Questo è un racconto (versione intera) che ho scritto per un concorso, e a cui avevo dato il nome di "Amore immortale". Per comodità, visto che qui sto postando già un'altra storia che si chiama così,  gli darò il nome di "Quando l'amore è immortale". Comunque i personaggi sono gli stessi della storia a capitoli. Lo pubblico qui, sperando che possa far vibrare l'anima di qualcuno. Con affetto. viky
 


 

 

Quando l'amore è immortale

 

di Vikysweetgirl

 

 

Era da molte notti che lo spiavo. Erano passate molte notti da quando avevo incrociato i suoi occhi.

Cos’è che mi ha così totalmente stregato di lui? E’ stato forse il suo sguardo color verde prato o le sue labbra che sembravano piccoli frutti maturi?

Nonostante i miei millecinquecento anni non riesco ancora a capire quale droga egli abbia insinuato in me, senza neppure toccarmi. Durante la mia lunga esistenza ho avuto diversi amori, inevitabili ma non indissolubili. Così è sia per un umano che per vampiro.

Ho stretto tra le braccia molte vite, le ho amate, e poi le ho prese, perché un vampiro trova la pace solo nel sangue. Troviamo appagamento solo in quel morso che toglie la vita, solo nel momento in cui sentiamo scorrere il sangue, fluire dal corpo della vittima innocente alle nostre gole insaziabili.

E’ la nostra tortura e la nostra estasi.

Secondo le leggende i vampiri sono mostri assetati di sangue che risorgono dalle tombe per nutrirsi dei vivi. Ma si parla mai dei sentimenti dei vampiri?

Sì. Un vampiro, purtroppo, prova tutti i sentimenti che provava da vivo, ma con un’intensità mille volte superiore. Così la rabbia, la tristezza, l’odio, l’amore, sono emozioni che ci dominano, fino a farci perdere il senno. Quando un vampiro odia è capace di tutto. Ma soprattutto, quando un vampiro ama diventa folle. Il sentimento d’amore soggioga i non morti fino a renderli schiavi. Fa quasi ridere: un vampiro dominato da un essere umano; eppure è così.

Gli immortali amano gli essere umani, questo è un dato di fatto. Essi sono per noi irresistibili. La loro carne palpitante, il sangue caldo che gli scorre nelle vene, il profumo eccitante della loro paura, la loro fragilità. La loro imperfezione è ai nostri occhi così perfetta, da farci innamorare, da farci impazzire. Ma io ho sperimentato una forma ancora maggiore di questo legame, di questa attrazione. Di questo amore.

La sera in cui lo incontrai avevo bevuto da diverse persone, uccidendole tutte, quindi la mia sete era placata. Volavo nel cielo notturno, tra le stelle, godendo del freddo vento d’autunno. Amo perdermi nell’aere, assaporare la sensazione di leggerezza, di quella libertà che un tempo sognavo.

Avvertii subito un profumo appetitoso. Ce ne sono pochi così, ma sono capaci di risvegliare la sete anche dopo che si ha banchettato tutta la notte. Così, incuriosito ed attratto, ridiscesi lentamente sulla terra, nascondendomi alla vista, stringendomi di più nel mio mantello scuro, poggiandomi contro un edificio fatiscente. E lui era lì. Quei capelli rossi, accesi come fuoco, erano scompigliati dal vento, la sua pelle chiara era abbagliante sotto la luce artificiale dei lampioni, i suoi lineamenti erano delicati e fini come quelli di una fanciulla. Una vera bellezza. Fu quando si voltò che la mia esistenza cambiò per sempre. Fu quando i suoi occhi, due grossi smeraldi dalla luce viva, incontrarono i miei, che persi la ragione. Aveva uno sguardo combattivo quell’adolescente, uno sguardo orgoglioso e arrabbiato col mondo.

Se avessi potuto respirare sicuramente avrei perso il fiato, di fronte a tanto splendore.

Dio, era la creatura più bella che avessi mai visto, e quel profumo che avevo percepito volando sopra di lui ancora mi torturava.

Lo seguii per tutta la notte, sorridendo. Era un piccolo nottambulo ma era sempre solo. Non entrava in nessun locale, non parlava con nessuno, camminava solamente, illuminando le tristi strade di Roma.

Da quella volta lo cercai ogni notte e, ineluttabilmente, lo trovavo per poi seguirlo, osservarlo dall’ombra, bearmi della sua bellezza e inconscia grazia e studiarlo meglio.

Camminava con passo malfermo, tenendo le mani nelle tasche del giubbotto, indossando sempre gli stessi jeans che, dannazione, gli fasciavano il sedere in maniera divina. Mi sentii molto umano in quelle notti, mentre lo seguivo, rigorosamente dopo essermi nutrito, perchè non era mia intenzione ucciderlo, no, mai avrei commesso un simile delitto. Il solo pensiero mi dava la nausea. Lui non avrebbe fatto la fine dei miei precedenti amori umani, lui era… diverso.

Dimostrava sì e no diciotto anni, un vero cucciolo. Morivo dalla voglia di leggergli nella mente, ma non osavo farlo. Mi sembrava una profanazione troppo grave, o forse in cuor mio, speravo un giorno di potergli parlare, di poter ascoltare la sua voce e di vedere il suo sorriso. Perché fino a quel momento l’avevo sempre visto serio, pensieroso e anche un po’ incazzato. Desideravo sentire dalla sua bocca tutto ciò che volevo sapere su di lui.

 

Quante notti trascorsero? Dieci? Venti? Non lo ricordo più. Il tempo per un vampiro è relativo.

Ringraziavo la forza misteriosa che lo faceva stare sveglio fino a quell’ora, ringraziavo che in quel momento la notte fosse per me un vantaggio e non una limitazione.

