Note: Bla  bla  bla  i personaggi non sono miei

Anche questa fic è un po’ diversa dalle altre, anche questa volta niente basket!

Un grazie alla mia fidanzata, Akira14, che mi ha suggerito il titolo.


Rag Dolls - bambole di pezza

parte I 

di Koibito8

 

Il vento della notte sospingeva i fiochi di neve sulle spalle del giovane mentre chiudeva la pesante porta dietro di sé.

Non c’era calore nell’enorme sala del palazzo e il rumore dei suoi passi echeggiò nel silenzio mentre l’uomo si scrollava la neve dagli stivali e dalle spalle. L’oscurità era calata  ore prima e solo una sottile striscia di luce lunare si riversava, come schiuma di mare argentata, lungo lo scalone delle alte finestre.

Non c’era esitazione nell’uomo mentre avanzava nell’oscura quiete del salone. Aveva camminato su quel pavimento innumerevoli volte da quando aveva cominciato a muovere i suoi primi passi, circa venticinque anni prima.

“Sono arrivato, Chauser”, chiamò piano nell’oscurità. Non udì il volo silenzioso del gufo, ma sentì le ali sfiorargli delicatamente il viso e il leggero peso delle zampe che si posavano sulle sue spalle. Sistemò il piccolo fardello, che teneva sotto il maglione, e sfiorò il petto serico del gufo con le dita.

“Abbiamo compagnia, vecchio mio”, disse con voce resa roca dal freddo. “Orfani. Orfani della tempesta. Come vanno i tuoi istinti paterni?”

Il gufo sollevò un’ala indignato, e l’uomo abbozzò un sorriso.

Passarono insieme sotto gli alti e freddi soffitti e attraversarono l’enorme salotto dove un grosso lampadario polveroso troneggiava sopra di loro, superarono la sala da pranzo e alla fine giunsero in cucina. L’uomo accese l’interruttore e una luce dorata illuminò la stanza.

Tirò fuori dalla credenza una scatola di cartone e la foderò con un panno pulito, poi, con cura estrema, prese da sotto il pullover i due piccoli orfani.

“Bene”, disse piano, guardandoli attentamente. “Benvenuti nel mio nido.”

Due piccoli gufi lo fissavano con gli occhi gialli, irritati per essere stati tolti da un posto così caldo e asciutto. Sembrarono ricordare di colpo di essere affamati e presero a protestare rumorosamente.

Chaucer volò via dalla spalla dell’uomo e si appollaiò sulla credenza, ripiegando le ali e osservando la rumorosa coppia con evidente disgusto.

“Che ti succede vecchio mio?”, chiese l’uomo divertito. “Non sei tagliato per fare il padre?” Il gufo girò il capo e gli rivolse un’occhiata sdegnata.

“Allora, vediamo cosa possiamo fare per assicurare la sopravvivenza della specie.”

Depose gentilmente i piccoli gufi nella scatola, e si preoccupò di nutrirli.

Quando furono sazi, li rimise sotto il maglione e si sedette. La sensazione di sollievo alle gambe e alla schiena gli ricordò che era stato in piedi dalle due del pomeriggio. Chaucer era tornato ad appollaiarsi sulle spalle dell’uomo, che con un dito accarezzò il gufo dietro le orecchie sorridendo, poi sbadigliò e chiuse gli occhi per un attimo…

Li riaprì di colpo e guardò l’orologio. Doveva sbrigarsi.

I piccoli gufi non furono molto soddisfatti di tornare nella scatola, anche se lui l’aveva resa il più confortevole possibile. La portò in camera da letto e chiuse la porta. Era inutile mettere alla prova la pazienza di Chaucer; poi indossò un paio di jeans, stivali di pelle e una maglietta bianca.

“TI chiederai perché non ti ho mai detto cosa faccio per vivere”, disse a Chaucer, appollaiato sulla cesta della biancheria.

“La verità è che non so come spiegarlo. Gli uomini hanno delle forme strane di divertimento. Ma mi pagano, così abbiamo di che vivere per due mesi.”

Infilò la giacca e uscì nella neve con un sospiro rassegnato.

