DISCLAIMER: I Pg sono tutti miei
I racconti dell'Under
Dark
parte II
di Nuel
Dovette appoggiarsi alla parete umida e scivolosa di muschio. Un ragno
salì sulla sua mano e lo scrollò via. Il fiato gli era improvvisamente
diventato corto.
Riprese a camminare, ma continuava ad incespicare sui suoi stessi piedi.
Non potevano essersene accorti. Però... forse lo aveva stretto troppo
forte, in quel momento. Lo aveva abbracciato troppo stretto e, se qualcuno
se ne fosse accorto, avrebbe potuto sospettare.
-Ileos- Chiamò piano, guardandosi le mani, ancora sporche di sangue.
Ileos era morto. Glielo avevano portato via. Sacrificato a Loth.
“Sei davvero convinto di essere tu il più fortunato? ha ha ha! Io sono
libero, Teuker!”
Chiuse gli occhi cercando nella memoria quella voce prima delle grida,
prima del pianto, quegli occhi verdi come... come i prati, aveva detto
lui, prima che piangessero, prima che implorassero la morte.
-Ileos- Non riuscì a trattenere un singhiozzo. Perché il cuore gli faceva
tanto male? Che fosse quello che aveva predetto Ileos?
“Quando non ci sarò più, scoprirai cos’è l’amore”
Era quello l’amore? Quel dolore acuto che gli straziava l’anima? Che lo
faceva soffocare?
Era amore che aveva visto negli occhi di quella schiava, quando era
piccolo e la sua matrigna l’aveva portato fuori dalla città, nei terreni
dove gli schiavi coltivavano funghi e muschi e radici che poi sarebbero
arrivati sulle loro tavole?
Quella schiava elfa con quel marmocchio cencioso, magro e sporco che si
attaccava alla sua veste.... lo aveva riconosciuto subito. Forse perché la
matrona gli aveva detto di imprimersi nella memoria il suo volto, forse
perché dimostrava la sua età ed era così diverso da lui e da qualsiasi
bambino Drow avesse mai visto. Anche se erano passati anni, anche se erano
diventati uomini ed Ileos era cresciuto forte, sano, era stato ripulito e
lavato e glielo avevano preparato legato, con le braccia sollevate, appese
al soffitto ed un minuscolo perizoma sbiadito a proteggergli l’inguine.
Era tornato vincitore da una caccia sanguinosa: quattro dryder, quattro
Drow che Loth aveva punito trasformando i loro corpi, sconvolgendo le loro
menti, avevano attaccato la città ed ucciso qualche Drow e molti schiavi.
La parte inferiore del loro corpo, quella mostruosità ad otto zampe, da
ragno, infliggeva colpi mortali..... la sua squadra era stata scelta per
scovare la loro tana e distruggerli e loro l’avevano fatto.
La sua matrigna, la donna che l’aveva allevato per farne il suo
giocattolo, giacché lui non aveva nessuno e nessuno sapesse da dove
arrivasse, gli aveva fatto un regalo, dato un premio.
“Quello schiavo è tuo. Puoi farne quello che vuoi. E’ ancora vergine e non
è nemmeno mai stato torturato” Aveva detto, ridendo maliziosamente,
immaginando il divertimento che ne avrebbe tratto.
Era sceso nelle prigioni e lo aveva trovato. Lo aveva riconosciuto subito.
Ileos. Si era chiesto dove fosse finita sua madre, se fosse ancora china
sui campi. Gli era girato in torno e lui lo aveva seguito con quegli occhi
calmi, senza paura.
Quegli occhi verdi.... gli aveva strappato di dosso il misero indumento e
l’aveva visto arrossire. Era magro, forse troppo, ma non era strano per
uno schiavo. Il lavoro aveva tornito i suoi muscoli. Si era eccitato,
vedendolo così indifeso, così ignaro di quello che gli sarebbe toccato.