Dopo innumerevoli notti a riflettere, presi la mia decisione. Uscii allo scoperto e indossando i miei abiti più belli mi incamminai verso la mia pallida ossessione, a passo lento ma deciso.

Lui sedeva sul prato di un parco quella sera. Era appoggiato ad un albero e teneva gli occhi chiusi, inspirando la fredda aria notturna che non sembrava dispiacergli. Rilassato, dolce così com’era, provai invidia per ogni cosa che lo toccava, dalla pianta che lo sosteneva ai fili d’erba che lo sfioravano. Lo guardavo dall’alto, non facendo trasparire alcuna emozione dal mio viso cereo, eppure ero quasi nervoso.

Egli aprì gli occhi, tenendoli socchiusi, guardandomi tranquillo. Sorrisi e mi sedetti accanto a lui, tenendo una gamba piegata e una protesa. Lo vidi osservare curioso il mio abbigliamento. Beh sì, era un po’ arcaico lo ammetto. Portavo pantaloni neri dal taglio classico e una camicia bianca, con pizzi veneziani sui polsini e sul colletto. Lasciai qualche bottone slacciato sul petto, perché inconsciamente volevo sedurlo.

“Nottata fredda”. La mia voce ha una tonalità molto più alta di quella di una persona qualunque, quindi la dosai per non spaventarlo.

Lui mi guardò in viso, serio e corrucciato così come l’avevo visto la prima volta, così come avevo imparato ad amarlo. Sgranò leggermente gli occhi ora che poteva vedermi colpito in pieno dalla luce di un lampione poco distante. So perfettamente come apparsi ai suoi occhi umani: una statua di marmo, abbacinante e levigata, priva di qualsiasi segno che avrebbe potuto definirne l’età, con occhi iridescenti, accesi, come fatti di Swarovski azzurri. Le mie labbra erano rosse come il sangue. Mi trovava strano, ma anche bello e questo io lo sapevo. Ciò mi faceva scaturire dentro una sorta di strano orgoglio, che mi fece stupire di me stesso. Come ho già detto, lui mi faceva sentire molto umano.

“Già”. Tornò a guardare davanti a sé, mentre io non riuscivo a staccare nemmeno per un istante gli occhi da lui.

Era più bello ogni notte che passava e nel mio immenso egoismo non desideravo altro che toccarlo, sfiorare la sua pelle, stringere il suo giovane corpo tra le braccia e bere il suo nettare rosso. Mi vergognai di quel pensiero, perché sporcava la sua purezza.

Tesi una mano, mi azzardai a sfiorargli le ciocche di capelli sopra l’orecchio. Lui scattò di lato e mi guardò sconcertato. Ritirai lentamente la mano, timoroso di farlo scappare. Non avrei potuto sopportare che fuggisse da me.

“Cosa fai tutto solo?” Chiesi, agitato come un ragazzino.

“Niente di particolare come puoi vedere”. Oh, esisteva musica più dolce della sua voce?

Essa era tenera, maschile, molto giovane e un po’ squillante, con una nota di ostilità che la rendeva appassionata. Rimasi interdetto. Mai mi sarei aspettato che la voce di qualcuno potesse farmi un simile effetto, darmi tutte quelle sensazioni. La verità è che mi ero innamorato anche della sua voce.

Ero disorientato da ciò che mi stava facendo provare quel ragazzino, la cui pelle era così pallida che avrebbe potuto competere con la mia. Era incuriosito da me. Percepiva col suo naturale istinto che ero diverso dagli altri uomini, notava il mio pallore che quella sera non avevo tentato di nascondere, e la luminescenza esagerata dei miei occhi. Mi guardava attento, deciso a capire chi ero o cos’ero. Chiuse gli occhi e tornò ad appoggiarsi all’albero, come se niente fosse. “Ascolto la notte”.

Quella frase mi stupì. Ascoltare la notte… io lo faccio da più di mille anni.

Osservai il suo profilo netto stagliarsi sullo sfondo della città. Il suo naso era dritto, i capelli scoprivano a tratti la fronte, le labbra chiuse reclamavano baci.

“E cosa ti dice la notte?”. A stento riconobbi la mia voce. Era calorosa, forse un po’ tremante, e avevo di nuovo sete.
Lui esitò prima di rispondere, arricciò le labbra in una smorfia adorabile e continuò a tenere gli occhi chiusi.

“Mi dice che lei è perfetta e che io sono indegno anche solo di cercare di trovare conforto in lei”. Aveva pronunciato quelle parole come se avesse liberato gocce d’oro dalle labbra. Sì, la sua voce era oro.

“Perché mai pensi questo, Demian?”. Voltò la testa di scatto, sbarrando gli occhi, guardandomi come se fino a quel momento non si fosse accorto che c’ero e d’improvviso se ne fosse reso conto.

“Come sai il mio nome?!” C’era urgenza nella sua voce e un po’ d’inquietudine. “Io non te l’ho detto”.

Ero stato così incauto. Senza nemmeno rendermene conto avevo ricavato il suo nome dalla sua mente.

Mi avvicinai di più a lui, poggiando i palmi delle mani sulla corteccia ruvida, bloccandolo tra me e l’albero. Egli mi guardava spavaldo, ma non poteva nascondere la paura. Non ad un vampiro.

