo farai da solo”

“Hir…”

“Lascia stare, ci andiamo insieme, stasera, e domani lo diremo ai miei.”

“Non ti sembra di essere troppo precipitoso?” 

“No” secco, lapidario.

“Senti, ormai mia madre è una causa persa, ma dovresti andarci piano con i tuoi, abituarli all’idea…” cercò di farlo ragionare Sendoh.

“Ma non essere scemo! E che gli dico? Comincio a fare commenti su quanto trovi estremamente sexy il mio nuovo vicino?”

“Hai un nuovo vicino?” si informò Akira, stringendo gli occhi, preoccupato per una possibile minaccia.

“NON è QUESTO IL PUNTO!”

“COME NO?! Mi vieni a dire che qui intorno bazzica un uomo sexy, che io non ho mai visto, e dovrei star tranquillo??”

”Akira, alle volte ti strozzerei!”

“Ecco, bravo, così poi te la vai a spassare dal vicino!”

“Ma sarai idiota!” urlò, esasperato, Hiroachi “Era solo un esempio!”

“Ahhh… bhè, potevi dirlo subito!”

“Cretino!”

“Imbecille!”

Si sorrisero.. o almeno, Sendoh sorrise, Koshino esternò il solito broncetto che il suo compagno trovava a dir poco delizioso e che per lui equivaleva ad un sorriso.

“Comunque, riguardo ai miei …” tornò alla carica “… figurati se tua madre non dirà nulla! E preferisco che lo sappiano da me, piuttosto che…”

“Sei sicuro?” 

Koshino annuì.

“Sono sicuro… di te e di me. Il resto viene di conseguenza”

Sendoh scosse la testa, suo malgrado ammirato.

Poi lo attirò contro di sé, facendolo appoggiare sul suo petto, labbra contro labbra.

“Sei straordinario lo sai?”

“Si”

Sendoh sbottò a ridere, seguito a ruota da Hiroachi… ma la risata durò poco, quelle labbra erano così invitanti…

“Hiro-kun…”

“Dimmi”

“Ma sei sicuro che non ci sia nessun nuovo vicino?”

“AKIRAAAA!!!”

 

Seconda parte:  It’s not easy to say, but…

(Sendoh’ s pov)

 

Strano.

Strano come la mente distorca il tempo e le distanze.

Nei pochi minuti che abbiamo impiegato per arrivare a casa di mia madre ho fatto a tempo a ripensare a tutta la mia vita. La strada non è lunga ma ora so cosa prova un condannato quando avanza verso il patibolo.

E ho paura.

Paura di essere respinto di nuovo, perché se questo avverrà, io non farò più passi in avanti per cercare di farle capire le mie ragioni.

I miei sentimenti.

Quello che mi spaventa davvero è la minaccia di perdere l’unica persona che rappresenta la mia famiglia, mia madre, la donna che mi ha nutrito e dato affetto da quando sono nato. E io non voglio. Perché se questo accadrà una parte di me se ne andrà per sempre.

Il mio Hiro-kun mi cammina a fianco, sento che è teso… lo vedo da come cammina, dalle occhiate rapide che mi lancia e che crede che io non percepisca. E’ preoccupato per me, e anche per se stesso, perché, esattamente come me, crede che quello a cui assisterà tra poco sarà la copia esatta di quello che è successo due settimane fa e di quello che accadrà domani, con i suoi.

Non sono ancora convinto che sia un bene affrontarli, così, di petto, ma forse non ci sono davvero altre soluzioni.

E' tutto così maledettamente difficile, e quasi vorrei nascondere la testa sotto la sabbia e non pensare più a nulla.

Ma non posso, non sono mai stato un vigliacco.

Ecco, siamo arrivati.

La villetta, casa mia, è qui davanti a noi.

Casa mia.

E' questa.

Guardo il campanello... si, c'è pure scritto "Sendoh" sulla targhetta.

Devo suonare? Devo suonare.

"Dai"

A parlare è stato Hiroachi. 

Io mi limito ad annuire, mentre allungo la mano e lascio trillare il campanello. Quasi spero che non ci sia nessuno a casa, ma so che non è così. Non è mai così.

Il sangue mi romba nelle orecchie... mi tremano le gambe... 

"Aki..." il mio nome viene sussurrato con urgenza.

Guardo Koshino, che mi fa segno con la testa di andare al citofono; la luce è accesa, e qualcuno sta parlando. Una voce femminile, la sua voce, che chiede insistentemente chi è.

"Sono io, mamma"

Il citofono si zittisce... è il silenzio più assoluto, da entrambe le parti. Non se lo aspettava? Credeva che non sarei più tornato? O forse è stupita della mia sfacciataggine, a ripresentarmi qui, dopo la vergogna che le ho gettato addosso?

Il cancelletto si apre, con uno scatto metallico.

Ok, ok.

Lo spalanco del tutto e mi avvio verso la porta d'entrata. Sento i passi di Koshino, dietro ai miei, e credo sia questo che mi impedisce di non scappare a gambe levate; tutto il mio coraggio è ridotto ad un cumulo di cenere. Arrivo alla porta, quando questa comincia ad aprirsi, e la figura di mia madre mi compare davanti.

La prima cosa che penso è che voglio abbracciarla. Abbracciarla forte. E' mia madre, e le voglio bene.

Ma poi la guardo negli occhi, e vi scorgo una durezza adamantina che non c'era mai stata prima. Sembra invecchiata. Ci sono rughe sul suo viso. Rughe profonde. I primi fili grigi fra i capelli.

E' cambiata così tanto, da quando me ne sono andato, o sono io a vederla con occhi estranei?

Non riesco a non pensare che non sia colpa mia.

"Akira" è tutto quello che dice.

Anche la sua voce è diversa. Fredda, distante.

Ho ancora qualche possibilità? Oppure mi ha già giudicato e condannato?

"Ciao mamma"

Non si scosta dalla porta.

Ho quasi paura che sia il chiaro invito a non entrare.

Improvvisamente vedo che i suoi occhi si dilatano, e capisco il perché non appena la sagoma di Hiroachi mi compare di fianco. La saluta con un cenno timido del capo, ma non viene ricambiato. Gli occhi di mia madre sono nuovamente fissi su di me; ha preso atto della presenza del mio compagno, ma non è disposta a considerarla oltre. Sento le prime avvisaglie della rabbia montarmi dentro, ma non sono intenzionato a permetterle di prendere il sopravvento.

Io sono qui per parlare, per discutere e cercare di capire e far capire.

Non voglio litigare, non di nuovo e non con lei.

L'odio non è mai stato nel mio vocabolario, e non voglio iniziare adesso.

"Sei tornato, alla fine" 

Annuisco. 

"Perché?"

Come perché? Non capisco cosa vuole dire... 

"Ti dispiace?" è tutto quello che riesco a rispondere, e subito dopo averlo detto mi mordo la lingua. Stupido. Non devo litigare.

Mia madre scrolla le spalle, socchiudendo appena gli occhi, e poi torna a guardarmi.

"Avresti preferito che non fossi tornato?"

Non era così che intendevo parlarle, non era così. Nella mia mente ci saremmo seduti in salotto, io le avrei esposto il mio pensiero, lei il suo. Magari alla fine non avrebbe condiviso, ma ci saremmo abbracciati, e lei mi avrebbe detto che nonostante tutto mi voleva bene, che le ero mancato, perchè ero suo figlio e qualsiasi decisione avessi preso mi sarebbe stata accanto.

E invece siamo qui, sul porticato di casa, come tre estranei.

"Credevo preferissi altre compagnie" il suo tono è calmo, monotono "Pensavo fossi troppo occupato per cercarmi"

La sento di nuovo.

La rabbia, come un velo rosso sui miei occhi.

Chi è la madre? Chi è il figlio? Chi ha bisogno di essere aiutato a crescere? CHI??

La guardo intensamente, e mi sento meschino e cattivo.. per la prima volta in vita mia ho il cosciente desiderio di fare del male, di ferire.. e so che sarei felice nel vedere la sofferenza. Le sue parole, sono le parole che mi aspetterei da un mio coetaneo, da un ragazzino.

Non da un adulto, non da una madre.

E' colpa mia, in parte è così.

