Note: Bla bla bla i personaggi non sono
miei
Anche questa fic è un po’ diversa dalle
altre, anche questa volta niente basket!
Un grazie alla mia fidanzata, Akira14, che
mi ha suggerito il titolo.
Rag Dolls -
bambole di pezza parte
IV
di Koibito8
Hanamichi sollevò il
mento, aveva gli occhi sgranati e fissava Kaede quasi con sgomento. E fu
in quel momento che Kaede capì che Hanamichi non era un uomo debole ma
solo vulnerabile.
Lo prese tra le
braccia, e gli sentì emettere un suono dolce, qualcosa di simile ad un
sospiro.
Kaede sapeva capire
quando un uomo gli si abbandonava. Questo era qualcos’altro. Stordimento,
probabilmente. Si vide come un predatore, un puma che teneva prigioniera
una piccola creatura sotto una zampa. Quel pensiero lo turbò.
La dolce sensazione di
accarezzargli la bocca con la lingua lo aveva vinto. Nasceva di nuovo in
lui, prepotente, il bisogno di stare con qualcuno, ma non una persona
qualsiasi: non poteva permettere ad Hanamichi di uscire dalla sua vita.
Era un’ironia che, dopo tutto quel tempo e tutta la sua esperienza, si
fosse trovato tra le braccia una persona così dolce ed inesperta. Non era
così che si aspettava accadesse.
Gli mise una mano
dietro la nuca e gli accarezzò i capelli, ammirando la loro lucentezza
alla luce delle stelle. Dio, pensò, per favore non farmi ferire questa
adorabile scimmietta. Sapeva che se avesse insistito, probabilmente lo
avrebbe posseduto quella notte, ma era troppo presto.
Quando sentì che
Hanamichi cercava di liberarsi dal suo abbraccio, lo lasciò immediatamente
e lo osservò con dolcezza.
Fissando con una certa
intensità gli alberi gelati e i campi fuori dal finestrino, Hanamichi si
sfilò lentamente un guanto e sfiorò con le dita le labbra umide. Lasciò
ricadere la mano e si schiarì la voce. “Sei molto esperto.”
“E questo non ti
piace?”
“Le persone che sono
brave in tutto mi deprimono.”
“Non preoccuparti. Ho
dei momenti di grande incapacità.”
Avrebbe voluto
prenderlo di nuovo tra le braccia, ma non poteva, perché il desiderio di
fare l’amore con lui era ancora troppo forte. Posò il braccio sulla
spalliera del sedile, accarezzandogli le spalle. Poi, senza volerlo, le
sue dita vagarono sul volto di Hanamichi, tracciandogli la linea del naso,
accarezzandogli gli angoli della bocca. Ti voglio, pensò. Ti voglio.
Fece scivolare le dita
sotto il morbido berretto di lana per esplorare le curve calde delle
orecchie.
“Sai una cosa?” gli
chiese Kaede.
“Cosa?” Hanamichi si
volse a guardarlo; non sembrava accorgersi dell’effetto che aveva su di
lui.
Kaede ritirò la mano e
avviò il motore. “Non tremi di paura.”
Aveva cominciato a
nevicare; i fiocchi di neve che brillavano alla luce dei fari si
disperdevano come petali trascinati dal vento. Scuri e severi, i rami nudi
degli alberi s’incontravano in grovigli confusi. Con le stelle, il cielo
era di colore magico.
Quando arrivarono alla
deviazione che li avrebbe riportati all’abitazione di Hanamichi, l’auto
proseguì diritta. Hanamichi chiuse gli occhi. Spero che mi rapisca, si
augurò. Sentimenti inaspettatamente profondi erano emersi in un uomo che
lui aveva immaginato superficiale. Era strano, forte e intelligente.
