Avevo promesso di postare questa parte
tra domenica e lunedì, ed invece, la posto oggi, ma in fondo ho solo un
giorno di ritardo e sono sicura che mi perdonerete. Non sono sicura invece
che sopporterete la notizia che questo strazio si allunga di un capitolo. Ma
è necessario, visto che questa parte avrebbe dovuto essere un tutt'uno con
la precedente. Inoltre, ho paura che vi verrà voglia di picchiarmi,
considerando come si stanno mettendo le cose nella storia. Prima però che mi
facciate del male, voglio solo ricordarvi una cosa, questa è una commedia e
perciò, nonostante le premesse... ok, niente spoilers, ma a buon intenditore
poche parole. Vi prego, anche se non vi piace, non siate cattivi, sono una
personcina sensibile e dal cuore tenero, io. Fatemi a pezzi se volete, ma
con tatto, d'accordo?
Primo
amore
parte IV
di
Petra
Gli angeli custodi esistono, e chi ne
dubita è un ingrato, un fedigrafo ed un demente. È vero che il mio soffre
di un brutto esaurimento nervoso a causa del superlavoro a cui lo
costringo, per cui ogni tanto fa cilecca, ma nei momenti davvero delicati
non mi ha mai deluso. Come ora per esempio, perché è solo grazie alla sua
dedizione se Daniele ed io arriviamo, nonostante tutto, sani e salvi
davanti a casa sua.
Vedo subito che è un anonimo palazzo condominiale, giallo canarino,
esattamente come aveva detto lui, né bello né brutto, come ce ne sono
tanti in tutte le città di questo mondo. Chissà dove mi immaginavo che
abitasse il mio tesssorrrrooooo.
Daniele scende dallo scooter e rimane a guardarmi con l'aria di aspettare
che io dica qualcosa, ma l'unica informazione che riesce a comunicarmi il
mio cervello è un'assurda sensazione di disagio, come quando sai di stare
nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ed in effetti, siamo sul ciglio
di una strada con le auto che ci sfrecciano accanto strombazzando
allegramente, a due passi di distanza c'è una rosticceria che a quest'ora
è presa d'assalto da una folla urlante di affamati, senza contare che dal
portone di casa sua entrano ed escono donne che tengono per mano bambini
piagnucolosi, uomini con le ventiquattrore e gli occhiali che rispondono
al cellulare, ragazzi con gli zaini e i capelli colorati, anziani col
cappello, il bastone e la sporta della spesa. Insomma una via del centro,
all'ora di punta, non è certo il luogo più adatto per perorare il mio
assoluto diniego di essere un omofobo. Forse dopotutto è meglio rimandare
a domani, non è detto che sia una giornata d'inferno come quella di oggi,
magari riuscirò ad arrivare presto a scuola e perciò avrò chissà quante
occasioni di discutere con lui in piena tranquillità (mitiche e scorbutici
permettendo). Sissì, adesso lo saluto e me ne vado di corsa, proprio di
corsa, sgommando e strombazzando come un furetto.
Vigliacco, vigliacco, vigliacco cantilena un'insopportabile vocina dentro
la testa, ma non voglio ascoltarla, no no, il cuore mi batte troppo forte
nel petto, qui si tratta di sopravvivenza, dico io, non posso mica farmi
venire un infarto alla mia tenera età, giusto?
"Perché non sali a casa mia?" dice Daniele all'improvviso,
"A casa tua?" lo guardo come se stesse blaterando parole senza senso in
una lingua morta.
"Be', Se dobbiamo parlare non possiamo certo farlo in strada con questa
confusione. Fermati a pranzo da me, ti va?"
Mi va? Da un certo punto di vista è praticamente il sogno della mia vita,
ma dall'altro... sento lo stomaco stringersi per un'improvvisa, indecorosa
strizza. A casa sua, a tu per tu finalmente, ed in piena tranquillità, con
tutto il tempo del mondo a disposizione, non avrò più scuse da accampare,
dovrò proprio parlargli, è definitivo e senza scampo. No, è inutile, sono
un verme strisciante, lo ammetto senza alcun pudore, ma proprio non ce la
faccio, è assolutamente più forte di me. Adesso lo guardo in faccia,
dritto in quei suoi occhi nocciola da sballo (mado' che ciglia che ha! li
dovrebbero vietare per legge degli occhi così) e:
"Va bene," sento dire ad una voce che assomiglia alla mia, anzi che sembra
essere proprio la mia, ma che non può essere la mia. Chi ha parlato? Chi
osa prendere le decisioni a posto mio? Perché adesso sto smontando dallo
scooter e sto seguendo Daniele dentro il portone di casa sua? Perché sono
in un ascensore minuscolo a guardare nello specchio la mia faccia livida?