Il mio essere gay è colpa mia.. ma si può parlare di colpa? No, in fondo al cuore so che non si può. Io sono così, e il fatto di amare un altro ragazzo non fa di me una persona diversa, meno meritevole.

Non ho ucciso nessuno, non ho fatto nulla di cui vergognarmi; allora perché tutta questa indifferenza? Tutto questo rancore?

Vorrei dirgliele tutte queste cose, vorrei, ma tutto quello che mi esce è una sola domanda, l'unica che ora davvero mi preme di fare.

"Mi odi?" sussurrò.

So che ha sentito, perché le sue mani si serrano a pugno e sussulta, come se l'avessi colpita. Poi sembra rilassarsi, e sospira.

"No, Akira, non ti odio..." confessa, forse più a se stessa che a me.

E' sollievo quello che provo? Se lo è dura lo spazio di un respiro.

"...ma non ti approvo" continua, fissando il pavimento ai suoi piedi" e non potrò mai farlo. Stai distruggendo la tua vita, e la mia con la tua, e di questo non posso perdonarti."

Le sento, le sue parole, le vedo le lacrime che affiorano negli occhi, avverto lo sguardo indignato e preoccupato di Koshino... e il vento sulla pelle, il calore del sole al tramonto... e il mio cuore che si sgretola.

"Sai cosa accadrà quando la cosa si verrà a sapere, vero? Ti troverai.. vi troverete, soli. Soli, Akira. Ci avevi mai pensato? E la gente eviterà anche me, anche i genitori di Koshino. Non ti spaventa? La solitudine? Non ti spaventa?" ormai la sua voce è solo un bisbiglio rotto, petulante.

Scuoto la testa, per negare le sue parole, e anche per scacciare le lacrime.

"No, non mi spaventa... e sai perché?"

Voglio che mi guardi, mentre glielo dico, voglio che mi legga negli occhi... aspetto che il suo sguardo allacci il mio, e poi parlo.

"Perché avevo sempre creduto che saremmo stati insieme, che avremmo potuto trovare sostegno l'uno nell'altro. Cosa vuoi che mi importi del giudizio della gente se le persone che mi amano davvero mi stanno accanto? Questo è tutto quello di cui ho bisogno, tutto quello che conta... e con questo non ci sarebbe alcuna, alcuna solitudine!!"

Sento la mano di Hiroachi che si intrufola nella mia e la stringe con forza, e io non posso fare a meno di attirarmelo vicino. Mia madre ci guarda, e sembra davvero senza parole.

"Non sai rispondere vero? Già, non ci avevi mai pensato..."

Faccio dietro front, senza dire altro, senza aspettare che ribatta, trascinando con me Hiro-kun. Esco dal cancelletto e mi incammino. Avevo sperato di poter rimanere ma mi ero sbagliato; non mi accetta, e io sono troppo orgoglioso per elemosinare il suo affetto. 

Ora tutta la rabbia che avevo in corpo è diventata amarezza. Non tornerò più a chiederle nulla, ha avuto due occasioni, e se le è lasciate sfuggire. Se vorrà parlarmi, sarà lei a dovermi cercare.

"Akira, e adesso?"mi chiede il povero ragazzo che mi sto praticamente tirando dietro.

"Bhè, spero che stasera mi ospiterai da te, poi cercherò un appartamento, credo"

"Certo che ti ospito, baka, ma..." è confuso.

Lo sono anche io.

Appartamento=soldi=lavoro=un sacco di problemi.

Va bene, Akira Sendoh, un passo alla volta; per stanotte hai ancora un tetto sulla testa, poi si vedrà.

In questo momento l'unica cosa a cui riesco a pensare è alla fine della mia adolescenza, al passo in più che mi ha fatto passare la linea di confine... e mi chiedo se sono davvero pronto.

 

***                                                                                                                                                                          (Koshino's point of view)

 

E' stata l'ultima notte che Akira ha passato da me.

Non *con me*, per quello credo che dovranno passare anni... se Kami vuole anche mai.

Abbiamo rifatto l'amore, ed è stato sempre bellissimo. Adoro il modo di fare di Akira... è attento ad ogni mia piccola esigenza, o smorfia o richiesta. Sa interpretare uno sguardo, una carezza, un gemito. Mi fa impazzire quando mi tocca... mi fa andare a fuoco solo sfiorandomi.

Non lo avrei mai detto; fino a ieri il sesso per me era una cosa distante ed oscura, ora, non appena lui mi guarda l'unica cosa che vorrei è stendermi con lui su una qualsiasi superficie e lasciarmi amare.

Non è solo per le sensazioni che mi fa provare.. certo, sarei un ipocrita se negassi il puro piacere fisico che mi  invade, è anche questa una componente importante, ma non è la più importante; è il fatto di sentirlo parte di me, di sentirlo una cosa sola con me... legato, vicino come nessun altro mai. Stanotte, mentre lui dormiva, non sono riuscito a smettere di fissarlo, incantato. Piano, molto piano, per non svegliarlo, gli ho accarezzato tutti i lineamenti del viso, e ho sentito come un groppo in fondo alla gola e gli occhi pungere.

So close, no matter how far,
couldn' t be much more from the heart;   
forever trusting who we are,  
and nothing else matters.

(Così vicini, non importa quanto lontani,   
più di quanto potrebbe esserlo il mio stesso cuore;  
confidando in chi noi siamo,  
e nient'altro importa)

Stavo per piangere.

Non so perché mi sia successo, ma avvertivo una cosa talmente grande premermi dentro, un affetto così profondo che non trovava parole.

E questo è assurdo, perché c'è una parola per definire ogni cosa.

Ma vederlo lì, abbandonato nel sonno... così bello, così fragile... così tutto, e pensare che era mio, che mi apparteneva, che era totalmente, indissolubilmente mio...

Che lui aveva scelto ME, di stare con ME...

Ho capito di amarlo come niente al mondo.

Amare... è una parola grossa, forse troppo per dei ragazzini quali siamo, ma... non riesco a non pensarlo. Ed è questo che mi dà coraggio, mentre sento la chiave girare nella serratura della porta, la vedo spalancarsi e saluto i miei che entrano in casa.

Akira è di fianco a me, ha sorriso poco stamattina, ed è preoccupato, si vede. Non possiamo farci molto, dobbiamo affrontare questa cosa, e forse sono un pò vigliacco perché non riuscirei mai a farlo da solo. Non gli ho chiesto se voleva restare, come lui ha fatto con me, perché dentro di me, in un angolino buio e oscuro, una vocetta maligna mi sussurrava che se gliene avessi dato la possibilità lui si sarebbe defilato, lasciandomi solo. Sono uno sciocco, lo so, ma...

"Allora ragazzi, tutto bene?"

E' stato mio padre a parlare, e riesco a cogliere il tono perplesso della voce... ha capito che c'è qualcosa nell'aria, e comunque non ci vuole un genio per comprenderlo.

"Meglio se ci sediamo un attimo, devo parlarvi" esordisco.

Akira mi fissa.

Lo so, avevamo stabilito di aspettare dopo pranzo, di far loro almeno scaricare la tensione del viaggio, ma non ce la faccio, finirei per innervosirmi e diventare irascibile... e non è la cosa migliore, data la situazione.

Ci accomodiamo in salotto, io e Akira sulle poltrone, da un lato del tavolinetto basso di mogano, i miei genitori sul divano, dall'altro lato.

"E' difficile da dire, ma..." mi interrompo, e deglutisco.

Ora posso leggere la preoccupazione, nei loro occhi.

Piano piano riprendo a parlare, e racconto loro tutto quello che è successo. Ovviamente taccio sui particolari, non vorrei sconvolgerli oltre misura, ma il succo del mio discorso è il fatto che io e Akira stiamo assieme.

Cala il silenzio, appena finisco di parlare.

Non ho il coraggio di aggiungere altro, e abbasso lo sguardo. Non dovrei. è come un'ammissione di colpa, quando colpa non ce n'è, ma non posso farne a meno. Non riesco a sostenere la fissità dei loro lineamenti impietriti.

"Akira, tua madre lo sa?" chiede mio padre, atono.

Che ironia, è la stessa domanda che la signora Sendoh aveva fatto a me.

Akira annuisce.

"Come ha reagito?" stavolta è mia madre a parlare.

"Molto male" risponde lui, e non aggiunge altro.