Avvicinai il viso al suo, riuscendo a sfiorare la sua guancia. Il contatto mi fece rabbrividire da capo a piedi. Maledizione, il suo profumo mi entrò nelle narici, facendomi finire sull’orlo della pazzia. Tremò leggermente; la mia pelle fredda lo turbò ancora di più e si ritrasse maggiormente contro l’albero cui poggiava, guardandomi con una luce strana negli occhi, tra sfida e timore. Senza potermi trattenere, colto da una passione troppo grande per riuscire a reprimerla, poggiai le mie labbra sulle sue. Non avevo mai toccato nulla di più morbido ed invitante, mai nella mia breve vita mortale e nella mia lunga esistenza di immortale ero venuto a contatto con qualcosa di più soffice. Sfiorai quei piccoli petali con la lingua, facendo tremare tutto il suo corpo. In quel momento avevo perso la ragione ed ero solo preda dei sensi. Lo costrinsi ad aprire la bocca sotto la spinta della mia lingua e lui, impotente, non poté far altro che assecondarmi. L’antro caldo della sua bocca era così dolce che temetti di perdere il controllo, anche se sapevo che mi sarei gettato nel fuoco subito dopo, perché avrei sopportato l’agonia del sole piuttosto che saperlo privo della vita che ormai amavo più di ogni altra cosa al mondo. Continuai la mia lenta esplorazione nella sua bocca, tenendo gli occhi chiusi come fanno gli umani quando si baciano, come farebbe un amante, stringendo il suo corpo fremente contro di me, piano. Ero terrorizzato all’idea di potergli fare del male. Lui non si oppose, anzi, accolse la mia invasione timidamente, e dubbioso mosse la sua lingua calda, strusciandola contro la mia. Una scossa violenta si diffuse in me. Sangue bollente gli ribolliva nel corpo, eccitato dal bacio che discretamente ricambiava. Gemette nella mia bocca, si inarcò quando portai le dita sotto la sua maglia, accarezzando coi polpastrelli il suo petto, sfiorandolo con i miei artigli. Era una sensazione sconvolgente averlo così, tra le braccia, dolce, indifeso ed eccitato. Mi voleva anche lui ma non nella maniera in cui lo volevo io. Io agognavo la sua linfa vitale, il suo sangue, lui solo qualche carezza più spinta. Non avrei mai potuto accontentarlo sotto questo punto di vista; i vampiri non possono fare l’amore. Quello tra le gambe è l’unico organo che non viene potenziato dal sangue. Quindi non avrei mai potuto avere un coito completo con lui, né godere del suo corpo nella maniera in cui avrebbe fatto un uomo o una donna mortale.

Mi staccai da lui lentamente, i suoi occhi erano chiusi, assaporavano ancora l’attimo di piacere che gli avevo donato. Lo fissai per lunghi istanti, godendo delle sue guance arrossate sulla pelle chiara, delle labbra gonfie ed umide del mio bacio, degli occhi che iniziò ad aprire piano, puntandoli nei miei. L’espressione rapita e succube di me.

“… cos’erano?” La sua voce ora era rotta, simile al miagolio di un gattino.

Continuai a guardarlo, senza mostrare alcuna emozione, solo perdendomi nei suoi occhi dolci e acquosi, trovandoci dentro l’universo. “Mi hai punto, i tuoi… denti”.

Strinsi le palpebre e mi alzai, dandogli le spalle. Tenevo la testa bassa, gli occhi ancora chiusi, sentendomi la feccia della terra. Come avevo anche solo potuto sfiorarlo? Se lo amavo davvero avrei dovuto saper rinunciare, non avrei dovuto stringerlo, accarezzarlo così, illudermi di essere solo un uomo che ama un altro uomo. Il suo calore mi aveva abbagliato, mi aveva dato l’illusione di poter essere qualcosa di diverso da un mostro, di poter ancora amare veramente. E invece avevo permesso che i miei canini mostruosi lo toccassero.

Sentii le sue mani che afferrarono delicate ma decise le mia braccia. Lui era lì dietro di me e invece di fuggire si avvicinava.

“Bambino, fuggi finché sei ancora in tempo. Io sono morte, non avrei dovuto seguirti così”. La mia voce sembrava un lamento.

“Dunque mi seguivi?” Ridacchiò. “Wow, è la prima volta che mi capita”. Improvvisamente era diventato allegro; mi voltai e lo vidi sorridere. Il mio sogno si era realizzato: stavo guardando le sue labbra stese in uno dei sorrisi più belli e radiosi che avessi mai visto, e che superava qualsiasi sogno. Sorrisi a mia volta di fronte a tanta innocenza. Cos’era se non un ragazzino eccitato per un bacio ricevuto? La sua bellezza era immutata ai miei occhi, e la dolcezza di quel bacio non l’avrei più dimenticata. Posai una mano sul suo viso, assorbendo il suo piacevole tepore. Il suo sguardo si era addolcito, non mi guardava più con astio come all’inizio. In quel breve arco di tempo, con la dolcezza che avevo infuso in quel bacio, l’avevo conquistato. Sedurre è il mio mestiere. Spesso riesco così bene ad adescare le vittime che desidero, che queste mi vengono direttamente tra le braccia. E come tirarsi indietro quando una giovane donna ti porge la gola spontaneamente? “Come sei freddo…” Sussurrò.

Mi scostai da lui facendo forza su me stesso e mi allontanai. Non tentò di seguirmi, ma potevo sentire i suoi occhi su di me mentre mi distanziavo da lui o forse dal desiderio che avevo di lui.  

 

Passai tutto il giorno seguente chiuso nella mia bara, sognando di lui, caldo come l’amore che provavo, immaginando il sorriso che mi aveva concesso di vedere, desiderando ardentemente i suoi grandi occhi di ragazzino nei miei, e sì, fantasticando impuramente sul sapore eccitante del suo sangue sulla mia lingua, sentirlo contro il mio palato voglioso e dissetarmi di lui.

