Metto subito in chiaro una cosa. Questa
parte doveva essere più lunga. In realtà secondo i miei piani doveva
comprendere anche il colloquio tra Marco e Daniele. Ma alla fine ho pensato
di dividerla in due tronconi. In caso contrario non ce l'avrei fatta a
postarla stasera e rimandare ancora non mi andava. Questo però fa sì che non
succeda un granché, spero che la cosa non vi faccia arrabbiare. Sto facendo
del mio meglio, considerando la mia vitaccia senza un briciolo di tempo. Se
non vi piace non commentatela, anche perché capisco che in effetti c'è ben
poco da dire.
.
Primo
amore
parte III
di
Petra
... "Comunque sei gentile, non me
l'aspettavo."
"Perché no, scusa? Io sono sempre gentile e con te lo sarei fino a farmi
fare a fette, perché mi piaci da impazzire e farei ben altro che portarti
a casa in scooter."
"Posso farti una domanda Marco?"
"Certo."
"Non è che non ti piacciano i gay, per caso?"
"A me??? Ma che dici? Come ti viene in mente? Probabilmente io stesso sono
gay, e anche se non avessi questo sospetto sarebbe lo stesso, perché io
sono una persona come si deve, mica uno di quei troglodita omofobi,
incapaci di guardare oltre il loro ombelico."
"Scusa, non ti volevo offendere, ma il fatto è che sei sempre così in
imbarazzo davanti a me. Ho pensato che fosse perché sono omosessuale."
"Ma... ma.. c.. che dici... Non è per questo e non è imbarazzo. È che mi
mandi in tilt le coronarie ogni volta che ti vedo. Mi piaci, maledizione,
mi piaci un sacco, ecco perché sono incapace anche di rivolgerti la parola
e mi trasformo da quella persona brillante e spiritosa che sono di solito
in una povera ameba strisciante,"
"Oddio, il mio autobus... scusa, ne parliamo un'altra volta, d'accordo?"
"Noooooooo, d'accordo una sega. Tu rimani qui, adesso, e ti lasci
spiegare. E vaffanculo l'autobus, ti inchiodi qui e mi ascolti, mi ascolti
fino a quando non ho finito, capito?"
Ecco, queste sono le risposte che nel corso della notte non faccio che
rimuginare nella mia mente insonne. Le risposte che avrei dovuto dare a
Daniele, mentre invece sono rimasto lì, come una bistecca congelata,
mentre lui mi sfuggiva dalle mani. Tutte le risposte del mondo, avrei
potuto dargli, invece di lasciarlo andar via su quell'autobus infernale,
come se avesse ragione lui, come se ci avesse azzeccato in pieno a
considerarmi un povero stronzo. Come diavolo avrò fatto ad essere così
imbranato? Uno zombie avrebbe avuto più presenza di spirito di me, ne sono
sicuro.
Con quella tempesta di pensieri che mi turbinano nella testa, finisce che
mi addormento solo intorno alle quattro del mattino, ma riposare è tutto
un altro paio di maniche. Il mio sonno è continuamente disturbato da un
sacco di sogni assurdi, in uno dei migliori, per esempio, Daniele
m'insegue agitando il suo invicta a mo' di clava e urlando: "Fermati,
omofobo di merda che ti spacco la testa!". Ed è meglio tralasciare il
peggiore...
Il trillo antipatico della sveglia mi salva da quell'inferno. Apro gli
occhi, più stanco e pesto di quando sono andato a letto. E subito gemo
ripiegandomi su me stesso con la faccia nelle mani. Posa alquanto
melodrammatica, lo ammetto, degna solo di un attore da quattro soldi, ma
che si accorda perfettamente con la sensazione che ho di vivere dentro una
specie di tragedia shakespeariana.
Ma come diavolo ho fatto a mettermi in una situazione simile? Che razza di
equivoco! Ed è tutta colpa mia, perché se analizzo il mio comportamento
dall'esterno, in maniera logica, capisco perfettamente come Daniele abbia
potuto prendere una tale cantonata. Sicuro! Mai una volta che lo abbia
salutato per primo, per esempio, e quando mi saluta lui rispondo per lo
più con una specie di indecifrabile grugnito. E se poi penso a tutte
quelle volte in cui lui si è avvicinato a noi scorbutici ed io me la sono
data a gambe! Senza contare poi le occhiate che gli lancio in tralice...
non può non averle notate e chissà cosa ha pensato di uno che non riesce
mai a guardarlo in faccia.
