Prince of Heart

parte I

di Naika

Gli ultimi raggi dorati del giorno bagnavano l’immensa foresta di Seishun, posandovi affettuosi baci di commiato, che andavano tingendosi d’ocra e rosso nello sfiorare le splendide chiome dei grandi alberi secolari tra le quali, la prima brezza della sera, scivolava, nel suo elegante abito di strali trasparenti, seguita dal coro di sussurrii ammirati delle fronde e dal lieve fremere delle foglie smeraldine, che non riuscivano a trattenere piccoli brividi di freddo nel venir a contatto con il primo sospiro della sera.

Sospeso, nell’aeree cristallino, sopra quella distesa che ondeggiava le chiome fruscianti seguendo il canto argentino dei ruscelli, canticchiandolo tra se in un sommesso mormorio che scivolava a rincorrere gli ultimi giochi di qualche scoiattolo ritardatario tra i rami di una quercia antica, un giovane dallo sguardo imperscrutabile guardava lontano.

Verso quell’orizzonte oltre il quale il sole si accasciava esausto, sprofondando tra le mille sete delle sue vesti scarlatte.

Verso quell’orizzonte solcato dalla sottile, netta, imperfezione di una strada.

Laggiù, laddove la sua foresta andava diradandosi sino a sfumare nell’enorme valle che delimitava il confine delle lontane città umane, quattro cavalieri procedevano al galoppo.

Con quell’andatura sarebbero ben presto giunti nei pressi della foresta, per poi proseguire diritti, costeggiandola, verso la capitale dell’Impero.

“Quanta fretta...” sussurrò, la sua bella voce modulata solo un fruscio più musicale tra i respiri della foresta.

Troppa fretta...” decise piano, sollevando una mano verso il cielo turchino sopra di lui, mentre un lieve, indefinibile, sorriso gli tendeva le labbra sottili.

 

...

 

I cavalli stavano procedendo di buon passo e non sembravano risentire in particolar modo della fatica, pensò soddisfatto il capitano delle guardie reali.

Ben presto avrebbero costeggiato il lato settentrionale della foresta di Seishun e, se riuscivano a continuare con quell’andatura, se la sarebbero anche lasciata alle spalle prima che il buio li costringesse ad accamparsi per la notte.

Il nitrito irritato del destriero poco dietro di lui, lo distolse dai suoi pensieri costringendolo a voltarsi sorpreso mentre tirava le redini della propria cavalcatura, per farle rallentare il passo, girandosi sulla sella per cercare di capire che cosa stava accadendo.

La spada cozzò contro la sua gamba costringendolo a sistemarla meglio mentre fissava perplesso il mago di corte fermare il suo cavallo al centro della carovaniera.

“Che succede?” chiese il vice capitano tirando a sua volta le redini.

“Maestà...” mormorò lo stregone, sistemandosi con due dita gli occhiali quadrati sul naso affilato, fissando il quarto cavaliere, anch’esso arrestatosi, a pochi passi da loro, in silenzio.

“Il vento sta cambiando...” disse questi, annuendo alla muta occhiata del mago, prima di sollevare lo sguardo severo a fissare le chiome dei primi alberi che delimitavano la foresta.

Esse frusciarono, agitandosi, sussurrando parole che non riuscivano a comprendere, ma che suonavano improvvisamente minacciose, le loro ombre imponenti, disegnate sulla carovaniera, come presagi oscuri.

“Andiamo!” ordinò colpendo lievemente i fianchi del suo cavallo.

Lo stallone nitrì, innalzandosi glorioso sulle possenti zampe posteriori quasi a mostrar la sua impavida potenza a quegli alberi ostili, prima di lanciarsi in avanti, al galoppo, il lungo mantello nero del suo cavaliere che gli frustava il dorso stellato, la coda argentea che danzava nell’aria impercettibilmente più fredda, mentre in alto, l’azzurro terso si sfilacciava di grigio laddove coltri sottili andavano raccogliendosi, sospinte dal vento.

 

....

 

La piccola volpe rossa, saltellava tra l’erba alta producendo lievi fruscii, suscitando squittii spaventati quando saettava troppo vicino alla tana di qualche roditore ancora al lavoro.

Un gufo le lanciò un lieve richiamo dall’alto del suo ramo, scuotendo assonnato le grande ali scure, tendendone una verso la sua destra e il mammifero ringraziò con un piccolo movimento delle orecchie appuntite prima di prendere la direzione indicatale.

Le ci vollero ancora diversi minuti prima di giungere al confine.

Si acquattò tra le piante, strisciando con il ventre candido contro il terreno soffice, ricoperto di un tappeto di aghi di pino, prima di infilare il musetto sotto la grande foglia cesellata di una felce, arricciando il naso infastidita quando le giunse alle narici l’odore della strada.

Gli occhi neri sondarono la lunga pista di terra battuta a destra e a sinistra, velocemente, prima che il suo udito fine le consentisse di scorgere il rumore lontano di zoccoli.

Si accoccolò meglio tra il fogliame in modo da non essere visibile prima di lanciare uno sguardo fugace verso l’alto.

Nuvole vaporose veleggiavano nel cielo plumbeo, andando ad ammassarsi velocemente le une contro le altre, mentre in lontananza un lieve mormorio scuoteva l’aree.