Il mio amore era la mia vergogna, perché sapevo che quel sentimento mi avrebbe portato o ad ucciderlo o a renderlo come me. Repressi immediatamente quell’orrendo pensiero, non gli avrei fatto mai una cosa del genere. Trasformarlo in una creatura della notte, donargli la giovinezza e la vita eterna, renderlo per sempre una bellissima statua bianca a cui non batte il cuore, condannarlo per l’eternità ad un’esistenza triste e dannata. L’avrei reso solo e la luce viva che dimorava nei suoi occhi si sarebbe spenta.  No, era un prezzo troppo alto da pagare. Lui avrebbe vissuto la sua vita per intero, crescendo, invecchiando, morendo. Provando la paura e l’emozione di guardarsi allo specchio e di vedersi diverso ogni anno che passa. Io resto sempre uguale. Anno dopo anno, secolo dopo secolo, l’immagine che lo specchio riflette rimane immutata come uno splendido. E questo mi fa sentire ancora più morto, ancora più solo.

Con l’arrivo di Demian però, tutto era cambiato, il mondo mi appariva diverso.

 

Quella stessa notte tornai nel parco dove avevo sfiorato i cancelli del paradiso, e lui magicamente era lì, seduto nello stesso punto e non appena mi vide si alzò in piedi e attese che mi avvicinassi. Non dicemmo nulla, perché non volevamo rompere l’incanto di quel momento.
Provavo una tenerezza che mai mi aveva distinto, e desideravo proteggere quel ragazzo più di ogni altra cosa al mondo.

Interrompendo il flusso dei miei pensieri egli mi posò una mano sul petto, dove c’è il cuore, e rimanendo serio mi guardò. Nei suoi occhi lessi una tacita domanda.

Perché il tuo cuore non batte?

Ma io mi domandavo, perché lui non fuggiva da me? Era venuto a stretto contatto con un mostro, una statua assassina, il predatore più pericoloso che ci sia al mondo, eppure rimaneva lì, dolce e preoccupato, no, interessato a me.

Posai una mano sulla stessa che mi copriva il cuore. Lessi di nuovo nel suo sguardo lo stupore per il mio gelo, ma non disse nulla, per educazione o per timore, o semplicemente perché era incantato dal mio viso.

“Sei solo come me, vero?” Quelle parole mi trafissero.

Un cuore che non batte può ancora provare emozioni? Ebbene io piansi.

Mi maledissi per quella reazione. E’ un effetto collaterale della mia dieta. Dai miei occhi non sgorga acqua salata ma grosse, copiose lacrime cremisi.

Sì, io piango sangue.

Il ragazzo aprì le labbra in un grido muto, tentando di allontanarsi da me.

“No, no non andartene, non farlo”. Il mio pianto era contenuto, privo di singhiozzi, il viso non si era deformato ma lo sguardo tradiva l’intensità del dolore. Il dolore di sentirlo così lontano da me, così diverso eppure con la stessa solitudine nel cuore; il dolore di perderlo.

Tenni stretta quella mano che tentava in ogni modo di divincolarsi e me l’avvicinai alle labbra, baciandola con ardore. Ad occhi chiusi saggiai quella pelle profumata e calda, la baciai come fosse stata l’unica cosa che avesse potuto tenermi in vita, a galla in un abisso di tenebra. Lui mi guardò terrorizzato. Il volto bianco faceva risaltare ancor di più le mie lacrime di sangue. Tenevo gli occhi chiusi ed ero abbandonato su quella mano, che era la mia salvezza.

Quella notte non mi ero nutrito prima di andare ad incontrarlo. Avevo sete, una sete che mi stava divorando e il mio sangue, la sua vista, crearono un impulso irrefrenabile in me. Lo presi tra le braccia, e mi librai nell’aria, leggero, invisibile.

“Che cosa?! Dove…! Mettimi giù!” Balbettando confuso mi ordinò più volte di riportarlo a terra, ma non lo ascoltai, in quel momento riuscivo a percepire solo la mia sete pulsante.

Si aggrappò a me disperatamente, avvertendo lo sferzare del vento. Lo strinsi nel mio mantello e volai più velocemente, portandolo dove non dovevo, nella dimora del vampiro.

 

Entrai dalla finestra che portava nella mia stanza e poggiai i piedi a terra senza fare rumore. Liberai la mia piccola preda dal mantello ed egli riaprì gli occhi, scosso. Si divincolò dalla mia stretta e cercò di mettersi in piedi ma senza riuscirci, quindi cadde a terra. Avevamo affrontato la gravità e le sue gambe non erano ancora pronte per sostenere ancora il suo peso. Respirò pesantemente, guardandosi attorno smarrito. La mia dimora incantava sempre gli umani, dopotutto aveva le fattezze di un castello e io non avevo mai fatto nulla per cambiare le cose. A casa mia mi sentivo in un’altra epoca, lontano da questo secolo scellerato, lontano dalla superficialità.

Egli tornò a guardarmi spaurito.

“Hai paura, Demian?” Gli chiesi dolcemente, ma lui si spaventò lo stesso perché trasalì.

“Tu… tu…” Provò a rialzarsi, ma inciampò più volte, finendo sempre a terra.

Ormai convinto di non riuscire ad alzarsi, strisciò lungo il pavimento, all’indietro, continuando a guardarmi, l’ombra della paura che gli scuriva il volto diafano.

Mi avvicinai paurosamente a lui, senza indugi, facendolo rialzare afferrandolo per le braccia e lo tirai su, facendo in modo di specchiarci l’uno negli occhi dell’altro. Colto da una frenesia improvvisa, dovuta al fatto che stavo sorreggendo il suo corpo senza difese, scattai velocemente a destra, trascinandolo sul mio letto. Gli salii sopra, come avrebbe fatto un uomo eccitato e lo inchiodai al letto, bloccandogli i polsi con le mani e le gambe con le ginocchia. Spensi ogni parola che stava per dire, tappando la sua bocca con la mia, costringendolo ad aprirla.

