Racconti dell'Under Dark

di Nuel

TITOLO: Racconti dell’UnderDark

AUTORE: Nuel

SERIE: originale

PARTE: Racconto primo (1/1)

RATING: pg

PAIRING: Ortagor- Kashren

DECLAMER: I Pg sono tutti miei

ARCHIVIO: Ysal


RACCONTI DELL’ UNDER DARK


Racconto Primo


di Nuel




Ci sono classi sociali anche tra gli schiavi. Gli schiavi per i lavori di fatica fuori dalla casa, non costano troppo, al mercato degli schiavi. Quelli per la casa hanno prezzi superiori, ma i più cari sono sicuramente quelli da letto. Essendo nato schiavo non conosceva altro. Sapeva solo di essere stato fortunato. Contrariamente a quanto si potesse pensare, sua madre non era una Drow. Sua madre era un’ Umana che non aveva esitato a vendere il frutto di uno stupro ad un mercante di schiavi. A otto anni era stato battuto all’ asta per una manciata di monete d’ oro come schiavo domestico. Gli era andata bene: un mezzo sangue finiva facilmente nei bordelli, come esotico giocattolo, oppure veniva acquistato per essere rinchiuso in una sala da tortura, per il divertimento di un sadico padrone.

Da molti anni lui era proprietà di un Maestro Torturatore. Entrato nell’adolescenza, era diventato il suo schiavo da letto. Da quando era uomo, viveva con una lunga catena alla caviglia, in una camera che si affacciava sulla piazza principale di una città dell’ Under Dark. Alla fine era lì che era arrivato, tra i simili dell’ uomo che aveva ingravidato sua madre.

Entro breve il suo padrone sarebbe rientrato, dopo una giornata di lavoro nelle sale da tortura del palazzo. Dimostrava non più di trent’ anni, ed era libero, per quanto potesse esserlo un maschio della sua razza. La sua abilità come torturatore aveva fatto la sua fortuna: era troppo bravo per permettersi di perderlo, quindi, per quante donne lo avessero come amante, nessuna reclamava la sua proprietà. Era anche insolitamente bello per un Drow. Solo una cicatrice leggera che gli attraversava in verticale un lato del viso, risparmiando provvidenzialmente l’ occhio destro. Poteva essere un colpo di frusta, ma riteneva si trattasse di un tentativo del suo stesso padrone di sfregiarsi. Era una pratica comune tra i giovani maschi, un tentativo di rendersi il meno attraenti possibili agli occhi delle loro donne, un tentativo di rimanere in vita il più a lungo possibile.

Il mezzo sangue si riscosse sentendo la porta aprirsi.

-Ben tornato, mio signore- Salutò il suo padrone con sincero affetto.

L’ uomo si liberò della frusta che aveva allacciata al fianco e dei pesanti bracciali di cuoio borchiato, scaraventandoli su una sedia. Si diresse al letto e si distese con un sospiro.

-Vieni qui, massaggiami la schiena!- Gli ordinò senza convenevoli.

Il ragazzo fu veloce ad obbedire. Salì sul letto, facendo tintinnare gli anelli di metallo della catena e prese a massaggiare la schiena indurita del suo padrone. Le sue mani eseguivano quel lavoro quasi ogni giorno, alternando il massaggio a velate carezze, aspettando che il suo padrone si addormentasse, rilassato, per poterlo baciare.

Lui non aveva un nome, sua madre non glielo aveva dato e, poi, nessuno ne aveva sentito la necessità, però, ogni tanto, il suo padrone, lo chiamava Kashren, che nella lingua dei Drow significava "cucciolo divertente" e, con l’ andare del tempo, era diventato una specie di nome.

Sorrise sentendo un sospiro di sollievo del suo padrone: si stava rilassando. I muscoli indolenziti della schiena cominciavano a sciogliersi ed il suo respiro diventava più lento e profondo.

Kashren cominciò a rallentare i movimenti, alleggerendo la pressione che esercitava sulla pelle d’ ebano tirata sulla muscolatura ben sviluppata che cresceva sulle ossa lunghe e robuste. Quando si fermò, vedendo che il suo padrone non protestava, si sdraiò accanto a lui, ammirando il viso regolare, dagli zigomi alti, le labbra carnose e morbide, il naso dritto, la forma degli occhi un po’ allungata con le lunghe ciglia bianche, le sopracciglia folte che si allungavano verso le tempie, velate dai capelli lunghi e candidi. Si allungò a posare un bacio leggero sulle labbra e, fulmineo, il suo padrone aprì gli occhi e gli afferrò un braccio, serrandolo nella sua presa d’ acciaio.

-Cosa credi di fare?-

-Volevo solo baciarvi- Gli rispose senza paura.

Il Drow sorrise divertito, un sorriso freddo e crudele. Eppure non aveva sempre sorriso così.

-Perché non mi togliete la catena, padrone?- Gli chiese per la millesima volta. -Sapete che non scapperei mai-

-No-

-Per umiliarmi ancora?-

Il Maestro Torturatore sorrise di nuovo, un misto di orgoglio e divertimento.

-No, perché trovo che ti doni-

L’ uomo si girò sul fianco e Kashren gli si accostò, stringendosi al suo petto, chiudendo gli occhi.

-Come volete voi-

Una mano scura si posò sulla sua schiena e lo tenne premuto contro il suo petto. Era calda, grande, forte. Era callosa e le dita lunghe si muovevano a scatti. Raramente era gentile, era abituata a sorreggere fruste, ferri arroventati, aghi, pinze..... era abituata a generare dolore, solo raramente si faceva messaggera di piaceri fragili che duravano il tempo di un sospiro. Accarezzò il fianco del suo padrone, baciandogli la gola. Era evidentemente troppo stanco per dedicarsi ad altri giochi, a torture più sottili.

Il braccio si strinse di più intorno alla sua schiena e riconobbe un respiro più profondo, quello con cui scivolava nel sonno, e decise di dormire anche lui.

Solo lo scandire delle ore separava la notte buia dal giorno buio del sottosuolo. Ad ogni ora una fiamma magica incendiava la grande torre centrale, determinando le attività della città. Non dovevano essere passate più di quattro ore quando uno schiavo entrò nella stanza per svegliare il suo padrone.

-Padron Ortagor! Padron Ortagor! La principessa Miara vi manda a chiamare!-

Il maestro torturatore ed il suo schiavo si svegliarono immediatamente. Il massiccio elfo Drow scattò giù dal letto, riprese la frusta ed i bracciali e scomparve oltre la porta, seguito dal piccolo schiavo seminudo che era venuto a svegliarlo.

Kashren si stese nuovamente sul letto, cercando il profumo del suo padrone. Un’altra notte lontano da lui... Era la prima volta che la principessa Miara, unica figlia della matrona madre della città, lo mandava a chiamare, ma non c’era da stupirsi: aveva da poco raggiunto la maggiore età... e, sicuramente, si sarebbe incapricciata del suo padrone, come tante altre... sperava che la matrona avesse il buon senso di spiegare alla sua viziata figlia che Ortagor era troppo utile al clan per prenderlo come amante ufficiale.

Kashren finì col riaddormentarsi. Stava sempre solo, da quando era diventato lo schiavo da letto del suo padrone. Non era una cosa così strana, molti padroni preferivano tenere i loro giocattoli personali lontano dagli altri schiavi ed, a lui, la compagnia non mancava neppure troppo... avrebbe solo voluto passare più tempo col suo padrone.