Se zio Manuel viene a sapere di tutte queste cose mi butta giù da un
grattacielo, e io da parte mia non farò niente per impedirglielo, lo
giuro, perché me lo merito un bel volo nell'etere senza paracadute, per
quanto sono cretino.
Va bene, devo stare calmo, adesso. Questo equivoco deve essere chiarito,
assolutamente, o mi ci butto da solo dal grattacielo, alla faccia di tutte
le vertigini di questo mondo.
Forte di questa nuova risoluzione, do un calcio alle coperte e mi alzo con
uno scatto. Se voglio parlargli devo necessariamente arrivare a scuola
presto, o non avrò il tempo di farlo, e certo non è il caso di rimandare,
perché un'altra notte come questa io non la reggo.
Così, mi lavo e mi vesto in un fiat e mi affaccio in cucina che sembro il
dio del vento.
Maria, la ragazza filippina che si occupa di noi, cioè di me e di quegli
sciagurati dei miei intelligentissimi genitori, mi fissa come se vedesse
l'incarnazione di uno spettro.
"Be', che ti succede?" mi chiede, guardandomi trangugiare il caffelatte
come se avessi una pompa al posto dell'esofago. "Da quando in qua sei così
ansioso di andare a scuola?"
Agito la mano, come per dire di non far caso a me e di tornare alle sue
faccende, ma figurati se mi dà retta, quella pettegola. Da quando ha preso
possesso di questa casa Maria ci domina tutti con pugno di ferro e nessuno
vedendola per quello scricciolo che è si figurerebbe mai che tre persone
come noi, all'apparenza tanto battagliere e piene di savoir fair, possano
essere succubi dell' energia diabolica di questa donna.
"Fa piano, ti strozzi in questo modo." Mi dice, lanciandomi una delle sue
occhiatacce in tralice, che per un attimo la fanno sembrare l'incarnazione
stessa della Triade cinese. Se questo fosse un giorno come tutti le
risponderei per le rime e comincerebbe tra di noi uno di quei soliti
battibecchi dai quali io esco sempre sconfitto e vilipeso, ma che hanno la
prerogativa di migliorare il suo italiano e di rendere me una persona più
forte di fronte al duro mondo. Ma oggi non ho tempo da perdere, perciò non
le do retta e mi ficco in bocca una brioche intera.
"Faffi gli affavi fuoi" mi limito a farfugliare. Lei mi guarda un po'
stupita, poi solleva gli occhi al cielo e si volta verso il lavello. E
forse è perché ha ancora gli occhi rivolti in alto a deplorare la mia
spaventosa maleducazione e la mia mancanza di qualsiasi criterio, che il
coltellaccio da macellaio con il quale sta trinciano il pollo le sfugge di
mano e quasi le stacca un dito.
La sua reazione è alquanto scomposta, assolutamente indegna della tanto
decantata flemma orientale. Insomma, lancia un urlo tale che mi fa
drizzare i capelli sulla testa, ma fosse solo questo, dalla ferita alla
mano comincia a sprizzare sangue dappertutto.
Ora, io sono un ragazzo oltremodo scafato, e come la maggior parte dei
miei coetanei ho certo gusto dell'orrido. Per esempio, ho visto
quattordici volte l'esorcista e Nightmare è senza alcun dubbio la mia
serie horror preferita. Però devo ammettere che quando il sangue lo vedo
dal vivo, qualcosa dentro di me si smuove, è come un fastidioso sfarfallio
alla bocca dello stomaco. E in quel momento, in preda appunto al suddetto
disturbo, rimango per qualche secondo a fissare Maria e la sua mano
completamente basito. Ma ad un certo punto lei mi punta addosso un paio di
occhi che sembrano due pozzi lucidi di angoscia e allora finalmente
schizzo dalla sedia come se mi avesse punto uno scorpione. In un attimo le
sono accanto e comincio ad agitarmi nel panico più totale, senza sapere
assolutamente cosa fare. Meno male che lei riprende un po' di sangue
freddo e mi ordina di andare in bagno a fare incetta di disinfettanti e
garze.
