Note: Bla bla bla i personaggi non sono
miei
Anche questa fic è un po’ diversa dalle
altre, anche questa volta niente basket!
Un grazie alla mia fidanzata, Akira14, che
mi ha suggerito il titolo.
Rag Dolls -
bambole di pezza parte
I
di Koibito8
Il vento della notte sospingeva i fiochi di
neve sulle spalle del giovane mentre chiudeva la pesante porta dietro di
sé.
Non c’era calore nell’enorme sala del
palazzo e il rumore dei suoi passi echeggiò nel silenzio mentre l’uomo si
scrollava la neve dagli stivali e dalle spalle. L’oscurità era calata ore
prima e solo una sottile striscia di luce lunare si riversava, come
schiuma di mare argentata, lungo lo scalone delle alte finestre.
Non c’era esitazione nell’uomo mentre
avanzava nell’oscura quiete del salone. Aveva camminato su quel pavimento
innumerevoli volte da quando aveva cominciato a muovere i suoi primi
passi, circa venticinque anni prima.
“Sono arrivato, Chauser”, chiamò piano
nell’oscurità. Non udì il volo silenzioso del gufo, ma sentì le ali
sfiorargli delicatamente il viso e il leggero peso delle zampe che si
posavano sulle sue spalle. Sistemò il piccolo fardello, che teneva sotto
il maglione, e sfiorò il petto serico del gufo con le dita.
“Abbiamo compagnia, vecchio mio”, disse con
voce resa roca dal freddo. “Orfani. Orfani della tempesta. Come vanno i
tuoi istinti paterni?”
Il gufo sollevò un’ala indignato, e l’uomo
abbozzò un sorriso.
Passarono insieme sotto gli alti e freddi
soffitti e attraversarono l’enorme salotto dove un grosso lampadario
polveroso troneggiava sopra di loro, superarono la sala da pranzo e alla
fine giunsero in cucina. L’uomo accese l’interruttore e una luce dorata
illuminò la stanza.
Tirò fuori dalla credenza una scatola di
cartone e la foderò con un panno pulito, poi, con cura estrema, prese da
sotto il pullover i due piccoli orfani.
“Bene”, disse piano, guardandoli
attentamente. “Benvenuti nel mio nido.”
Due piccoli gufi lo fissavano con gli occhi
gialli, irritati per essere stati tolti da un posto così caldo e asciutto.
Sembrarono ricordare di colpo di essere affamati e presero a protestare
rumorosamente.
Chaucer volò via dalla spalla dell’uomo e si
appollaiò sulla credenza, ripiegando le ali e osservando la rumorosa
coppia con evidente disgusto.
“Che ti succede vecchio mio?”, chiese l’uomo
divertito. “Non sei tagliato per fare il padre?” Il gufo girò il capo e
gli rivolse un’occhiata sdegnata.
“Allora, vediamo cosa possiamo fare per
assicurare la sopravvivenza della specie.”
Depose gentilmente i piccoli gufi nella
scatola, e si preoccupò di nutrirli.
Quando furono sazi, li rimise sotto il
maglione e si sedette. La sensazione di sollievo alle gambe e alla schiena
gli ricordò che era stato in piedi dalle due del pomeriggio. Chaucer era
tornato ad appollaiarsi sulle spalle dell’uomo, che con un dito accarezzò
il gufo dietro le orecchie sorridendo, poi sbadigliò e chiuse gli occhi
per un attimo…
Li riaprì di colpo e guardò l’orologio.
Doveva sbrigarsi.
I piccoli gufi non furono molto soddisfatti
di tornare nella scatola, anche se lui l’aveva resa il più confortevole
possibile. La portò in camera da letto e chiuse la porta. Era inutile
mettere alla prova la pazienza di Chaucer; poi indossò un paio di jeans,
stivali di pelle e una maglietta bianca.
“TI chiederai perché non ti ho mai detto
cosa faccio per vivere”, disse a Chaucer, appollaiato sulla cesta della
biancheria.
“La verità è che non so come spiegarlo. Gli
uomini hanno delle forme strane di divertimento. Ma mi pagano, così
abbiamo di che vivere per due mesi.”
Infilò la giacca e uscì nella neve con un
sospiro rassegnato.