Rabbrividì scuotendo la lunga coda, infastidita dall’elettricità che l’aria stava accumulando, seguendo affascinata il vento rincorrere le nubi, radunandole, come un bravo cane da pastore con il gregge del suo padrone, proprio sopra la sua testa.

Stava cominciando...

 

....

 

Coltri sempre più spesse andavano scurendo minacciosamente il cielo, accalcandosi le une contro le altre in volute di seta cangiante e velluto grigio, gonfie di pioggia.

Il vento scosse con forza le chiome dei grandi alberi intessendo tra esse un coro di sussurrii preoccupati che trascinò, tra i rami e le foglie, nel sottobosco e tra le piante, andando ad avvertire tutte le creature ancora all’opera di trovarsi un riparo in fretta.

La volpe rossa rabbrividì arruffando il pelo già umido, mentre scrutava con attenzione la sottile polvere che i cavalieri sollevavano sulla strada di terra battuta qualche miglio più avanti.

In perfetto orario... pensò tra se appiattendosi al suolo per non offrire appiglio al vento che fuggiva dal cielo, zizzagando veloce a nascondersi tra i tronchi degli alberi, scuotendone con forza i rami nella fretta di arrotolare il suo lungo corpo trasparente ad un appiglio sicuro mentre, in alto, le nubi gonfiavano il petto fronteggiandosi con ostilità, gareggiando in livore, tuonandosi rimproveri a vicenda, accendendosi di fugaci saette rabbiose quando l’aria fredda e quella calda si ritrovavano troppo vicine nel cielo affollato. Il buio approfittò subdolamente della loro distrazione scivolando prematuramente ad allungare le ombre, acquattandosi tra le piante in sottili volute di nebbia vaporosa, avvolgendo la strada, la foresta e la piccola vedetta scarlatta, nel suo manto di seta.

 

“Maledizione...  sembrava una così bella serata...” mormorò il vice capitano delle guardie reali facendo procedere il proprio cavallo al passo.

“E temo che peggiorerà ancora..” borbottò il suo superiore lanciando uno sguardo al cielo nuvoloso, tra le cui coltri scure andavano accendendosi, con sempre maggior frequenza, luci elettriche.

“Inui!” chiamò il cavaliere voltandosi verso il mago che cavalcava poco dietro di lui.

“Quanto tempo ci resta prima che cominci a piovere?” chiese mentre osservava gli altissimi alberi alla loro sinistra.

“Non molto temo...” pronosticò il mago stringendosi addosso il pesante mantello da viaggio su cui, spiccavano, dorate, le insegne della famiglia reale.

 

La volpe inclinò la testolina con aria curiosa cercando di sbirciare oltre i cappucci sollevati, per proteggere i volti dal freddo. Ormai i viaggiatori erano praticamente dinanzi a lei ma il buio, che così favorevolmente aveva fatto rallentare loro il passo, ora le celava i visi degli umani, impedendole di accertarne l’identità come invece le era stato ordinato di fare.

Ci vorrebbe un po’ di luce, pensò con disappunto scuotendo le orecchie, infastidita delle prime goccioline di pioggia.

Quasi l’avesse udita una folgore tagliò le coltri dense con una pugnalata incandescente, accendendole di riverberi violacei, incendiando per pochi secondi, la scena, con la sua luce elettrica e pericolosa.

In quella frazione di secondo in cui le ombre fuggirono spaventate a rannicchiarsi sotto i rami degli alberi, i volti dei viaggiatori divennero perfettamente visibili consentendo così all’animale di riconoscerli.

La volpe sbarrò gli occhi lasciandosi sfuggire un flebile, guaito di sorpresa.

Fu appena un mugolio impercettibile, coperto dal fragore con cui la luce gridava la sua ira alle tenebre, ma il capitano delle guardie parve udirlo perchè si irrigidì sulla sella facendo correre la mano guantata all’elsa della spada, mentre lo sguardo correva veloce, lottando con le ombre, a cercarne la fonte.

“Oishi che succede?” chiese il cavaliere che viaggiava al suo fianco portando di riflesso anch’egli la mano alla sua schiena, dove era legata una grossa sapda a due mani.

“C’è qualcosa...” mormorò piano il ragazzo sondando il buio attorno a loro con lo sguardo, la fronte corrugata e le palpebre socchiuse nel tentativo di vedere meglio in quella prematura oscurità.

E la piccola volpe trattenne il fiato, nel suo riparo tra le foglie di felce, quando lo sguardo del cavaliere trovò il suo per un lungo indefinito istante.

Rimase immobile, il respiro bloccato in gola e quegli occhi scuri piantati nei suoi per un momento che parve durare ore prima che il rombo severo del tuono la riportasse alla realtà.

L’animaletto tremò, riscuotendosi, prima di alzarsi in fretta e schizzare via, correndo verso il centro della foresta, la lunga coda rossa solo un guizzo più scuro tra le ombre.

 

“Cosa hai visto?” chiese perplesso Momoshiro all’amico riportando la sua attenzione sulla strada.

“Eh?” chiese Oishi prima che il suo cervello gli ripresentasse la domanda fattagli. “Ah...” mormorò “..niente.” disse seppure con tono ancora distratto.