Gli aveva accarezzato il petto e lui l’aveva fissato sorpreso. Gli era
girato intorno, osservandolo come avrebbe fatto con una bestia per
valutarne il prezzo. Aveva insinuato un dito tra le sue natiche,
sorridendo nel constatare quanto fosse stretto quell’ingresso, pregustando
il piacere che avrebbe tratto dal possederlo e l’aveva fatto, senza tante
cerimonie, senza una parola, senza badare al fatto che lui non provasse
alcuna eccitazione, vagamente consapevole che gli stava facendo male e che
non gliene importava nulla.
Ileos aveva urlato, poi si era morso il labbro ed aveva subito in
silenzio.
Quando ebbe finito, si ricompose, gli andò di fronte e gli disse
semplicemente, “Da oggi io sono il tuo padrone”
Lui l’aveva guardato ed aveva abbassato e rialzato la testa.
“Teuker?” L’aveva chiamato prima che uscisse.
Si era girato e l’aveva fissato, sgomento. Conosceva il suo nome? Perché
lo chiamava con tanta familiarità?
“Sono felice che mi abbiano dato a te” Gli aveva sorriso.
L’aveva appena violentato e lui.... Teuker era indietreggiato senza
accorgersene e aveva chiamato una guardia per farlo portare nelle sue
stanze.
Ileos era stato più che docile, più che remissivo, gli aveva donato
sorrisi ed affetto, lo aveva cullato nelle notti ed aveva curato le sue
ferite quando tornava dalle cacce.
“Perché fai tutto questo per me?” Gli aveva chiesto una volta.
Ileos gli aveva sorriso e l’aveva baciato sulla fronte.
“Perché non mi baci mai?” Si era sporto per baciarlo e lui si era tirati
in dietro.
“Te lo ordino!”
Ileos si era accostato di nuovo a lui e si era lasciato baciare. Teuker
l’aveva scaraventato sul letto, cominciando a far scorrere le sue mani su
quel corpo chiaro e meraviglioso. Ileos sospirava. Ricambiava le sue
carezze. Quelle più innocenti almeno, poi lo implorava di fermarsi. Ogni
volta doveva prenderlo quasi con la forza, anche se non opponeva una vera
resistenza.
Quando aveva fatto i suoi comodi e si accasciava stanco sul letto, Ileos,
con gli occhi lucidi li lacrime, trovava da qualche parte il coraggio di
sorridergli, lo abbracciava e lo cullava tra le sue braccia finché si
addormentava.
“Smettila di comportarti così!” Gli aveva urlato contro, una volta,
colpendolo al viso. “Smettila! Perché lo fai?”
“Ti è così difficile accettare che io ti voglia bene?”
“Sei solo uno schiavo! Dovresti odiarmi! Temermi!”
“Non posso”
Se ne era andato sbattendo la porta, non era divertente uno schiavo tanto
remissivo, non c’era lotta, non c’era sfida, Ileos non soffriva abbastanza
e questo... lo inquietava. Perché non sapeva cosa fare. Perché non sapeva
cosa significasse.
Ileos aveva detto di conoscere il suo nome perché l’aveva colto da una
conversazione tra le guardie che l’avevano trasferito. Aveva mentito.
Ileos sapeva il suo nome da sempre, l’aveva invocato mille volte e mille
volte gli aveva giurato affetto e devozione.
Si era insinuato nella sua vita con una passività che sapeva di
prepotenza. Violentarlo, frustarlo, umiliarlo, non serviva a nulla. Ileos,
dopo le lacrime, alzava quegli occhi verdi che tornavano sereni appena si
posavano su di lui e lui sapeva che il senso di colpa l’avrebbe colto, che
avrebbe ricondotto quel maledetto elfo alla sua dimora, che non gli
avrebbe chiesto scusa a parole, questo mai! Ma che lo avrebbe fatto con i
gesti, con i silenzi e sarebbe stato di nuovo succube delle sensazioni che
gli faceva provare.
“Conosci l’elfico?” Gli aveva chiesto un giorno, mentre si trastullavano
nell’ozio, un po’ assonnati, un po’ addolciti dalle ore d’amore trascorse
nella notte. Ileos gli intrecciava i capelli bianchi e poi li ravviava con
le dita sottili.
“Perché dovrei?”
“Voglio insegnartelo!” Ileos, improvvisamente del tutto sveglio, era
scattato a prendere un vecchia cetra e si era accoccolato ai suoi piedi,
mettendosi a cantare, sfiorando le corde logore.