Hanamichi Sakuragi, lo stesso ragazzo che
alle scuole superiori aveva finto di avere l’influenza per non assistere
alle lezioni di biologia riproduttiva, e che a venticinque anni si trovava
fuori posto in un’era di liberazione sessuale, stava per entrare in un
locale di spogliarello.
Dall’esterno lo Shohoku Club sembrava un
locale per famiglie, ma all’interno era diverso.
Hanamichi non se ne rese conto sul serio
finché non si ritrovò davanti al negozio di souvenir, proprio all’ingresso
del club. C’erano gli oggetti più provocanti e assurdi, come calendari
raffiguranti i ballerini dello Shohoku Club seminudi, e adesivi con
eccitanti profili maschili. Girandosi verso i suoi compagni e cercando di
far finta di crederlo uno scherzo, Hanamichi aveva detto: “Vedo che volete
corrompermi!”
Quelle parole provocarono una risata;
nessuno dei quattro uomini che erano con lui lo conoscevano abbastanza da
immaginare che, dopo un’occhiata al club, lo stomaco di Hanamichi si era
contratto. Giunto a Kanagawa solo da due settimane per lavorare come
bibliotecario nel settore pubblicazioni per l’infanzia, Hanamichi era
stato invitato a uscire quella sera da Hisashi, un uomo affascinante e un
po’ strano, che lavorava nella stessa biblioteca, addetto al settore per
adulti. C’erano con loro anche Ryota, il fratello minore di Hisashi, e il
suo amico Kenji. Indossavano entrambi jeans attillati, giacconi e stivali
e sembravano appena usciti da una rivista di moda.
Nobunaga, invece, era l’aiuto bibliotecario.
Erano appoggiati al banco delle vendite e si rigiravano tra le mani uno
slip ridottissimo.
Prendendo il piccolo indumento in mano, con
un lampo negli occhi, Hisashi disse: “Che ne pensi? Dovrei comprarne uno
per Kiminobu?”
“Kenji rise. “Andiamo…! Non metterebbe mai
una cosa del genere.”
“Conosci poco Kiminobu”, replicò Hisashi.
“Lo metterebbe in due minuti.”
“E tu glielo toglieresti in uno”, ribatté
Ryota.
Mentre entravano nel locale, Hanamichi vide
molti tavoli illuminati dalla luce delle candele, e il palcoscenico, vuto
e minaccioso, che dominava la sala. Si volse ad Hisashi. “Vedo un tavolo
libero in quell’angolo…”
“Oh, no”, disse Hisashi con un sorriso
malizioso. “Dobbiamo sederci più vicino.”
“Molto vicino”, puntualizzò Ryota.
Finirono proprio davanti al palcoscenico.
Generosamente, i due amici insistettero perché Hanamichi sedesse al posto
più vicino al palcoscenico.
Nel locale erano ammessi solo uomini.
Un’affascinante folla tra i venti e i trent’anni che non sarebbe sembrata
affatto fuori posto in una riunione di beneficenza o nel coro di una
chiesa.
La presentatrice salì sul palcoscenico con
un abito di maglia, le labbra truccate con un vivace rossetto scarlatto.
Una leggera aria intrigante circondava quella donna bella e affascinante.
I capelli, lunghi e neri, catturavano la
luce fumosa del riflettore mentre la donna dava il suo benvenuto al
pubblico.
“I signori che vengono qui di solito devono
celebrare qualcosa”, osservò guardandosi intorno e chiedendo casualmente a
qualche tavolo. Si festeggiava il compleanno di un giovane, un gruppo di
allievi infermieri che avrebbe preso il diploma, un uomo che lasciava la
marina, un divorzio. C’era anche un gruppo di impiegati di banca di Tokio.
“D’accordo. Facciamo una breve inchiesta, signori. Quanti di voi hanno già
visto un altro uomo nudo, oltre al marito, il fidanzato, i parenti e gli
amici con cui fate sport? Alzate la mano.”
Molte mani si alzarono. Ma non quella di
Hanamichi.
“La spiegazione a dopo!”, promise
allegramente la donna. “Stasera vedrete tre stupendi individui e
scoprirete che sono gli uomini della vostra vita.” Strizzò l’occhio. “Ne
vale la pena!”
Tra le grida di approvazione, Hanamichi
cercò di sprofondare, per quanto possibile, nella sedia; evitò di pensare
alla madre: avrebbe avuto un infarto, se avesse saputo che il suo unico
figlio frequentava un locale di spogliarello.