Fu diverso dal primo bacio, che era dolce e amorevole; quello che gli stavo dando in quel momento invece, era solo carico di passione e desiderio distorto. Strappai via il giubbotto e la maglia, scoprendo il suo bianco petto nudo, glabro, magro, che si alzava ed abbassava freneticamente al ritmo della sua paura. Afferrai i suoi fianchi, avvicinando i nostri corpi, accarezzai spasmodicamente la sua schiena. Mi chinai per baciare quel meraviglioso busto che avevo davanti agli occhi, portando a contatto ogni centimetro dei nostri corpi.

Volevo sentirlo, volevo sentirlo di più.

Ormai aveva smesso di opporsi, la paura l’aveva paralizzato. Con una mano strinsi le sue mascelle e andai a leccargli il collo. Mi eccitai sentendo sotto la lingua il pulsare convulso della sua giugulare piena. Quella gola racchiudeva ogni mio desiderio.

Un fuoco si accese in me, fiamme vive arsero il mio corpo. Scoprii i denti, preparandomi a penetrarlo nella carne, ma il suo sguardo mi fermò. Mi guardava terrorizzato.

Quando un vampiro è assetato e perde il controllo, le sue iridi diventano di un rosso acceso terrificante. Non volevo che lui vedesse uno spettacolo del genere, mai e poi mai avrei voluto mostrarmi a lui in quello stato, ma il richiamo del sangue era stato troppo forte.

Lo guardai, gli occhi sbarrati, come ipnotizzato da lui e dal suo caldo profumo. Rispose allo sguardo tremando. Aprì la bocca come per dire qualcosa ma ci riuscì solo al quarto tentativo.

“Andrea…”  Tra gli ansiti i gemiti di paura riuscii a percepire chiaramente quella parola: il mio nome.

 Senza rendermene conto gli avevo trasmesso quella informazione, perché desideravo ardentemente che lui mi conoscesse, che sapesse chi fossi, che mi chiamasse per nome.
Il mio nome sfuggito alle sue labbra mi fece impazzire. Afferrai con violenza la sua mano, ignorando a fatica il collo, e affondai senza attendere oltre i miei denti nel suo piccolo polso.

Gridò come fanno gli animali feriti, come fanno tutti gli esseri umani presi con violenza da un vampiro.

La prima ondata di sangue mi fece gemere. Quel nettare era così caldo, così dolce, così denso che provai un piacere molto simile a quello sessuale, ma cento volte superiore.

Bere il suo sangue fu come vedere le stelle direttamente stando nella galassia, piangere e ridere allo stesso tempo, vivere di nuovo.

Succhiai voracemente il suo sangue e persi la testa. Non mi trovavo più in quella stanza, ma in uno spazio sconfinato, azzurro, pieno solo di nubi bianche e pace, dove il male non esiste e non è che una parola. In quel magico momento di estasi captai i pensieri di Demian, la sua vita, la sua paura, i suoi desideri. Conobbi la sua storia. Era stato un bambino introverso, che si apriva solo con la sua sorellina. Aveva una madre che restava zitta mentre i suoi figli venivano deflorati dalle mani paterne. Il delitto più grande, rinchiuso in una gabbia di omertà.

Bevvi tutte quelle notizie, le feci mie e nel frattempo continuai a godere di quel sangue che per troppo tempo avevo anelato. Le grida del mio amore tornarono a sfondarmi le orecchie e improvvisamente terrorizzato mi staccai da lui con forza. Il mio cuore, che grazie a quel sangue aveva ripreso a battere, si calmò lentamente, la mia sete si spegneva piano piano. Leccai dalle labbra il sangue innocente di cui mi ero macchiato e inorridii mettendo di nuovo a fuoco il ragazzo sdraiato sul mio letto. Egli tremava in maniera convulsa, teneva gli occhi socchiusi, era evidentemente indebolito e stravolto e le lacrime gli bagnavano il viso. Guardai il polso che avevo morso. Dai due fori rossi sgorgava copiosamente il suo sangue. Velocemente mi ferii il labbro con i denti e baciai i due buchini, bagnandoli col mio sangue e quelli si richiusero istantaneamente. Mi sedetti di nuovo sul letto, prendendo tra le braccia il ragazzo che amavo.

“Demian! Demian, ti prego riprenditi. Sta calmo… oh, perdonami”. Gemetti.

Ero straziato dentro, colpevole di un piacere troppo grande. Poggiai la testa sul suo piccolo petto che si muoveva impercettibilmente, ascoltando il rumore del debole battito del suo cuore, stringendo la sua mano nella mia, delicatamente, piangendo il mio dolore e il mio pentimento su di lui, macchiandolo del mio sangue. Mi sentivo un verme, come avevo potuto farlo? Lasciarmi andare così al piacere, alla libidine, ad un conforto che potevo trovare solo nel suo sangue. “Ti amo… io ti amo. Ti prego perdonami, io… sono fatto per uccidere!” Le mie stesse parole mi dilaniarono.

Non riuscivo a smettere di piangere, il dolore lacerava quel che rimaneva della mia anima. Avrei voluto morire se avessi potuto, per quello che avevo fatto.

Mi maledissi perché ero solo una macchina per uccidere, mi tormentai perché avevo solo saputo far del male a colui che amavo. Me lo strinsi contro, cercando una consolazione che non poteva darmi, un perdono che non avrei ricevuto.


Quando Demian si svegliò era ancora notte. Si tirò a sedere, lottando con un violento capogiro.

Lo avevo ripulito e cambiato. Non volevo che si svegliasse in un lago di sangue.

Io sedevo su una poltrona nell’ombra, e infatti non mi vide subito.

“Ah…” Si passò la lingua sulle labbra.