“Solo... una volpe...” mormorò pensieroso prima di scuotere la testa con forza cercando di allontanare la strana sensazione che quello sguardo scuro gli aveva lasciato nell’animo.

Era solo un animaletto della foresta, come, probabilmente ne vivevano a migliaia tra quegli alberi.

Però era strano che fosse arrivata così vicina alla carovaniera, i cavalli avrebbero dovuto spaventarla...

E poi non riusciva a togliersi di mente la sensazione che...

Scosse di nuovo il capo.

Non era possibile.

Un’altra saetta accese il cielo di occhi malevoli, mentre il vento arruffava le nuvole aizzandole le une contro le altre.

Un tuono ruggì minaccioso avvertendoli che non era saggio continuare a sfidare la sua ira mentre l’aria fredda, custode già delle prime gocce di pioggia e del loro pungente profumo, sferzava i loro volti e le lunghe criniere dei loro cavalli.

Gli animali nitrirono spaventati avvertendo in quella carezza fredda il presagio della tempesta, cominciando a scuotere il capo nervosamente.

“Dobbiamo trovare un riparo prima che venga giù il diluvio...” sbottò Momoshiro cercando di calmare il suo destriero con delle amorevoli pacche sul collo possente.

Il sovrano di Ten’en Is sollevò il volto austero per lanciare uno sguardo al cielo, pensieroso.

Il vento s’acquietò per un momento sfiorando con estatica riverenza quel profilo regale e severo mentre tra le nubi un fulmine violaceo gli ammiccava con malizia.

“Hai ragione...” mormorò.

“Se ci inoltrassimo nella foresta...?” propose Momoshiro “Ci sono diverse caverne tra le pareti di queste montagne dovremmo trovarne una che ci offra riparo...” ragionò cercando di trattenere il mantello che gli sbatacchiava attorno, scosso dal vento.

Tezuka lanciò uno sguardo indecifrabile agli alberi scuri e Oishi gli si avvicinò immaginando che cosa stesse pensando il suo signore: sul grande monte Shu, che la foresta circondava con il suo amorevole abbraccio protettivo, si narrava che sorgesse un magnifico castello di cristallo, i cui portali scintillavano dell’oro e dell’argento che sbocciavano come fiori sulle pendici del severo signore di pietra.

 

Quella era la dimora degli esseri fatati.

 

Nessuno ne aveva mai visto uno ma tutti coloro che avevano cercato le ricchezze descritte dalle leggende avevano trovato solo sventura e morte tra quelle piante antiche.

I pochi che avevano fatto ritorno avevano raccontato deliranti storie di sentieri che scomparivano, frutta all’apparenza innocua che si rivelava mortale e ruscelli che si estinguevano nel momento in cui mani umane toccavano le loro acque azzurre.

“Non abbiamo altra scelta...” dovette però ricordargli a voce alta.

In quel momento, quasi volesse affrettare la decisione del sovrano il cielo tuonò riversando su di loro la pioggia che sino a quel momento si era semplicemente limitato a promettere.

 “E sia...” mormorò Tezuka tirando le redini del suo cavallo, scendendo di sella e cominciando ad inoltrarsi tra gli alberi alla ricerca di un riparo dalla pioggia torrenziale.

 

....

 

“E così non sono semplici messaggeri...” mormorò il sovrano del Popolo Fatato, socchiudendo gli occhi interessato.

Una saetta stracciò il cielo nero disegnando arabeschi elettrici tra le nuvole scure, dietro le enormi vetrate della sala del trono.

“Molto interessante...” sussurrò tornando ad abbassare le palpebre per celare le lucenti iridi verde mare.

La piccola volpe rossa scosse la schiena cercando di liberarsi dell’acqua che il suo pelo aveva accumulato, prima di stiracchiarsi voluttuosamente.

Solo una volta, parzialmente asciutta, si sedette sulle zampine posteriori chiudendo gli occhi scuri.

Mille scintillii dorati avvolsero il corpicino scarlatto arrotolandosi attorno alla sua piccola figura tramutandola in una sfera di luce che si sollevò nell’aria, fluttuando, prima di allungarsi a delineare le fisionomie di un giovane.

La luce si dissolse con un ultimo scintillio e il ragazzo che ne emerse si passò una mano tra i capelli rossi ancora umidi di pioggia, prima di posare lo sguardo blu sul suo sovrano.

“E ora...?” chiese, sperando che l’altro fosse dell’umore adatto per rivelargli le proprie intenzioni dopo che l’aveva costretto ad uscire nel bel mezzo di un temporale coi fiocchi.

“Amo la pioggia...” rispose invece, apparentemente senza nesso, il signore del Popolo Fatato, avvicinandosi ad una delle enormi porte finestre della sala del trono, dietro la quale i fulmini lampeggiavano senza sosta, rincorrendosi nel cielo nero.

“Credo che andrò a fare due passi...” mormorò uscendo sul piccolo terrazzino sospeso nel vuoto, sopra la foresta scossa dal vento, piegata dalla pioggia.

L’aria fredda sferzò le sue vesti regali, passando le dita trasparenti tra le ciocche biondo miele, avvolgendolo in una riverente carezza mentre il giovane, gli occhi nuovamente aperti, fissava un punto lontano, tra le chiome verdi che avevano improvvisamente mutato i loro sussurri indistinti in un unico canto estatico, a sua lode.