Cosa ci faccio nella penombra del suo appartamento, che ha per giunta
tutta l'aria di essere vuoto?
Oddio i miei ormoni si sono ammutinati! non c'è altra spiegazione, si sono
accordati con tutti gli organi del mio corpo e, con un colpo di stato a
tradimento, mi hanno trasformato in uno zombie privo di volontà. Maledetti
sons of bitch!
"Sono a casaaaaaaaaaaa" urla intanto Daniele, facendomi sobbalzare di
terrore. Un attimo dopo però mi ritrovo a tirare un sospiro di sollievo.
Se infatti non sta parlando col gatto, alla fin fine, qualcuno deve
esserci in questa magione. Fiuuuuuuu, anche se si trattasse solo del
gatto, meglio che essere del tutto soli soletti io e lui, con un
appartamento intero a nostra disposizione. Non voglio nemmeno pensarci!
Niente felini, comunque. Da una porta sbuca fuori una ragazzina sui dodici
anni che sembra Daniele in miniatura ed in versione femminile.
"Sei in ritardo, la mamma ti aveva raccomandato di arrivare presto, papà
ha telefonato e ha detto che non torna nemmeno lui, c'è da condire
l'insalata, io ho già apparecchiato... lui chi è?" dice senza tirare il
fiato nemmeno una volta.
"Un mio compagno di scuola, si chiama Marco," chiarisce subito Daniele
mentre si libera del giubbotto e lascia cadere a terra l'invicta
assestandolo con un piccolo calcio.
"Lei è mia sorella Irene." Mi presenta.
"Piacere" dico io stringendole la mano, mentre la ragazzina mi guarda in
faccia arrossendo leggermente.
"Pranzi con noi?" mi chiede.
"Sì," risponde Daniele al posto mio, "E poi dobbiamo fare i compiti,
perciò vedi di non starci tra i piedi, d'accordo?"
Lei lo guarda con aria esageratamente meravigliata.
"I compitiiiiiiii? Tu?"
Daniele fa l'atto di mollarle un pugno, ma lei scappa via con una risatina
e sparisce dentro la porta da cui era uscita prima.
"Marco, sei figlio unico?" mi chiede.
"Ehm... sì" rispondo.
"Beato te!" esclama con un sorriso che mi fa saltare tre coronarie e due
sinapsi cerebrali. Andiamo bene, non c'è che dire, sarà davvero un pranzo
con i controfiocchi, ci scommetto le palle. Spero solo di non ridurmi ad
un povero vegetale prima che questa spaventosa giornata sia
definitivamente tramontata.
Maria ha risposto al telefono con una voce tanto depressa che quasi non la
riconoscevo. L'ho informata del mio invito a pranzo dell'ultimo minuto e
lei non si è per nulla scomposta, non si è nemmeno informata, col solito
suo terzo grado da nazista d'oriente, sul pedigree, o sulla fedina penale
del mio ospite, mentre abitualmente mi chiede anche il gruppo sanguigno
delle persone che frequento. Mi ha solo intimato, ma con un filo di voce,
a volerla dire tutta, di non fare troppo tardi. Cavolo! Non credevo
bastasse una dito semistaccato per domare lo spirito della Triade cinese.
Quasi quasi potrei approfittarne, appena la mia coscienza si addormenta un
po' le strappo il permesso per andare a pernottare nella discoteca dalla
fama più turpe che io conosca. Un diabolico sorriso mi si disegna sulle
labbra al solo pensiero, e così mentre sto sghignazzando come un
deficiente, mi sorprende Daniele, che all'improvviso fa capolino dalla
porta della cucina per chiedermi:
"Tutto a posto? Ti vanno due spaghetti al tonno? Perché ridi?"
Perché sono scemo dovrei confessare, ma certo non lo sono fino a questo
punto (dice il saggio: finché ti rimane respiro tu continua a negare, a
negare e a negare).
"Qualunque cosa cucini tu per me va benissimo," gli rispondo ignorando due
domande su tre.