 

 

Hanamichi Sakuragi, lo stesso ragazzo che alle scuole superiori aveva finto di avere l’influenza per non assistere alle lezioni di biologia riproduttiva, e che a venticinque anni si trovava fuori posto in un’era di liberazione sessuale, stava per entrare in un locale di spogliarello.

Dall’esterno lo Shohoku Club sembrava un locale per famiglie, ma all’interno era diverso.

Hanamichi non se ne rese conto sul serio finché non si ritrovò davanti al negozio di souvenir, proprio all’ingresso del club. C’erano gli oggetti più provocanti e assurdi, come calendari raffiguranti i ballerini dello Shohoku Club seminudi, e adesivi con eccitanti profili maschili. Girandosi verso i suoi compagni e cercando di far finta di crederlo uno scherzo, Hanamichi aveva detto: “Vedo che volete corrompermi!”

Quelle parole provocarono una risata; nessuno dei quattro uomini che erano con lui lo conoscevano abbastanza da immaginare che, dopo un’occhiata al club, lo stomaco di Hanamichi si era contratto. Giunto a Kanagawa solo da due settimane per lavorare come bibliotecario nel settore pubblicazioni per l’infanzia, Hanamichi era stato invitato a uscire quella sera da Hisashi, un uomo affascinante e un po’ strano, che lavorava nella stessa biblioteca, addetto al settore per adulti. C’erano con loro anche Ryota, il fratello minore di Hisashi, e il suo amico Kenji. Indossavano entrambi jeans attillati, giacconi e stivali e sembravano appena usciti da una rivista di moda.

Nobunaga, invece, era l’aiuto bibliotecario. Erano appoggiati al banco delle vendite e si rigiravano tra le mani uno slip ridottissimo.

Prendendo il piccolo indumento in mano, con un lampo negli occhi, Hisashi disse: “Che ne pensi? Dovrei comprarne uno per Kiminobu?”

“Kenji rise. “Andiamo…! Non metterebbe mai una cosa del genere.”

“Conosci poco Kiminobu”, replicò Hisashi. “Lo metterebbe in due minuti.”

“E tu glielo toglieresti in uno”, ribatté Ryota.

Mentre entravano nel locale, Hanamichi vide molti tavoli illuminati dalla luce delle candele, e il palcoscenico, vuto e minaccioso, che dominava la sala. Si volse ad Hisashi. “Vedo un tavolo libero in quell’angolo…”

“Oh, no”, disse Hisashi con un sorriso malizioso. “Dobbiamo sederci più vicino.”

“Molto vicino”, puntualizzò Ryota.

Finirono proprio davanti al palcoscenico. Generosamente, i due amici insistettero perché Hanamichi sedesse al posto più vicino al palcoscenico.

Nel locale erano ammessi solo uomini. Un’affascinante folla tra i venti e i trent’anni che non sarebbe sembrata affatto fuori posto in una riunione di beneficenza o nel coro di una chiesa.

La presentatrice salì sul palcoscenico con un abito di maglia, le labbra truccate con un vivace rossetto scarlatto. Una leggera aria intrigante  circondava quella donna bella e affascinante.

I capelli, lunghi e neri, catturavano la luce fumosa del riflettore mentre la donna dava il suo benvenuto al pubblico.

“I signori che vengono qui di solito devono celebrare qualcosa”, osservò guardandosi intorno e chiedendo casualmente a qualche tavolo. Si festeggiava il compleanno di un giovane, un gruppo di allievi infermieri che avrebbe preso il diploma, un uomo che lasciava la marina, un divorzio. C’era anche un gruppo di impiegati di banca di Tokio. “D’accordo. Facciamo una breve inchiesta, signori. Quanti di voi hanno già visto un altro uomo nudo, oltre al marito, il fidanzato, i parenti e gli amici con cui fate sport? Alzate la mano.”

Molte mani si alzarono. Ma non quella di Hanamichi.

“La spiegazione a dopo!”, promise allegramente la donna. “Stasera vedrete tre stupendi individui e scoprirete che sono gli uomini della vostra vita.” Strizzò l’occhio. “Ne vale la pena!”

Tra le grida di approvazione, Hanamichi cercò di sprofondare, per quanto possibile, nella sedia; evitò di pensare alla madre: avrebbe avuto un infarto, se avesse saputo che il suo unico figlio frequentava un locale di spogliarello.