A metà del primo spettacolo, quando
l’affascinante giovanotto a pochi centimetri da lui portò le mani alla
cintura dei pantaloni indicando chiaramente che stava per sfilarlo,
Hanamichi scomparve nella toilette.
Sentendosi sciocco e codardo, uscì solo
quando la musica e l’esplosione di fischi e di applausi si erano
trasformati in un basso mormorio concitato, che indicava la fine del primo
atto.
Un cameriere, che stava prendendo le
ordinazioni al tavolo degli infermieri, gli impediva di tornare al suo
tavolo. Aspettando pazientemente, sentì uno di loro dire: “Hey, guarda
quello, il tipo che è appena uscito per cambiare il mastro… è
affascinante!”
Girando il capo verso il palcoscenico,
Hanamichi si chiese come gli altri uomini potessero andare in estasi per
uno di quei vacui bellimbusti.
Poi il suo sguardo si posò sull’uomo alto e
moro, con i jeans scuri e la maglietta nera, in piedi vicino all’impianto
hi-fi. Non aveva mai visto un volto come quello. Bello, senza nessuna
traccia di affettazione. I capelli sembravano fili di seta, le ciglia
lunghe e scure incorniciavano due occhi di un blu profondo. Il suo viso
dava un’impressione di forza, intelligenza e di una certa tenerezza. Ma
gli occhi erano quelli di un cinico.
Hanamichi udì gli uomini seduti davanti a
lui sospirare: “Che uomo!” dovette ammettere che quella frase rispecchiava
in qualche modo le sue sensazioni. La sua esperienza con gli uomini, in
campo sessuale, non si poteva certo definire vasta. Nei suoi sogni era
coraggioso, brillante, anche un po’ audace. Nella realtà, era un tipo
ansioso e insicuro (sempre riferito al sesso N.diK8). Nessuno si
preoccupava come lui. E poiché una delle cose che lo preoccupavano di più
era il rapporto intimo con gli altri uomini, proprio in quel campo aveva
eretto le difese più forti.
Non era pungente di carattere, ma lo era con
gli uomini che cercavano di avvicinarglisi più del dovuto. I maschi
affascinanti, sicuri di sé e presuntuosi, lo irritavano. Hanamichi era un
tipo che si definiva molto comune, anche se a guardarlo bene non si poteva
certo condividere il suo parere, non erano certo molti i giapponesi che
sfioravano la considerevole altezza del metro e novanta e ancora meno
erano quelli che potevano vantare una capigliatura rosso fiammante. Aveva
un viso aperto, simpatico, ed in una folla erano molte le persone che si
giravano a guardarlo… anche se lui pensava fosse dovuto al timore od al
disgusto, e non per ammirazione.
Stava cercando di passare, quando uno degli
infermieri gridò gioiosamente: “Ehi! Quel moro non si spoglia?”
Fingendosi indignata, la presentatrice
replicò: “Non vi vergognate? Questo povero ragazzo ha appena diciassette
anni…” risate di protesta e alcuni commenti coloriti salutarono quell’ovvia
bugia. “Mi vergogno di voi, signori. Fare questi apprezzamenti di fronte
ad un minorenne… comunque è solo il tecnico audio, perciò… comportatevi
bene! Ora una sorpresa…un applauso al nostro gentiluomo in uniforme! Ecco
un uomo con cui vi piacerebbe andare a letto. Per io vostro piacere,
permettetemi di presentarvi Kai il Poliziotto!”
Hanamichi raggiunse la sua sedia proprio nel
momento in cui uno splendido uomo in divisa da poliziotto stradale, con
elmetto argenteo, stivali neri e lucenti di pelle, alti fino al ginocchio,
occhiali a specchio, arrivò sul palcoscenico in motocicletta tra uno
scroscio di applausi. Rallentò e, con il suo fascino magnetico, attirò su
di sé tutta l’attenzione. Se non avesse saputo che si sarebbe spogliato,
Hanamichi avrebbe potuto anche divertirsi.
L’uomo si tolse gli occhiali, rivelando un
paio di luminosi occhi blu. Sotto l’elmetto c’era una massa di stupendi
capelli neri dritti come birilli e Hanamichi inghiottì nervosamente.