“Hai sete vero?” La mia voce lo fece sussultare tanto che indietreggiò nel letto. Mi alzai, avvicinandomi al talamo a grandi passi. “Stai bene? Lì sul comodino c’è da bere e del cibo. Hai bisogno di mangiare, avanti prendi qualcosa”.

“Non avvicinarti!” Urlò. Le sue labbra tremavano ed io sorrisi tristemente.

“So che non ho alcun diritto di chiedertelo e so anche che sarà inutile farlo, ma ti prego di perdonarmi per quello che è successo. Io… non volevo assolutamente farti quelle cose”.

“Però l’hai fatto!” Ribatté.

“Demian…” Mi avvicinai a lui, poggiandomi con un ginocchio sul letto e lui si alzò in piedi, ondeggiando instabile.

Prontamente gli fui accanto, a sorreggerlo. Si prese la testa fra le mani e mugolò.

“Tu sei…” Iniziò, senza trovare il coraggio di continuare.

Era stretto fra le mie braccia, incapace di fare qualunque cosa, debole com’era a causa del sangue che gli avevo preso. Anche se nemmeno nel pieno delle sue forze avrebbe potuto qualcosa contro di me.

“Sì”. Confermai ogni suo terrore. “Sono la creatura che vuoi uomini temete di più”.

Ero incredibilmente triste. Avevo ferito la persona che amavo di più e in quella lotta avevo percepito ancor di più la distanza che c’era tra noi. Io ero un potente vampiro e lui un fragile essere umano.

Si strinse nelle spalle, senza tentare di divincolarsi ma fui io a lasciarlo andare, aiutandolo a sedersi sul letto. Il suo sguardo era indecifrabile, ma non avrei letto nella sua mente una seconda volta. Si abbracciò e si voltò verso il comodino.

“Ho fame. Posso mangiare quelle cose?” La sua voce era apparentemente tranquilla, ma dal suo odore capivo che la paura non era scomparsa in lui.

Lo guardai mentre mangiava lentamente la carne che avevo comprato apposta per lui. Mi piaceva guardarlo bere, mentre l’acqua gli scendeva lungo la gola, facendo muovere il suo pomo d’Adamo appena accennato. Era debole, stravolto, affamato, pallido più del normale a causa della perdita di sangue, così bello e delicato che io giurai di non fargli mai più del male, anzi, di proteggerlo per tutta la durata della sua vita. Però quella promessa mi ricordò che prima o poi lui sarebbe morto e dovetti scacciare subito dalla mente quell’orribile pensiero, perché altrimenti non avrei potuto frenare la rabbia e le lacrime che mi minacciavano ancora.

Mi guardò truce, masticando lentamente un piccolo boccone. Chiunque altro sarebbe scappato o comunque ci avrebbe almeno provato. Io glielo avrei lasciato fare, non gli avrei impedito di andarsene via da quel luogo di morte, di allontanarsi da me. Ma lui imperterrito rimaneva lì, dominando la paura come nemmeno un uomo adulto spesso sa fare. Mangiava e non staccava gli occhi da me in un’inconscia provocazione che mi fece sorridere.

“Le tue labbra,” disse “ora sono rosse come il sangue. Prima erano pallide”. Egli mi parlava con un filo di voce, però era sinceramente interessato.

La paura, l’esperienza che l’avevo costretto a passare, non avevano fortunatamente spento la luce viva nei suoi occhi che tanto amavo, la sua spiccata intelligenza, la sua curiosità.

Mi accarezzai le labbra col pollice, sensualmente.

“Le mie labbra sono così rosse quando bevo”. Spiegai.

“Bevi sangue, ho potuto constatare”. Il suo tono era sarcastico, ma ciò non mi infastidiva. Anzi, era adorabile.

Mi alzai dalla poltrona e passeggiai per la stanza.

“Beh, cosa fa un vampiro?” Trasalì quando detti voce a quella parola che lui non aveva osato pronunciare. Posò piatto e posate sul letto e provò ad alzarsi, poggiandosi alla colonnina del letto a baldacchino. Feci per aiutarlo ma mi fermò con un gesto della mano. Sospirò pesantemente, affaticatosi con quel semplice gesto e  non potevo fare a meno di pensare che fosse tutta colpa mia. Era così bello, ora potevo vederlo coperto solo dal pigiama che gli avevo fatto indossare. Era molto magro, ma ben fatto, le spalle erano ossute, il collo sottile, le caviglie ed i polsi anche. Delicato e coraggioso. Mi guardò con aria di sfida, in un modo che solo lui osava fare. “Mi domando perché te ne stai qui e non tenti nemmeno di scappare”. Glielo chiesi, non riuscii a trattenermi.

Lui mi guardò sorpreso, inarcando entrambe le sopracciglia scure, scostandosi la frangia dalla fronte, con un gesto delicato.

“Me lo lasceresti fare?” Mi chiese stupito.

“Sì. Direi che ti ho già fatto abbastanza stanotte”. Dissi con una nota dolente nella voce.

Davvero non riuscivo a perdonarmi per quello che gli avevo fatto. L’avevo trattato come un corpo qualunque, un pezzo di carne senz’anima, peggio di un animale, bevendo da lui avidamente e godendo sfrenatamente, come un pazzo.

“Vuoi dire che me ne farai ancora?” Mi domandò cercando di non lasciar trasparire la paura di cui io avvertivo l’odore acre e pungente. Buono.

“No! Mai più metterò a rischio la tua vita, nonostante io ti desideri da impazzire. Non ti farò più del male. Non posso chiederti di fidarti, ma… se tu me lo chiederai sparirò dalla tua vita da questa stessa notte”.