Insomma, è una frase innocentissima, giusto? Sto solo cercando di non fare
l'ospite esigente e con la puzza sotto al naso, nient'altro. Ma allora
perché suona alle mie stesse orecchie tanto ambigua da farmi arrossire? Ed
in effetti ci deve essere qualcosa di strano nel tono che ho usato, sennò
perché Daniele mi guarderebbe con quell'aria perplessa, mentre le sue
guance si colorano leggermente. Dio mio! Ma possibile che non ce la faccia
proprio a controllarmi? Tanto vale che mi butti subito in ginocchio, mi
metta una mano sul cuore e gli chieda direttamente di sposarmi se sono
ridotto a mandare segnali erotici ad ogni frase che pronuncio, porca
paletta.
Il pranzo dopotutto non si rivela quella cosa mortale che temevo. Anzi,
grazie alla sorella di Daniele, che è davvero una sagoma, mi rilasso e mi
diverto persino. Unica nota dolente, è la punta d'invidia con la quale
assisto ai loro continui battibecchi fraterni. Sensazione sgradevole, di
cui mi vendico mandando una maledizione mentale ai parens che, per ragioni
ignote, ma ci scommetto del tutto futili, mi hanno privato della
possibilità di raggiungere un'intimità così particolare con un altro
essere umano. Vabbe', ormai è fatta ed è inutile recriminare, meglio
piuttosto godermi quest'atmosfera rilassata e familiare, con Irene che mi
rintrona con barzellette e freddure tremende, ma che mi fanno lo stesso
sbellicare dal ridere, mentre Daniele la interrompe ogni secondo con
occhiatacce e dispetti.
"Ti prego, perdonala, ce l'hanno scambiata nella culla, all'ospedale, e
quando ce ne siamo accorti oramai era troppo tardi per rimandarla
indietro!" dice Daniele all'ennesima storiella, crollando con la testa sul
tavolo. Com'è carino quando è imbarazzato! La fronte gli si aggrotta in
modo delizioso e poi mette su un broncio che viene voglia di strapazzarlo
di baci. Urca, mi sento strano, non solo sono rilassato per la prima volta
da mesi, ma quasi euforico, direi. Sprizzo energia e simpatia da tutti i
pori. Amo questa cucina, amo la lavastoviglie, i piatti, le posate, le
tendine gialle alle finestre, amo persino la gondoletta di plastica sopra
il televisore e soprattutto adoro Irene e Daniele, anche se in modo un
tantino (tantino?) diverso. Ma che cosa ci mettono in questa casa nella
coca cola?
Dopo pranzo, i due fratelli si distribuiscono i compiti e mentre io
sparecchio, Daniele lava i piatti e Irene spazza a terra. In un lampo la
cucina sbrilluccica di pulito, come nella pubblicità di Mastro Lindo. E
poi dicono che la gioventù moderna non è capace di fare un lavoro come si
deve, tiè.
Ma ora che abbiamo finito vengono anche i dolori, infatti Daniele va a
recuperare lo zaino in corridoio e mi invita a seguirlo nella sua camera.
La strizza, di cui mi ero dimenticato in quelle poche ore di illusoria,
momentanea calma, ritorna furibonda ad invadermi il petto. Siamo alla resa
dei conti, direbbe l'ispettore Zenigata a Lupin davanti alla ghigliottina.
Oddio, che panico!
Ma bisogna essere stoici, almeno una volta nella vita, così ricaccio
indietro la mia voglia di battermela a gambe levate e lo seguo oltre
l'antro dell'inferno.
La camera di Daniele è praticamente identica alla mia, lo stesso disordine
strategico, gli stessi simboli di una gioventù bruciata tra il consumismo
e la trasgressione, la stessa aria vissuta pericolosamente, ma con i segni
dell'infanzia non ancora del tutto cancellati. Solo che mentre la mia ha
le pareti tappezzate di poster della ferrari e di barche a vela, la sua è
ricoperta di foto formato gigante di cantanti e gruppi musicali. Nella mia
poi la libreria è appunto ricolma di libri e manga, nella sua, la suddetta
crolla sotto il peso di cd musicali e... manga. Mitico, ma allora una
passione in comune ce l'abbiamo!
Attirato come una calamita mi avvicino ai volumetti e comincio a sbirciare
i titoli, mentre con la coda dell'occhio vedo Daniele buttare sul
pavimento l'invicta e mandarlo con un calcio perfetto a depositarsi sotto
la scrivania. Ora sì che mi spiego come mai quel povero arnese sia
deperito nel corso dell'anno fino ad assumere un'aria così patetica.