L’uomo si sfilò lentamente la giacca di pelle nera e cominciò a sbottonare
la camicia azzurra. Le palme di Hanamichi cominciarono a sudare. Alle
grida di incoraggiamento del pubblico, le dita abili dell’uomo giocarono
con la fibbia della grossa cintura nera. Hanamcihi era scivolato così in
basso sulla sedia che il mento era quasi a livello del tavolo. Ma non
troppo in basso da non vedere il gesto del poliziotto che lo invitava a
salire sul palcoscenico per slacciare la cintura. Hanamichi soffocò. I
tavoli intorno a lui esplodevano per l’eccitazione e le risa. Era così
imbarazzato e nauseato che seppellì il viso sotto la tovaglia.
Le risate e le grida intorno a lui gli
dissero che Kenji aveva preso il suo posto. La musica si fece più bassa e
sensuale. Alzò il capo involontariamente quando udì Ryota gridare.
“Oh, Kami Sama, guarda! Brilla nel buio!”
Gli slip ridottissimi del poliziotto
brillavano come un faro nell’oscurità, e seguivano il movimento ritmico
dei fianchi. La luce cambiò ancora e lui distolse lo sguardo incontrando
quello dell’uomo alla consolle. Quegli occhi blu e seducenti lo stavano
studiando. Per un attimo il cuore prese a battergli forte, poi Hanamichi
si convinse che l’interesse e la simpatia che aveva visto in quegli occhi
erano frutto della sua immaginazione, o delle luci del palcoscenico.
Strane sensazioni si agitavano in lui. Non aveva il coraggio di guardare
di nuovo quell’uomo.
Finalmente il poliziotto lasciò il
palcoscenico… senza uniforme.
L’uomo con i capelli neri alla consolle
stava facendo delle modifiche alle apparecchiature. I movimenti erano
meccanici, o sguardo vacuo, come se i pensieri fossero focalizzati
altrove. Comparendo sulla destra del palcoscenico, la presentatrice gli
fece un cenno e il tecnico le sorrise in modo strano, prima di sparire da
una porta laterale.
“Vogliamo il tecnico dell’audio!”
incoraggiati da un certo luccichio nel
sorriso della donna, il clamore crebbe d’intensità.
“D’accordo, d’accordo! Vedo che avete avuto
tutti lo stesso pensiero che ho avuto io due anni fa, quando l’ho visto
seduto sul pontile coi piedi penzoloni nell’acqua, i jeans arrotolati fino
al ginocchio…” rise davanti allo scoppio di gioia del pubblico. “Quando
cercavo degli uomini per il mio club, li volevo speciali. Cercavo uomini
con un carisma particolare, che… beh, sapete cosa voglio dire. Come avete
immaginato, non è il tecnico audio, non è affatto minorenne ed è
l’attrazione principale dello Shohoku Club! Signori, lo Shohoku Club è
orgoglioso di presentare il miglior ballerino della prefettura.”
Tra il pandemonio e la confusione generale,
l’uomo avanzò sul palcoscenico a ritmo di musica. Sembrava il David di
Michelangelo balzato giù dal suo piedistallo.
Portava una camicia a quadretti blu, che gli
modellava la parte superiore del corpo, e un paio di pantaloni aderenti
che attiravano irresistibilmente gli sguardi sui fianchi e le lunghe
cosce. Quell’uomo possedeva un fascino magnetico e una grazia naturale che
non potevano passare inosservati. Muovendosi a tempo di musica con
sensualità, si tolse la cuffia. I capelli erano spettinati, gli occhi blu
nello stesso tempo innocenti e pieni di malizia.
“Kami, è così…”, mormorò Hisashi.
La fremente eccitazione che agitava
Hanamichi non aveva niente a che fare con l’imbarazzo, anche se il cielo
sapeva quanto fosse imbarazzato da qual che vedeva, da quel che sentiva.
Il blocco di ghiaccio che gli gelava lo stomaco si stava sciogliendo.
L’uomo chiamò uno degli spettatori tra il
pubblico, fissandolo con il suo sguardo magnetico. Gli sollevò gentilmente
una mano sul primo bottone della camicia e lo guidò lentamente più in
basso. I bottoni si aprirono mentre si muovevano entrambi al ritmo di una
musica che diveniva sempre più dolce.
Hanamichi poteva quasi sentire la morbidezza
di quella pelle nuda, il calore e la forza che emanava. La vitalità
dell’uomo si proiettava nella sala accendendo l’immaginazione, infiammando
gli spettatori. Fece un cenno a un uomo seduto lì vicino. Quando lui lo
raggiunse sul palcoscenico, desideroso di toccarlo, l’uomo gli fece
passare lentamente le palme sui fianchi e sulla pelle liscia del ventre.