Il suo sonno venne nuovamente interrotto sul fare della prima ora del giorno, due soldati spalancarono senza riguardo la porta e sbatterono nella stanza un giovane elfo chiaro impaurito. Fissarono la catena che aveva al collo ad una parete ed uscirono dopo uno sguardo di scherno a Kashren. Il mezzo sangue li guardò con odio per nulla occultato: erano Drow, ma erano schiavi quanto lui e, probabilmente, conducevano una vita meno agiata di quella che il suo padrone concedeva a lui.

Kashren guardò il giovane elfo che si era raggomitolato contro il muro e continuava a piangere, e decise di scoprire perché fosse stato portato lì.

Scese dal letto con movimenti lenti e sicuri e si avvicinò al nuovo arrivato, che lo fissò con terrore, finché non notò la catena alla sua caviglia.

-Chi sei?- Gli chiese Kashren guardandolo dall’alto in basso.

-Mi chiamo Alerbal-

-E perché sei qui?-

-Non lo so...-

Kashren sbuffò, era sempre la stessa storia con i prigionieri: affamati, spaventati, torturati fino a distruggere la loro volontà... allora erano pronti a diventare schiavi di qualche valore per padroni troppo pigri per domarli da sé.

-Prendi- Gli disse Kashren allungandogli una coppa con del vino rosso.

Alerbal bevve tutto d’un fiato, estremamente grato.

-Grazie-

Kashren fece spallucce. In quel momento Ortagor fece ritorno. Kashren gli andò in contro sorridente, pronto ad ubbidire a qualunque suo ordine.

-Ben tornato, mio signore-

-E’ già arrivato lo schiavo?-

-Si mio signore- Si spostò perché il suo padrone potesse vederlo.

Lo schiavo cominciò a tremare sotto l’attento esame degli occhi freddi del maestro torturatore.

-Odio portare il lavoro a casa! Dopo lo farò trasferire in una cella- Disse a Kashren, che lo seguiva come un’ombra.

-Dammi da bere, Kashren!- Ordinò sedendosi al tavolo, aspettando che lo schiavo gli versasse da bere.

-Miara tiene molto a questo schiavo: mi ha detto di non rovinarlo....-

-Tutto questo tempo solo per dirvi questo?- Chiese con un pizzico di malizia nella voce, con una confidenza che gli era consentita solo dall’essere da tanto tempo l’unico padrone del suo letto.

Ortagor sorrise divertito dalla punta di gelosia che leggeva nello sguardo del suo possessivo schiavo. Gli tese la mano con la coppa, ordinandogli di bere.

Kashren bevve un lungo sorso e si piegò a baciare il suo padrone, lasciando scorrere il corposo vino rosso dalla sua lingua a quella più assetata. Le ginocchia gli si piegarono, facendolo rovinare nell’abbraccio del suo padrone, seduto comodamene sulla poltrona.

Alerbal assisteva con occhi sgranati alla scena, ma a loro, la cosa, era totalmente indifferente.

-Devo uscire di nuovo, tornerò il prima possibile- Gli soffiò nell’orecchio, ben sapendo che tanta cura, per uno schiavo, avrebbe potuto metterlo in cattiva luce presso gli altri della sua razza. Anche per questo voleva che Kashren non uscisse da quella stanza: lì era libero di trattarlo come voleva.

Kashren guardò il suo padrone uscire e decise: non avrebbe passato due notti senza essere amato da lui. Ancora una volta Kashren maledisse la natura che l’aveva reso coriaceo e scuro come un Drow e gli aveva dato il cuore debole di un Uomo. Come sarebbe stato tutto più facile se fosse stato il contrario!

Si morse il labbro, era inutile: lui.... lo amava.

Prese da un armadio una boccetta e ne versò alcune gocce in una bottiglia di vino chiaro e leggero e la depositò accanto al letto, dal lato occupato da Ortagor. Il suo padrone gli aveva insegnato l’uso dei numerosi veleni che custodiva e non aveva mai dubitato della sua lealtà. Gli aveva dato le armi con cui ucciderlo, ma lui si era sempre limitato all’uso di veleni dagli effetti molto più interessanti della morte.

-Ti conviene accettare il tuo destino: sii accomodante ed il mio padrone non ti farà troppo male- Disse allo schiavo ancorato al muro.

-Ma.... - La voce s’interruppe notando un particolare nuovo di quello schiavo che sembrava così a suo agio, nonostante la catena: Kashren aveva la struttura massiccia di un Drow, non era esile come tanti schiavi coperti di stracci che aveva visto: il suo corpo brunito era lucido di oli profumati, i capelli corti, d’un nero lucente, gli occhi erano di una tonalità di blu così profonda da poter essere scambiata per viola. Aveva orecchie troppo lunghe per essere umane, ma troppo larghe per appartenere ad un elfo, era un mezzo sangue, indubbiamente, ma quello che lo aveva colpito era un altro particolare: quando si era girato aveva visto per la prima volta quella coscia lunga e muscolosa e.... incisa, cesellata come una scultura di legno.

Kashren dovette notare il suo sguardo e sorrise, accarezzando l’intarsio di cui andava fiero. Fiero perché fiero era il suo padrone, quando con mani meno indurite l’aveva scavato nella sua carne, senza mai drogarlo. Eppure lui non aveva mai urlato, mentre lavorava con lo scalpellino ed i coltelli affilati, quando succhiava dalla ferita aperta il sua sangue e le leccate diventavano baci. L’aveva trasformato in un’opera d’arte. Molto prima era stato marchiato a fuoco sulla spalla, ma quello era stato un dolore che era già rassegnato a subire. Quella cesellatura, quel ricamo in cui affondavano le punte delle dita, era stata una prova, non una tortura. Durante quel lavoro durato settimane si erano.... innamorati. Perché Kashren sapeva che Ortagor l’amava, per quanto un Drow che non conosce l’amore, possa amare.

-L’ha fatto lui- Gli disse, andandogli di nuovo vicino.

-Cosa mi faranno?- Chiese con un filo di voce.

Kashren prese una sedia e gli si sedette di fronte. L’elfo arrossì ad averlo così vicino, nudo e completamente indifferente nell’esserlo.

-Dipende.... Il mio padrone adora sia le fruste che i ferri roventi, ma non disdegna morsi, pinze, lacci di vario genere, droghe.... non puoi sottrarti alla tortura, ma puoi renderla più breve: urla e supplica da riempire le loro orecchie e ti lasceranno in vita per un altro po’....-

Alerbal lo guardò con la disperazione negli occhi chiari.

-Se Miara ha detto di non rovinarti può darsi che voglia conservarti per qualche festa privata....-

-Festa?-

Kashren fece spallucce. -Vi ho partecipato anch’io un paio di volte. Sono grandi orge in cui uno schiavo legato ed impossibilitato a muoversi viene offerto all’uso degli invitati-

-Cosa?...- L’elfo sembrava non capire.

Kashren tornò con la memoria a quei giorni: era da poco diventato un uomo e sapeva che altri Drow si erano interessati a lui: era un esemplare raro e desiderato.

Ortagor l’aveva già posseduto, qualche volta, come si possiede un oggetto, senza gentilezza, senza rispetto, solo furia cieca e passione.

La sorella di Ortagor giocava con lui, qualche volta, facendolo eccitare e poi frustandolo fino a farlo godere per il dolore.... e poi lei si accoppiava col fratello, che la adorava, che viveva per lei......

Era stata sua l’idea di usarlo per quelle feste. Aveva accettato senza fiatare il suo destino: era uno schiavo in una casa Drow... poteva solo sperare di morire presto.......

Era stato legato ad una struttura metallica, l’accesso al suo corpo facilitato dai legacci che gli bloccavano le gambe, piegate ad angolo retto e divaricate, mentre la schiena era inarcata fino quasi a spezzarsi, con il collo stretto da un’altra corda che minacciava di soffocarlo non appena cercasse di abbassare il capo, un boccaglio di pelle, con un anello metallico a tenergli aperta la bocca ed impedirgli di mordere.