A questo punto la mia mente diabolica sta già pensando di dilazionare
l'ora X intavolando un'animata discussione sui fumetti giapponesi, ma
Daniele mi rompe subito le uova nel paniere. Infatti, si siede comodamente
sul letto e spara a sangue freddo:
"Allora, Marco, penso che sia venuto il momento di chiarire come stanno le
cose tra noi due, non credi?"
O porca paletta! Ma chi gli ha insegnato ad essere così diretto? E
soprattutto con quale coraggio può dire una frase simile con un tono così
tranquillo?
Sento le mie guance farsi di fuoco e la lingua intorpidita, come colpita
da paresi, inoltre anche se fossi in grado di muoverla, non saprei
assolutamente cosa dire, visto che la mia mente è bianca, candida,
desolata e spazzata da un vento gelido. Una Siberia cerebrale!
"Marco, ti senti bene?"
Bene bene no,vorrei dire, ma mi pare di non avere più la capacità di
pronunciare una frase compiuta.
Barcollando mi siedo sul letto accanto a lui, ma non è una mossa
strategica, lo giuro, è solo che le gambe non mi reggono e la sola sedia
presente nella stanza è ingombra di vestiti e libri di scuola.
Comunque me ne sto lì seduto come un baccalà, con gli occhi bassi, fissi
sulle mie mani, pregando in cuor mio che la faccia mi torni di un colore
normale.
"Oh, ma insomma," lo sento sbuffare, "Ma è mai possibile che deve sempre
essere così tra noi due? Eppure poco fa, in cucina, eri così a tuo agio,
mi ero quasi illuso che potessimo diventare amici noi due."
Amici? Alzo lo sguardo e glielo punto in faccia. Davvero non riesco a
credere che Daniele sia così tonto. Anzi, a questo punto spererei davvero
che fosse un po' meno ottuso, almeno mi risparmierei di dover per forza
essere esplicito su questa cosa che per me si rivela così difficile da
affrontare. Ma non ce l'ho scritto in faccia cosa vorrei da lui? Altro che
amicizia! Leggi sulla mia fronte, scemo, e smettila di farmi domande
cretine! Ma nemmeno per sogno, appena un momento per riprendere fiato e
vengo di nuovo sommerso da una sfilza di interrogativi che neanche la
Gestapo.
"Marco, me lo spieghi una volta per tutte che cosa ti ho fatto? Perché ti
comporti così con me? Dimmi cosa ti dà fastidio ed io cercherò di starti
alla larga, se è proprio questo che vuoi, ma almeno dimmelo, cazzo!"
"Non sono un omofobo" trovo la forza di chiarire con un filo di voce,
senza nemmeno guardarlo in faccia.
"Come no!" adesso sembra davvero arrabbiato, "A parole è facile ma con i
fatti dimostri esattamente il contrario."
Ah no, adesso m'incazzo io se permette, che fa, mette in dubbio le mie
parole? Questo proprio non lo sopporto, ho la mia dignità io, anche se non
mi ricordo più dove l'ho messa. Torno a guardarlo in faccia e con aria di
sfida gli dico:
"Tu non hai capito un cazzo."
Lui scatta in piedi come se uno scorpione lo avesse punto nel didietro.
"Dici? E cos'è che non avrei capito, sentiamo?"
Scatto pure io e mi metto davanti a lui come un gallo cedrone pronto al
combattimento.
"Non hai capito che non è perché sei gay che mi comporto in questo modo
con te. E se lo hai pensato hai preso una grossa cantonata e sei anche un
poco scemo, se proprio lo vuoi sapere."
Lui si mette le mani nei capelli, con una mossa alquanto melodrammatica
devo dire, ma che dà l'esatta misura di quanto sia esasperato, povera
stella. Poi respira vistosamente, tira su un paio di respiri
profondissimi, come se stesse facendo yoga e scommetto che sta anche
contando mentalmente fino a dieci. Alla fine, si mette di nuovo a sedere e
con una voce che vorrebbe essere ragionevole mi chiede per l'ennesima
volta:
"Ma allora me lo vuoi spiegare perché cambi strada ogni volta che mi vedi?
Perché non mi saluti? Perché praticamente non mi rivolgi la parola e se te
la rivolgo io grugnisci? Se non ti dà fastidio il fatto che sono gay,
vuole dire che sono proprio io a starti antipatico. Ho indovinato?"