Quelle parole che non capiva gli avevano fatto provare un brivido. Quella
musica era bella.
“Alla sera, nelle baracche degli schiavi, ci mettiamo spesso a suonare e
cantare. Quelli più stanchi restano ad ascoltare gli altri. Se non ci
fossero quei momenti, la disperazione finirebbe per coglierci...” Ileos
sorrise, rapito dallo sguardo incredulo e meravigliato di Teuker, dal suo
non abituarsi ancora alla confidenza con cui gli parlava.
Avevano lo stesso numero di anni, ma non la stessa età. Gli elfi scuri
crescevano più in fretta degli elfi chiari, ma, in quel momento, Teuker
pareva un bambino.
Ileos aveva allungato la mano accarezzandogli il viso, passandogli le dita
tra i capelli, in una carezza gentile.... facendolo anche per chi non
aveva mai potuto farlo, ma sicuramente l’aveva desiderato, per quella
madre che Teuker non aveva mai conosciuto.
Teuker gli aveva preso la mano e l’aveva riportata alla cetra.
“Continua a suonare” La voce era stata poco più di un bisbiglio.
“Traduco il testo, così lo capisci” Si era rimesso a cantare, nella lingua
dei Drow la canzone non perdeva il suo fascino, in fin dei conti, le due
lingue non erano così diverse. Ileos parlava di prati fioriti e soli che
rischiaravano ruscelli, tra fronde ombrose di alberi secolari e Teuker lo
ascoltava rapito.
“Non ho mai visto le cose di cui canti” Gli aveva detto, dopo l’ennesimo
ritorrnello, accarezzandogli i capelli biondi, stando sdraiato sul proprio
letto.
Ileos aveva deposto la cetra e si era seduto sul letto, accanto a lui.
“Neppure io le ho mai viste. Sono nato qui, nell’Under Dark, ma la mamma e
altri schiavi me le hanno descritte tante volte che riesco ad immaginarle”
Teuker lo aveva attirato a sè ed Ileos aveva appoggiato la testa sul suo
petto con un sospiro.
“Facciamo così: quando avrai tempo, andiamo assieme da loro, racconteranno
anche a te...” Si era bloccato davanti all’espressione smarrita
dell’altro.
“A volte credo che tu sia pazzo!” L’aveva apostrofato con tono amaro.
“Ti accoglieranno bene, Teuker. Te lo giuro”
“E perché dovrebbero? Se mi recassi da solo nelle baracche degli schiavi,
forse non mi ucciderebbero per paura di essere puniti, ma di certo non
sarei il benvenuto! E perché dovrei esserlo, poi!”
Ileos si era intristito. Forse si era chiesto se avrebbe mai potuto
rispondergli.
Da meno di un anno viveva in quella casa ed aveva imparato ad amare Teuker
più di quanto avesse mai immaginato. Spesso Teuker stava lontano per
giorni, addirittura settimane. Era un cacciatore, il suo compito era
procurare nuovi schiavi e nuove vittime sacrificali, tuttavia non gli era
consentito lasciare quelle gallerie e quelle città sotterranee in cui era
nato e cresciuto. La sua matrigna aveva validi motivi per non farlo salire
in superficie, ma Teuker lo ignorava. I primi giorni erano stati
terribili: Teuker aveva abusato di lui spesso, ogni volta che ne aveva
avuto voglia e lo aveva frustato per ogni sciocchezza, per piegarlo al suo
volere, per farlo reagire e per vederlo piangere. Poi, un giorno, era
tornato ferito e febbricitante. Nessuno l’aveva soccorso, nessuno l’aveva
aiutato. Da solo era riuscito a raggiungere la sua casa e si era
accasciato al suolo appena entrato. Gli altri schiavi si erano tenuti alla
larga, forse sperando che morisse. Nessuno avrebbe sentito la mancanza di
un Drow in meno.
Ileos l’aveva soccorso, l’aveva trascinato in camera e l’aveva medicato,
aveva pianto per lui e non si era staccato dal suo capezzale finché la
febbre non era scesa.