Una droga amara gli era stata versata sulla lingua, a rendere il suo corpo caldo e sensibile oltre il naturale, una febbre che lo invadeva e gli bruciava la carne.

Così venne introdotto nella sala del banchetto. Odori, suoni, sensazioni: tutto parlava di sesso ed incideva sulla sua mente, vittima delle sensazioni del corpo. Poteva scorgere, ogni tanto, schiavi portati al guinzaglio, altri costretti a quattro zampe, i loro corpi "decorati" da oggetti metallici che trapassavano le carni, membri fasciati e rinchiusi in guaine dall’aspetto preoccupante.... giocattoli sessuali dei loro padroni Drow....

Venne presto il suo turno: qualcuno s’interessò a lui, ed altre mani seguirono, a toccarlo, carezzarlo... molto prima della fine aveva perso il conto di quanti uomini e donne avessero abusato di lui, di quanto sperma di uomini diversi avesse dovuto ingoiare e di quante donne si fossero sedute sul suo viso per essere leccate.... qualcuno aveva introdotto nel suo pene eccitato un lungo e sottile ago metallico, dalla punta arrotondata, era scivolato lentamente lungo la sua uretra, per impedire l’uscita del suo seme... al primo orgasmo aveva urlato: il riflusso di quel liquido denso e caldo, intrappolato nel suo corpo, l’aveva ferito più delle risa di scherno.... le volte seguenti aveva trattenuto i gemiti in gola... qualcuno aveva preso a frustargli l’inguine e le gambe... poi Ortagor era intervenuto. "Non deve essere rovinato!" Aveva tuonato... e finalmente era svenuto.

Per due giorni aveva continuato a vomitare ed a tremare.

La volta successiva sapeva cosa aspettarsi.

Non se la sentì di spaventare quel prigioniero, non avrebbe comunque capito....

Capire i Drow non era facile, per tutte le altre razze.... forse nemmeno lui che era per metà come loro li poteva capire... eppure c’era quella sensibilità "speciale", l’aveva sentita affiorare dopo quella prima festa....

-I Drow sentono in modo diverso: hanno bisogno di stimoli forti, di sensazioni quasi traumatiche.... vivono solo per riprodursi ed uccidersi a vicenda.....-

Alerbal lo guardò incredulo e Kashren si alzò di nuovo. Naturalmente non capiva. Nessuno che non fosse Drow poteva capire.

Dopo quella seconda festa la sorella di Ortagor era stata mandata in missione. Non era mai più tornata, ma Ortagor continuava ad aspettarla. Per lei aveva cesellato la sua gamba, per fargliene dono.... forse, le prime volte che si erano accoppiati, in quel periodo, l’aveva fatto pensando a lei.... Kashren aveva sentito la diversità nel suo modo di toccarlo.... e poi era diventata un’abitudine.

Presto il suo padrone avrebbe fatto ritorno. Non voleva che quei ricordi offuscassero la loro notte. Aprì di nuovo l’anta che conteneva i veleni, prese dei rametti secchi da un contenitore scuro e li buttò nell’incensiere. I rametti presero a bruciare lentamente, diffondendo un fumo leggero e speziato. Sentì un gorgoglio proveniente dallo schiavo. Lui non era abituato, il suo corpo non opponeva resistenza alcuna.

Kashren si stese sul letto. Lui non si sarebbe addormentato.

Respirò l’aria che rapidamente si saturava dell’aroma calmante, il suo corpo si rilassò, il cuore batteva più lentamente.

Ortagor aprì piano la porta. Riconobbe subito l’odore forte.... una manciata di cenere calda riposava nell’incensiere e lo schiavo legato alla parete dormiva saporitamente.

Sorrise a Kashren che gli veniva in contro con passo lento e felpato e lo prese tra le braccia, inspirando avidamente quell’odore. Pochi minuti ed avrebbe fatto effetto anche su di lui.

Kashren lo condusse al letto, dopo averlo privato delle armi. Gli versò nella coppa il vino chiaro che aveva preparato ore prima, gliela mise in mano e gli sollevò la mano fino alle labbra, invitandolo a bere.

-Non hai trascurato nulla- Sospirò Ortagor dopo aver assaporato la bevanda mescolata con l’afrodisiaco. Se non avesse conosciuto il suo sapore non l’avrebbe riconosciuto.

Kashren versò un’atra coppa e la bevve lentamente.

Si piegò a baciare il suo padrone, iniziando a spogliarlo, mentre Ortagor s’inclinava pericolosamente sul letto, trascinandolo sopra di sè.

Gli accarezzò la coscia che aveva mutato per sempre con la sua arte ed entrambi rabbrividirono.

Kashren terminò di spogliarlo, lambendo con le labbra ogni nuova nudità di quel corpo.

Ortagor lo afferrò e lo spinse sotto di sè: sentiva le droghe iniziare ad agire. Sapeva che Kashren non poteva opporgli resistenza perché già da molto respirava il fumo del braciere e presto neppure lui avrebbe più avuto alcuna forza, se non quella data dall’afrodisiaco, solo per amarlo.

-Prima o poi ti venderò, Kashren! Sei uno schiavo impertinente!-

Kashren sorrise, il sangue che gli pulsava più forte nell’inguine. Allacciò le gambe dietro la schiena del suo padrone, che lo stava nuovamente baciando, la coscienza inibita lasciava spazio solo al piacere che, ogni singola cellula del suo corpo che fosse a contatto con quello di Ortagor, provava.

Lentamente il suo padrone scivolò dentro di lui, facendolo quasi piangere per il piacere. Ortagor già ansimava, una febbre li avvolse entrambi, tolse loro coscienza della stanza, del letto su cui erano, si sentivano fluttuare e null’altro a parte loro esisteva, nel mondo.

La sensazione di completezza che li travolgeva sempre non si fece attendere. Si amarono appassionatamente, come ogni volta, dispensando baci che non potevano mostrare innanzi alla legge ed agli dei, innalzando parole e preghiere nei loro cuori che battevano all’unisono, restando stremati e sudati sul letto che conosceva a memoria la sagoma dei loro corpi allacciati nel sonno.

Molte ore passarono, prima che la droga terminasse il suo effetto.

Ortagor aprì lentamente gli occhi. Accanto a lui la sagoma scura e rilassata del suo schiavo, il petto gli si alzava ed abbassava lentamente, il capo reclinato contro la sua spalla ed un braccio a cingerlo debolmente. Si rigirò lentamente sul fianco, per non svegliarlo.... tanta attenzione per uno schiavo gli sarebbe costata la vita, se qualcuno l’avesse scoperto, ma nella sua casa era abbastanza al sicuro. Abbracciò Kashren portandolo più vicino, baciandogli i capelli scuri, sottili come tele di ragno. Sorrise chiedendosi per la millesima volta come avesse potuto legarsi tanto a quello schiavo concepito durante il "Giorno del Sangue" di chissà quale Drow. Se la donna che l’aveva generato non si fosse stranamente salvata, se non lo avesse venduto a quel mercante di schiavi.... Kashren sarebbe stato ucciso alla nascita. Il pensiero gli fece stringere il cuore e serrò di più l’abbraccio. Lo schiavo si mosse al suo interno ed aprì quegli occhi dal colore incredibile, sorridendogli e cercando subito le sue labbra.

-Buon giorno, mio signore- Lo salutò con voce calda, stiracchiandosi felice, senza staccare gli occhi dai suoi.