Traffichiamo intorno alla ferita per qualche interminabile minuto, ma non
c'è niente da fare il sangue non si ferma. Allora facendomi coraggio, do
un'occhiata a quello sfacelo e per poco non svengo. Il taglio è davvero
profondo, molto di più di quanto entrambi avessimo immaginato.
"E' proprio brutta," dice Maria con aria da martire, "Ci vogliono
sicuramente i punti. Chiama tuo padre, devo andare per forza in ospedale."
"Ti accompagno io con lo scooter." Le dico con piglio da vero uomo.
"Tu sei scemo," mi risponde con le lacrime agli occhi, la malfidata.
"Non fare la cretina, dai, il tempo che mio padre dall'ufficio arriva qui
tu sei già morta dissanguata."
Ho deciso che il melodramma è il mio forte, ma devo dire che fa effetto.
Maria impallidisce, perché è vero che lei è una ragazza coraggiosa, che
nella sua vita ne ha affrontate parecchie di situazioni difficili,
compreso uno scomodissimo viaggio dalle Filippine all'altra parte del
mondo, però è anche preda di una certa superstiziosa paura della morte.
Perciò, senza più replicare mi segue come un cagnolino e se io non avessi
una fifa boia, in questo momento mi sentirei molto fiero di me stesso.
Come un domatore a cui una tigre ha appena permesso di infilargli la testa
tra le fauci.
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Fra una cosa e l'altra finisce che entro in classe esattamente all'inizio
della terza ora. Ho lasciato Maria insieme a mia madre che ci ha raggiunti
in ospedale e sono scappato a rotta di collo. Fortuna che la genitrice e
il preside sono stati compagni di scuola e che sia bastata una telefonata
per mettere tutto a posto.
A dire il vero, in una situazione normale non mi passerebbe nemmeno per
l'anticamera della cocuzza di ricorrere ad una raccomandazione per farmi
riammettere alle lezioni, anzi, ricordo perfettamente che nella mia lunga
carriera scolastica ho usato delle scuse assolutamente ignobili pur di
saltare qualche interrogazione o qualche compito inopportuno, ma oggi è un
giorno particolare. O mi spiego adesso con Daniele o mi tocca sorbirmi
un'altra nottataccia di incubi vari, e non so se potrei sopravvivere.
Appena metto piede in classe gli occhi di tutti i miei compagni si puntano
su di me. Il prof fa una smorfia piena di sdegno, ma si rabbonisce alla
vista del permesso firmato da sua eccellenza il preside in persona. Mi
chiede cosa è successo ed ascolta distrattamente la spiegazione che gli
propino mentre con gli occhi sto già cercando una zazzera riccioluta. Meno
male! Daniele è al suo posto, all'ultimo banco, e come al solito
dormicchia con le cuffie dello stereo piantate nelle orecchie.
Incredibile, ascolta musica proprio nell'ora di matematica che è il suo
punto debole. Se continua così si farà bocciare anche quest'anno, penso
con un moto di rabbia, di rabbia sì, perché non mi va affatto che il mio
ragazzo sia un asino patentato.
Un momento! In che senso il MIO RAGAZZO. Lui non è affatto il mio ragazzo!
Cavolo, ma mi sto rimbambendo? Che mi viene in mente? Un conto è che uno
ti piace ed un conto invece stare là a fantasticare su promesse d'amore
eterno. Mi vengono i brividi al solo pensiero, perché posso dire ciò che
mi pare e posso anche fare il gradasso con zio Manuel e con me stesso, ma
nel più profondo angolo del mio io contorto ho una fifa d'inferno al
pensiero di cosa significa accettare sul serio questa situazione. Insomma,
gli ormoni sono gli ormoni, ma i sentimenti sono tutt'altro paio di
maniche. Ho paura, cazzo, lo ammetto anche se mi costa. E chi non ne
avrebbe al mio posto? In fondo sto solo decidendo della mia vita da qui in
avanti, e sono dolori, mica brodo di lupini.