"Tu eri con lui, quando glielo avete detto?" questa domanda è rivolta a me, ed è il mio turno di annuire.

Mia madre sospira, pesantemente, appoggiandosi allo schienale del divano. Poi guarda Akira.

"Raccontaci tutto ragazzo"

E Akira parla. Parla a cuore aperto, e sentire dalle sue labbra tutto quello che ha passato mi fa rabbrividire, non posso fare a meno di chiedermi se mi toccherà la stessa sorte. Mano a mano che va avanti a raccontare smetto di guardarlo in viso e mi concentro sui volti dei miei; mio padre è impassibile, guarda fuori dalla finestra, mia madre ascolta, attentamente, la sua espressione si incupisce sempre di più, diventando via via più grave.

Quando Akira finisce di parlare, torna di nuovo il silenzio.

E' carico di aspettativa, di timore... non posso negarlo, ho paura.

"Non so che dire, ragazzi.. non me lo aspettavo questo è certo"

Sia io che Akira annuiamo. Neppure noi ce lo aspettavamo, ma è accaduto.

Mio padre non dice una parola, si alza e sale stancamente le scale, verso il piano superiore. Mia madre lo guarda andarsene, poi torna a fissare il suo sguardo su di noi.

"Vi mentirei se dicessi che approvo e che sono contenta per voi. Tua madre ha ragione, Akira, non avete fatto una scelta felice. Tutto questo è scioccante, e non so... non sono in grado di dire nulla, ora come ora." mia madre si alza in piedi, e si passa una mano sul viso "Comunque, tu non puoi certo dormire all'addiaccio, quindi fino a che le cose non si sistemeranno, puoi stare nella nostra camera degli ospiti."

Calca molto su quest'ultima precisazione... e in un certo senso mi fa male; sin da quando ci conosciamo, tutte le volte che Akira ha dormito da me è sempre rimasto in camera mia.

Akira annuisce, in silenzio... anche lui deve aver pensato alla stessa cosa.

"Bene... ora è meglio che vada a disfare le valige, e a parlare con tuo padre... Hiroachi, preferirei che tu restassi qui in casa, credo che fra non molto vorrà discutere con te di questa cosa. In quanto a te, Akira... è una questione di famiglia, mi capisci?"

Lo sta gentilmente invitando ad andare a farsi un giro; e io vorrei dire che no, non capisce, perché lui non è un estraneo, e ha diritto a rimanere, ma Akira precede ogni mia rimostranza.

"Certo signora, andrò a fare qualche tiro al campetto".

Mia madre approva, e per la prima volta dall'inizio di questa lunga confessione sorride.

"Sei un bravo ragazzo, Akira" gli dice, mentre gli si avvicina e gli accarezza il capo.

Vedo il mio compagno che tenta di rispondere, di sorridere, ma l'unica cosa che riesce a fare è rimanere immobile, per trattenere le lacrime che gli vedo luccicare negli occhi.

Poi si avvicina a me e mi bacia la guancia.

"Anche tu sei un bravo ragazzo, Hiroachi."

Fa per andare verso le scale, ma io la fermo, e la abbraccio.

Forte.

E sento che lei mi abbraccia di rimando.

Altrettanto forte.

 

Terza parte:               Discovering throuth and finding friends

 

Sendoh camminava verso il campetto da basket, riflettendo su quello che era appena accaduto; era andata molto meglio di quello che si era aspettato, tutto sommato la madre di Koshino si era dimostrata aperta al dialogo... la cosa che lo aveva toccato maggiormente era stata la frase che gli aveva detto poco prima che se ne andasse... quel "sei un bravo ragazzo" e la carezza sulla testa lo avevano rinfrancato, sollevandolo da un peso che ormai credeva saldamente ancorato alle sue spalle. L'aveva perfino accolto in casa, permettendogli di restare da loro fino a che la situazione non si fosse stabilizzata... certo, nella stanza degli ospiti, ma non poteva pretendere troppo; erano stati proprio loro a voler chiarire il tipo di rapporto che li legava, e poteva immaginare che ora i genitori non fossero propriamente entusiasti nel saperli in camera assieme.

Tutto questo poteva capirlo, e accettarlo.

Ora però doveva trovare una soluzione per il suo personale problema di alloggio... non poteva certo sperare che l'ospitalità dei Koshino durasse ad oltranza.

Avrebbe dovuto affiggere richieste in giro, e controllare se nelle vicinanze qualcuno affittasse camere o monolocali... e trovarsi un lavoro... e recuperare almeno in parte qualche abito e qualcuna delle sue cose, anche se questo implicava dover tornare ancora una volta a casa... bhè, poteva sempre andarci quando sua madre era al lavoro, tanto le chiavi le conservava ancora, e...

Qualcosa si infilò fra le sue gambe e gli fece perdere l'equilibrio, facendolo franare a terra. Massaggiandosi il posteriore dolorante, scannerizzò il terreno intorno, alla ricerca di cosa diavolo l'avesse fatto inciampare... la sua curiosità fu presto soddisfatta; poco lontano da lui, ancora rotolava un pallone da basket.

Sorpreso, Sendoh si guardò alle spalle e vide che in effetti era proprio davanti al campetto; era talmente perso nei suoi pensieri che non se n'era neppure accorto.

Imprecando contro il pallone e l'idiota che lo aveva lanciato, si chinò a raccoglierlo, pronto a cercare poi il suo possessore.

"E' mio" affermò una voce.

Glaciale e monolitica, come se stesse esercitando un diritto costituzionale improrogabile.

A Sendoh pareva di conoscerla e difatti, quando si voltò verso il punto da cui l'aveva sentita arrivare, vide che non si era sbagliato.

"Rukawa!" lo salutò, sorridendo, i propositi di vendetta interamente sopiti "Per poco non mi ammazzavi!"

"Hn, sei tu che non guardi dove vai"

Ok, QUASI interamente sopiti.

"Sempre il solito" sbuffò Sendoh, facendo roteare il pallone sull'affusolato dito indice.

"E' mio" ribadì Rukawa, tendendo una mano.

"Ma non sai dire altro? Non te lo consumo, no!"

"Hn"

*Di bene in meglio* sospirò fra sé e sé il giocatore del Ryonan, lanciando comunque il pallone verso Rukawa. Non aveva voglia di discutere, ne aveva avuto abbastanza per una vita e mezza di litigate.

Rukawa prese il pallone al volo e si ridiresse vero il centro del campetto, palleggiando con estrema disinvoltura.

E, con la stessa estrema disinvoltura, insaccò in sequenza una serie praticamente infinita di tiri, esibendosi in una parata di finte e controfinte, lanci da tre, dunk e scatti da centroarea.

Sendoh sorrise, e si accomodò sul bordo del campo, oltre la linea di demarcazione. Gli piaceva vederlo giocare, aveva un'eleganza innata, e possedeva la rara dote di un'agilità estrema combinata con un'infallibilità micidiale. Lui non si limitava a giocare... che termine banale, se applicato a uno come lui... Rukawa quando scendeva in campo faceva l'amore con il basket, un unico, intenso assoluto atto d'amore.

Totale e totalizzante.

Irradiava passione per quello sport e la trasmetteva a tutti quelli che assistevano alle sue evoluzioni. Niente da dire, un giocatore come Rukawa Kaede capitava di incontrarlo una volta ogni dieci anni.

"One-on-one?"

"Mh?" Sendoh si riscosse, di scatto. Aveva capito male, o gli aveva proposto una sfida?

Rukawa sbuffò, irritato.

"Ti ho chiesto se vuoi fare un uno contro uno"

"Con te?"

Il giocatore dello Shohoku scosse la testa, esasperato.

"No, con l'amministratrice del mio condominio..." ribatté, serio.

Suo malgrado Sendoh si ritrovò a ridere... dunque anche quel ghiacciolo sapeva mettere assieme un tentativo di battuta! Questa era decisamente una novità... da che lo conosceva, Rukawa non avrebbe mai e poi mai sprecato più di tre parole per chiunque. Lo osservò più attentamente.

"Allora?" il suo tono si era fatto impaziente.

Magnifico! Ora riusciva perfino a dimostrare una parvenza di emozione! Ridacchiando fra sé, Sendoh fece segno di no con la testa.