Demian mi guardò languido, con lo sguardo di chi è stanco ma attento ad ogni cosa che gli accade attorno. Lo sguardo che amavo era sempre lì, sotto la paura, sotto il sospetto e la prudenza, era sempre lì il mio bambino dall’animo ribelle ed inquieto, sveglio, sognatore ed arrabbiato con tutti. E che stando a quanto avevo recepito dal suo sangue ne aveva passate tante.

Accarezzai il suo corpo con lo sguardo, lentamente e lui se ne accorse.

Quell’essere ributtante che osava farsi chiamare uomo e padre, come aveva potuto prendersi con la forza quel corpo delicato? Oh, chissà quanto aveva gridato sotto quella feccia immonda, come aveva pianto mentre in casa tutti sapevano cosa stava succedendo, mentre sua sorella dormiva nella sua stanza e alla quale dopo sarebbe toccata la stessa sorte, mentre sua madre piangeva in cucina, sapendo ma tacendo. E lui l’aveva odiata e l’odiava tuttora, complice del crimine peggiore che si possa compiere. Sorrisi amaramente. Anch’io avevo fatto del male a quel ragazzo che si atteggiava a duro, ma che in realtà era così fragile e solo. Non avevo dimenticato la frase che aveva pronunciato la notte precedente.

 

“Sei solo come me, vero?”

 

Strinsi i pugni. Sarei davvero riuscito a chiudere ogni contatto con lui se egli mi avesse chiesto di sparire per sempre?

“Non fuggo perché non ho poi così tanta paura”. Rispose alla mia domanda, alzò gli occhi e mi guardò, con uno sguardo troppo adulto per uno della sua età. “Ho passato cose peggiori. Molto peggiori”. Sorrise “L’attacco di un vampiro che mi desidera… non è poi gran cosa”.

Non resistetti all’impulso e con un movimento non percepibile dall’occhio umano mi mossi verso di lui e lo abbracciai. Lo costrinsi a staccarsi dalla colonnina dorata e a poggiarsi a me.

Volevo essere io la sua colonna, solo io.

Affondai il viso nel suo collo, inalando il profumo dei suoi capelli, percependo la morbidezza di quella pelle che solo poche ore prima stavo quasi per squarciare.

Strinsi a me quel corpicino caldo, piano, perché se avessi usato tutta la mia reale forza l’avrei spezzato. Lo maneggiavo con cura, accarezzandogli amorevolmente i capelli, come non avevo mai fatto con nessuno, né con un essere umano né con uno della mia specie. Baciai la pelle tra la spalla e il collo e lo sentii trattenere il respiro, incerto, teso. Si sciolse solo quando fu sicuro che non gli avrei fatto niente.

Finimmo di nuovo sul letto dove l’avevo preso, ma stavolta restammo abbracciati, semplicemente. Poggiava la fronte contro il mio petto, intrecciammo le nostre gambe e io posai le mie mani sui suoi fianchi snelli, studiando ogni linea del suo corpo, ogni collina di carne, ammirando l’ombra delle sue ciglia sugli zigomi. Il suo calore si irradiò in me come la luce del sole che mi ferisce, come il sangue che mi tiene vivo e non potei far altro che amarlo e sapevo che sarebbe stato così per il resto della mia esistenza.

Aprì gli occhi di scatto come se avesse percepito i miei pensieri. Gli sorrisi dolcemente e gli portai un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.

“Quanti anni hai?” Gli chiesi curioso.

“Diciassette”. Rispose secco.

“Sei così giovane! Lo sai che i bambini devono andare a letto presto la sera?”

Sorrise.

“E tu quanti anni hai?”
Risi sommessamente.

“Cambia domanda piccolo Demian.”

“Perché? Avanti dimmelo”. Insistette mettendosi a sedere.

Godevo segretamente di quel suo curioso interesse.

“Ho millecinquecento anni. Circa”.

Mi guardò spalancando occhi e bocca, tentando di assimilare quella rivelazione incredibile.

“Cazzo! La tua pelle è così bella, così liscia…”

Risi di nuovo, questa volta più forte.

“Sono immortale, ricordi?”

“Tendo a dimenticarlo, dammi il tempo di afferrare il concetto! Mi seguivi da molto?”

“No… Sì”. Ammisi abbassando gli occhi.
Allargò il suo sorriso e si strinse di più a me. Potevo sentire il suo cuore battere forte, eccitato dalla sfida, inebriato dal mio desiderio, ammaliato perché gli piacevo, indubbiamente.

“Dormi in una bara? Come nei film?”

“Sì. La luce del sole mi scoverebbe e mi ucciderebbe altrimenti”.

“E se qualcuno scoprisse la bara?”

“Nessuno la può trovare, è nascosta molto bene”.

“Mi diresti dove riposi durante il giorno se te lo chiedessi?”

“Sì”. Risposi senza esitare. “Ti direi ogni cosa, anche i segreti dell’eternità”.

Scosse la testa, poggiandola su una mano. Teneva le gambe aperte, scompostamente.

“Non posso credere che tutto questo stia accadendo a me”.

“E invece sì, ti sta accadendo. Sei sotto l’ala protettiva di un vampiro ora. Finche tu mi vorrai al tuo fianco”.

Lui abbassò lo sguardo in imbarazzo, e si rigettò sul letto di schiena ed io prontamente gli fui sopra, a baciare le sue tenere e calde labbra, che si schiusero prontamente ad accogliermi.

 

Ci vedemmo ogni notte da allora. Il nostro appuntamento non esplicito era sempre al parco, sotto quell’albero dove ci eravamo parlati per la prima volta.

Ormai non mi temeva più. Sapeva bene e lo sapevo anch’io, che non sarebbe più accaduto niente di orribile e che mai più lo avrei preso. L’ultima cosa che avrei voluto era vedere di nuovo le sue larime.