“Tornerò per cena...” mormorò, senza voltarsi  verso il suo consigliere, scavalcando con un salto leggero la bellissima ringhiera dai motivi floreali, lasciandosi scivolare nel vuoto.

“Fuji!!” gridò il ragazzo dai capelli rossi correndo sul davanzale, ma già il suo sovrano era lontano, leggero e veloce, sollevato dalle correnti del vento impetuoso, suo trasparente destriero.

“Shhhh....” sibilò nervosamente l’incantatore di serpenti, immobile ai piedi del trono, gli occhi socchiusi, che fissavano invidiosi i fulmini violacei piegare la loro indomita ira al loro sovrano, accendendo per lui luci elettriche nel cielo scuro, ad illuminargli la via.

Il ragazzo volpe sospirò “A volte non riesco davvero a capirlo...” borbottò scuotendo il capo.

“Mada mada da ne...” lo tranquillizzò con indifferenza e una scossa di spalle il ragazzino seduto sul piccolo trono alla destra di quello lasciato vuoto dal re, prima di riprendere a usare il laccio della sua preziosa veste di velluto verde per far giocare il suo gatto.

Kikumaru scosse il capo rassegnato, con quei due non si poteva parlare, pensò sollevando il volto per fissare il cielo scuro.

Ancora non riusciva a capire...

Che cosa aveva in mente Shusuke?

 

....

 

“Sono fradicio!!” protestò Momoshiro togliendosi il mantello e gettandolo su un una piccola sporgenza rocciosa.

“Il peggio dovremmo averlo evitato però...”  cercò di consolarlo Oishi, liberando il suo cavallo dall’ingombro della sella.

“Fuoco...” ordinò Inui accendendo un piccolo falò sulla nuda roccia a pochi passi da loro.

“E adesso pensiamo alla cena...” disse tranquillamente cominciando ad armeggiare con il contenuto delle sacche del suo cavallo.

“Sch...scherzi?” ansimò Momoshiro pallido come uno straccio “Non vorrai cucinare tu ve... vero?” chiese tremante.

“Me ne occupo io Inui!!” si offrì mooolto in fretta Oishi.

Il mago li fissò per un momento, una luce sinistra accese i suoi occhiali nascondendo loro i suoi occhi per una frazione di secondo poi egli scosse le spalle e allontanatosi dai due si avvicinò al suo sovrano, che, a pochi passi dall’ingresso della grotta fissava la pioggia scrosciare tra le grandi fronde degli alberi.

“Questo luogo trabocca di magia...” mormorò serio il mago prendendo dalla tasca della sua veste un taccuino di pelle, che cominciò a sfogliare.

“Per quel poco che è giunto a noi questo bosco è la dimora del popolo fatato.” disse leggendo i suoi appunti.

“C’è chi dice che siano esseri bellissimi dall’aspetto etereo e leggiadro, mentre altri parlano di mostri orribili dagli occhi lucenti” disse aggrottando la fronte nel rendersi conto di come le nozioni in loro possesso fossero poche e anche contraddittorie “... comunque pare che siano in grado di fare qualsiasi cosa con la magia...” aggiunse con voce cupa.

Tezuka annuì in silenzio “Ripartiremo domattina all’alba...” mormorò, abbandonando l’ingresso della caverna per avvicinarsi a sua volta al fuoco sul quale il suo capitano della guardia, aiutato da Momoshiro aveva messo a scaldare la loro frugale cena.

Attesero che l’acqua piovana che avevano raccolto bollisse ascoltando l’ululato del vento e lo scroscio della pioggia.

Momoshiro starnutì lanciando un’occhiata all’ingresso della grotta, la luce del loro fuocherello illuminava ben poco, oltre il suo tremulo scintillio c’era solo buio.

Una tenebra totale e fittissima che tuttavia sembrava fin troppo viva per i suoi gusti.

Rabbrividì tra se “In che razza di posto siamo finiti!!” borbottò tra se sfregandosi le mani sulle braccia infreddolite.

 

“In effetti... questo luogo non si addice ad un sovrano...” fu d’accordo con lui, una voce suadente proveniente dall’ingresso della caverna facendolo sussultare violentemente.

 

“Ma cosa!” esclamò Oishi prendendo la sua spada, ponendosi immediatamente tra l’ingresso e il suo sovrano.

“Chi è là! Fatti vedere!” gridò Momoshiro brandendo il suo spadone a due mani con fare minaccioso.

 

Il cielo ruggì con rabbia per quel tono insolente mentre il vento saettava all’interno della caverna schiaffeggiando le loro vesti, irato, spegnendo il fuoco magico di Inui con un sospiro e uno sbuffo di fumo.

Un fulmine si staccò dalle nuvole nere con uno sfrigolio bruciante, tagliando perpendicolarmente tutto il cielo nero, inondando la grotta di luce incandescente, disegnando la sagoma scura del giovane, in piedi, di fronte a loro.

La furia luminosa della folgore accese le sue iridi smeraldine di scintillii elettrici, disegnando contorte, scintillanti, figure, in quello sguardo sfaccettato di luce, fasciando la sua figura elegante con lunghe ombre riverenti.

Tezuka trattenne il fiato per quell’infinitesimale secondo in cui il fulmine permise loro di vederlo, ritrovandosi incatenato a quegli occhi sconosciuti, ipnotici e pericolosi come lame d’argento.