Teuker, finalmente, aveva aperto gli occhi viola e l’aveva fissato in
silenzio, con la gola riarsa. Nessuno era mai andato a vedere come stesse.
Ileos l’aveva accudito, gli aveva fatto le spugnature per lavargli via il
sudore malato della febbre, l’aveva imboccato, costringendolo a mangiare
anche quando era troppo debole per inghiottire un boccone solido, aveva
dormito accanto a lui, tenendolo abbracciato ed aveva parlato. Aveva
parlato tantissimo, per riempire il vuoto di quella stanza spoglia. Gli
aveva raccontato di sé e di sua madre, della vita nei campi sotterranei e
nelle baracche, gli aveva detto ogni cosa gli fosse passata per la mente.
Aveva anche cantato e suonato, tanto che Teuker aveva finito per imparare
ogni nota, ogni sospiro.
“Ti sei mai innamorato?” Gli aveva chiesto, dopo giorni di silenzio,
spiazzandolo. Non sapeva neppure lui perché gli avesse fatto quella
domanda, ma l’aveva ritenuta importante.
“C’era una schiava che mi era molto affezionata, ma io non ricambiavo i
suoi sentimenti. Le volevo bene, ma non era amore”
“Allora lei deve odiarmi particolarmente”
Ileos gli aveva sorriso di rimando, baciandolo sulla fronte. Teuker aveva
posato una mano dietro il suo collo per trattenerlo. Non aveva abbastanza
forza per farlo, ma Ileos non si era allontanato, era sceso a sfiorargli
le labbra, come l’altro desiderava. Erano screpolate e riarse dai giorni
di febbre. Vi aveva passato lentamente la punta della lingua per
inumidirle e aveva sentito quella di Teuker spuntare tra esse. Il suo
palato era secco e un po’ vischioso.
Teuker non lo aveva trattenuto oltre.
“Grazie.... senza di te sarei morto”
“Non lo avrei permesso” Gli aveva risposto, ancora col viso un po’
arrossato per quello strano bacio.
“Tua madre...” Gli aveva chiesto, dopo quasi un’ora di silenzio, il malato
“... è ancora.... là?”
“No. E’ morta”
“Mi dispiace. Com’è successo?” Stranamente, gli dispiaceva davvero.
Ileos scosse la testa. “Non lo so: un giorno sono rientrato nella baracca
dove vivevamo e lei era morta”
“Mi ricordo di lei”
Ileos aveva gemuto all’improvviso, sbarrando gli occhi e fissandoli su di
lui. “Come?”
“Una volta venni a vedere i campi, con la mia matrigna. Vidi te e lei,
china sulla terra. Tu le stringevi nel pugno un lembo della veste. Lei
alzò gli occhi su di noi e sorrise. Poi ti disse qualcosa.... cosa ti
disse?”
“Non lo ricordo” Aveva mentito Ileos, trattenendo a stento le lacrime. Lo
ricordava, lo ricordava bene. “E’ lui, Ileos! Guardalo! Guarda...”
La mano di Teuker che si insinuava sotto la stoffa della sua casacca lo
aveva strappato ai suoi ricordi.
Da quel giorno Teuker aveva mutato atteggiamento, verso di lui. La prima
volta che, alle sue suppliche, si era fermato, chiedendogli se gli fosse
tanto odioso concedersi a lui, l’aveva sorpreso oltre ogni misura: non
credeva che sarebbe mai successo.
“No” aveva risposto timidamente.
“Faccio così schifo come amante?” Aveva continuato, ignorando il suo
imbarazzo nel parlare di certe cose.
“N.. No... anzi”
“Allora perché?”
Ileos non aveva risposto, non era ancora il momento.
“No, Teuker.. ti prego”
“Perché no?” Gli aveva soffiato in un orecchio, ribaltandolo sotto di sè,
sapendo già che non gli avrebbe risposto.
Ogni volta era stato più difficile chiedergli di fermarsi. L’amore che
provava per lui, aveva creduto, era di un altro tipo, ma anche
l’attrazione era forte e non sempre era facile sottrarvisi. Per non
parlare del piacere, quello che lo faceva sentire una cosa sola con lui,
una sensazione così giusta che era quasi un controsenso che, per
raggiungerla, dovessero commettere un ....crimine.