"No, per oggi passo" rispose, sdraiandosi a fissare il cielo "Se giocassi contro di te ora, finirei per perdere miseramente"

"Ti sei rammollito?"

Uh, parlava ancora... bhè, questo lo poteva annoverare come "tentativo di conversazione"...

"Ti piacerebbe, eh?" lo stuzzicò, apparentemente concentrato nel definire la forma di una nuvola "No, non mi sono rammollito, è che ho altre cose a cui pensare, e non riuscirei a concentrarmi, neanche sotto la minaccia di una disfatta da parte del mio più vecchio rivale"

Quella nuvola... si, assomigliava ad una nave... e quella accanto? 

Ora non avvertiva che il frinire delle cicale, l'eco delle sue parole andava spegnendosi, e la mancanza di risposta da parte del suo interlocutore aumentava la convinzione che Rukawa, l'algido dio del basket, se ne fosse andato. Bhè, non c'era da stupirsene, dopotutto lui aveva declinato l'invito a giocare, e a parte quello, non c'era null'altro che interessasse a quel benedetto ragazzo.

Nuvole... grasse e spumose... quella era incredibilmente simile a Taoka mentre gli dava dell'imbecille...

"Problemi seri?"

Sendoh sussultò e voltò di scatto la testa alla sua sinistra. Rukawa si era avvicinato, un asciugamano attorno al collo e una sacca in mano, probabilmente contenente il pallone. Si sedette accanto a lui, abbracciandosi le ginocchia, e poi si limitò a fissarlo, come a dire... io il sasso l'ho lanciato, vediamo cosa fai.

Incredulo, considerò fra sé la possibilità che quello che aveva accanto non fosse il vero Rukawa... da quando in qua cercava di interessarsi agli altri? A lui, poi, quando fino a poco tempo prima non poteva neppure vederlo senza sprizzare fiamme dagli occhi? *La gente cambia* gli suggerì la sua coscienza... si, certo, ma così?! Scrollando mentalmente le spalle decise di vedere che ne usciva fuori... parlare con qualcuno gli avrebbe fatto bene, e Rukawa sembrava disponibile.. e poi non ce lo vedeva ad andare a raccontare in giro la loro discussione.

Il suo segreto.

"Diciamo di si"

"Mh"

Sendoh sorrise.

"Vuoi parlarne?"

"Perché ti interessi così a me, Rukawa?"

Il giocatore dello Shohoku esalò un sospiro piccato.

"Mi sembra che tu abbia bisogno di parlare... ma se non vuoi, fa niente" detto questo, fece per alzarsi, risoluto ad andarsene.

"No!" lo bloccò Sendoh, prendendolo per un braccio" No, è solo che... mi hai colto di sorpresa, ecco. Non sei proprio la persona che mi aspettavo volesse saperne di più sui miei affari, tutto qui..."

"Hn" fu l'unico commento di Rukawa, mentre tornava a risistemarsi accanto a lui.

Per un pò se ne rimasero zitti, poi Sendoh fece un bel respiro e decise di sganciare la bomba.

"Io e Koshino stiamo insieme" Confidò, fissando ostentatamente il cielo "e i nostri rispettivi genitori non hanno accolto troppo bene la notizia... bhè, ad essere sinceri i suoi sembrano almeno tentare di fare uno sforzo per capire, mia madre invece..." non concluse il discorso con le parole, ma fece un veloce movimento con la mano in aria, che poteva significare tutto e niente."Comunque sia, ora sto cercando un appartamento.. per la verità anche un lavoro ..."

"Hiroaki Koshino?" fu l'unica cosa che chiese Rukawa, incuriosito

"Aha" rispose Sendoh.

Nella voce di Rukawa non aveva sentito alcun tono riprovevole o disgustato e questo lo spinse ad alzarsi a sedere e guardarlo negli occhi. Con uno scatto di reni, si sollevò da terra, appoggiando le mani dietro la schiena, per mantenere l'equilibrio.

"Non hai nessun altro commento da fare?" lo provocò. Non poteva essere così semplice. Non poteva incassare quell'informazione senza nemmeno un sussulto.

"Siete felici?" la domanda di Rukawa lo colse in contropiede.

"Cosa?"

"Insieme, siete felici?" ripetè pazientemente l'altro, girando la testa per fare in modo di guardarlo dritto in viso.

"Certo che si!"

"E' tutto quello che mi serve sapere" commentò, sdraiandosi a fissare anche lui il cielo.

Sendoh strabuzzò gli occhi. Possibile? Nessuna acrimonia, nessuno sfottò, nessuno sguardo allucinato? Forse Rukawa era davvero un alieno. Dopo tutto quello che aveva passato con sua madre, dopo tutto quello che aveva letto negli occhi dei genitori di Hiroachi, questa totale mancanza di stupore lo disorientava; lui, che avrebbe voluto che quella stessa identica reazione l'avessero avuta gli adulti, si ritrovava perplesso nello scoprirla in Rukawa.

"Per il lavoro non posso fare molto, ma forse per l'appartamento..." sussurrò il ragazzo che gli era sdraiato a fianco, come se stesse confabulando con se stesso.

"Eh?"

Rukawa gli fece segno di aspettare mentre estraeva un cellulare dalla tasca superiore della sacca, e componeva velocemente un numero. Attese circa tre secondi e poi attaccò a parlare con il suo misterioso interlocutore.

"Si, sono io... ciao... sono al campetto, dove vuoi che sia? Piantala, adesso torno! Si, si, senti una cosa... tua madre sta ancora cercando di affittare il monolocale sopra casa tua? Sei sicuro? Bene... si, forse si... Sendoh... me l'ha detto adesso... si, sono al parco con lui... Ancora!!! Mi stai facendo perdere la pazienza Do'aho! Ci vediamo a casa... ok.. anche io, ciao"(*)

Sendoh era sinceramente, completamente, totalmente sbalordito. Rukawa che chiamava Sakuragi? Perché, da che mondo è mondo, l'unico Do'hao esistente era lui... e lo apostrofava con una simile confidenza? E che voleva dire ci vediamo a casa???

"Rukawa..." balbettò, in una muta richiesta di informazioni.

"La madre del Do'aho ha un monolocale da affittare... è un posto carino, e sono sicuro che non costa poi tanto..." lo informò l'altro "Puoi passare oggi pomeriggio a casa mia, sai dov'è no?, così ti puoi mettere d'accordo con il Do'aho e visitare l'appartamento" concluse, spazzolandosi il retro dei pantaloni e avviandosi verso la bicicletta che aveva assicurato contro la rete del campetto.

"Ok?" chiese, voltando la testa oltre la spalla e fissandolo un attimo

"Si perfetto, ma... Rukawa... cioè.. grazie, davvero..." balbettò ancora, estremamente confuso da tutto quello che gli era capitato tra capo e collo, sapendo benissimo di sembrare lo scemo del villaggio, a giudicare dallo sguardo divertito che gli stava lanciando quello che aveva sempre considerato essere un freezer ambulante, incapace di scongelare la sua espressione in una qualsiasi smorfia che non fosse la più assoluta indifferenza " tu e Sakuragi, voglio dire... da quando siete così in confidenza?"

Rukawa riprese a camminare, e Sendoh quasi si convinse che non gli avrebbe risposto. Ma poi la sua voce gli giunse, dritta agli orecchi come un treno espresso.

"Da quando stiamo insieme"

L'unica cosa che il giocatore del Ryonan fu in grado di fare fu quella di buttarsi indietro a braccia aperte, e tornare a fissare il cielo.

 

***

 

Appoggiò il dito al campanello, e premette il pulsante una sola volta.

In risposta, avvertì il trillo secco e deciso rimbalzare per le pareti dell’appartamento.

“Sei proprio sicuro…?”

“Hiro-kun, ne abbiamo già parlato, no? E poi è stato proprio Rukawa a propormelo…”

Pochi attimi dopo la porta si aprì e il volto impassibile di Rukawa Kaede fece capolino.

“Uh, siete voi” borbottò.

Dopo essersi accertato della loro identità, spalancò la porta, facendo loro cenno di entrare.

“Ciao Rukawa” lo salutò Sendoh, con il solito entusiasmo.

Koshino, molto meno espansivo, si limitò ad un cenno del capo, lo stesso tipo di saluto che il ragazzo aveva rivolto ad entrambi.