Poi  la tenebra inghiottì nuovamente la caverna lasciandoli nella penombra oscillante del piccolo globo di luce creato, in fretta, da Inui, sopra le loro teste.

Il giovane, che in quell’infinito momento in cui il giorno era esploso nella notte,  li aveva fissati con sguardo duro, imperscrutabile, ora sorrideva cordialmente, le iridi celate dietro le palpebre chiuse.

 

“Chi siete voi?” chiese Tezuka risvegliandosi per primo dallo stato di sbigottimento in cui erano caduti.

 

“Sono il signore di queste terre...” disse il ragazzo con un sorriso tranquillo, inclinando il capo di lato con grazia, lasciando che le ciocche castane gli accarezzassero il volto armonioso.

“Questo bosco, come questo monte fanno parte dell’impero di Ten’en Is!!” esclamò Momoshiro duro.

“Oh...” mormorò il ragazzo fingendosi sinceramente stupito “... davvero?” chiese socchiudendo le palpebre per fissarlo con vago interesse.

Una serie di saette fece tremare l’intera foresta violentando le tenebre con le loro scariche lucenti, intermittenti e furiose, mentre il tuono aizzava con voce cupa il vento che ululò ferocemente, azzannando le loro vesti con ferocia.

Il mantello verde scuro dell’essere fatato si gonfiò minacciosamente, dando improvvisamente l’impressione che due enormi, demoniache ali, si fossero spalancate, imponenti, sulla sua schiena sottile.

Momoshiro, deglutì a vuoto facendo inconsciamente un passo indietro, stringendo con forza entrambe le mani sull’elsa della sua spada, pur improvvisamente consapevole che non sarebbe riuscito a fare molto se attaccato.

Ma Fuji scosse una mano, con indolenza, chiudendo nuovamente gli occhi, velando le iridi pericolose ed il cielo reclinò il capo al suo volere, quietando la propria ira.

“Se è come dite voi...” mormorò con un sorriso “...allora e mio dovere offrire ospitalità al mio sovrano...” sussurrò con un elegante inchino che fece scivolare i capelli castani sul suo volto, a coprire, il lieve, ironico, sorriso che gli aveva incurvato le labbra sottili.

 

....

 

“Non capisco perchè abbiamo accettato...” mormorò Takeshi, che ancora ripensava al terrore che gli aveva ispirato il sovrano del popolo fatato, solo pochi istanti prima, mentre rimetteva la sella al suo cavallo.

Il ragazzo s’era andato da poco, dicendo che avrebbe mandato loro una guida che li avrebbe condotti al suo castello.

“Non l’hai notato?” chiese Inui.

“Cosa?” volle sapere Oishi che al pari dell’amico si stava chiedendo se era saggio seguire quel misterioso sconosciuto nella sua stessa casa.

“I cavalli...” mormorò Tezuka.

“I cavalli?” ripetè il capitano della guardia, perplesso.

Il sovrano di Ten’en Is annuì “Quando ha evocato il fulmine, quando ha chiamato il vento...” spiegò “... i cavalli non si sono spaventati...”

Oishi sussultò ricordandosi che effettivamente le bestie se n’erano state tranquille nel loro angolo senza agitarsi come invece si sarebbe aspettato.

“Vuoi dire che erano...” chiese incredulo.

Tezuka annuì “...solo illusioni” terminò per lui la frase.

“Illusioni???” ansimò incredulo Momoshiro.

Una volta Inui gli aveva spiegato che chi possedeva del potenziale magico usava le illusioni per fare pratica, per svagarsi.

Perchè una magia di quel tipo richiedeva la stessa concentrazione di un incantesimo reale ma consumava solo un centesimo dell’energia che sarebbe stata necessaria a tramutare l’illusione in realtà.

Era un modo di ‘giocare’ che avevano tutti i Dotati.

Il vice capitano della guardia reale boccheggiò un paio di volte, senza fiato.

 

Ma se quando ‘giocava’ il sovrano del popolo fatato poteva scatenare un simile potere allora... quando faceva sul serio... che cosa era in grado di fare?

 

Rabbrividì incredulo, dicendosi che non ci teneva davvero a scoprirlo.

“Ha un potenziale magico davvero spaventoso...” mormorò Inui, che ancora non aveva digerito la facilità con cui l’altro aveva spento il suo fuoco, mentre annotava tutto sul suo inseparabile taccuino.

Il re annuì salendo con un unico gesto fluido a cavallo “E’ per questo che ho deciso di accettare la sua ospitalità.” rivelò facendo impallidire Oishi.

“Maestà!” esclamò “Non vorrete davvero chiedergli...” cominciò a preoccuparsi ma non ebbe modo di portare a termine la frase che uno zampettio veloce attirò la loro attenzione sull’ingresso della grotta.

“La volpe di stamane!” esclamò il comandante, stupito, riconoscendo il piccolo animale dalla pelliccia rossa.

La creatura si scrollò l’acqua di dosso schizzando le zampe dei loro cavalli prima di fissare gli occhi scuri su di loro.

Sotto lo sguardo incredulo dei quattro un piccolo vortice di scintillii dorati l’avvolse occultandola alla loro vista per poi schiudersi in piccole scaglie lucenti che rivelarono, al posto del piccolo mammifero, un ragazzo dai capelli rosso cupo e dagli irriverenti occhi azzurro scuro.