Anche se avesse saputo la verità, per Teuker non sarebbe stato un crimine.
Ma per lui si. Per la sua educazione si. E se lo era ripetuto mentre
allargava le gambe e le incrociava sulla schiena del Drow, rispondendo ai
suoi baci.
“Ma se lui smettesse di cercarti, Ileos, cosa faresti?” Si era chiesto
mentre lo accoglieva in sé, sussultando per i graffi sui fianchi o perché
gli strizzava i capezzoli tanto forte da farglieli dolere fino al giorno
dopo.
“Insegnami quella canzone” gli aveva chiesto dopo, tra gli ansimi, mentre
lo teneva ancora imprigionato sotto di sé.
“Quale?”
“Quella con gli alberi secolari ed il sole. Insegnamela nella tua lingua”
Ileos lo aveva fissato con il cuore che scoppiava di gioia.
Gliela aveva insegnata, quella canzone. Ma mentre cercava di ritornare
alla sua casa, Teuker non riusciva a ricordare le parole.
Poi aveva pensato che il mondo fosse crollato.
Ancora non sapeva cosa fosse il dolore vero, quello che lo stava facendo
impazzire in quel momento.
Era stato il primo vero trauma della sua vita.
Era entrato in casa sbattendo la porta, gli schiavi si erano tenuti alla
larga, evitando anche il suo sguardo. Aveva cercato Ileos per tutta la
casa e, quando l’aveva trovato, l’aveva colpito, l’aveva preso a pugni,
accecato dalle lacrime che non riusciva più a trattenere.
“Perché me lo hai nascosto? Perché me lo hai nascosto?” Continuava a
gridare, mentre lo colpiva. Nella testa la voce della sua matrigna che
rideva, che gli diceva “Ma come? Ancora non lo sai? Credevo che te lo
avrebbe detto subito, per suscitare la tua pietà”
E lui aveva capito: quello era il motivo per cui si era occupata di un
bambino senza nessuno, per quello gli aveva regalato uno schiavo, Ileos.
Da anni pregustava quel gioco crudele, immaginando a cosa avrebbe portato.
Teuker era caduto in ginocchio, abbracciandogli le gambe, continuando a
piangere.
Forse Ileos aveva capito, gli aveva accarezzato la testa e lo aveva fatto
rialzare, abbracciandolo.
“Non volevo farti soffrire.... farti vergognare di me”
“Tu... sei mio....” Gli aveva posato una mano sul viso, accarezzando i
suoi tratti come avrebbe fatto un cieco, come fosse la prima volta. “Sei
mio fratello”
Ileos aveva annuito, commosso e felice, ma anche triste del dolore di
Teuker.
Si erano chiusi in camera, avevano tante cose di cui parlare.
“Mamma mi raccontò che la tua matrigna le propose di salvare uno di noi.
Conosci l’incantesimo della “razza pura”, vero?”
Teuker aveva annuito.
“Mamma era stata messa incinta da un Drow. Noi saremmo nati violando il
tabù. E’ raro che un’Alta concepisca dei gemelli, contrariamente a quanto
accade alle Drow. Comunque, il nostro destino era segnato: come
mezzosangue non avremmo avuto vita facile, così accettò. La magia
rimescolò il nostro sangue, dividendo a metà la nostra natura. Tu nascesti
Drow e io Alto. La mamma ci ha amati moltissimo. Parlava tanto di te, ti
pensava sempre. Sperava che fossi felice. Lei voleva che almeno uno di noi
fosse libero...”
“E la sorte ha scelto me” Mormorò, ancora sconvolto, Teuker.
“Ne sei sicuro, Teuker? Ha ha ha Io sono libero!”
Teuker lo aveva fissato smarrito.
“Fratello mio, tu sei schiavo di questa società, io posso sognare le terre
verdi in cui nacque nostra madre, posso parlare la nostra lingua e cantare
di cose che tu non vedrai mai, mentre io le vedo nel mio cuore...” Ileos
si era bloccato: il volto di Teuker così simile e così diverso dal suo, lo
attirava come la terra attira la pioggia. Aveva tanto sognato il giorno in
cui lo avrebbe potuto chiamare “fratello” ed ora sentiva di detestare
quella parola.