-Hai dormito bene, piccolo impertinente?-

Kashren gli si strinse di più addosso e gli baciò lo sterno, facendo scorrere una mano sulla sua schiena, indeciso se scendere ad accarezzare le natiche del suo padrone.... non sempre lo gradiva.

-Dormo sempre bene, fra le vostre braccia- Disse lusinghiero, facendo scivolare la mano in basso.

Ortagor, ridacchiando gli afferrò il braccio, serrandolo nella morsa a scatto della sua mano. Poi si portò la mano prigioniera alle labbra, e cominciò a baciarne ogni dito, uno per volta.

Kashren lo guardava rapito, estasiato, felice come non aveva mai creduto di poter essere: per uno come lui non c’era futuro, per uno che, come lui, non possedeva neppure gli stracci che indossava, esposto nei mercati degli schiavi, da una piazza all’altra, da una città all’altra.... forse avere il cuore del suo padrone era troppo.

-Cosa c’è?- Gli chiese Ortagor fissandolo, trattenendo la sua mano al petto.

-Pensavo alla mia fortuna....-

-Te la sei guadagnata-

Kashren sorrise cercando le sue labbra da baciare di nuovo. Era stato un bambino apatico, che si credeva un oggetto, senza sentimenti o cura per se stesso. Cosa potesse essere l’amore l’aveva appreso, ironia della sorte, guardando un maestro torturatore Drow che amava la propria sorella. Aveva desiderato quegli occhi di rubino su di sè, aveva desiderato che quelle mani grandi e scure accarezzassero lui.... per anni aveva sopportato in silenzio di essere solo una cosa, in quella casa dove gli veniva ogni giorno affidato un incarico diverso: la verità era che non c’era bisogno di un nuovo schiavo domestico, ma Ortagor l’aveva visto e l’aveva voluto..... anche se era un bambino sporco e denutrito.... forse gli piaceva l’idea di un bimbo che scorrazzava per casa, come un animaletto domestico, per questo l’aveva chiamato Kashren.... ma il cucciolo era cresciuto, più velocemente di un bambino Drow, più lentamente di un bambino Umano... ed aveva finito per attirare l’attenzione, per conquistare una spontanea tranquillità in quella casa. Per un po’ si erano divertiti a vestirlo come un Drow... se non fosse stato per i capelli.... il resto poteva essere spiegato, ma quei capelli neri.... non era uno di loro, e diventava sempre più bello...

Ortagor si issò sopra di lui, intenzionato a prenderlo di nuovo, distraendolo dalle sue riflessioni. Cominciarono una violenta schermaglia, mordendosi fino a sanguinare, lottando come era nella loro natura fare, per avere il controllo dell’accoppiamento. Ortagor era forte, ma il suo corpo era rigido e non di rado la foga di Kashren gli faceva avere la meglio, anche se non era mai successo che fosse lui a prendere il suo padrone. Così per l’ennesima volta, ribaltate le loro posizioni, Kashren si sollevò immobilizzando sotto di sè il suo padrone, aspettando che i muscoli delle braccia si rilassassero, nella sua presa. Sorridendosi a vicenda, si baciarono. Kashren si posizionò, le ginocchia divaricate intorno ai fianchi del suo amato, e cominciò a scendere, trasfigurando in viso, mano a mano che si fondeva con l’unico essere vivente che gli avesse mai suscitato delle emozioni.

Ortagor lo strinse sui fianchi, aiutandolo, alzando un po’ le ginocchia per fargli appoggiare la base della schiena.

-Sei un insolente!- Lo rimproverò prima di venire e travolgerlo nell’ impeto dato dal piacere. Lo premette sotto si sè, tenendolo abbracciato. Adorava vederlo sorridere in quel modo, con i capelli incollati al viso dal sudore. Sentiva ancora la sua erezione dura contro la sua gamba.... l’avrebbe soddisfatto, si, ma molto lentamente.

Raggiungendogli l’inguine con una mano, cominciò a baciarlo lentamente, coprendolo completamente col suo corpo più imponente, avvolgendolo in un bozzolo caldo e scuro fatto di carne e sangue, accarezzandolo piano, strappandogli fugaci gemiti.

Alerbal si svegliò intontito ed indolenzito per la posizione accasciata che aveva assunto nel sonno artificiale. Incuriosito dai rumori indistinti che giungevano alle sue orecchie, alzò il capo, restando sconvolto: Kashren sembrava impazzito dal piacere: gemeva sommessamente, tenendo tra le mani una ciocca candida dei capelli del suo padrone, che, chino tra le sue gambe, era il responsabile di quegli ansiti.

Non riusciva a staccare lo sguardo dal corpo scuro di Kashren che s’inarcava e si contorceva, sospirando e chiamando non un nome, ma un "signore" che avrebbe dovuto maledire, e nemmeno dalla schiena coperta di capelli candidi che si alzava e si allungava su di lui, circondata prontamente dalle braccia dell’altro.

Aveva visto bene? Era la tremolante luce della felicità, negli occhi di Kashren, prima che li chiudesse di nuovo, concentrato in un bacio appassionato? Alerbal non poteva crederlo, anche se l’aveva visto con i suoi occhi. Si mosse, facendo tintinnare la catena.

Ortagor si bloccò, staccandosi con una carezza dal corpo adorato del suo schiavo.

-Sembra che il nostro schiavo si sia svegliato!-

Quando Alerbal alzò lo sguardo, una figura scura ed imponente torreggiava su di lui.

Ortagor si vestì alla svelta, staccando la catena dalla parete e portando via lo schiavo impaurito, senza neppure una parola a Kashren.

Kashren, seduto sul letto, rimase a fissare la scena: Ortagor tornava al suo dovere. Anche se erano anni che non usciva, ricordava la scala, stretta, a chiocciola, che scendeva fino alla piazza. Lui poteva levitare, retaggio della sua origine Drow, ma, quando l’avevano portato lì la prima volta, gli avevano fatto usare le scale, come ad ogni schiavo. Poi aveva iniziato ad usare i passaggi sul pavimento, sul soffitto, come un qualsiasi Drow... Nella sua mente rivide le strade affollate di amanti e cacciatori che trascinavano i loro prigionieri, schiavi torturati pubblicamente per il divertimento dei Drow e, ovunque, quelle disgustose creature: i ragni..... aveva supplicato, pianto, scongiurato... ed, alla fine, Ortagor aveva accettato: aveva trovato il modo per tenere quegli orrori fuori dalla loro.... sua casa. Ripercorse con lui la strada fino alle prigioni, passando davanti all’altare di Loth, la Scultrice di Carne, la dea Ragno, la Madre Oscura.... quel percorso terribile che, qualche volta, aveva compiuto con lui... Si alzò svogliatamente: non sentiva la voglia di uscire, non più di quanto desiderasse essere liberato dalla catena: il suo peso gli era ormai così familiare, quello che desiderava era stare accanto al suo padrone... sempre, anche a costo di doverlo assistere nelle torture....

Sospirando passò nella stanza accanto, la catena era abbastanza lunga, ed entrò nella vasca preparata da altri schiavi, lasciando che l’acqua calda e profumata, lo rilassasse e riposasse, aveva davanti una lunga attesa: la sua unica mansione: aspettare il ritorno del suo padrone, per giacere con lui.