A metà del primo spettacolo, quando l’affascinante giovanotto a pochi centimetri da lui portò le mani alla cintura dei pantaloni indicando chiaramente che stava per sfilarlo, Hanamichi scomparve nella toilette.

Sentendosi sciocco e codardo, uscì solo quando la musica e l’esplosione di fischi e di applausi si erano trasformati in un basso mormorio concitato, che indicava la fine del primo atto.

Un cameriere, che stava prendendo le ordinazioni al tavolo degli infermieri, gli impediva di tornare al suo tavolo. Aspettando pazientemente, sentì uno di loro dire: “Hey, guarda quello, il tipo che è appena uscito per cambiare il mastro… è affascinante!”

Girando il capo verso il palcoscenico, Hanamichi si chiese come gli altri uomini potessero andare in estasi per uno di quei vacui bellimbusti.

Poi il suo sguardo si posò sull’uomo alto e moro, con i jeans scuri e la maglietta nera, in piedi vicino all’impianto hi-fi. Non aveva mai visto  un volto come quello. Bello, senza nessuna traccia di affettazione. I capelli sembravano fili di seta, le ciglia lunghe e scure incorniciavano due occhi di un blu profondo. Il suo viso dava un’impressione di forza, intelligenza e di una certa tenerezza. Ma gli occhi erano quelli di un cinico.

Hanamichi udì gli uomini seduti davanti a lui sospirare: “Che uomo!” dovette ammettere che quella frase rispecchiava in qualche modo le sue sensazioni. La sua esperienza con gli uomini, in campo sessuale, non si poteva certo definire vasta. Nei suoi sogni era coraggioso, brillante, anche un po’ audace. Nella realtà, era un tipo ansioso e insicuro (sempre riferito al sesso N.diK8). Nessuno si preoccupava come lui. E poiché una delle cose che lo preoccupavano di più era il rapporto intimo con gli altri uomini, proprio in quel campo aveva eretto le difese più forti.

Non era pungente di carattere, ma lo era con gli uomini che cercavano di avvicinarglisi più del dovuto. I maschi affascinanti, sicuri di sé e presuntuosi, lo irritavano. Hanamichi era un tipo che si definiva molto comune, anche se a guardarlo bene non si poteva certo condividere il suo parere, non erano certo molti i giapponesi che sfioravano la considerevole altezza del metro e novanta e ancora meno erano quelli che potevano vantare una capigliatura rosso fiammante. Aveva un viso aperto, simpatico, ed in una folla erano molte le persone che si giravano a guardarlo… anche se lui pensava fosse dovuto al timore od al disgusto, e non per ammirazione.

Stava cercando di passare, quando uno degli infermieri gridò gioiosamente: “Ehi! Quel moro non si spoglia?”

Fingendosi indignata, la presentatrice replicò: “Non vi vergognate? Questo povero ragazzo ha appena diciassette anni…” risate di  protesta e alcuni commenti coloriti salutarono quell’ovvia bugia. “Mi vergogno di voi, signori. Fare questi apprezzamenti di fronte ad un minorenne… comunque è solo il tecnico audio, perciò… comportatevi bene! Ora una sorpresa…un applauso al nostro gentiluomo in uniforme! Ecco un uomo con cui vi piacerebbe andare a letto. Per io vostro piacere, permettetemi di presentarvi Kai il Poliziotto!”

Hanamichi raggiunse la sua sedia proprio nel momento in cui uno splendido uomo in divisa da poliziotto stradale, con elmetto argenteo, stivali neri e lucenti di pelle, alti fino al ginocchio, occhiali a specchio, arrivò sul palcoscenico in motocicletta tra uno scroscio di applausi. Rallentò e, con il suo fascino magnetico, attirò su di sé tutta l’attenzione. Se non avesse saputo che si sarebbe spogliato, Hanamichi avrebbe potuto anche divertirsi.