Attraverso la doppia fila di banchi per raggiungere il mio posto con passo
tutt'altro che baldanzoso, consapevole dello sguardo dei miei compagni che
quasi mi buca la schiena. Penso a tutte le congetture che stanno facendo
nella loro menti bacate, e mi rendo conto che mi dà un fastidio tremendo
questo essere al centro di dubbi e supposizione la maggior parte delle
quali totalmente sballate, ci scommetterei le palle. Sì, non posso
negarlo, mi dà fastidio essere oggetto di stupidi pettegolezzi. E questa è
tutto sommato una situazione innocentissima, riuscirei a sopportare altri
sguardi puntanti addosso con curiosità morbosa o addirittura con
disapprovazione? Eppure è quello che mi aspetta da ora innanzi se questa
cosa con Daniele mi sfugge di mano. Da perfetto imbecille, me ne sto
rendendo conto solo ora e questa nuova consapevolezza mi provoca una
contrazione dolorosa allo stomaco.
Mi siedo di schianto e devo avere una faccia tremenda a giudicare
dall'occhiata interrogativa e preoccupata che mi rivolge Matteo.
"Si può sapere che è successo?" mi chiede a bassa voce per non farsi udire
dal professore che ha ricominciato a spiegare.
"Poi ti racconto" gli sussurro distrattamente, mentre con la coda
dell'occhio osservo Daniele senza che lui se ne accorga.
Ed immediatamente la mia mente comincia a lavorare con una velocità
spaventosa, una serie di immagini si sovrappongono una all'altra senza
tregua. Sono gomitate d'intesa, occhiatine sprezzanti, parole sussurrate o
silenzi improvvisi. Quante volte sono stato testimone di scene di questo
tipo? Scene che si ripetono senza sosta quando Daniele è nei paraggi di
qualche cretino. E a dire il vero i cretini sono alquanto numerosi. E
questo non è mica il peggio! Ho letto alcune frasi sui muri dei bagni dei
ragazzi che non è il caso di riferire e so anche di qualche episodio
ancora più spiacevole. Certe cose mi danno il voltastomaco, naturalmente,
ma in fondo non me ne sono mai preoccupato eccessivamente. È sempre così
quando non ti tocca in prima persona, puoi fare il disgustato, puoi anche
inveire e compatire l'idiozia umana, ma... ma... ma sono davvero sicuro di
riuscire a sopportare di vivere circondato da un clima di scherno? No che
non sono sicuro, anzi, diciamolo pure che è tutto il contrario. Io ci
tengo ad essere apprezzato, mi piace che gli altri pensino di me che sono
uno strafigo pazzesco, sono persino uno dei primi della classe solo perché
non sopporto l'idea che i professori mi prendano per scemo! Se penso alla
rabbia che mi fa mio padre che mi considera un ragazzino senza un briciolo
di giudizio! Come posso pensare di sopportare addirittura la sua
disapprovazione?
Guardo di nuovo Daniele di sottecchi e mi chiedo come faccia lui ad essere
invece sempre così tranquillo. Passa in mezzo al sarcasmo degli altri
sempre sorridente e pacifico, come se non fossero fatti suoi. Non cerca
mai di imporsi né di rendersi simpatico con nessuno, però se qualcuno
mostra di apprezzarlo, come ad esempio le mitiche, sa essere cordiale e
persino affettuoso, mentre con il resto del mondo è di una indifferenza
che mi stordisce. Sembra che non gliene importi un'emerita cippa di cosa
pensi la gente di lui. Ma come diavolo fa? Com'è solo lontanamente
possibile questa meravigliosa sicurezza?