Kaede Rukawa. Quel nome
gli era rimasto impresso nella mente. Rukawa era un nome molto conosciuto,
non solo nella prefettura di Kanagawa. Ebbe un ricordo fugace della
presentatrice dello Shohoku Club che presentava Kaede come un ‘nobile’,
cosa a cui lui non aveva fatto caso all’inizio. E c’era anche quel
particolare accento ricercato…
Com’era possibile che
un Rukawa si spogliasse in un locale notturno?
Dopo un lungo percorso
che li aveva portati alla periferia della Prefettura, l’auto si fermò
davanti a un enorme cancello in mattoni e ferro battuto: l’entrata della
residenza dei Rukawa.
Kaede premette un
bottone e il cancello si aprì come spinto da mani invisibili. Hanamichi
pensò subito ad un palazzo magico, come quelli delle fiabe.
La terribile e, nello
stesso tempo, meravigliosa idea che Kaede lo stesse portando in qualche
posto intimo per fare l’amore lo affascinava.
“Spero che non sembri
una domanda oziosa” disse Hanamichi. “Ma dove stiamo andando?”
“Vorrei farti conoscere
dai miei amici.”
“Vivono in un palazzo?”
“No”, sorrise. “Tra gli
alberi.”
L’auto percorse un
sentiero coperto di alberi, poi voltò di colpo in uno stretto viottolo
coperto di neve. I rami secchi battevano sulle portiere e sui finestrini
dell’auto. Erba alta e avvizzita spuntava tra la neve a sfiorare la sagoma
della macchina.
“Non hai profumo”,
disse Kaede improvvisamente.
Per uno strano motivo
c’era dell’approvazione nella sua voce.
“Vero. Di solito, non
ne metto. Però ho la brutta abitudine di fare la doccia tutti i giorni…”
“Non voleva essere una
critica, scimmietta; anzi è meglio. Forse a loro non piace.”
“Questi tuoi amici…
sono uomini?”
“Hanamichi! Io faccio
lo spogliarellista. Ti presenterei forse a qualcuno dei miei disgustosi
colleghi?”
Il tono di Kaede era
leggero e divertito, eppure a lui sembrò di percepire come una sottile
ansietà. O forse era la sua immaginazione.
Certo non era possibile
che un uomo così bello, forte e sensuale fosse tanto vulnerabile.
Comunque era evidente
che veniva da una famiglia ricca. Nessuno avrebbe pensato che avesse
bisogno di lavorare, e tanto meno fare qualcosa che non gli piacesse.
Confuso com’era,
Hanamichi non ebbe il coraggio di fargli domande dirette sulla sua
famiglia.
Il suo legame, o almeno
quel che sembrava essere il suo legame, con la ricchezza e la potenza lo
imbarazzava.
Non sapeva perché,
forse perché sembrava così estraneo al suo modo di essere. Allevato in un
piccolo collegio dove la madre aveva insegnato Letteratura, Hanamichi non
aveva alcuna esperienza del gran mondo, oltre alla versione fiabesca
fornita dalla televisione e dai film. Ma sicuramente poteva intuire quanto
fosse strano che un uomo appartenente a quel mondo si spogliasse nei
locali notturni.
“Perché lo fai?”, gli
chiese Hanamichi all’improvviso, alzando la voce per superare il rumore
dei rami spezzati. Studiando intensamente il volto di Kaede alla luce
riflessa dai fari anteriori, colse ogni sfumatura della sua espressione,
una combinazione di cinico divertimento e qualcosa di più malinconico, che
Hanamichi vide di sfuggita.
“Mi pagano.” Fece una
pausa. “Molto.”
Avrebbe potuto
replicare che c’erano lavori altrettanto remunerativi. Ma il ricordo del
suo bacio era ancora vivo il lui, e il cielo era di un colore magico.
Hanamichi si rilassò sul sedile.
“Più che alla
biblioteca di Kanagawa, suppongo. Anche le donne possono esibirsi allo
Shohoku Club? Dai lezioni?”
“Si. No. E sarei felice
di mostrarti come toglierti i vestiti. A essere onesto, sarei molto più
interessato al risultato che alla tecnica.”