Poi gli fece scivolare una mano tra i riccioli corti del capo per dargli
un bacio.
Il suono roco delle armoniche riempiva il
palcoscenico e si riversava sul pubblico mentre un altro uomo gli apriva
la lampo dei jeans.
Era quasi nudo, adesso. Hanamichi sentì un
fremito di desiderio contrargli lo stomaco e fissò ipnotizzato l’uomo
baciare gli uomini che si avvicinavano al palcoscenico per toccarlo.
Al di sopra della musica e del rumore nella
sala, i commenti degli uomini che tornavano dal palcoscenico erano
eloquenti.
“Oh, Kami… le sue labbra sono così dolci…”
“Bacia… voglio dire, bacia sul serio.”
“Potrei morire per un uomo così.” Una
risata. “Lo farò fare la mio ragazzo a casa.”
Ryota si lasciò cadere sulla sedia accanto
ad Hanamichi, mettendosi una mano sul cuore.
“Ci sei stato due volte”, commentò Hisashi,
con gli occhi che brillavano.
“Lo so! Gli ho detto che dovevo tornare.”
Nobunaga si chinò verso di lui. “E lui
cos’ha detto?”
“Ha riso. Hanamichi, cielo, non te lo
perdere! Quando avrai di nuovo la possibilità di baciare un uomo così?"
“Preferirei di no. Io… credo che mi stia
venendo un raffreddore e non vorrei…”, mormorò.
Le ultime parole furono soffocate dalle
risate degli amici. “Vergognati!”
Hanamichi alzò gli occhi sul palcoscenico, e
vide che, per la seconda volta in quella sera, l’uomo dai capelli neri lo
stava guardando. Gli fece cenno di avvicinarsi; il suo sorriso era
malizioso e sensuale.
Hanamichi si aggrappò alla sedia cercando di
mantenere disperatamente quel che era rimasto della sua dignità. Ma quando
vide che l’uomo gli si stava avvicinando, affondò tra le mani il viso in
fiamme.
“Ciao, bella creatura”, gli sussurrò lui.
“Apri gli occhi. Voglio solo baciarti.” Hanamichi sentì due mani calde
afferrargli gentilmente i polsi e sollevargli il mento. Poi si sentì
sfiorare la guancia con un dito. “Lo sai, bella creatura? Sei proprio
dolce.”
Non potè vedere il resto. Sentiva la musica
di Dylan diffondersi dagli altoparlanti, ma sapeva che un’altra voce e il
tocco leggero di un altro uomo sarebbero rimasti con lui quella notte.
Uscì dalla doccia, entrò nello spogliatoio
privato e trovò Akira che, nonostante fossero le tre di mattina, indossava
ancora gli abiti da motociclista. Akira si era sistemato comodamente su
una delle due sedie. Si mosse in fretta per proteggere la giacca dalle
gocce d’acqua mentre Kaede gli passava davanti.
“Senti, Kaede, vado a casa di Hiroaki
stasera, e …”
“Hiroaki chi?”
“Hiroaki, quello con la Porsche. Dovresti
venire con me. Ci sarà anche il fratello; ti ricordi di Soichiro…?”
“Sì. Grazie. Ma non stasera.”
Akira inarcò un sopracciglio. “Ti farebbe
bene distenderti.”
Il tono, quasi di rimprovero divertì Kaede.
“Perché?”
Akira odiava pensare ai ‘perché’ di
qualsiasi cosa. “Cosa vuol dire perché?” borbottò a nessuno in
particolare, proprio mentre Ayako si affacciava alla porta.
“Sei presentabile?”, chiese la donna
lanciando un’occhiata a Kaede, nudo in mezzo alla stanza.
Sarebbe stato inutile cercare di scacciarla,
ma Kaede sapeva che si sarebbe offesa se non ci avesse almeno provato.
“Cos’è, uno spettacolo privato o qualcosa del genere?”
Ayako rise. “Ti ho già visto nudo.” Entrò e
si sedette sulla sedia libera, scuotendo la massa dei folti capelli neri.
“Dopo tutto questo tempo, non mi fa più effetto”, disse maliziosa. “Sei
stato bravo stasera.”
Kaede cominciò a infilarsi i jeans. “Lo dici
ogni sera.”