Mentre ancora si stavano togliendo le scarpe, giunse loro una voce.

“Kitsuuuu-neeeeeee… chi èèèèèèè???”

Rukawa scosse la testa, e rivolse uno sguardo di scuse ai due.

Sendoh si limitò a ridacchiare.

“Allora, stupida volpe, perché diavolo non mi rispondi???”

La voce e tutti gli improperi che urlava si avvicinavano costantemente, fino a che nell’ingresso comparve la figura del ciclone umano per antonomasia.

Sendoh voleva freddarlo con una battutaccia di quelle che serbava nella riserva speciale, ma appena riuscì a metterlo a fuoco meglio le parole gli morirono in gola.

Era Sakuragi, su quello non c’era dubbio, ma… si era spesso chiesto che ci trovasse Rukawa nella scimmia rossa.

Insomma, l’avvenenza del volpino era cosa nota, mentre Sakuragi veniva incoronato dalla notte dei tempi come re degli sfigati.

Invece… bhè, ora che lo vedeva qui, fuori dall’ambiente scolastico, quasi non ci credeva…

I capelli rossi, tagliati a spazzola, sembravano essere stati pettinati in uno studiato disordine, tanto che luccicavano di gel.

La leggera felpa nera, senza maniche, e con i bordi slabbrati, privi di cuciture, si attagliava perfettamente al suo torace muscoloso, mentre i jeans chiari gli slanciavano le lunghe gambe…

Non era lo stesso tipo che si era beccato 50 rifiuti, non era possibile.

Il silenzioso esame dell’asso del Ryonan non passò inosservato al rossino, la cui bocca si atteggiò in un sorrisetto sghembo di scherno.Non aveva poi fatto così male a seguire i consigli della volpaccia per quanto riguardava il look, allora! (scusate, ma non ho resistito… Vai Hana-kun, è il tuo momento di gloriaaaaaaaa!!! NdA) E la prova evidente ero lo sguardo sbalordito che gli stava rivolgendo Sendoh.

"Bhè, felice di vedervi, ragazzi" esclamò, inchinandosi cerimoniosamente davanti ai suoi stupitissimi ospiti...

"Do'hao" lo apostrofò Rukawa

"Idiota a chi, stupidissima ed immensamente fastidiosa volpastra???"

"A te, l'unico ed il solo"

"MA COME TI PERMETTI EH???" strillò Sakuragi, cominciando a salterellare attorno a Rukawa, che intanto stava tranquillamente sospingendo la coppia di amici verso l'interno dell'appartamento " Come osi???? Ma chi ti credi di essere?? Oh, ma io ti distruggo, sai? Ti frantumo! Ti carbonizzo!!"

Lanciando queste inquietanti minacce il rossino, che sembrava davvero furioso, continuava ad agitare senza requie il pugno a pochi centimetri dal viso di Rukawa... ma senza mai neppure sfiorarlo, non poté fare a meno di notare Sendoh.

"La signora Sakuragi verrà qui a momenti, e poi parlerete dell'appartamento" spiegò il moretto, rivolgendosi sia a Sendoh che a Koshino.

"SMETTILADIIGNORARMISTUPIDAVOLPEEEEEEE!!!!!"

Rukawa alzò gli occhi al cielo.

"Ma è sempre così?" chiese Koshino.

Rukawa scosse la testa, come a significare che alle volte era pure peggio.

"NONPUOIFAREFINTACHEIONONESISMPFHFFFFFFFFFFFF"

E, sotto gli occhi increduli dei due giocatori del Ryonan, Kaede Rukawa, asso indiscusso del basket, nonché a detta di tutti impassibile come un maestro zen in meditazione perenne, prese il volto del rossino urlante tra le mani e tacitò le sue proteste con un lungo, caldo, appassionato bacio.

"Io non faccio finta che tu non esista... " bisbigliò Rukawa, accarezzandogli il viso.

Hanamichi gongolò, completamente in balia di quegli occhi ...

Sendoh e Koshino assistettero alla scena tentando di rimanere impassibili, ma, nonostante tutta la buona volontà, non era semplice; li avevano sempre visti dichiararsi odio eterno e pestarsi a sangue, e ora..

"...fai troppo casino per essere ignorato" concluse la volpe, dando un leggero colpetto sul naso al rossino, e allontanandosi incurante.

"MALEDETTOOOO!!!"

Sendoh si preparò ad assistere al massacro... negli occhi di Sakuragi si era accesa una luce assassina, e sembrava pronto a scattare contro l'ignaro Rukawa, ora dedito a preparare il thè.

Proprio in quell'istante il campanello trillò.

"Vado ad aprire, sarà mia madre..." annunciò Hanamichi, mentre l'eco del campanello si spegneva, rinunciando magicamente ai propositi di vendetta "... e tu, volpaccia, ritieniti fortunata... ma continueremo dopo il discorso..."

L'occhiata che Rukawa gli lanciò fece intendere a Sendoh che forse quello che avrebbero continuato non sarebbe stato solo un platonico scambio verbale...

"Siete due pazzi" dichiarò il giocatore del Ryonan, quando fu sicuro che la sua voce non sarebbe giunta alle orecchie della furia rossa.

"Hn"

Pochi secondi dopo, la madre di Sakuragi si catapultò in salotto, completamente ignara di Koshino e Sendoh, trascinandosi il figlio dietro.

“Mamma!!” Sakuragi protestava inutilmente, arrancando alle calcagna della piccola donna, e cercando di dirigerla verso i due giocatori del Ryonan.

“Ohhh, meno male che vi siete decisi a fare un po’ di pulizie, qua dentro…” esclamò la signora sondando con il luminoso sguardo vispo il pavimento ed ogni superficie dell'appartamento.

Sendoh la fissò, sbalordito: quel piccolo scricciolo non poteva essere la madre della scimmia… ma quando poi la studiò meglio non poté non notare il viso franco e aperto, i caldi occhi nocciola e l’inconfondibile capigliatura rossa.

“Kaede, caro, come stai?” intanto la donna aveva individuato il volpino dall’altra parte della stanza, e non aveva perso un istante.

Lo aveva abbracciato, con affetto, e a quanto pareva, l’algida kitsune non sembrava disprezzare la cosa, tanto che avvolse la piccola signora fra le braccia, con molta naturalezza.

La madre del rossino sembrò quasi sparire, inghiottita dall’abbraccio;  Sendoh non poté fare a meno di osservare il volto sorridente di Sakuragi… era rimasto indietro, rispetto ai due, e fissava sua madre che abbracciava la volpe con qualcosa che assomigliava moltissimo all’orgoglio…

Lì, appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto, era l’immagine della fierezza.

Il giocatore del Ryonan intercettò il suo sguardo e Hanamichi ammiccò, come a dire “Hai visto? Non ci si crede, vero?”

Già.

Una gelida morsa gli artigliò il cuore. Per lui non ci sarebbero mai state scene simili.

Sua madre non avrebbe mai abbracciato Koshino in quel modo. Lui non si sarebbe mai sentito il petto scoppiare di felicità alla vista della sua genitrice che trattava il suo ragazzo come un figlio.

Era invidioso. Maledettamente invidioso. E una parte cattiva del suo cuore, quasi si augurava che le  cose per quella famiglia perfetta si mettessero male, così avrebbero sofferto tutti, non solo loro due, e lui non si sarebbe sentito così solo… così dannatamente gelido…

La mano di Koshino si intrufolò nella sua, stringendola.

Sendoh abbassò gli occhi, per guardare in viso Hiroachi e si pentì immediatamente di quello che aveva anche solo osato pensare.

Chi era lui per augurare una cosa simile ad altri? 

Meschino. Era stato orribilmente meschino, e il suo Hiro-kun invece era lì, che gli sorrideva, appena appena, per non perdere la sua nomea di burbero insensibile di fronte ad altri, e gli assicurava che andava tutto bene.

*Lo amo* pensò Sendoh, accogliendo quel pensiero limpido, puro, come si fa con un dono prezioso.

Strinse la mano in risposta.

La voce della donna lo distrasse, costringendolo a riportare gli occhi sulla scena di poco prima.

“Puoi anche lasciarmi ora, figliolo, altrimenti il mio Hana comincerà a diventare geloso” esclamò la donna, ridendo.

Aveva una risata fresca, da bambina.