L’auto si fermò. Kaede
spense il motore e si voltò verso di lui nell’oscurità.
“Adesso dobbiamo
aspettare.”
“Cosa?”
“I nostri occhi devono
abituarsi all’oscurità. Sai qualcosa delle visioni notturne?”
“No.” Cominciava a
trovare Kaede Rukawa sempre più affascinante.
“La retina è composta
di coni e bastoncelli. I bastoncelli sono sensibili alla luce
crepuscolare, i coni al colore e non riescono a funzionare bene quando la
luminosità è scarsa. È per questo che non puoi vedere i colori al buio.”
Gli fece scivolare un
braccio intorno alle spalle e lo attirò a sé.
“Guarda il cielo.”
Hanamichi fece come
Kaede gli aveva detto.
“Quel cielo di velluto
nero è azzurro proprio come di giorno.”, gli disse Kaede. “Ma i nostri
occhi non possono vederlo. Una volta che si sono abituati al buio,
diventano molto più sensibili che alla luce del giorno. Mmm…” gli sollevò
il mento col dito ed esaminò il suo volto. “Devi avere un limite di noia
più alto della maggior parte dei miei amici. Sei ancora sveglio! E”,
continuò dolcemente, “cominci a sorridere, miracolo dei miracoli.” Col
pollice gli tracciava la linea superiore delle labbra che si sollevavano a
incontrare le sue.
Lo sentì mormorare:
“Non fermarti”, prima che si unissero dolcemente. Stava bene, così bene,
mentre rispondeva al bacio. Gentilmente Kaede fece scorrere la mano alla
base del collo, in un leggero, eccitante massaggio, prima di farla
scivolare giù, a sfiorargli un capezzolo. La pressione delle sue dita
forti gli suscitava sensazioni sconvolgenti e il suo corpo rispondeva a
ogni carezza. Un magico impulso gli fece alzare le braccia per cingergli
il collo. Kaede lo strinse più vicino, continuando la sua eccitante
carezza.
“Quanto ci vuole”,
ansimò Hanamichi, “perché questa cosa succeda?”
“Mezz’ora circa. Nel
frattempo, dimmi come passi la giornata.” La voce di Kaede era un poco
ansante, quando lo attirò contro la giacca.
Hanamichi protestò, con
una risata incerta, conscio del fatto che nessuna resistenza era
abbastanza forte per opporglisi.
Sorridendo, Hanamichi
cominciò a far domande. A che ora si alzava la mattina? Cosa mangiava a
colazione? Ascoltava musica o la sua casa era silenziosa? Dove dormiva?
Così Hanamichi si ritrovò a parlare di sé, del suo lavoro, dei suoi
pensieri, della gente che vedeva e con cui lavorava.
Nessuno prima aveva mai
indagato sulla sua vita in quel modo. Nessuno si era mai curato di sapere
se gli piacesse la gelatina di mele e i letti a baldacchino; nessuno,
tranne sua madre, gli aveva mai chiesto che problemi avesse incontrato sul
lavoro coi nuovi colleghi.
Hanamichi pensò che
Kaede era probabilmente il più esperto e il più attento ascoltatore con
cui avesse mai conversato.
Kaede lo accarezzava
con la stessa sensualità presente nella voce, divenuta roca, un sussurro.
Il tempo passava. I
suoi occhi si erano abituati all’oscurità. Il suo corpo era pronto
all’amore.
“Credo che tu sia
pronto, adesso” disse Kaede piano.
Hanamichi sobbalzò.
Ridendo dolcemente
della sua sorpresa, Kaede gli fece scivolare il cappotto dalle spalle, poi
lo chiuse nel suo. Il profumo caldo e dolce di Kaede lo avvolse mentre lo
osservava prendere una giacca dal sedile posteriore e infilarla. Scese
dall’auto e lo invitò a fare lo stesso.
La foresta era un mondo
prezioso. Fiocchi di neve brillavano sui rami degli alberi di pino. Il
terreno scintillava come se fosse cosparso di frammenti di stelle. La
brezza notturna cullava le alte cime degli alberi e spandeva il profumo
dei cedri nell’aria umida, splendente di neve.