Ripensò alle volte che aveva trotterellato felice dietro l’ampia falcata di Ortagor, trasportando involti pesanti, scendendo in profondità, al livello inferiore della città, quello che ospitava le prigioni e le sale da tortura. La luce, lì, era ancora più scarsa, solo le sale da tortura erano illuminate, perché i condannati vedessero chiaramente gli orrori partoriti dalle menti più sadiche, strumenti che neppure avevano un nome e di cui neppure si poteva cogliere l’utilizzo, ma la sola loro presenza in quei luoghi bastava per sapere di non volerlo conoscere. Talvolta qualche padrone voleva assistere agli "spettacoli", le urla riecheggiavano, trasportate da sottili canali, fino in superficie, nella piazza della città, dove "rallegravano" i semplici passanti, che, magari, portavano a passeggio il loro animaletto domestico: uomo o donna che fosse, a cui avevano amputato gambe e braccia all’altezza di gomiti e ginocchia....

Uscì dalla vasca con un senso d’ansia: a quante brutture il suo padrone l’aveva sottratto.... Si asciugò rapidamente e tornò nella stanza principale, per rifare il letto, pulire i bicchieri, svuotare dalla cenere il braciere.... nessuno gli ordinava di farlo, ma così si teneva occupato per un po’. I primi tempi aveva pensato fosse bello poter oziare tutto il giorno, ma presto si era stancato. Camminava avanti ed indietro per la stanza, col peso insopportabile della catena. Nonostante il panno morbido che gli fasciava la caviglia nel punto in cui l’anello gli stringeva la carne, aveva finito col ferirsi. Ortagor l’aveva medicato premurosamente, ma non gli aveva tolto la catena per un solo giorno. Si era limitato ad un "Quando la pelle ti si sarà irrobustita non accadrà più". Ormai doveva avere un callo duro a deformargli la caviglia, ed era grato di non doverlo vedere... anche se.... avrebbe voluto che Ortagor gliela togliesse. Sapeva che non era questione di sfiducia, era un simbolo. Ripensò ai soldati che erano entrati a portare lo schiavo, il giorno prima. se non avesse avuto quella catena che lo fissava al letto, lo avrebbero preso per uno schiavo qualsiasi ed avrebbero potuto fargli qualsiasi cosa, tranne ucciderlo. Sospirò. La sua mente vagava su tante cose. Fuori dalla finestra la vita scorreva immutata. Una nuova fiamma s’innalzò ad informare che un’altra ora era morta, quel giorno. Molte altre seguirono.

La porta si aprì con uno scatto. La fissò fulmineo, sapendo che non si trattava del suo padrone, benché l’ora del suo rientro fosse ormai prossima.

Una giovane donna entrò con passo sicuro e si guardò in torno, continuando a camminare. Si sedette sul letto tranquillamente, ordinandogli di servirle da bere.

-Tu sei quel suo raro esemplare di cui ho tanto sentito parlare!- Lo squadrò con apprezzamento e sorrise, accomodandosi semi distesa al centro del letto.

-Dammi da bere!-

Kashren trattenne la rabbia: nessuno si era mai avvicinato a quel letto, da quando c’era lui! Guardò la donna: una Drow. Vestiva, se così si poteva definire lo scarno abbigliamento di quelle sgualdrine, con alti stivali di pelle nera, fino a metà coscia, una sottile striscia di tessuto di tela di ragno le cingeva i fianchi, annodata su un lato, lasciando vedere ad ogni passo tutto quello che ogni altra razza avrebbe nascosto, ed una fascia simile le pressava il seno sodo. Quel tessuto, che i Drow amavano tanto, resistente più del metallo, aveva prezzi vertiginosi, quella ragazza non andava indispettita.

Si avvicinò con un vassoio su cui aveva collocato una coppa e la bottiglia del vino preferito dal suo padrone.

Lei sollevò la coppa ed attese che lui la riempisse. Con la mano libera gli accarezzò la gamba cesellata. -Davvero splendido!- Mormorò, mentre la mano scorreva verso l’alto, posandosi fra le sue gambe, muovendo la pelle su e giù un paio di volte, sorridendo beffarda per la sua reazione del tutto naturale.

-Eredità umana?- Chiese apprezzando le sue misure, un po’ superiori a quelle dei Drow. Kashren rimase zitto: quella, sapeva, era una domanda che non necessitava di risposta.

La donna bevve e gli rese la coppa, accomodandosi meglio sui cuscini.

Ortagor arrivò.

-Miara!- La chiamò appena la vide. Sorpreso che Kashren non gli fosse venuto in contro come faceva sempre, lo cercò con lo sguardo, trovandolo subito, seduto in un angolo, lo sguardo duro di chi deve ingoiare un’offesa mortale.

-Ti ho aspettate Ortagor!- Gli tese le braccia la principessa.

Ortagor non dedicò tempo prezioso al suo schiavo: Miara non poteva aspettare.

Le sorrise e salì sul letto con lei, rispondendo al suo abbraccio e baciandola sul collo.

-Avevamo concordato di rivederci quando avessi finito col tuo schiavo!- Le disse, accarezzandole la curva gentile del seno. Non gli piaceva che Miara fosse lì, non gli piaceva che invadesse lo spazio di Kashren, e che lui dovesse assistere a tutto quello.

-Ho cambiato idea! Volevo vederti!-

-Ah, si?- Rispose lui, stando al gioco, stringendo nella mano il seno della giovane donna, facendola gemere di soddisfazione prima che di piacere.

Kashren distolse lo sguardo. Lui era solo uno schiavo, non poteva impedire che accadesse. Sapeva che Ortagor, solo per sensibilità nei suoi confronti, non aveva mai portato altri nel loro letto, ma era un Drow, non poteva esimersi dal soddisfare i desideri delle donne che lo volevano, aveva bisogno della loro protezione, per non finire sull’altare della dea Loth, per non diventare un sacrificio al pari di tanti che lui stesso aveva torturato per conto delle sacerdotesse, affinché, alte, le loro grida si levassero a deliziare la dea, prima di diventarle cibo, nella morte.

Un gemito più alto di lei lo fece girare, per guardare quel che non voleva vedere: sesso. I Drow avevano una strana concezione del sesso: era gioco, divertimento, modo di socializzare, di sancire patti, alleanze, modo di mostrare potere....

Miara si muoveva sopra di lui, con una luce particolare negli occhi, evidentemente soddisfatta.

Ortagor, d’un tratto la sollevò di peso, lasciandola gridare d’insoddisfazione, sbattendola sul letto, bloccandole le braccia con quelle morse di metallo che erano le sue mani, sopra la testa, riempiendole la bocca col sesso eretto che prima la scopava, svuotandosi nella sua gola. Lui poteva farlo, era uno dei pochi a poterlo fare. Poteva perché era necessario al clan, perché gli occhi di uno schiavo non contavano nulla, quindi, se nessuno avrebbe visto, nessuno avrebbe saputo mai.

Miara gli conficcò le unghie nelle mani che la trattenevano ed Ortagor si scansò, lasciandole riprendere la conduzione delle danze. Miara lo morse a sangue, Kashren ebbe paura, vedendo il sangue sulle sue labbra, conficcate nel petto, sul capezzolo. Ortagor grugnì, ma non si ritrasse, presto sarebbe stato di nuovo pronto, e Miara si sarebbe persa nel piacere che le avrebbe dato.

Come aveva previsto, poco dopo Miara lo faceva affondare lentamente nel suo corpo, inarcandosi e gemendo piano. Questa volta fu lei a fargli alzare le braccia, legandogliele sopra la testa con i legacci fissati al letto.

Kashren gemette piano la sua protesta, ma non abbastanza piano perché sfuggisse alla Drow. Non voleva che qualcuno legasse il suo padrone..... eppure, sapeva che, per il semplice fatto di essere un uomo, per qualunque donna di quella razza, non era molto più di lui.

Miara lo fece scivolare fuori per poi reimpalarsi su di lui, gemendo assieme.

Rivolse uno sguardo a Kashren, che si affretto ad abbassare gli occhi: non gli piaceva il suo sguardo.