Teuker aveva piegato la testa e si era avvicinato a lui, per baciarlo ed
Ileos non era riuscito ad allontanarsi. Ora che poteva spiegargli il
perché di tutti i suoi no, non voleva più negarsi.
I baci di Teuker erano fuoco liquido sulla sua pelle, erano un sentiero
illuminato per giungere a quella interezza di cui erano stati privati.
Quel giorno e quella notte si erano amati davvero per la prima volta.
Ileos sentiva il senso di colpa sciogliersi negli occhi del fratello ogni
volta che erano vicino ai suoi.
“Cosa guardi?” Gli aveva chiesto, steso tra le sue braccia e colmo di un
appagamento nuovo, di un respiro completo, come se, prima, mai l’aria
avesse contenuto abbastanza ossigeno per i suoi polmoni.
“Il tuo viso... avrebbe potuto essere il mio” Teuker lo stava fissando e
scrutava ogni particolare del suo volto come non aveva mai fatto.
“A me piace il tuo viso” Gli aveva risposto Ileos, sorprendendolo.
“Non mi odi per quello che ti ho fatto?”
“Ero il tuo schiavo e tu il mio padrone... non hai fatto nulla che non
fosse prevedibile, data la situazione”
“Se me lo avessi detto....”
“Non potevo sapere come avresti reagito”
“Già...”
Era iniziato un periodo impegnativo, ricco di gioie, ma anche di
sofferenze: Teuker era stato ansioso di imparare, di scoprire tutto quello
che non sapeva su sua madre e sulla sua gente.
Talvolta litigavano: avevano modi di pensare così diversi... Teuker
sfogava la sua rabbia altrove, con schiavi che non erano più elfi: non
poteva infierire su di loro senza vedere il volto di suo fratello.
Ileos lo aspettava a casa, pronto a perdonarlo, accondiscendente e
premuroso.
Teuker rabbrividì al ricordo delle parole sussurrate nell’orecchio, ogni
volta, dopo aver fatto l’amore, dopo gli insegnamenti. Perché Ileos era
stato così maledettamente buono e comprensivo con lui?!
“Se non ci avessero separati da piccoli sarebbe stato diverso: la natura
ci avevi predisposti per un diverso tipo di amore” Gli aveva risposto alla
domanda su cosa lo intristisse tanto spesso, dopo che la notte aveva
appagato i loro sensi.
“Ma il destino ha voluto altrimenti”
-Ma il destino ha voluto altrimenti- Mormorò a denti stretti,
appoggiandosi alla parete umida e scivolando a terra.
Improvvisamente si chiese se non fosse meglio smettere di trattenere le
lacrime che pungevano per uscire e lasciare che lo disprezzassero,
urlargli “Io non sono come voi! Non sono un Drow!” e farsi trascinare via,
verso le prigioni, aspettando che fosse il suo turno di essere sacrificato
a Loth.
Era il ricordo più angosciante. L’ordine, impartito con non curanza, di
consegnare Ileos a Loth, nel sacrificio che si doveva tenere una settimana
dopo. Una settimana solamente.
Ileos era scoppiato a piangere. Non potevano fuggire. Teuker era
sorvegliato a vista dai seguaci della sua madrina, non poteva fare un
passo senza che lei lo sapesse.
Poi avava smesso di mangiare. “Così sarò più debole e mi uccideranno più
velocemente” Un pallido sorriso, un sorriso fantasma e una preghiera: “Non
lasciare che mi torturino”
Lo aveva abbracciato e gli aveva promesso di aiutarlo con ogni mezzo a sua
disposizione.
Ileos deperiva velocemente e, di notte, piangeva tra le sue braccia.
Chiudeva gli occhi per cercare un buio più totale, chiedendosi come
sarebbe stato quando i suoi occhi avrebbero percepito solo il buio della
morte.
Poi era arrivato il giorno. Ileos a mala pena si reggeva in piedi.
Due guardie erano venute a prelevarlo, gli avevano legato i polsi e
l’avevano trascinato via.