Hanamichi sbuffò.

“Non che mi debba preoccupare di una vecchietta come te…”

“Porta rispetto, ragazzino!” lo redarguì la madre, sciogliendosi dall’abbraccio del gigante moro e voltandosi verso il figlio, sul piede di guerra.

*Ecco da chi la scimmia rossa ha preso il suo temperamento* pensò Sendoh

“Tua madre è una bella donna, Do’aho” sottolineò con voce monocorde Rukawa.

“KITSUNE!”

“Grazie caro”

I due rappresentanti della famiglia Sakuragi avevano parlato in contemporanea, con toni completamene opposti.

“Volpastra, hai le ore contate! Come osi stare dalla sua parte, eh? EH? “ strillò Hanamichi, esibendosi nella sua miglior interpretazione di Do’hao “Oh, ma io vi ho capiti! Vi siete alleati perché sapete che da soli non potreste mai battere un Tensai come sono!! AHAHAH! !l mito vivente, il genio del basket…”

Il presunto genio continuò la sua autoproclamazione, completamente ignaro del completo disinteresse di sua madre e di Rukawa, intenti a parlottare fra loro.

“Allora mio figlio ti tratta bene? Ti fa mangiare? Mi domando come fai a sopportarlo quando fa così…” disse la donna, lanciando un’eloquente occhiata al ragazzo che, mani ben piantate sui fianchi, gridava al soffitto la sua grandezza.

“Non è facile…”

“Mah, ti capisco sai, in fondo ho dovuto sopportarlo per 16 anni…”

“E’ stata coraggiosa!”

“Non me lo dire”

“VI HO SENTITIII!!!”

I tre si fissarono in cagnesco…e poi, sotto lo sguardo allibito di Sendoh e Koshino, scoppiarono a ridere.

Anche Rukawa.

Sendoh non riuscì a trattenersi, tutta la situazione aveva dell'incredibile, così si unì anche lui al coro di voci, lasciando sfumare tutta la tensione in una lunga, liberatoria risata.

La madre di Sakuragi si volse improvvisamente verso di lui, accorgendosi della presenza degli altri due ragazzi. Li abbagliò con un sorriso, e si diresse verso di loro.

"Oh, salve! Voi dovreste essere quelli che vogliono vedere l'appartamentino..." constatò " Piacere, io sono Mariko Sakuragi"

"Akira Sendoh, molto piacere"

"Hiroachi Koschino"

Si presentarono con molta formalità, e negli istanti che seguirono ci fu quel silenzio che sempre segue le presentazioni, nel quale si decide se il nuovo conoscente ci sta simpatico oppure no. Ci volle meno di un secondo prima che Mariko Sakuragi decidesse di prendere sotto la sua custodia anche quei due ragazzi, eleggendoli a figli putativi. Sembravano entrambi così beneducati, e anche spaesati... bhè, se avevano assistito alle scene appena svoltesi nel soggiorno, non c'era poi da stupirsene.

"Allora, vogliamo andare? Non penso vi interessi rimanere qui a sentire gli sproloqui di mio figlio..."

"Mamma!!!"

"... quindi propongo di andare a vedere il monolocale. Si va?"

"Si va" fu la risposta quasi unanime.

Una sola voce discordante in quel coro, quella di un certo rossino che borbottava di una oscura congiura ai suoi danni.

 

Quarta parte:            Raising the sky again and covering it with stars

(Sendoh's pov)

 

E' diverso vivere da soli, ti senti libero e prigioniero allo stesso tempo. Scadenze da pagare, pulizie da fare... mhh, non avrei mai pensato che potessero esserci così tanti problemi di cui tener conto.

Sembra quasi impossibile, ma è già passato quasi un mese, da quando mi sono trasferito nel mio nuovo appartamento.

Non è grandissimo, ma pieno di luce... era una sorta di mansarda, una volta, ma da quando Hanamichi è andato a vivere con Kaede, sua madre si è ritrovata con un sacco di spazio inutilizzato, quindi l'ha convertito in un altra zona abitabile. Ho il mio ingresso indipendente, da una scaletta esterna, il mio campanello, in cui c'è scritto "Akira Sendoh", e ogni volta che lo leggo, non posso fare a meno di sorridere.

Perché Akira Sendoh sono io e questo è il mio appartamento e io vivo qui.

Mi piace.

Me ne sono innamorato un attimo dopo averlo visto; con l'aiuto di Hiro-kun e dei ragazzi (senza sottostimare il prezioso appoggio della Signora Sakuragi che me l'ha praticamente affittato seduta stante) l'ho ridipinto e sto cominciando ad arredarlo.. piano, piano.

La camera da letto, la cucina, il tavolo adibito a studio... è tutto "a vista". In fondo c'è un piccolo cubicolo, il bagno all'occidentale,comprensivo di una doccia, ma ho il permesso di scendere al piano di sotto, ogni tanto, e usare la vasca della madre di Hanamichi.. basta solo che avvisi, di modo che lei non entri "nel bel mezzo".

C'è qualche mia vecchia cosa, portata via da casa mia, mentre mia madre era al lavoro. Le ho telefonato e le ho spiegato tutto, chiedendole se potevo venirmi a prendere i vestiti e i libri e qualche cianfrusaglia. Non ha detto molto, ma ha acconsentito. Solo che forse io sono stato troppo vigliacco, perché ho fatto una veloce incursione mentre la sapevo essere fuori casa. Non mi andava di vederla.

Certo mi manca , non posso nasconderlo, anche se Hiro-kun e la mia nuova "famiglia adottiva" sono qui quasi ogni giorno, non è la stessa cosa; la madre di Sakuragi mi ha preso sotto la sua ala protettrice... l'affitto che mi fa pagare è una somma irrisoria, praticamente si riduce alle sole bollette della luce e del telefono; ogni tanto io cerco di farle capire che posso permettermi di pagarla anche di più, ora che ho trovato un lavoro (il venerdì, il sabato e la domenica sera mi hanno assunto come cameriere in un bar; la paga è buona e sfruttando spudoratamente il mio fascino, le mance sono alte), ma lei mi dice sempre di non essere sciocco, che a lei i soldi non servono e che è meglio che me li metta da parte, perché potrebbero capitare tempi difficili, e io non posso fare a meno di pensare che il rossino è davvero fortunato ad avere una donna come lei a vegliare su di lui. Come lo siamo io, Hiro-kun e Kaede.

E poi non devo dimenticarmi dei genitori di Koshino...strano, ma sembrano aver incassato la notizia, suo padre una settimana fa è addirittura venuto qui a vedere se avevo bisogno di qualche attrezzo per fare lavoretti in casa (in effetti il tubo del lavandino continua a perdere... se continua così mi solleverà tutto il pavimento sottostante!!). Naturalmente era una scusa, in realtà, voleva parlare con me. E lo abbiamo fatto, parlato intendo. Una chiacchierata lunga, di quelle che credo faccia un padre al fidanzato ufficiale di sua figlia... mi viene quasi da ridere, non deve essere stato facile per lui, come non lo è stato per me. Mi ha fatto promettere che mi sarei preso cura di suo figlio, lasciandomi intendere che se lo avessi ferito si sarebbe preoccupato personalmente di distruggermi.

Nessun problema. Se mai dovessi fare qualcosa che induca Hiro-kun a lasciarmi sarei io il  primo ad autostaccarmi la testa. Con sommo sprezzo del dolore.

Alla fine, prima di andare via, ci siamo stretti la mano, da uomo a uomo. Non mi ricordo come fosse mio padre, è morto quando io ero troppo piccolo per far si che la sua immagine restasse impressa indelebile nella mia memoria, ma credo di averne appena trovato uno.

Fino a poco tempo fa ero convinto che il cielo mi fosse franato addosso. E adesso mi sto rendendo conto che sto riuscendo a ripararlo, con fatica, certo, e molte crepe si vedono ancora... ma ora posso perfino permettermi il lusso di coprirle attaccandoci sopra delle stelle; quello che è accaduto con il padre del mio Hiro-kun l'ho visualizzato come una stella grande e rossa.. ma poi ci ho ripensato, vale quanto un'intera costellazione, che ho ribattezzato "la riappacificazione".... ora brilla e scintilla, fiera, nel nuovo firmamento della mia vita.