Basta, è davvero troppo ridicola questa situazione. Sto facendo la figura
dello scemo e mi sto facendo schifo. Quel barlume di stima in me stesso
che ancora da qualche parte dimora in me sta per finire direttamente nella
tazza del cesso. Devo dimostrare a lui e a me che sono qualcosa di più di
una povera ameba che inquina il mondo con la sua inutile presenza. Devo
dirglielo e finisca come deve finire, qualunque cosa, pur di far cessare
questa farsa che sono riuscito a mettere su, da quell'idiota che sono.
Mi siedo di nuovo anch'io, accanto a lui, guardo i miei piedi e i suoi che
quasi si toccano sul pavimento, mi basterebbe un solo movimento per
cingergli le spalle col mio braccio e poi magari potrei anche
accarezzargli il suo viso che è così carino e dolce anche quando è
arrabbiato perso.
"Mi piaci." Dico ad occhi bassi bassi, pregando che la terra si apra e mi
divori.
"Cosa hai detto?" fa lui per tutta risposta.
Be', c'era da aspettarselo ho parlato così piano che anche superman con il
superudito avrebbe avuto difficoltà a sentirmi.
Oh, all'inferno! Finiamola, di fare lo stronzo, una volta per tutte
finiamola. Alzo lo sguardo fino ai suoi occhi e:
"Mi piaci un sacco, ecco perché mi comporto come un idiota. Scusa."
Gliel'ho detto, finalmente, ed anche in una maniera degna di onore, devo
ammettere, guardandolo dritto in faccia e con una bella voce ferma ed
impostata. Bravo, così si fa, ora sì che mi riconosco, porca paletta!
Nei pochi secondi che passano dopo la mia rivelazione continuo a guardare
Daniele aspettando una sua qualsiasi reazione. Lo vedo inghiottire e
mordersi le labbra, ma stranamente non sembra stupito.
"Sì," dice alla fine, "In effetti ci avevo pensato che magari era questo"
Ci aveva pensato?!?! Ci aveva pensatooooooo!?!? Ma allora perché mi ha
fatto mettere su tutta questa manfrina?! Ma che fa mi prende per il culo?
"Scusa Daniele," dico con un tono di voce al vetriolo, "Ma se avevi questo
sospetto perché non me l'hai detto subito, invece di accusarmi di essere
un omofobo di merda?"
"Come facevo ad esserne sicuro? Poi magari ti arrabbiavi e mi spaccavi la
faccia."
Ok, messa così la faccenda è abbastanza logica, ma ora?
Lo guardo di nuovo e mi mordo le labbra, aspettando che sia lui adesso a
fare la sua mossa. Me lo deve a questo punto, o no? Ma Daniele si è fatto
pensieroso ed anche molto serio, devo dire, ha una faccia che non
presagisce niente di buono. Va bene, lo sapevo, adesso mi dirà che mi
considera solo un amico e magari che è fidanzato da un anno con un
marinaio nerboruto e geloso come una iena. Sono ancora in tempo a tirarmi
indietro? Potrei dirgli che ho solo scherzato, che sono un buontempone
peggio di sua sorella, forse, magari, se la beve.
"Marco, tu pensi di essere gay?" mi chiede, però, all'improvviso
lasciandomi basito. Che cazzo di domanda mi va a fare? proprio in un
momento in cui avrei difficoltà a rispondere sul mio stesso nome e
cognome.
"Ehm... be'... ecco io, veramente non lo so. Tu sei il primo ragazzo
che... sono un po' confuso, a dire il vero."
Subito vedo i suoi occhi diventare come due pozzi di tristezza e rimango
sgomento perché è come se il suo volto fosse diventato una di quelle
maschere con la bocca piegata in giù, in una terribile smorfia piena di
amarezza. E stranamente questa trasformazione non lo rende più brutto,
anzi non mi è mai parsi così bello e desiderabile come in questo momento.
Senza sapere perché sento un'ondata di tenerezza sommergermi ed una voglia
assurda di prenderlo tra le braccia e sussurrargli parole carine da qui a
domani.
"Io invece sono sicuro di esserlo," riprende lui con una voce quasi tetra,
"E come lo so io, lo sanno anche gli altri, tutti quanti. Non che la cosa
mi renda felice, ma è così e non voglio che sia diversamente. Comunque non
è così semplice come sembra."