Solo una cosa aveva potuto fare ed era stata così poco.
Aveva ottenuto di essere lui e non un torturatore od una sacerdotessa, ma
lui.
Aveva intriso il cordame lungo e ruvido della frusta nel veleno. Sarebbero
bastati pochi colpi. Prima un paio non troppo forti, per dargli modo
di.... abituarsi, poi altri... quattro o cinque.... Ileos aveva la pelle
delicata. Bastava romperla, far sanguinare la sua schiena.... il veleno
sarebbe entrato in contatto col suo sangue... quanto avrebbe potuto
resistere, allora? Quanti colpi gli avrebbe dovuto infliggere, ancora?
Era salito sul palco.
Ileos era lì, legato, nudo, come la prima volta che era stato suo.... gli
occhi carichi di terrore e lacrime e, forse, per un attimo si era sentito
tradito, vedendo la frusta nella sue mani.
Gli si era avvicinato, fingendo di controllare il legaccio che lo
imprigionava, “Farò presto” gli aveva sussurrato. Le punte dei loro nasi
si erano sfiorate per un istante, come una carezza ed Ileos aveva
sospirato, fissando gli occhi chiari nei suoi.
Teuker si era guardato in torno, aveva cercato tra la folla e tra gli
spalti, dove era lei, la fautrice di quel gioco. Si era concentrato su di
lei, la sua matrigna, sul piacere che doveva provare in quel momento.
Aveva cercato di assaporare quel piacere. Non era forse un Drow, lui?
Doveva trarre un misto di euforia e gioia da quella situazione, doveva
sentirsi montare dentro l’eccitazione, fino a far esplodere il suo orgasmo
con la morte di quel... doveva ubriacarsi la mente per riuscire a farlo.
La folla aveva mormorato, stava perdendo troppo tempo.
Teuker aveva srotolato a terra la lunga frusta ruvida e bagnata. Era
pesante. Era più abituato alle spade che alle fruste. Doveva piantare bene
i piedi a terra e scaricare il peso sulla schiena, attraverso la spalla,
con un movimento fluido e veloce. La frusta doveva percorrere un arco
perfetto e schioccare. Bagnata era ancora più pesante.
Aveva vibrato il primo colpo.
Ileos aveva gemuto.
Si era concentrato sul suo dovere, senza guardare i suoi occhi. Il polso
era stato troppo rigido, così gli aveva fatto più male del necessario.
Aveva ritirato la frusta e scoccato il secondo colpo.
Ileos aveva urlato, inarcandosi e piangendo.
Teuker aveva alzato nuovamente il braccio e aveva colpito.
-Teuker!- Aveva invocato, implorò il condannato.
Teuker non aveva saputo resistere al richiamo. L’aveva guardato. Aveva
guardato i suoi occhi agonizzanti e aveva sentito lo stomaco contrarsi.
La sua mano tremava. Cercava di fermarla, ma non ci riusciva. Era lì,
davanti a tutti e sapeva di dover reagire.
La frusta gli era stata tolta di mano. Un uomo alto, con la cicatrice di
una frustata sul viso, il Maestro Torturatore, lo aveva scansato di lato,
osservando con occhio critico la frusta e poi lui.
Teuker aveva temuto che il suo inganno fosse stato scoperto e, forse, lo
era davvero. Aveva abbassato lo sguardo, tutto era perduto. Sentiva i
colpi infrangersi contro Ileos e il suo amante urlare. Si era imposto di
guardare. Quello, almeno, doveva farlo. Quell’uomo conosceva il suo
mestiere. Teuker aveva assistito ad abbastanza sacrifici da capire che il
Maestro Torturatore non sarebbe stato elogiato, quella volta: non lo stava
torturando: gli stava donando la morte più rapida e pietosa che poteva.
Teuker aveva contato i colpi. Al quindicesimo Ileos non si era contratto.
Non aveva urlato. Erano pochi, quindici colpi.
Il Maestro Torturatore si era assicurato la frusta alla cintura, stando
bene attendo a non toccarne la superficie con le mani screpolate, usando
un panno che si intrise subito di sangue e lo aveva chiamato. Gli aveva
ordinato di sorreggere il corpo mentre lui lo liberava, lasciandolo
accasciare contro Teuker.