La campanella della ricreazione mi distoglie da tutti questi assurdi
pensieri, anche perché in meno di un attimo vengo sommerso dalle mitiche e
dagli scorbutici al gran completo, tutti ansiosi di sapere cosa diavolo mi
è successo stamattina per fare così tardi. Da principio, ancora sotto
l'impressione spiacevole del mio rimuginare, mi schermisco un po', ma
davanti agli occhi spalancati di tutti costoro, che non vedono l'ora di
pendere dalle mie labbra, non resisto e metto su la mia migliore coda di
pavone. Non devo faticare molto per fare bella figura a dire il vero,
perché per una volta posso dire in piena coscienza che il mio
comportamento è stato esemplare, quasi eroico, anzi. Insomma, invece di
svenire o di farmi prendere dal panico ho avvolto la mano di Maria in un
mucchio di stracci puliti, e poi come un cavaliere medioevale l'ho
accompagnata all'ospedale in groppa al mio scooter. Se solo penso a come
si scansavano le auto al nostro passaggio, mentre io facevo risuonare il
clacson a tutta birra, sento ancora un brivido d'onnipotenza. Al pronto
soccorso poi ci sono rimasto fin quando non le hanno medicato la mano e le
ho pure fatto coraggio mentre le davano i punti, sopportando stoicamente
che lei mi stritolasse il braccio con l'altro artiglio sfortunatamente non
offeso. È vero che per tutto il tempo in cui i dottori la ricucivano ho
tenuto lo sguardo fisso sul pavimento, ma su questo magari posso pure
sorvolare. E che cavolo! Chi l'ha detto che il mio improvvisato pubblico
debba sapere proprio ogni insignificante quisquiglia di questa vicenda?
Sono convinto che anche i cantori epici tacevano alcuni particolari
imbarazzanti dei loro splendidi eroi.
Insomma, infiocchettando di qua e sorvolando di là, arrivo alla fine del
racconto investito di un nuovo carisma. Sono l'eroe del giorno.
"Porca miseria!" dice Marilena con aria impressionata, "Io sarei svenuta
alla prima goccia di sangue! Sei stato veramente coraggioso, Marco!"
"Ma no," mi pavoneggio senza alcun pudore, "Chiunque avrebbe fatto lo
stesso a mio posto."
"No, no," fa Matteo, "Ha ragione lei, sei stato bravo sul serio. Chi se lo
aspettava?"
Il mio sorriso a trentadue denti diventa una smorfia perplessa. Come
sarebbe a dire: chi se lo aspettava? Ma non ho tempo di chiarire la
faccenda con il mio pseudo migliore amico, meglio conosciuto come "la
serpe che covo in seno", perché vengo sommerso da altri complimenti, che
mi fanno dimenticare l'uscita poco felice di quest'invidioso nato. E
mentre mi crogiolo in questo mare di inaspettata popolarità, una voce
deliziosa mi raggiunge le orecchie:
"Meno male che c'eri tu in casa" dice Daniele, "Hai fatto proprio ciò che
c'era da fare. Non è facile mantenere il sangue freddo in queste
situazioni."
Deglutisco forte, mentre un rossore pazzesco mi invade la faccia. Cavoli,
se mi fa piacere che proprio lui faccia un complimento! Mi rendo conto che
è la prima volta che succede e adesso sì che sverrei volentieri. Ma non
posso comportarmi come il solito scemo, devo dire qualcosa, qualcosa di
intelligente, o perlomeno una cosa qualsiasi. Sono o non sono un cavaliere
dalla bianca armatura?
Così, pregno della mia nuova aura eroica, sorrido guardando Daniele dritto
in faccia e:
"Grazie," gli dico e...
E basta.
Per quanto sforzi il mio unico neurone, non riesco ad escogitare niente di
meglio che sussurrare questa paroletta striminzita, continuando a
guardarlo fisso fisso e a sorridere in modo svampito.
Che depressione! Probabilmente, sembro un guitto che fa la pubblicità di
un dentifricio.
Dopo qualche secondo lo vedo aggrottare le sopracciglia e arrossire
leggermente. Proprio così, non ci sono dubbi, Daniele sta arrossendo ed io
invece sto per morire, credo. Perché questo rumore che sento nelle
orecchie o sono le trombe stonatissime dell'Apocalisse o è il mio cuore
che sta scoppiando. In entrambi i casi sono spacciato.
A dire il vero, c'è anche una terza possibilità e cioè che stia suonando
la fine della ricreazione, ma questa eventualità è talmente remota che
nemmeno per un attimo la prendo in considerazione. Neanche quando entra la
prof d'italiano e ci invita a metterci seduti, neanche quando i miei
compagni prendono posto mugugnando, neanche quando tutti mi fissano come
se fossi sceso dallo spazio...
"Marco, se non te ne fossi accorto, la ricreazione è finita" dice una voce
stridula proveniente dalla cattedra.