-Ora faremo giocare anche lui- Sorrise, sprezzante.

-Miara...- Cercò, forse di farle cambiare idea, Ortagor, ma non era possibile.

-Tu! Vieni qui!-

A Kashren non restava altro che obbedire.

Di malavoglia si avvicinò al letto, Miara si sollevò e dette le spalle ad Ortagor, impalandosi nuovamente su di lui.

-Lecca!- Ordinò con una luce terribile negli occhi.

Kashren si stese sul letto, tra le gambe un po’ divaricate del suo padrone e prese a leccare. Il sesso del suo padrone era cosparso di ciprina, tremò rievocando le volte in cui già aveva conosciuto quel sapore di donna, ma ubbidì senza protestare, salendo, leccando l’asta di Ortagor, lambendo la pelle di Miara, incontrando il suo clitoride, per poi ricominciare da capo.

Miara sembrava divertirsi, si muoveva lentamente, tenendo Kashren per i capelli ed incitandolo.

Infine si stancò di quel gioco, per Kashren la tortura ebbe fine. Non era un male fisico, ma un male del cuore che riverberava, squassava la sua anima e somatizzava in brividi incontenibili, e poi in lacrime, quando Miara se ne fu andata.

Ortagor attese qualche minuto sulla porta, col fiato corto, dopo aver salutato con un bacio profondo la principessa. Kashren era tornato nell’angolo e lo sentiva singhiozzare piano. Doveva parlargli, non c’era più tanto tempo.

Si avvicinò a lui, tendendogli la mano. Kashren la accettò e si sollevò, con gli occhi lucidi ed il capo chino. Ortagor l’abbracciò, attirandolo a sè e baciandogli delicatamente i capelli, cullandolo come fosse stato un bambino.

-Vieni con me- Gli sussurrò ad un orecchio, posandovi un bacio.

Kashren lo guardò senza capire, ma Ortagor si era già abbassato per togliergli la catena. Il pesante anello metallico cadde a terra con un suono sordo. Ortagor carezzò la caviglia ormai deformata, gonfia e callosa, lasciando lo schiavo senza parole. Tante volte gli aveva chiesto in vano di toglierla ed ora era lui, di sua spontanea volontà a farlo. Kashren distolse lo sguardo, non volendo vedere la caviglia, improvvisamente spaventato dall’idea di come avrebbe potuto trovarla.

Ortagor lo prese di nuovo per mano e lo condusse nella sala da bagno. Camminare senza catena era strano, dopo tanti anni, gli sembrava che mancasse qualcosa: quel peso che aveva modificato già una volta il suo modo di camminare.

Ortagor girò un candelabro sulla parete rocciosa ed un’illusione scomparve. Tanti anni che viveva lì e non ne sapeva nulla! Un’intera sezione di parete scomparve, ora privata della magia, Ortagor lo abbracciò, invitandolo a stringersi a lui.

Kashren poteva levitare, ma non lo faceva da tanto tempo. Si aggrappò al suo padrone in un abbraccio stretto, completamente abbandonato a lui e cominciarono a scendere.

Dopo pochi metri il passaggio si restringeva molto. Ortagor lo avvolse ancora più strettamente tra le braccia: due persone avvinghiate ci passavano appena. Il buio era sempre più fitto, mentre scendevano di moti metri. Il cambiamento dell’aria avvisò Kashren che erano ormai sotto il livello della città.

I loro piedi toccarono qualcosa di umido, Kashren si ritrasse sorpreso, sollevando le ginocchia, ma vide il sorriso di Ortagor e si rilassò subito. Rimasero sospesi qualche istante, in modo che Kashren riconoscesse la sostanza. Acqua. Era acqua calda. Vi si immersero fino ai fianchi. Era una polla termale, ben celata da una piccolissima grotta. Kashren si guardò in torno: non c’era la minima luce, solo qualche brandello di muschio luminoso, ma grazie ai suoi occhi da elfo vedeva distintamente. Ortagor, invece, guardava solo lui.

-Questo è il nostro nuovo posto_solo_per_noi- Gli sussurrò

Gli occhi di Kashren s’illuminarono di una luce tremula, abbracciandolo strettamente.

-Non ho potuto impedirglielo. Mi dispiace-

Kashren scosse la testa contro il suo petto. Felice come non era da tanto tempo.

Ortagor gli baciò ancora i capelli e con una mano a coppa raccolse un po’ di quell’acqua calda, liberandola sulla spalla di Kashren.

-Padrone!- Sussultò, a quel gesto. Suo era il compito di lavarlo, non il contrario.

-Qui puoi chiamarmi per nome-

Ancora una volta ebbe un tuffo al cuore: lo amava, sapeva che lo amava!

-No.... non posso: se lo facessi, anche una sola volta, poi non riuscirei più a smettere!-

Abbassò lo sguardo, nascondendo una lacrima. Nei suoi sogni, quando era solo nel loro letto, lo chiamava spesso per nome, ma neppure nelle sue fantasie più ardite aveva sperato di poterlo fare sul serio.

Ortagor prese dell’altra acqua e gliela versò di nuovo addosso. Kashren si staccò un po’ da lui e compì lo stesso gesto. Si lavarono a vicenda, con carezze languide, in silenzio, e poi fecero l’amore, in quella piccolissima polla.

Miara era un ricordo che svaniva ad ogni spinta, con ogni gemito. Lo sperma di Kashren si sollevò candido in quell’acqua, mentre il suo padrone veniva dentro di lui.

Rimasero a rilassarsi contro i bordi di roccia, seduti. L’acqua arrivava appena alle loro spalle e lo spazio era appena sufficiente a distendere le gambe. Kashren era beatamente in braccio ad Ortagor, che giocava con i suoi capelli. Mai aveva sognato un momento così per loro due.

-Venivo qui, con mia sorella-

Kashren lo guardò. Ortagor fissava un punto lontano, perso nei suoi ricordi.

-Non ci sono più venuto, da quando lei non c’è più. Era il nostro segreto-

Kashren si spostò, sollevando la schiena dal suo petto per poterlo guardare in faccia.

-Adesso è il nostro- Gli sorrise, i suoi occhi erano tornati al presente.

-Grazie- Riuscì solo a dire. Essere separato dalla sorella-amante, per un Drow era un dramma difficilmente comprensibile. Da quando era avvenuto, lui gli era sempre stato accanto, sperava che fosse un po’ anche merito suo, se Ortagor aveva superato quel momento.

Ortagor lo baciò, dolcemente, scivolando poi sul suo collo, senza staccare le braccia, premendo le dita sui suoi fianchi, per poi risalire sino all’orecchio sensibile, succhiando piano il lobo e tracciandone il contorno con la lingua, fino alla punta arrotondata.

Kashren tremava nel suo abbraccio, di piacere, di eccitazione, fosse stato un gatto avrebbe fatto le fusa. Ansimava.

-.... mio..... mio signore...- Gemette, correggendosi perché doveva, prima di chiamarlo "amore mio", come non era suo diritto fare.

Ortagor gi staccò e si riavvicinò per baciarlo sulla giugulare che tremava, palpitava al ritmo veloce del suo cuore.

-Sai usare una spada?- Gli chiese con voce fredda, tenendo la fronte appoggiata al suo zigomo.

-No...no, padrone. Come potrei?- Kashren aveva paura di conoscere il perché di quella strana domanda.

-Dovrai imparare. Ti farò insegnare da qualcuno di fidato. Devi saper difenderti-

-P..Perché?-

-Sai quanti anni ho, Kashren?-

Kashren s’irrigidì per il significato contenuto in quella domanda. I Drow disprezzavano i loro simili che superavano una certa eta, circa i quarantacinque anni umani.