“Sei bravo ogni sera.” Prese una sigaretta e
se la mise tra e labbra. “Non capisco. Ricevi un invito da quel tipo di
Kyoto”, si interruppe, mentre Akira avvicinava l’accendino, “e rifiuti.”
“Non posso andarmene. Akira sarebbe troppo
solo.”
Akira lo guardò con disapprovazione. “è
destinato a vivere solo in quel posto lugubre. Scommetto che ti viene ad
aprire un tizio con la gobba e un occhio più grande dell’altro di nome
Igor.”
Ayako rise. “E qual è il nome dell’altro?”
“Eh?”
“Se Igor è il nome di un occhio, qual è il
nome dell’altro occhio?” uno sguardo alla faccia di Akira la fece ridere
ancora più forte. “Scusa. Non importa. Comunque, non ridevo solo per te.
Stavo pensando a quella scimmietta in prima fila, quello con i capelli
rossi, che cercava di sparire sotto la tovaglia. Quando Kaede si è tolto
gli slip, pensavo avremmo dovuto rianimarlo con l’ossigeno.”
Akira ripose in tasca l’accendino.
“Probabilmente la scimmietta non è mai stata con un uomo in vita sua.”
Divertito dal commento di Akira, Kaede
ripensò a lui… ai luminosi capelli rossi, agli occhi timidi ma allo stesso
tempo pieni di vita, alle labbra rosa leggermente aperte. Ricordò di aver
provato il vago desiderio di accarezzarne i contorni con la lingua e, per
la prima volta, quella notte, aveva provato desiderio. Strano, perché
raramente prestava attenzione alle persone in quel mare di volti, e quello
non era particolarmente affascinante; tranne forse per gli occhi nocciola
così espressivi. Ebbe il ricordo improvviso di quella pelle morbida sotto
le sue dita.
“Kaede? Qualcosa non va?” Ayako lo fissava.
“No.” Le sorrise e si chinò a baciarla
mentre si abbottonava la camicia. “Grazie ancora, Akira. Dì ad Hiroaki e
Soichiro…”
“Lo so.” Akira gli rivolse uno sguardo
sofferente. “Un’altra volta.”
L’aria fuori era cristallina; portava il
profumo della neve appena caduta che brillava sui rami delle betulle
vicino alla porta del club e si spandeva, come un vestito di raggi di
luna, sui prati e sulle cime dei tetti. Era fredda. Pulita. La respirò
profondamente. Le cose non andavano male come all’inizio. La sensazione di
rivolta contro se stesso era passata, come gli aveva predetto Ayako. Aveva
accettato quello stato di cose: non era né un bene, né un male. Era
necessario.
Chaucer gli venne incontro alla porta. Kaede
salì le scale al buio col gufo sulle spalle, fermandosi un attimo al primo
piano. Guardò fuori delle enormi finestre il cielo scuro pieno di stelle e
la superficie intatta del lago. Pensò al ragazzo che aveva rifiutato il
suo bacio e disse piano: “Ti voglio nel mio letto, occhi nocciola.”
Diede da mangiare ai piccoli gufi, poi li
rimise nella scatola, su una poltrona che spinse contro il letto. Se si
fossero svegliati e avessero tentato di uscire dalla scatola, non
sarebbero caduti sul pavimento.
Stanco com’era, spense immediatamente la
luce e si trovò davanti il becco dei piccoli gufi che si erano arrampicati
sul suo cuscino. Lo fissavano intensamente, due batuffoli di piume con gli
occhi gialli.
“Avete freddo?”, chiese sbuffando e
sollevandosi su un gomito. “Bene, metterò le carte in tavola. Sono un uomo
che studia i rapaci. Voi siete i rapaci, è per questo che so come
prendermi cura di voi. Mi dispiace dirvelo, ma non sono vostra madre.”
I due si fecero ancora più vicini.
“Questo è contro i miei principi. Ho una
dignità, sapete?”
Gli occhi gialli splendevano come quattro
piccole lune.
“D’accordo, venite. Solo per questa volta.”
I due piccoli si rannicchiarono vicino al
calore del suo corpo e lui li coprì con cura.
“Non vi ci abituate. Quando sarete
abbastanza grandi, tornerete liberi.”
Si raggomitolarono con le teste nell’incavo
del suo braccio mentre lui si addormentava.
Fine primo capitolo.
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