L’uomo si tolse gli occhiali, rivelando un paio di luminosi occhi blu. Sotto l’elmetto c’era una massa di stupendi capelli neri dritti come birilli e Hanamichi inghiottì nervosamente. L’uomo si sfilò lentamente la giacca di pelle nera e cominciò a sbottonare la camicia azzurra. Le palme di Hanamichi cominciarono a sudare. Alle grida di incoraggiamento del pubblico, le dita abili dell’uomo  giocarono con la fibbia della grossa cintura nera. Hanamcihi era scivolato  così in basso sulla sedia che il mento era quasi a livello del tavolo. Ma non troppo in basso da non vedere il gesto del poliziotto che lo invitava a salire sul palcoscenico per slacciare la cintura. Hanamichi soffocò. I tavoli intorno a lui esplodevano per l’eccitazione e le risa. Era così imbarazzato e nauseato che seppellì il viso sotto la tovaglia.

Le risate e le grida intorno a lui gli dissero che Kenji aveva preso il suo posto. La musica si fece più bassa e sensuale. Alzò il capo involontariamente quando udì Ryota gridare.

“Oh, Kami Sama, guarda! Brilla nel buio!”

Gli slip ridottissimi del poliziotto brillavano come un faro nell’oscurità, e seguivano il movimento ritmico dei fianchi. La luce cambiò ancora e lui distolse lo sguardo incontrando  quello dell’uomo alla  consolle. Quegli occhi blu e seducenti lo stavano studiando. Per un attimo  il cuore prese a battergli forte, poi Hanamichi si convinse che l’interesse e la simpatia che aveva visto in quegli occhi erano frutto della sua immaginazione, o delle luci del palcoscenico. Strane sensazioni si agitavano in lui. Non aveva il coraggio di guardare di nuovo quell’uomo.

Finalmente il poliziotto lasciò il palcoscenico… senza uniforme.

L’uomo con i capelli neri alla consolle stava facendo delle modifiche alle apparecchiature. I movimenti erano meccanici, o sguardo vacuo, come se i pensieri fossero focalizzati altrove. Comparendo sulla destra del palcoscenico, la presentatrice gli fece un cenno e il tecnico le sorrise in modo strano, prima di sparire da una porta laterale.

“Vogliamo il tecnico dell’audio!”

incoraggiati da un certo luccichio nel sorriso della donna, il clamore crebbe d’intensità.

“D’accordo, d’accordo! Vedo che avete avuto tutti lo stesso pensiero che ho avuto io due anni fa, quando l’ho visto seduto sul pontile coi piedi penzoloni nell’acqua, i jeans arrotolati fino al ginocchio…” rise davanti allo scoppio di gioia del pubblico. “Quando cercavo degli uomini per il mio club, li volevo speciali. Cercavo uomini con un carisma particolare, che… beh, sapete cosa voglio dire. Come avete immaginato, non è il tecnico audio, non è affatto minorenne ed è l’attrazione principale dello Shohoku Club! Signori, lo Shohoku Club  è orgoglioso di presentare il miglior ballerino della prefettura.”

Tra il pandemonio e la confusione generale, l’uomo avanzò sul palcoscenico a ritmo di musica. Sembrava il David di Michelangelo balzato giù dal suo piedistallo.

Portava una camicia a quadretti blu, che gli modellava la parte superiore del corpo, e un paio di pantaloni aderenti che attiravano irresistibilmente gli sguardi sui fianchi e le lunghe cosce. Quell’uomo possedeva un fascino magnetico e una grazia naturale che non potevano passare inosservati. Muovendosi a tempo di musica con sensualità, si tolse la cuffia. I capelli erano spettinati, gli occhi blu nello stesso tempo innocenti e pieni di malizia.

“Kami, è così…”, mormorò Hisashi.

La fremente eccitazione che agitava Hanamichi non aveva niente a che fare con l’imbarazzo, anche se il cielo sapeva quanto fosse imbarazzato da qual che vedeva, da quel che sentiva. Il blocco di ghiaccio che gli gelava lo stomaco si stava sciogliendo.

L’uomo chiamò uno degli spettatori tra il pubblico, fissandolo con il suo sguardo magnetico. Gli sollevò gentilmente una mano sul primo bottone della camicia e lo guidò lentamente più in basso. I bottoni si aprirono mentre si muovevano entrambi al ritmo di una musica che diveniva sempre più dolce.

Hanamichi poteva quasi sentire la morbidezza di quella pelle nuda, il calore e la forza che emanava. La vitalità dell’uomo si proiettava nella sala accendendo l’immaginazione, infiammando gli spettatori. Fece un cenno a un uomo seduto lì vicino. Quando lui lo raggiunse sul palcoscenico, desideroso di toccarlo, l’uomo gli fece passare lentamente le palme sui fianchi e sulla pelle liscia del ventre. Poi gli fece scivolare una mano tra i riccioli corti del capo per dargli un bacio.