“Buonasera!” esclamò questi con un sorriso “Io sono Eiji Kikumaru e ho avuto il compito di scortarvi a castello!” si presentò passandosi le mani sulla giacca di velluto rosso, umida a causa della pioggia.

“Allora facci strada...” mormorò Tezuka, deciso.

Il ragazzo lo fissò per un momento, sollevando un sopracciglio stupito nel notare come il sovrano, a differenza degli altri, fosse rimasto indifferente di fronte alla sua trasformazione, poi annuì e, riprese le sue sembianze animali, saettò fuori dalla caverna.

 

....

 

La piccola volpe saltellava tra l’erba bagnata di pioggia sollevando piccoli schizzi d’acqua trasparente, la bella coda rossa un segnale ben visibile tra tutto quel verde scintillante.

Girarono tra gli alberi, apparentemente in tondo, per diversi minuti prima che, in lontananza un’altro rumore soverchiasse quello della pioggia che ancora batteva su di loro.

Un ruscello tuffava le acque rese torbide e schiumose dalla terra che il temporale aveva trascinato nelle sue onde tra alcuni grossi massi, scomparendo nel sottosuolo.

La volpe rossa balzò con agilità su quelle pietre disposte apparentemente a caso colpendole con le zampine una dopo l’altra.

Sotto lo sguardo stupito degli umani le pietre, levigate dalle pazienti mani del torrente, si accesero di luce.

L’animaletto effettuò l’ultimo abile balzello, portando a termine la combinazione, prima di tornare vicino ai cavalieri e sedersi, in attesa, a pochi passi da loro.

Il primo masso che aveva colpito fremette sollevandosi lieve nell’aria, quasi non avesse peso mentre la pioggia battente lo schizzava d’acqua che andava evaporando con forti sfrigoli nel toccare la sua superficie incandescente.

Ad uno ad uno i massi si sollevarono, pulsando calde onde di luce dorata, disponendosi nell’aria a disegnare un rettangolo lucente di quasi due metri in altezza per tre di larghezza oltre il quale, un paesaggio senza tempo, si stendeva in tutta la sua splendente, magica, bellezza.

“Il portale per Seigaku...” mormorò Inui che mai avrebbe creduto che un giorno sarebbe riuscito a varcare quel confine che molti credevano solo una leggenda.

La volpe annuì prima di far loro strada nel suo regno.

 

“Benvenuti nel regno di Fuji!” esclamò Eiji, riprendendo le sue forme umane nell’attraversare il lucente confine, indicando loro l’ampia vallata con un gesto del braccio.

“Lasciate pure liberi i vostri cavalli, li ritroverete qui al vostro ritorno” spiegò loro mentre indicava il grande prato smeraldino tempestato di minuscoli fiori iridescenti.

Anche lì pioveva, ma la pioggia era tiepida e piacevole, una carezza sulla pelle mentre in alto tra le coltri le saette sembravano danzare, creando eleganti figure che parlavano solo d’armonia e pace.

I cavalieri scesero liberando gli animali da briglie e selle prima di seguire il ragazzo che li aveva attesi pazientemente a pochi passi da loro.

Oishi, che fu il primo a porre termine al lavoro, approfittò di quei minuti per osservare la creatura magica.

La leggera, quasi trasparente, camiciola candida che indossava sotto la giacca di velluto rosso gli si era incollata alla pelle chiara come una seconda pelle a causa di tutta la pioggia che avevano preso creando un sottile gioco di trasparenze che aveva la capacità di distrarlo.

Da quando aveva incontrato quegli occhi la prima volta, quand’egli ancora lo credeva solo una semplice volpe, qualcosa si era piantato a fondo nella sua mente.

Scosse il capo cercando di allontanare quei pensieri.

Appartenevano a due specie, per non dire due mondi, completamente diversi.

Sollevò il volto lasciando che la piacevole carezza del vento che li sembrava solo una quieta brezza, scaldasse la sua pelle infreddolita sussultando quando notò, in alto nel cielo, un uccello dalle ali arcobaleno che planava nell’aria profumata disegnando colorati arabeschi che tingevano le nubi per pochi secondi prima di svanire in evanescenti scintillii

“Possiamo andare?” chiese il rossino notando che anche gli altri cavalieri avevano terminato di liberare i loro cavalli.

Ricevuto un segno d’assenso dal sovrano si diresse saltellando allegramente verso un sentiero dorato, che era comparso a pochi metri da loro solo in quel momento.

Al loro passaggio i fiori facevano vibrare i petali colorati riempiendo l’aria di polverine colorate che sprigionavano un aroma inebriante e un piacevole tepore.

Minuscole fatine dalle ali di farfalla veleggiavano nell’aria portando tra le sottili braccia frutti dall’aria dolcissima spargendo dietro di se una scia di porporina brillante mentre poco lontano alcuni centauri passeggiavano ascoltando il canto di una sirena, adagiata con grazia in riva ad un lucente laghetto dalle acque cristalline.

Momoshiro si guardava incredulo, attorno, così stupito dalle bellezze del paesaggio da non accorgersi della piccola saetta color beige che gli si fiondava addosso.