Lo spettacolo era finito, la gente si diradava, le sacerdotesse avevano
finito le invocazioni alla dea-ragno.
“Portalo dagli essiccatori” Gli aveva ordinato il carnefice, fissandolo
negli occhi.
Teuker vi aveva letto qualcosa, ma non lo seppe decifrare. Aveva mormorò
un “Grazie”, sapendo di doverglielo.
Si era stretto per un attimo Ileos al petto, baciandogli i capelli biondi
e lo aveva preso in braccio, delicatamente, facendogli appoggiare la testa
contro la sua spalla: non voleva che ciondolasse. Un braccio era
scivolato, inerte e lo aveva paralizzato. L’uomo che era ancora con lui,
sul palco, lo aveva raccolto e glielo aveva messo in grembo, poi si era
girato, tornando a svolgere i suoi compiti.
Teuker lo aveva ringraziato ancora, dentro di sè. Ileos era così
leggero...
Aveva camminò lentamente, lungo le gallerie che portavano alle botteghe
degli essiccatori. Ora Ileos sarebbe stato scuoiato, la sua pelle cosparsa
di sale per alcuni giorni e poi conciata per tornare di nuovo morbida.
Sarebbe stata levigata con la pietra da altri schiavi che non temevano più
la morte perché l’avevano avuta tra le mani troppe volte. Poi, schiavi
diversi l’avrebbero cucita, facendone pezzi abbastanza grandi da essere
arrotolati e passati ai sarti, che vi avrebbero aperto nuovi tagli e messo
nuove cuciture.
Aveva affidato il suo fardello ad un Drow dall’aspetto severo e dai modi
sbrigativi che lo aveva preso malamente e lo aveva scaraventato su un
tavolo di pietra con degli scoli agli angoli.
Avrebbe voluto dirgli di trattarlo meglio, di non scaraventarlo...
perché... no, non avrebbe più sentito male, ma l’uomo stava commentando
che era morto presto, che si potevano ricavare diversi centimetri di pelle
anche dalla schiena.
Per la prima volta in vita sua, Teuker aveva provato orrore e raccapriccio
per il loro destino dopo la morte ed era corso via, inciampando, con un
ronzio nelle orecchie.
Aveva le mani appiccicose di sangue, gli abiti caldi e umidi, il vischioso
liquido rosso non si vedeva, ma dava una strana lucentezza al nero della
pelle.
Tutto era finito. Non c’era più alcun senso.
Teuker si guardava intorno. Sentiva delle voci.
Cercò di alzarsi, ma scivolò sul muschio. Si accorse di avere le guance
umide, aveva pianto.
Di fronte a sè scorse un piccolo movimento. Lo fissò, impiegando qualche
secondo a riconoscerlo.
Smarrimento e poi... follia.
Era un piccolo, disgustoso messaggero di Loth.
Era il ragno che compariva a chi doveva sostenere una prova, la prova del
tradimento. Loth, quindi, aveva voluto metterlo alla prova... bene, lui
l’aveva fallita.
Consapevole della sua sorte, volle prendersi una piccolo, minuscola
vendetta. Prese il ragno e lo strizzò tra le dita.
Le voci si avvicinavano, ma già faticava a distinguere le loro parole.
Guardò distrattamente verso il basso, che, di colpo, era diventato più
lontano.
Ecco, il suo corpo stava mutando. Stava diventando uno di quei Dryder a
cui aveva dato la caccia.
Anche a lui avrebbero dato la caccia.
Erano quelli che aveva creduto suoi fratelli, senza conoscere la verità.
Sperava che lo uccidessero presto, così avrebbe raggiunto il suo solo
fratello.
La ragione svaniva rapidamente, la sua mente si svuotava, lasciando spazio
solo al ronzio insistente.
Non capiva bene chi era, chi erano, ma quelli che stavano arrivando
volevano ucciderlo, erano suoi nemici. Prima o poi l’avrebbero
sconfitto.....
Fino a quel momento, avrebbe cercato di ucciderne il più possibile, con il
suo veleno.
Fine
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