Hanamichi poteva
cogliere ogni dettaglio alla luce della luna, come se fosse giorno. Mentre
si girava lentamente, guardandosi intorno nel silenzio abbagliante, Kaede
prese delle ciotole dal portabagagli e le riempì di cibo, poi cominciò a
camminare con lui verso una radura in mezzo alla foresta; i loro passi
erano attutiti dal folto tappeto di neve. Hanamichi non fece più caso al
freddo.
“Dove…”
“Parla piano.”
“Dove stiamo andando?
Hai per caso un rifugio qui?”
“No”, sorrise. “Ho
amici selvatici.”
Più in là, un prato era
bagnato dalla luce delle stelle. Hanamichi osservò Kaede posare le ciotole
in terra, prendergli il volto tra le mani per baciarlo ancora una volta,
lentamente.
Come in un sogno
camminarono mano nella mano fino al limite del prato dove rimasero
abbracciati sotto la chioma pendente di un salice. Tra le goccioline di
ghiaccio che scintillavano come gemme in cima a ogni ramo, Kaede gli tolse
la neve dalle ciglia con le labbra.
Poi, dolcemente, lo
girò verso il prato e rimase in piedi vicino a lui, le mani sulla vita per
dargli calore.
“È meglio non stare
dietro a un albero quando si guardano gli animali selvatici”, gli sussurrò
in un orecchio. “Dovresti muoverti per vedere e gli animali troverebbero
minacciosi questi movimenti. Invece quando stai perfettamente immobile,
accanto a un albero diventi quasi invisibile. Se devi muoverti, fallo
molto lentamente, e se accidentalmente fai un rumore rimani immobile e
cerca di non fissare davanti. I predatori fissano direttamente le loro
prede quando si preparano ad attaccarle.”
Poi non parlò più e
anche Hanamichi rimase in silenzio.
Il prato era vivo. Il
cuore di Hanamichi prese a battere lentamente, come i passi leggeri dei
tre cervi che vennero a bere al ruscello.
Dall’oscurità emersero
i procioni, che corsero a testa bassa verso i piatti col cibo,
scontrandosi l’uno con l’altro.
Una moffetta sbucò
dall’erba e prese il suo posto vicino alle ciotole contenenti il cibo.
Kaede, con voce dolce, cominciò a parlare degli animali; della piccola
moffetta, che sembrava non capire perché tutti la evitavano; dei procioni
e della volpe rossa che arrivava furtiva, Hanamichi pensò che la piccola
volpe gli somigliava davvero; del grande allocco che volava silenzioso tra
gli alberi.
Mentre la luna li
guardava da sopra i rami nudi dell’albero, Hanamichi osservava i topi
muschiati mangiare dalle mani di Kaede. Un porcospino avanzava verso di
lui e l’uomo lo nutrì.
Seduto sul sedile
posteriore dell’auto, Hanamichi bevve del tè dal termos, una coperta rossa
di lana stesa sulle ginocchia. Guardò con nuovo stupore i fiocchi di neve
attraverso una piccola lente. Ogni singolo cristallo aveva una sua
bellezza distinta.
Era incantato.
Poi Kaede lo fece
distendere nell’auto tenendolo tra le braccia, semplicemente, cercando di
scaldarlo con il calore del proprio corpo, e gli parlò delle leggende
della notte, della foresta, della primavera che sarebbe venuta presto e
dei giovani animali che avrebbero riempito alberi e ruscelli.
Hanamichi pendeva dalle
sue labbra.
Infine Kaede, rimesso
in moto, l’accompagnò fino a casa.
Allora, e soltanto
allora, lo baciò di nuovo, stringendolo a sé per un lungo, interminabile
minuto, poi gli sfiorò la fronte con un dito e sussurrò: “Dormi bene”,
prima di lasciarlo.
Fine quarto capitolo.
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