-Miara è venuta per non sprecare i miei ultimi giorni...-

-No!-

-Sh! Non aver paura: tu sarai libero per allora-

Ortagor gli accarezzò i capelli, ma Kashren si allontanò: cosa voleva dire? Lo fissava ad occhi sgranati, le labbra aperte in una muta richiesta, incapace di respirare, di far battere il cuore che si era fermato di colpo, diventando una roccia dura e fredda.

-Lo sospettavo da un po’, ma oggi ne ho avuto la conferma. Probabilmente sarò sacrificato alla dea-ragno. Non c’è nulla di strano. Sarò un sacrificio gradito a Loth. Le nuove leve di torturatori stanno per finire il loro apprendistato. Ce ne solo due o tre che potrebbero ambire al mio posto. Avrò tempo fino ad allora, non un giorno di più, Kashren-

Fece un pausa, continuando ad accarezzargli il viso, le labbra, che si imperlavano di acqua che era improvvisamente diventata più calda, mano a mano che il sangue nelle sue vene cessava di scorrere.

-Ho già pensato alla tua via di fuga: tu sei un mezzo sangue, Kashren. Il che significa che invecchi, e lo fai molto più velocemente di un Drow. Il tuo destino, in una manciata d’anni ti porterebbe ad una morte decisamente indecorosa, e non potrei garantire neppue per il nuovo padrone che ti comprerebbe dopo la mia morte. Tornerai in superficie. Non tornerai mai più qui, cucciolo mio-

Kashren sentì gli occhi liquefarsi e sciogliersi sulle sue guance, senza un sussurro, un gemito. Si fece piccolo piccolo e si nascose contro il petto del suo padrone, piangendo disperatamente, ancora di più perché la sua piccola, fragile felicità gli era già stata strappata.

Ortagor lo abbracciò. Strinse braccia, collo e gambe in torno a lui, cercando di diventare un bozzolo in cui proteggerlo. Poi si alzò, sollevando il suo corpo immobile, privato di forza e volontà, si alzò sopra il pelo dell’acqua, cominciando a salire.

Kashren ebbe un singulto. Non voleva lasciare quel posto. Poi la sua mente si annebbiò di nuovo, travolta dal dolore, e si lasciò trasportare.

Ortagor ripristinò il candelabro e con lui la parete illusoria.

Kashren si stacco, incosciente di quel che faceva, prese un panno ed iniziò ad asciugare il suo padrone.

Ortagor lo prese per le spalle, scrutando nei suo occhi quasi viola, con i suoi, rossi. Lo strattonò, doveva accettare la realtà.

Kashren versò un’altra lacrima, poi sbattè le palpebre e si riebbe.

-Cambia le lenzuola- Gli disse Ortagor, accarezzandogli uno zigomo.

Kashren ubbidì, senza una parola. Buttò nel saliscendi che portava alle stanze degli schiavi della casa quei panni che puzzavano di Miara e di morte e rifece il letto, accese dell’incenso, aveva bisogno di drogarsi la mente.

Ortagor arrivò alle sue spalle, abbracciandolo ed inondandogli la nuca di baci.

Finalmente, Kashren riuscì a piangere veramente, urlando di disperazione, lasciandosi cadere sulle ginocchia, trascinandosi dietro il suo padrone, agitandosi, cercando di toglierselo di dosso, picchiando i pugni sul pavimento, piegandosi perché lo stomaco gli si contraeva dolorosamente.

-Calmeti! Calmati, cucciolo mio!- C’era una supplica nella sua voce, mentre si piegava sopra la sua schiena e lo stringeva tanto forte da rendergli più difficile respirare.

Finalmente Kashren si calmò, tossendo e cercando di pulirsi il viso dalle lacrime, il muco e la saliva. Ansimando ancora cercò il viso del suo padrone.

Ortagor lo guardava con uno sguardo sorpreso ed indifeso, non aveva previsto la sua disperazione? Non sapeva che lo amava?

Kashren gattonò di fronte a lui.

-Fammi morire con te-

-Non essere sciocco-

-IO TI AMO!!-

Ortagor lo guardò confuso. "Amore" non è contemplato dai vocabolari Drow.

Lo avrebbe disprezzato, adesso?

-Allora vivi anche per me-

Kashren si ritrasse. Aveva capito bene? Quel sussuro strozzato... non l’aveva immaginato? Non era schifato dal suo amore? Non l’aveva rifiutato?

Ortagor lo attirò al suo petto, cullandolo e baciandolo ancora e ancora.

-Non lasciarmi-

-Non posso vivere in nessun altro posto, piccolo mio. Andiamo, devi vestirti-

Kashren lo guardò, sorpreso una volta di più in quel giorno così denso. Erano anni che non indossava alcun indumento. Spesso gli schiavi venivano trascinati in città senza nulla addosso, l’ennesima umiliazione. A lui sarebbe stata risparmiata.

Ortagor gli dette un paio di pantaloni e degli stivali di cuoio. Kashren indossò i sottili calzoni di morbida pelle rabbrividendo. Era una sensazione strana, ma soprattutto sgradevole... quella era.... pelle di Drow. L’usanza voleva che il corpo dei Drow venisse scuoiato e la pelle conciata per farne abiti, recipienti, calzature.... il resto del corpo, se non si trovava un altro utilizzo, veniva sciolto nell’acido, anche Ortagor.... cacciò il pensiero, prima che un conato di vomito lo cogliesse.

Rifiutò gli stivali, era sicuro che non sarebbe stato in grado di camminare con qualcosa sotto i piedi.

Ortagor fece strada, guidandolo attraverso strade secondarie. Comunque tutti sarebbero venuti a saperlo, ma voleva evitare la piazza e la folla. "Ortagor, il Maestro Torturatore aveva portato fuori il suo raro e prezioso schiavo", la voce sarebbe scivolata di bocca in bocca, riempiendo i salotti: erano anni che Kashren non usciva. Improvvisamente schivo, si avvicinò di più al suo padrone, cercando il conforto del suo calore.

Ortagor lo condusse ad una piccola casa-stalattite. Parlò con un Drow che squadrò Kashren dalla testa ai piedi e sorrise compiaciuto. A Kashren non piacque essere guardato così da uno sconosciuto. Ad Ortagor non piacque quello sguardo rivolto al suo.... alla sua proprietà, ma poteva fidarsi, anche se un Drow non si fida mai, soprattutto di un suo simile. Eppure poteva sperare in lui solamente: l’addestratore dei gladiatori: gli aveva promesso una grossa ricompensa se avesse insegnato a Kashren a combattere in breve tempo. Gli aveva detto che Miara se n’era incapricciata e voleva vederlo combattere, ma s’era anche raccomandato di non rovinarlo... e di non toccarlo!

-Passerò a riprenderlo stasera- Disse secco, andandosene senza rivolgergli più uno sguardo.

Kashren rimase con quell’uomo, che lo squadrò ancora e poi prese a tastare senza troppi riguardi i suoi muscoli. Kashren era consapevole di essere robusto ed agile, per uno schiavo da letto, ma non era neppure lontanamente un guerriero.

-Muoviti- Ordinò l’uomo, facendosi precedere verso la zona di addestramento.

Occhi di Drow e di mezzo sangue e di schiavi di varie razze si puntarono su di lui. Erano più giovani di lui, erano forti.... e sfigurati, coperti di cicatrici e di tatuaggi. Kashren si bloccò, spaventato, improvvisamente voleva il sicuro della sua camera da letto. Era passato troppo, troppo tempo. Il mondo esterno non gli era più familiare come aveva creduto. L’immagine del ragazzino che sgambettava dietro il suo padrone s’infranse ed allo stesso tempo si chiese quanti anni realmente avesse il suo padrone: era stato già un uomo, allora.