Passammo notti indimenticabili insieme, camminando, parlando, dandoci conforto, colmando d’amore il baratro delle nostre solitudini.

Dopo qualche mese lo convinsi a venire a vivere con me. Non poteva più restare in quella casa di orrore. Portò con sé la sua sorellina, l’unico famigliare a cui voleva ancora bene.

Senza rendermene conto mi ero creato attorno una piccola famiglia. Ma quanto sarebbe durato? Sembrava troppo bello, irreale! Però ero deciso più che mai a godere di quella fortuna finché potevo.

E poi a me bastava lui.

 

Mi sono svegliato da poco e lo sto raggiungendo. Ieri mi ha detto che mi avrebbe aspettato in casa, nella mia stanza da letto che ormai è diventata nostra. E infatti lui è lì, sul mio letto, coperto a tratti dalle lenzuola di seta, completamente nudo.
Gli siedo accanto. Dorme beatamente. I suoi capelli di fuoco sono sparsi sul cuscino candido, le labbra semiaperte, le gambe piegate in posizione fetale, le braccia rilassate. Mi sporgo per accarezzargli i capelli e geme nel sonno. Sorrido dolcemente. Starà sognando? Bacio la sua guancia morbida, percependo a distanza il calore del suo corpo nel sonno. Mi inginocchio di fronte al letto e prendo una sua mano tra le mie. In confronto alle sue, le mie mani sono così pallide e le mie unghie sembrano quelle di un avvoltoio capace solo di fare del male.
Demian, amore mio, la tua bellezza mi ha incantato sin dalla prima notte. Sei bello più del cielo che s’imporpora al tramonto, più dei fiori del melo che galleggiano sull’acqua placidamente, più del fulmine che squarcia il cielo nero, sei l’incanto che ho aspettato da secoli.

Ho imparato a conoscerti piccolo mio. Sei libero come il vento, il tuo animo anela l’aria pura come io bramo il sangue. La luce dei tuoi occhi rischiara le mie notti. Piccoli fari in un mare buio, solo essi sanno farmi ritrovare la strada per non perdermi nella follia. Sei così giovane eppure già così disilluso, ma continui a sperare. In fondo al cuore non hai mai smesso di sognare un mondo diverso. Sotto la tua fredda indifferenza c’è la voglia di ricominciare, di cambiare le cose, di vivere una vita migliore. Ed è questo tuo temperamento che mi affascina, questa prorompente energia che trasuda da te che mi manda in visibilio. Sfiorerei ogni istante le tue labbra, ti bacerei togliendoti il respiro a poco a poco, facendolo mio, facendo mie quelle fragole rosse che ti hanno messo per labbra, quelle guance rosee, quella pelle vellutata, delicata come pesca appena nata. La tua gola bianca è una tentazione troppo grande, un peccato a cui non posso cedere, l’apice delle sensazioni è posarci sopra la mia bocca. Angelo di luce, con le tue invisibili ali bianche hai rischiarato il mio mondo, la mia esistenza e io ti dono la mia vita, se ne ho ancora una, giurando di amarti per tutto il resto della mia eternità, solo te. Perché sei riuscito a rompere la statua di ghiaccio che ero, sei riuscito a farmi sentire di nuovo la vita, a farmi amare ancora quando credevo che mai più un simile sentimento avrebbe potuto salvarmi. Ma tu mi hai salvato, amore mio. Ti amo Demian, ti amo come mai ho fatto, ti amo perché sei tutto ciò che io non sono, ti amo perché brilli come l’alba che non posso più guardare. Non posso ignorare la tua dolcezza, la tua inconsapevole sensualità, la tua grinta, la rabbia che ti divora il cuore, perché hai subito ben più di quanto sia umanamente possibile. Ora che sei qui, che dormi indifeso come un bambino, dolce e perso come un angelo caduto, caduto per salvare me, che sono la creatura più dannata della terra. Bacio le tue mani non per sete ma per amore e se qualcuno dirà che non ti posso amare, io risponderò che egli non sa cos’è l’amore. Siamo due creature diverse, amore, siamo luce ed ombra, calore e gelo, bontà e crudeltà, ma io ti amo lo stesso.

Hai spazzato via ogni dubbio, ogni timore, hai diradato la nebbia che albergava nel mio cuore, mostrandomi una luce diversa da quella del giorno, ma che rischiara allo stesso modo.

Se questo amore sarà la mia maledizione, sarò felice di dannarmi in eterno tra le tue braccia.

Su questo letto i miei capelli neri si mescolano ai tuoi, creando un contrasto pazzesco sullo sfondo del cuscino. Sono fili intrecciati a suggellare la nostra unione contro ogni regola, contro il mondo.

Dolce ragazzo, non mi è permesso d’amare, non m’è permesso di amarti. Eppure sfidando qualsiasi legge io ti amo e te lo ripeto ancora, perché ormai sei tutta la mia vita, la mia energia, la mia speranza di trovare un senso a questa mia insensata esistenza. Sei tu il mio senso. Il mio amore non è puro lo so, c’è sempre il sangue di mezzo, un desiderio che non si può affievolire, che non posso scacciare perché fa parte di me, del mio essere quello che sono, e per questo il mio amore per te lotterà sempre con la mia sete di sangue alla quale è, mio malgrado, strettamente collegato. Ma per amor tuo io resisterò Demian, per amore tuo io cambierò la mia essenza, dimenticherò la sete, mi concentrerò solo sull’amore, perché non posso perderti per il dolce profumo del sangue e nemmeno per la pace che mi dà. Così, mia dolce ossessione, quando ti bacerò userò solo le mie labbra, e mai più morderò ma suggerò dolcemente la tua bianca pelle, la tua bocca, proteggendoti sempre, perché ti amo, e il mio è un amore immortale.

 

Fine