Mi piace riflettere su tutte queste cose, il mattino appena sveglio, proprio come sto facendo adesso. Sotto l'acqua calda della doccia, mi concedo di pensare a tutto quello che farò oggi, alla gente che incontrerò, ai piccoli lavori da fare in casa, al regalo che ho in mente di comperare alla mamma di Sakuragi, alla festa per l'anniversario di Kaede e Hanamichi (fra poco saranno sei mesi che sono insieme), al mio Hiro-kun... mi scappa un sorriso.

Nonostante lo scroscio dell'acqua lo sento trafficare in cucina... scommetto mi starà preparando la colazione; il mio stomaco protesta al pensiero, in effetti i piatti che cucina fanno piuttosto schifo, ma stiamo migliorando, sotto lo sguardo vigile e attento della signora Sakuragi che ci fa da maestra... giusto ieri sera sono riuscito a cuocere degli hamburger senza bruciarli, e considerata la mia reputazione in cucina è stato un successo clamoroso. Koshino non voleva crederci, quando è arrivato per cenare con me, che li avessi preparati io. Mi ci è voluto del bello e del buono per convincerlo del fatto e per farglieli assaggiare. Appurato che erano commestibili, ha dichiarato che era un evento da festeggiare.

E mi ha trascinato a letto. Abbiamo fatto l'amore, e poi si è addormentato tra le mie braccia, lo fa sempre. Non lo ammetterebbe mai, ma adora essere coccolato. E io adoro coccolarlo. Stamattina mi ha svegliato con un bacio.. e da cosa nasce cosa... lo abbiamo fatto ancora e ancora, fortuna che è domenica e non dobbiamo andare a scuola.

Dolce, tenero Hiro-kun. Ho voglia di riabbracciarti, anche se ti ho lasciato solo cinque minuti fa.

"Akira!" lo sento chiamarmi dalla cucina.

"Dimmi!" gli urlo di rimando, abbassando appena il getto dell'acqua.

"Se non ti muovi qua diventa tutto freddo!!"

Sporgo la testa dal vano-doccia, per essere sicuro che mi senta bene.

"Prima di preoccuparti di questo, dovresti essere sicuro che sia roba commestibile..."

In capo a due secondi lo vedo sbucare davanti a me, con il grembiule da cucina infilato addosso alla buona e un cucchiaio di legno in mano; la sua espressione non è delle più pacifiche.

"Vuoi ripetere?" mi apostrofa, sul piede di guerra.

Mi sporgo di qualche centimetro, e lo bacio sul naso.

"Ti amo" gli confido e sorrido.

Mi fissa confuso, l'ho spiazzato... oh, è così carino quando assume quest'espressione! Mi viene una mezza idea di trascinarlo sotto l'acqua con me, ma il mio cervello mi avvisa che la sua reazione sarebbe molto simile a quella di un gatto selvatico... decido di conservare il mio slancio passionale per dopo, almeno avrò salva la vita!

"Imbecille" borbotta lui, riprendendosi dall'attimo di smarrimento e tornando in cucina "ma non pensare di cavartela con così poco..."

Riapro il getto dell'acqua al massimo e mi sento davvero bene. Sto per chiudere definitivamente tutto, quando sento il campanello squillare. A quest'ora? Non conosco nessuno che di domenica mattina sia in piedi così presto. Mi giunge il cigolio della porta che viene aperta, e metto un mentale appunto per ricordarmi di oliarla, poi il suono soffocato di una rapida conversazione.

"Akira" di nuovo Hiro-kun che mi chiama, ma sento una nota di urgenza nella sua voce, stavolta "Vieni qua"

Incuriosito afferro l'accappatoio, me lo infilo ed esco dal bagno; non mi passa neppure per l'anticamera del cervello di vestirmi, se quello che rompe le scatole a quest'ora di mattina non ha di meglio da fare, non si scandalizzerà di certo per la mia tenuta, dopotutto avrà pure preventivato che la gente normale di domenica prima delle 10:00 non si alza, no?

Quando vedo chi è la persona che rimane ferma all'ingresso, mi pento immediatamente di non essere vestito e pettinato di tutto punto... credo sia una reazione ancestrale che la vista della mamma ti evoca, retaggio dei tempi dell'infanzia.

"Ciao" mi saluta.

"Mamma..." balbetto.

Non so bene cosa dire, non mi aspettavo di vedermela comparire così all'improvviso. Hiroachi fissa prima me, poi lei, poi il suo sguardo torna su di me, e sembra prendere una decisione.

"Credo che voi due abbiate bisogno di parlare... io vado a fare un pò di spesa..." mi comunica, risoluto, prima di afferrare il giubbotto.

Evito di fargli notare che dubito seriamente che qui intorno ci sia un negozio aperto, oggi, anche perché capisco l'opportunità che mi sta offrendo.

"Signora" saluta mia madre con un cenno del capo, e senza aspettare risposta si vota verso di me, ansioso di lasciarci soli "Akira, ci vediamo dopo"

Annuisco, lui mi passa accanto e fa per uscire... di solito, quando se ne va, ci salutiamo sempre con un bacio, e non vedo perché ora debba essere diverso. Questa è casa mia, e lui è il mio ragazzo. Quindi, quando lo prendo per un braccio e gli sfioro le labbra con le mie non sono stupito di non provare alcun imbarazzo. Le sue gote si fanno di fuoco, ma non protesta.

"A dopo" gli dico, mentre lo lascio andare, e lo vedo eclissarsi, giù per le scale.

Riporto il mio sguardo su mi madre... non fa alcun commento sulla scena a cui ha appena assistito. Meglio così. Si guarda nervosamente attorno, e sembra sfuggire i miei occhi; la pelle del suo viso è pallida, tirata, come se non dormisse da un pò; indossa un bel completo, un tailleur beige che le ha sempre donato, ma non posso non notare che le cade male, come se le fosse stato appeso addosso... è dimagrita.

Con un gesto la faccio accomodare su una sedia della cucina, mentre dal canto mio vado verso i fornelli, e annuso il thè che ha preparato Hiroachi prima di uscire. Non sembra malaccio, e decido che posso rischiare di servirlo.

Lo porto sul tavolo, assieme alle tazze, spaiate, e alla zuccheriera, sbeccata in ben tre punti lungo il bordo. Mi accorgo di quanto misero possa apparire tutto questo, ma non ho intenzione di scusarmi, non ce n'è motivo.

La vedo che aggrotta le sopracciglia, fissando l'assurdo insieme di porcellana che le ho messo davanti agli occhi.

"Mi arrangio come posso" le confido, alzando le spalle "ma è tutto pulito..."

Lei scrolla la testa.

"Lo so, non è questo..."

Vorrei chiederle allora che c'è, perchè è qui, ma mi limito a mettere due cucchiai di zucchero nel thè. Mescolo piano e poi bevo.

Fa schifo.

Appoggiò la tazzina e ci aggiungo altri quattro cucchiaini.

"Se vuoi berlo, ti consiglio di zuccherarlo molto" avviso mia madre "Così non senti il sapore"

E' l'ombra di un sorriso quella che le passa sulle labbra? Ho paura di illudermi, se lo penso, ma...

"L'hai fatto tu?" mi chiede, il tono leggermente ironico, giocando con il manico della tazza.

"Certo che no!" protesto, indignato. Almeno il thè lo so fare, io! "E' stato Hiro... di solito non lo fa lui, ma stamattina ne ha approfittato, dato che io ero sotto la doccia"

Annuisce, e comincia timidamente a guardarsi attorno. Il suo sguardo si sofferma un attimo sul futon a due piazze, sulle coperte sgualcite da entrambi i lati, e credo le ci voglia un nanosecondo per capire e passare oltre. Avverto che mi fissa un istante di sottecchi, ma non ho intenzione di darle alcuna spiegazione; se vuole chiedermi qualcosa, io sono qui, ma non anticiperò le sue domande, sarebbe come mettersi sulla difensiva.

"Kosh... Hiroachi, vive qui?" mi domanda, e non so capire che tipo di sentimento animi la sua voce.