Il suono roco delle armoniche riempiva il palcoscenico  e si riversava sul pubblico mentre un altro uomo gli apriva la lampo dei jeans.

Era quasi nudo, adesso. Hanamichi sentì un fremito di desiderio contrargli lo stomaco e fissò ipnotizzato l’uomo baciare gli uomini che si avvicinavano al palcoscenico per toccarlo.

Al di sopra della musica e del rumore nella sala, i commenti degli uomini che tornavano dal palcoscenico erano eloquenti.

“Oh, Kami… le sue labbra sono così dolci…”

“Bacia… voglio dire, bacia sul serio.”

“Potrei morire per un uomo così.” Una risata. “Lo farò fare la mio ragazzo a casa.”

Ryota si lasciò cadere sulla sedia accanto ad Hanamichi, mettendosi una mano sul cuore.

“Ci sei stato due volte”, commentò Hisashi, con gli occhi che brillavano.

“Lo so! Gli ho detto che dovevo tornare.”

Nobunaga si chinò verso di lui. “E lui cos’ha detto?”

“Ha riso. Hanamichi, cielo, non te lo perdere! Quando avrai di nuovo la possibilità di baciare un uomo così?"

“Preferirei di no. Io… credo che mi stia venendo un raffreddore e non vorrei…”, mormorò.

Le ultime parole furono soffocate dalle risate degli amici. “Vergognati!”

Hanamichi alzò gli occhi sul palcoscenico, e vide che, per la seconda volta in quella sera, l’uomo dai capelli neri lo stava guardando. Gli fece cenno  di avvicinarsi; il suo sorriso era malizioso e sensuale.

Hanamichi si aggrappò alla sedia cercando di mantenere disperatamente quel che era rimasto della sua dignità. Ma quando vide che l’uomo gli si stava avvicinando, affondò tra le mani il viso in fiamme.

“Ciao, bella creatura”, gli sussurrò lui. “Apri gli occhi. Voglio solo baciarti.” Hanamichi sentì due mani calde afferrargli gentilmente i polsi e sollevargli il mento. Poi si sentì sfiorare la guancia con un dito. “Lo sai, bella creatura? Sei proprio dolce.”

Non potè vedere il resto. Sentiva la musica di Dylan diffondersi dagli altoparlanti, ma sapeva che un’altra voce e il tocco leggero di un altro uomo sarebbero rimasti con lui quella notte.

 

Uscì dalla doccia, entrò nello spogliatoio privato e trovò Akira che, nonostante fossero le tre di mattina, indossava ancora gli abiti da motociclista. Akira si era sistemato comodamente su una delle due sedie. Si mosse in fretta per proteggere la giacca dalle gocce d’acqua mentre Kaede gli passava davanti.

“Senti, Kaede, vado a casa di Hiroaki stasera, e …”

“Hiroaki chi?”

“Hiroaki, quello con la Porsche. Dovresti venire con me. Ci sarà anche il fratello; ti ricordi di Soichiro…?”

“Sì. Grazie. Ma non stasera.”

Akira inarcò un sopracciglio. “Ti farebbe bene distenderti.”

Il tono, quasi di rimprovero divertì Kaede. “Perché?”

Akira odiava pensare ai ‘perché’ di qualsiasi cosa. “Cosa vuol dire perché?” borbottò a nessuno in particolare, proprio mentre Ayako si affacciava alla porta.

“Sei presentabile?”, chiese la donna lanciando un’occhiata a Kaede, nudo in mezzo alla stanza.

Sarebbe stato inutile cercare di scacciarla, ma Kaede sapeva che si sarebbe offesa se non ci avesse almeno provato. “Cos’è, uno spettacolo privato o qualcosa del genere?”

Ayako rise. “Ti ho già visto nudo.” Entrò e si sedette sulla sedia libera, scuotendo la massa dei folti capelli neri. “Dopo tutto questo tempo, non mi fa più effetto”, disse maliziosa. “Sei stato bravo stasera.”

Kaede cominciò a infilarsi i jeans. “Lo dici ogni sera.”