“Kerupin torna qui!!” gridò una voce seguita subito dopo dalla comparsa di un ragazzino che, liberandosi in fretta dagli ultimi vapori del suo incantesimo di teletrasporto osservava con aria corrucciata il piccolo felino chiaro, arrampicatosi in fretta su per le gambe del cavaliere, alla ricerca di un albero su cui nascondersi.

“Hey, hey!” protestò il vice capitano della guardia, divertito, afferrando la palla di pelo per la collottola mentre cercava di staccarla dai suoi pantaloni di tessuto scuro.

Un po’ ansante per la corsa, le gote imporporate da un lieve imbarazzo Ryoma si fece avanti.

“E’ il tuo gatto?” gli chiese il cavaliere osservandolo con attenzione, prima di porgergli la bestiola.

“E’ uno spirito animale!” lo corresse il ragazzino serio.

“Oh scusa...” mormorò Momoshiro sorridendo nel notare la tenerezza che faceva il contrasto tra quello sguardo deciso e l’affetto con cui invece il ragazzino stringeva il felino al petto.

“Questo è Ryoma Echizen Il figlio di sua maestà...” lo presentò Kikumaru posando una mano sulla spalla del moretto.

“Fi...figlio!” balbettò Oishi incredulo “Ma avranno si e no quattro anni di differenza!” mormorò.

Eiji gli sorrise dolcemente “Non giudicare nulla dalle apparenze qui...” lo avvertì passandogli accanto, lasciando che il suo braccio sfiorasse casualmente il suo prima di trotterellare avanti, fermandosi del mezzo del sentiero dorato.

“Andiamo sua maestà vi sta aspettando!” disse con un sorriso invitandoli a raggiungerlo con un gesto della mano.

Nel momento in cui anche i quattro umani giunsero sul sentiero questo si staccò dal terreno lievitando nell’aria trasformandosi in un nastro di luce che li avvolse sollevandoli sopra la valle per poi balzare in avanti verso il monte Shun.

“Tenetevi forte fra poco si scende!!” gridò il ragazzo volpe indicando loro un punto scintillante, poco più avanti.

Incastonato su un’erta sporgenza sul fianco della montagna un longilineo, splendente castello di vetro soffiato innalzava i suoi sottili pinnacoli verso il cielo, scintillando come un diamante contro il manto di scura pietra.

I mortali lo fissarono senza riuscire a trattenere lo stupore, osservando come la luce elettrica delle saette lo accendessero di baluginii iridescenti, poi il sentiero piegò violentemente, planando verso il basso a folle velocità.

Per un momento Momoshiro credette che si sarebbero schiantati ma il loro lucente mezzo di trasporto si adagiò tra l’erba smeraldina con grazia, senza un suono od uno scossone, ritornando ad essere un solido, dorato, acciottolato, sotto i loro piedi.

“Credo che non riuscirò a digerire altre sorprese come queste...” borbottò senza fiato mentre osservava il figlio del re salire l’ampia gradinata che portava al portone principale, spalancato, camminando tranquillamente, con il suo gatto tra le braccia, come se non avesse appena sorvolato tutta la foresta a bordo di un nastro volante.

“Prego da questa parte...” disse gentilmente Kikumaru, distogliendolo dai suoi pensieri, indicando loro un lungo corridoio di vetro scintillante.

 

....

 

“Che posto incredibile...” mormorò Oishi, l’ultimo ai quali il ragazzo volpe indicò la propria stanza.

“Ti piace?” gli chiese allegro il rossino orgoglioso, afferrandogli un braccio e portando il visetto a cuore molto vicino al suo, gli occhi azzurri piantati nei suoi.

Senza sapere perchè il cavaliere arrossì violentemente.

“Sì...sì...” balbettò “...mi piace molto...” sussurrò e questa volta fu il turno del ragazzo con le orecchie a punta di arrossire violentemente.

“Bhe sarai stanco... la cena sarà servita tra poco...” mormorò allontanandosi in fretta per poi uscire di corsa dalla stanza, seguito dallo sguardo confuso del cavaliere.

 

...

 

Inui aveva indossato in fretta le morbidi e comode vesti che erano state messe a loro disposizione e, dato che non era stata imposta loro nessuna restrinzione, ora gironzolava per le sale del castello annotando tutto ciò che vedeva.

Era così intento nello scrivere che urtò una persona che veniva nel senso opposto.

“Shhhh!!!” sibilò questa irata e il mago sollevò gli occhi stupito incontrando lo sguardo aggressivo di un ragazzo dall’aria arrabbiata, i lisci capelli neri trattenuti da una bandana verde dai motivi tribali.

“Scusami...” mormorò osservandolo interessato, cercando di capire se anche quel giovane avesse dei poteri magici di cui poteva prendere nota.

“Scusami dice lui...” borbottò il moretto tra se e se “...mortali, che fastidio...” continuò a bisbigliare per conto suo come se l’altro nemmeno ci fosse.

Poi parve notare il quaderno che l’altro aveva tra le mani “Che cos’è?” chiese, senza sapere perchè s’interessava alle attività di un umano.

“Questo..?” disse il mago con aria misteriosa “...è il mio segreto per diventare invincibile...” disse catturando immediatamente tutta l’attenzione dell’altro.