"No, ma ogni tanto, specie se il giorno dopo non c'è scuola, dorme da me"

Ci sono un mare di implicazioni, nella mia semplice risposta, e sono quasi sicuro che lei le abbia colte tutte; perchè certamente starà pensando che se Hiro viene da me e resta qui la notte, sicuramente lo fa con l'approvazione dei suoi, e questo vuol dire che loro sanno di noi, e lo accettano; e che io e lui non ce ne restiamo di certo a fissarci platonicamente negli occhi tutta la serata, per quello basterebbe vederci di giorno, in qualche bar...

Non dice nulla, ma il suo sguardo passa dalla "camera da letto", al tavolo ingombro di libri. Credevo che si sarebbe lasciata scappare qualche commento, invece sembra intenzionata a rimanere in territorio neutrale... raccogliere il massimo delle informazioni esponendosi al minimo.

Non ho niente in contrario, dopotutto in questo campo è come se non sapesse nulla di me. Non so come mai sia venuta qui, forse l'idea che il figlio minorenne viva da solo le impedisce di dormire tranquilla, forse vuole accertarsi che non stia *soffrendo di solitudine*... non posso fare a meno di pensare acidamente tra me queste cose, ma in fondo in fondo spero che invece sia qui *per me*, per me in quanto suo figlio, perchè gli manco, perchè...

"La scuola, come va?" credo stia seguendo un itinerario ben preciso, dando retta agli stimoli visivi che le vengono sottoposti.

"Bene... sono un pò debole in matematica ma Hiro mi dà una mano; e l'inglese va meglio, da quando studio con Rukawa... un ragazzo dello Shohoku, quello bravo a basket" preciso, ma sicuramente se ne ricorderà, gliene parlavo spesso.

"Anche tu sei bravo" commenta, piano.

"No, io sono il migliore" rispondo, sogghignando; nonostante tutto, la volpe non mi ha ancora detronizzato.

"Andrete ai Campionati Nazionali, quest'anno?"

"Non lo so... ci sono un sacco di squadre da battere... io lo spero..."

Continua a guardarsi attorno, mentre le parlo; il suo sguardo intercetta ora la mensola vicino all'entrata; è un piccolo scaffale, un pò storto, che ho fissato io; uno dei miei primi lavoretti manuali, secondo me un capolavoro di ingegneria, secondo Sakuragi e l'allegra brigata un assurdo pezzo di legno che se ne resta attaccato al muro solo grazie alla misericordia infinita di Buddha. Sopra ci sono tantissime fotografie, un'accozzaglia infinita di cornici, che racchiudono momenti della mia vita; alcune sono di me da piccolo, le ho prese quando sono andato a casa per radunare la mia roba, altre sono più recenti... la squadra di basket, Hiro-kun, io e lui, Hanamichi e Kaede...

Mia madre si alza, e va verso lo scaffale, per esaminarle da vicino. Le sfiora tutte, con la punta delle dita. Non resisto, e le vado vicino.

"E' lui Rukawa?" mi chiede, indicando il rossino.

Sorrido e scuoto la testa. Le spiego che Rukawa è quello di fianco alla testarossa, che in realtà è il famoso Sakuragi.

"Ah" commenta lei. Sicuramente si ricorderà anche di lui, lo nominavo spesso quando le parlavo delle nuove promesse della prefettura.

Prende tra le mani una foto; la riconosco. L'abbiamo scattata due settimane fa, quando siamo andati a Tokyo. Io e Hiro festeggiavamo il nostro primo mese insieme, e a noi si erano aggregati sia la scimmia urlante che Kaede. Lì siamo davanti alla stazione, io con le braccia attorno alla vita di Hiro e Rukawa che sonnecchia appoggiato alla spalla di Sakuragi. Mi ricordo che abbiamo accerchiato un povero vecchietto e l'abbiamo costretto a farci la foto... e come resistere a tre giocatori ben piantati, di un metro e novanta di altezza che ti chiedono un favore?

Posa la foto, e passa in rassegna le altre... fondamentalmente i soggetti principali siamo io e Hiro; tranne l'ultima. Quando i suoi occhi la raggiungono si dilatano, sorpresi. Non la prende in mano, ma la fissa con insistenza. E' stata fatta qua fuori, il primo giorno in cui mi sono trasferito qui... io, Hiro, Sakuragi e Rukawa, la madre del rossino siamo in centro alla foto, sorridenti; la madre di Hanamichi è fra me e Hiroachi, e ci tiene abbracciati, mentre dietro spuntano le facce della scimmia e di Kaede, come al solito mezzo addormentato... ma la vera sorpresa sono i genitori di Hiro, è vero, sono un pò in disparte rispetto a noi, ma ci sono; sua madre ha perfino abbozzato un sorriso, e il padre ha il volto sereno; per me questa foto vale oro.

"Dovrei esserci anche io, qui" sussurra mia madre, portandosi una mano alle labbra.

Sta tremando.

"Mamma..."

"Akira, io..." fa fatica a parlare, sento quasi il pianto nella voce.

No, no, ne ho abbastanza di lacrime. Lascio da parte tutto l'orgoglio, lascio da parte me stesso, e la abbraccio, esattamente come avrei voluto che avesse fatto lei molto tempo fa. La abbraccio e spero capisca che non c' è nulla da dire, nulla di cui scusarsi, nulla per cui umiliarsi; ora è arrivato il momento di ricominciare. Quando sento le sue mani aggrapparsi alle mie spalle so di essere stato compreso, e so di averla capita.

Rimaniamo così a lungo, poi la lascio andare e noto con sollievo che i suoi occhi non sono più lucidi.

"Hai il portafoglio, qui?" le chiedo, di getto.

Aggrotta le sopracciglia, ma si astiene dal fare domande. Torna al tavolo, fruga nella borsetta, ed estrae il portafoglio. Me lo porge, ed una volta che ce l'ho fra le mani, lo apro; ecco quello che cercavo. Glielo restituisco, trattenendo una piccola foto; è un'istantanea per la patente, so che mia madre ha sempre avuto il vizio di portarsela dietro; non è particolarmente riuscita, ma è LEI, e, al momento, in mancanza di altro, è sufficiente.

Velocemente, rovisto sopra il tavolo, frenetico, e afferro lo scotch; torno da mia madre, che ancora non ha capito che mi succede. Prendo in mano la foto, quella con tutto il clan riunito, scattata il giorno dell'inaugurazione del mio appartamento, e, nell'angolo libero in alto, attacco l'istantanea di mia madre.

"Eccoci" le dico, porgendole il capolavoro di arte fai-da-te"Temo ti dovrai accontentare, almeno fino a che non ne potremo farne una "in presa diretta"" scherzo, tentando di calmare questo cuore impazzito.

Dopo un mese e mezzo, finalmente rivedo il sorriso sulle sue labbra, e quando le prime lacrime le segnano le guance non ho nulla da ridire, perché so che non sono date dalla tristezza; anche i miei occhi bruciano, quando la sento che mi abbraccia, prendendo da sola l'iniziativa.

Mentre il sole di questa pigra domenica mattina illumina con più forza la stanza, io rimango abbracciato a mia madre, come quando facevo quando ero piccolo, e mi sembra che nulla sia cambiato, che nulla sia andato in pezzi, anche se so che non è così.

Ma sto ricostruendo il mio cielo, e lo sto ricoprendo di stelle.

Trust I seek and I find in you,
every day for us there's something new;   
opened mind for a different view,  
and nothing else matters

(Cerco fiducia, e la trovo in te,    
ogni giorno ci riserva qualcosa di nuovo;      
menti aperte per una visione differente,  
e nient'altro importa)

 

OWARI

 

Eccoci qui, alla fine.

Che dirvi, spero che vi sia piaciuto e che la fic l'abbiano apprezzata anche tutte coloro che non sopportano l'uomo della mia vita, Akira Sendoh... dai, cercate di essere buone, non è malaccio, e poi qui non infastidisce Rukawa, quindi...^^ 

Prima di lasciarvi, devo fare due precisazioni:

1-(*) la telefonata di Ru mi è stata ispirata da Greta, che usa lo stesso espediente nella sua fic "Molto rumore per nulla"; mi è piaciuta un sacco l'idea  che hai avuto, e quindi me ne sono avvalsa pure io... ah, che approfittatrice, che si fa bella sulla base delle trovate degli altri!

2-La canzone che intervalla alcuni momenti della fic è la splendida "Nothing else matters" dei Metallica^^

Grazie per l'attenzione^^, sayonara!

 


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