-Prendi- Ordinò l’uomo, distogliendolo dai suoi pensieri e gettandogli ai piedi una spada.

Kashren si chinò a raccoglierla. Era pesante. Prima del ritorno del suo padrone il braccio gli avrebbe fatto male. Si chiese quante ore mancassero e quanto lunga potesse essere un’ora.

Infine il suo padrone giunse a prenderlo. Era distrutto, accasciato a terra, coperto di sudore e polvere. Il braccio gli doleva, per lo sforzo e per tutti i colpi ricevuti, quelli che lo avevano disarmato e quelli, pochi, che aveva parato.

Nessuno aveva riso di lui: erano tutti troppo impegnati, concentrati su se stessi.

Quando vide Ortagor la spossatezza lo abbandonò in parte e riuscì ad alzarsi.

Ortagor lo portò a casa e finalmente poté abbracciarlo.

Kashren si abbandonò tra le sue braccia, per respirare il suo profumo. Si diressero lentamente alla sala da bagno. Stavolta Kashren non si oppose al ribaltamento dei ruoli.

Ortagor lo sollevò in braccio e lo depose sul letto. Era forte il suo padrone, pensò Kashren, accoccolandosi contro di lui.

-Com’è andata?-

-Pf-

Ortagor si accontentò di quella risposta, prendendolo tra le braccia ed aspettando che si addormentasse: sapeva che era troppo stanco per l’amore.

-Ti amo- Sussurrò, azzardò, guardandolo con gli occhi pieni di stanchezza.

Ortagor gli sorrise e gli regalò un bacio lieve. Allora Kashren si addormentò.

Per quasi due mesi, ogni notte, dopo un pasto abbondante che divorava sistematicamente, Kashren si addormentò non appena toccato il cuscino.

Ogni tanto si svegliava prima dell’ora della veglia e si premeva di più contro il suo padrone. Sempre gli chiedeva scusa di averlo svegliato e sempre lui gli sorrideva e facevano l’amore.

Era diventato raro, proprio ora che avrebbe voluto ancor più passare ogni istante con lui. Un tempo non lasciava passare due giorni senza fondere il proprio corpo al suo, ora potevano passarne anche dieci. Era strano: i suoi muscoli erano più gonfi e più rigidi, sempre doloranti per gli sforzi dell’addestramento. Il suo corpo era coperto di piccoli lividi che bruciavano. Il sudore bruciava, quello di Ortagor, oltre che il suo. E quando lo penetrava si contraeva istintivamente, rendendo il primo momento più doloroso del necessario, ma il suo corpo non gli ubbidiva più come un tempo. Dopo qualche minuto si rilassava, baci e carezze compivano il miracolo e tutto tornava normale. Poi si addormentava di nuovo ed il suo padrone lo svegliava con baci ogni giorno più dolci. Ogni mattina lo accompagnava ed ogni sera tornava a prenderlo.

-Domani non andrai al campo- Gli disse una sera, mentre si coccolavano pigramente nel loro letto.

-Sei abbastanza bravo, adesso-

Kashren alzò lo sguardo cercando la rassicurazione che non era giunto il tempo.

-Ti porterò da un mercante che lascerà l’Under Dark domani pomeriggio. Ti venderò a lui-

Kashren sobbalzò, alzandosi a sedere e fissandolo.

-Quell’uomo sarà aggredito poco prima di uscire in superficie: ha ingannato una donna piuttosto vendicativa; ci saranno altri schiavi. Appena cadrà nell’agguato impossessati di un’arma. Farò in modo di nasconderla accanto a te, sul carro. Liberati e scappa-

-No- Gemette. Si accasciò sul suo petto e ripeté -No-

Ortagor immerse le dita tra i capelli ancora umidi del bagno. Erano freschi, rilassanti.

-Devi vivere anche per me, ricordi?-

-Amami!- Kashren cominciò a baciare il torace possente su cui era appoggiato, a mordere i capezzoli, a graffiarlo con un’enfasi data dalla disperazione, con un ardore rabbioso che non aveva mai conosciuto.

-Amami!- Gli urlò, scuotendolo.

Ortagor lo rovesciò sul letto, imprigionandolo sotto di sè.

-Amami!- Lo supplicò, quasi.

L’abbracciò stretto, strusciando il bacino contro il suo, per risvegliare un’eccitazione che tardava a nascere, lo morse a sangue su una spalla, desiderava divorargli le labbra, e lo fece.

-Kashren?- Ortagor cercò quegli occhi dilatati, cercando di calmarli solo col proprio sguardo.

Kashren non voleva piangere e non voleva dormire, voleva fare l’amore con lui fino a non poterne più, voleva stringerlo a sè, drogarlo di sè e fargli dimenticare la scadenza troppo vicina, ma davanti a quello sguardo confuso dovette calmarsi.

-Scusa- Mormorò baciando l’impronta sanguinante dei suoi denti, leccando per pulirla e disinfettarla. Era andato oltre.

-Sono solo tuo!- Singhiozzò

Ortagor, però, non era arrabbiato. Prese tra le dita il suo viso e lo baciò teneramente. Gli occhi, il naso, le labbra, depositò quattro piccoli baci e tornò a guardarlo.

-Io sarò sempre con te, Kashren. La mia anima appartiene a te, ma il mio corpo è del mio popolo.-

-Vieni con me- Lo supplicò, senza più riuscire a frenare il pianto.

-Non sono mai stato da nessuna parte, Kashren. Non saprei vivere, altrove. Ho vissuto con onore, ubbidendo alle leggi del clan. Morirò da Drow-

Kashren ammutolì. Non poteva chiedergli di rinunciare ad una morte onorevole, non sarebbe stato giusto.

Ortagor si fece strada in lui, dolcemente. Poi attesero l’ora della veglia insieme, in silenzio, stretti nell’ultimo abbraccio.

Ortagor accompagnò Kashren dal mercante. Ottenne una grossa cifra dalla sua vendita. Attese che fosse caricato sul carro.

-Sei troppo bello per vivere qui, Kashren. Sei bellissimo- Gli aveva detto prima di uscire di casa. Le ultime parole.

Si avvicinò al carro e gli allungò una spada corta, con un filo tagliente come pochi, avvolta in un panno. Aggiunse il sacchetto con le monete d’oro ottenute dalla sua vendita. Kashren si protese per baciarlo, ma Ortagor gli fece cenno di no. Il carro si mosse.

Kashren si girò a cercare il suo sguardo. Ortagor era ancora li, anche dopo molti metri. Le corde che lo legavano erano semplici funi, le avrebbe tagliate facilmente.

La libertà, quella che non aveva mai voluto, era vicina, era un puntino luminoso che si avvicinava, lungo la strada. Era un agguato che stava per essere teso. Nella confusione, nessuno avrebbe badato agli schiavi. Ne avrebbe liberati quanti più possibile, per aumentare lo scompiglio e fuggire lontano. L’aria cominciava ad essere più fresca, meno umida. L’odore di zolfo spariva velocemente, l’uscita era prossima.

Mise una mano sotto il panno, strinse tra le dita l’impugnatura fredda, di metallo, non di adamantite: un’arma che sarebbe durata anche sotto il sole.

Intorno ad un dito aveva avvolto un filo bianco.... un solo capello sarebbe bastato? Si, doveva bastare! Avrebbe pagato qualunque cifra, ma Ortagor, rigenerato da quel capello, sarebbe tornato per restare con lui.

Per sempre.


Fine



 



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