“Sei bravo ogni sera.” Prese una sigaretta e se la mise tra e labbra. “Non capisco. Ricevi un invito da quel tipo di Kyoto”, si interruppe, mentre Akira avvicinava l’accendino, “e rifiuti.”

“Non posso andarmene. Akira sarebbe troppo solo.”

Akira lo guardò con disapprovazione. “è destinato a vivere solo in quel posto lugubre. Scommetto che ti viene ad aprire un tizio con la gobba e un occhio più grande dell’altro di nome Igor.”

Ayako rise. “E qual è il nome dell’altro?”

“Eh?”

“Se Igor è il nome di un occhio, qual è il nome dell’altro occhio?”  uno sguardo alla faccia di Akira la fece ridere ancora più forte. “Scusa. Non importa. Comunque, non ridevo solo per te. Stavo pensando a quella scimmietta in prima fila, quello con i capelli rossi, che cercava di sparire sotto la tovaglia. Quando Kaede si è tolto gli slip, pensavo avremmo dovuto rianimarlo con l’ossigeno.”

Akira ripose in tasca l’accendino. “Probabilmente la scimmietta non è mai stata con un uomo in vita sua.”

Divertito dal commento di Akira, Kaede ripensò a lui… ai luminosi capelli rossi, agli occhi timidi ma allo stesso tempo pieni di vita, alle labbra rosa leggermente aperte. Ricordò di aver provato il vago desiderio di accarezzarne i contorni con la lingua e, per la prima volta, quella notte, aveva provato desiderio. Strano, perché raramente prestava attenzione alle persone in quel mare di volti, e quello non era particolarmente affascinante; tranne forse per gli occhi nocciola così espressivi. Ebbe il ricordo improvviso di quella pelle morbida sotto le sue dita.

“Kaede? Qualcosa non va?” Ayako lo fissava.

“No.” Le sorrise e si chinò a baciarla mentre si abbottonava la camicia. “Grazie ancora, Akira. Dì ad Hiroaki e Soichiro…”

“Lo so.” Akira gli rivolse uno sguardo sofferente. “Un’altra volta.”

 

L’aria fuori era cristallina; portava il profumo della neve appena caduta che brillava sui rami delle betulle vicino alla porta del club e si spandeva, come un vestito di raggi di luna, sui prati e sulle cime dei tetti. Era fredda. Pulita. La respirò profondamente. Le cose non andavano male come all’inizio. La sensazione di rivolta contro se stesso era passata, come gli aveva predetto Ayako. Aveva accettato quello stato di cose: non era né un bene, né un male. Era necessario.

Chaucer gli venne incontro alla porta. Kaede salì le scale al buio col gufo sulle spalle, fermandosi un attimo al primo piano. Guardò fuori delle enormi finestre il cielo scuro pieno di stelle e la superficie intatta del lago. Pensò al ragazzo che aveva rifiutato il suo bacio e disse piano: “Ti voglio nel mio letto, occhi nocciola.”

Diede da mangiare ai piccoli gufi, poi li rimise nella scatola, su una poltrona che spinse contro il letto. Se si fossero svegliati e avessero tentato di uscire dalla scatola, non sarebbero caduti sul pavimento.

Stanco com’era, spense immediatamente la luce e si trovò davanti il becco dei piccoli gufi che si erano arrampicati sul suo cuscino. Lo fissavano intensamente, due batuffoli di piume con gli occhi gialli.

“Avete freddo?”, chiese sbuffando e sollevandosi su un gomito. “Bene, metterò le carte in tavola. Sono un uomo che studia i rapaci. Voi siete i rapaci, è per questo che so come prendermi cura di voi.  Mi dispiace dirvelo, ma non sono vostra madre.”

 I due si fecero ancora più vicini.

“Questo è contro i miei principi. Ho una dignità, sapete?”

Gli occhi gialli splendevano come quattro piccole lune.

“D’accordo, venite. Solo per questa volta.”

I due piccoli si rannicchiarono vicino al calore del suo corpo e lui li coprì con cura.

“Non vi ci abituate. Quando sarete abbastanza grandi, tornerete liberi.”

Si raggomitolarono con le teste nell’incavo del suo braccio mentre lui si addormentava.

 

Fine primo capitolo.

 

 




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