Sono un tantinello confuso, che cosa sta cercando esattamente di dirmi
menando il can per l'aia in questo modo ignobile? Se è il momento di
parlarmi di marinai gelosi che lo faccia subito, invece di torturarmi con
questo stillicidio.
"Io trovo che tu sia stato molto coraggioso a non nascondere la tua
omosessualità" dico, schiarendomi la voce, anche se a dire il vero mi
sento molto scemo e anche molto ipocrita a sparare così a freddo questa
frase fatta, ma qualcosa devo pur dirla per darmi una parvenza di
contegno, o no? Ma evidentemente ho proprio scelto l'argomento più idiota
che potessi, perché lui mi guarda a bocca aperta come se mi fossero appena
cresciute le corna in testa.
"Ma come?" mi chiede letteralmente esterrefatto, "Ma davvero mi vuoi dire
che non lo sai?"
"Sapere cosa?" Trasecolo io.
Lui adesso sta ridendo, anche se è una risata un po' stridula, innaturale,
certo non è uno sfogo d'allegria, questo è lampante.
"Guarda che non sono mica stato io a dire in giro di essere gay. Per dirla
tutta ci sono stato costretto dalle... ehm... circostanze."
Davanti alla mia faccia interrogativa sorride con una certa malizia, ma
poi ritorna subito serio non appena comincia a raccontare.
"E' successo durante il mio primo anno di scuola, tu eri ancora alle
medie. Mi piaceva un ragazzo di due classi avanti e be'.. insomma, per
farla breve, ci hanno sorpresi nel bagno a baciarci. Non ti dico cosa è
successo! In meno di un minuto era di dominio pubblico persino tra gli
insegnanti. Uno scandalo che non ti dico... Ecco perché lo sanno tutti che
sono gay, altro che coraggio, se fosse stato per me, non me la sarei certo
sentita di andarlo ad annunciare a mari e monti, che credi?"
Lo guardo senza riuscire a dire una sola parola, giuro su quello che mi è
di più caro che questa è la prima volta che sento questa storia. Mi gira
quasi la testa al solo pensiero che possa essergli capitata una cosa
simile. Ma come ha fatto a sopportarlo? Se fosse successo a me sarei morto
di vergogna, perché, cavolo, una cosa è dirlo quando sei pronto e deciso
una cosa è che siano gli altri a decidere per te su cose così intime. È
davvero una storia terribile, terribile, quasi non ci credo.
"Io... non l.. lo sa- pevo." Balbetto miseramente.
"Aspetta," dice lui, "Non è questo il peggio. Pochi giorni dopo vedo
passare il ragazzo che mi piaceva abbracciato ad una tipa. Si era messo
insieme a lei senza dirmi niente e per giunta andava dicendo in giro che
quello che era successo con me era stato solo un esperimento. Perché nella
vita si deve provare tutto e lui era tanto, ma tanto curioso."
Il sorriso che a questo punto gli inarca le labbra è così mesto che mi
strazia l'anima. Io, invece, ormai non riesco neppure a balbettare, tanto
sono stupefatto, turbato, commosso e soprattutto incazzato come una iena.
Ma non importa, tanto continua lui.
"Così," dice in tono quasi frivolo, "Ho fatto un giuramento. Mai più, in
tutta la mia vita, mi sarei fatto coinvolgere da un etero in cerca di
sensazioni nuove, o da qualcuno che non abbia le idee chiare sulla sua
sessualità, preferisco stare lontano persino dai bisessuali, non si sa
mai. Se avrò altre storie sarà solo con gay convinti e dichiarati."
"Ah..." riesco a dire con un filo di voce, anche se a dire il vero mi
sento come se mi avessero sbattuto con un battipanni, uguale uguale al più
zozzo dei tappeti.
"Mi dispiace, Marco..." mi sussurra, "Non fare quella faccia, ti prego.
Non puoi sapere quanto ci sono stato male. Non posso neppure pensarci di
ripetere un'esperienza simile, non ce la farei a soffrire di nuovo in quel
modo. Lo capisci vero?"
Lo capisco? Lo capisco? Ecco cosa mi chiedo in questo momento che il mio
cuore sta facendo crack, ed ecco cosa mi chiederò per il resto della mia
vita, quando me ne andrò in giro in giro col muscolo cardiaco pesto e
rattoppato. Lo capisco, vero?
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