“Diventare invincibile?” chiese Kaido lo sguardo scintillante.

“Vuoi che te lo insegni?” gli chiese il mago mentre la luce rifrangeva sulle lenti dei suoi occhiali trasformandoli in due rettangoli di luce dietro i quali i suoi occhi divennero imperscrutabili.

 

....

 

Tezuka ripose il proprio mantello su un’elegante sedia dallo schienale altissimo prima di avvicinarsi all’ampia finestra della sua stanza.

Oltre il vetro così trasparente da sembrare inesistente il temporale continuava ad imperversare seppure sembrava che, lì, la sua furia, fosse in gran parte placata.

Quello che aveva tutta l’aria di essere un drago in miniatura planò tra le nuvole andando ad appoggiarsi sul suo davanzale piantando gli occhi curiosi nel suo.

Tezuka aggrottò la fronte quando il piccolo rettile fece saettare la lingua biforcuta in quello che aveva l’aria di essere uno sberleffo.

“Non fateci caso è solo un cucciolo e non ha mai visto un mortale...” lo informò una voce conosciuta, alle sue spalle.

Il sovrano di Ten’en Is si voltò stupito.

Quel ragazzo si muoveva fin troppo silenziosamente, e non era una cosa che gli piaceva.

“Ora credo possiate dirmi il motivo per cui ci avete voluti qui” mormorò il Tezuka senza scomporsi, chiudendo la finestra per voltarsi verso Fuji ritrovandoselo pericolosamente molto vicino.

“Moi?” chiese il ragazzo con innocenza, facendo un passo indietro, sedendosi a mezz’aria accavallando con grazia le gambe fasciate dai pantaloni di velluto verde bosco.

L’essere fatato scosse le spalle sottili con un moto leggero “E’ molto semplice, volevo qualche informazione, sono ormai diversi mesi che vedo vostri messaggeri correre avanti e indietro” spiegò tranquillamente.

“Che state combinando questa volta?” chiese posando il bel volto sul palmo della mano con velato interesse, come se stesse chiedendo ad un bambino a che gioco stava giocando.

Tezukae le spalle, incrociando le braccia sul petto con fare autoritario.

Forse per il sovrano del popolo fatato, creatura che aveva, a detta delle leggende, molti secoli alle spalle, i loro problemi sembravano davvero solo gli svaghi di bambini capricciosi.

Ma quella che era alle porte era una guerra.

Una guerra che avrebbe potuto causare la morte di milioni di persone.

E lui, che di quelle persone era il sovrano e il protettore, avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedirlo.

“E’ stata dichiarata guerra all’impero” mormorò cupo.

“Io e la mia scorta stavamo tornando da un viaggio diplomatico che aveva lo scopo di capire se era possibile evitare il conflitto e di rafforzare le nostre alleanze” disse.

“Non ditemi...” mormorò Fuji piano “Il potente impero di Ten’en Is...” disse con una punta di ironia “necessita di... aiuto?” sussurrò interessato.

“Anche le vostre terre verranno coinvolte se non riusciremo a fermare l’avanzata dell’esercito nemico” lo avvertì Tezuka deciso a far capire all’altro la gravità della situazione.

Il re del popolo fatato scosse una mano con indifferenza “Non ci troveranno mai...” disse tranquillamente.

“Forse non troveranno voi ma raderanno al suolo la foresta..” disse, notando soddisfatto una ruga solcare la bella fronte dell’altro sovrano.

“Unitevi a noi...” propose Tezuka fissandolo diritto in volto.

“Hmm... è così è a QUESTO che deve il piacere della vostra compagnia...” mormorò Fuji atterrando con grazia prima di socchiudere gli occhi verdi e piantarli in quelli del ragazzo più alto.

“Vorreste l’aiuto della nostra magia...” mormorò pensieroso.

“Perchè no...?” disse inaspettatamente sorridendo “E’ da molto che non accade nulla di divertente da queste parti...” sussurrò avvicinandosi alla finestra.

“Tuttavia...” disse voltandosi per fissare nuovamente il sovrano di Ten’en Is, una luce pericolosamente scintillante nelle iridi verde mare, “...avrete l’aiuto del popolo fatato...” mormorò “... il MIO aiuto..” sottolineò “...solo ad una condizione.” stabilì.

Tezuka annuì, non si aspettava certo che l’indipendente e orgoglioso popolo fatato li aiutasse gratis.

“Quale...?” chiese sperando che le sue condizioni non fossero assurde.

Non sapeva che aspettarsi dall’affascinante creatura che aveva davanti.

Era un essere enigmatico e dalle molte sfaccettature che non sembrava volersi rivelare per ciò che era in realtà lasciando tuttavia loro scorgere che cosa si nascondeva dietro quel suo sorriso gentile.

Che volesse il riconoscimento dei suoi confini?

Aveva notato come gli era risultata irritante l’affermazione di Momoshiro riguardo alla foresta.

Che volesse altre terre?

O permessi commerciali per aprire i commerci con gli umani?

Dovevano essere stanchi di vivere in quello strano isolamento.

La sua mente lavorava alacremente formulando migliaia di ipotesi.

Si aspettava di sentire di tutto da quelle labbra enigmatiche....

 

Tutto.... tranne quel lieve, dolce, appena sussurrato: “Sposatemi...”.

 

Continua....


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