"Cosa? Come?"
Una mano mi agguanta per il maglione e mi tira giù.
"Ma sei sicuro di essere stato proprio tu a soccorrere Maria, stamattina?"
mi sussurra nel solito odioso modo Matteo-serpe-in-seno.
Passo le due ore seguenti immerso di nuovo nei miei pensieri grami. Non so
se capita a tutti o se sono solo io ad essere così deficiente, ma è
bastato davvero poco, un pensiero insinuante come un serpente, per mandare
all'aria tutti i miei buoni propositi. Il fatto è che non lo so se ce la
faccio a prendere una decisione così drastica che cambierebbe di colpo
tutto il mio futuro.
Accidente, le cose sono così semplici adesso! Ho il mio gruppo di amici
che, magari si farebbero spellare vivi prima di ammetterlo, ma mi vogliono
bene. Le ragazze mi guardano con simpatia e a dire il vero pure io non
perdo l'occasione per mettermi in mostra con loro. E' sempre così
gratificante essere ammirato e corteggiato, ed in fin dei conti, in quel
senso, non sono nemmeno un principiante assoluto. Ho già avuto tre flirt,
nella mia breve carriera di dongiovanni, anzi, quattro se conto anche
Marcellina (ma forse è meglio di no, dato che è successo all'asilo).
L'anno scorso quando io ed Elisa ci siamo lasciati lei ha persino pianto e
le sue amiche mi hanno guardato storto per parecchi mesi, fino a quando
cioè non si è messa insieme a quel decerebrato di Antonio della III E, un
bestione con la pessima abitudine di guardami in cagnesco ogni volta che
passo e che solo per questa insana gelosia bisognerebbe che fosse tenuto a
guinzaglio.
Persino con gli adulti le cose non vanno poi così male. Mi sembra che la
maggior parte di loro mi guardi con quella simpatia un po' pelosa con cui
i grandi osservano i giovanotti che ritengono, sì parecchio scemi, ma in
fondo in fondo promettenti, come se quell'idiozia non fosse altro che una
di quelle malattie giovanili fastidiose, ma curabili. Pressappoco come
l'acne, insomma.
Alla fin fine, la mia è una vita tranquilla, senza troppi problemi, senza
voli di fantasia, certo, ma così piacevolmente sicura, come una tana in
cui accucciarsi e lasciarsi cullare. Davvero voglio mandare tutto all'aria
per qualche ormone troppo battagliero?
Mi sento così insicuro e pieno di dubbi che non riesco a farne a meno, il
mio collo ancora prima che il mio cervello impartisca l'ordine è di nuovo
girato verso l'ultimo banco. Ma stavolta Daniele se ne accorge e che muoia
sull'istante se sto sparando cazzate: lui mi guarda a sua volta e
arrossisce di nuovo.
Mondo cane! Io non so chi comanda nell'universo, forse è vero che c'è un
Dio con tanto di barba bianca ed aureola sulla testa che decide ogni cosa,
assiso su un trono dorato. Ma so di certo chi è che comanda su di me:
quell'imbecille di un ormone battagliero, comanda, ed io qui, seduto su
questo banco, in questo preciso istante che sembra allungarsi
all'infinito, sotto lo sguardo insicuro di Daniele e davanti al suo mezzo
sorriso timido, alzo bandiera bianca e mi arrendo. Sì, mi arrendo, senza
speranza e senza alcuna condizione, porca paletta! E così sia.
Finalmente anche questa giornata di scuola è terminata, e finalmente dopo
tanto penare e dopo aver cambiato idea mille volte ho preso la mia
decisione. Forse non è il caso di dire a Daniele direttamente cosa sto
provando nei suoi confronti. Magari è meglio se mi prendo ancora del tempo
per pensarci su e sondare un po' il terreno. Questo, anzi, potrebbe
evitarmi qualche figura di merda. Perché c'è anche la possibilità che lui
mi rida in faccia. In fondo che ne so, io? Potrebbe persino già stare
insieme a qualcuno. Però almeno quel maledetto equivoco lo devo chiarire
subito. Non posso lasciare che il ragazzo che mi fa partire il cuore in
quarta pensi che io lo detesti o che lo disprezzi. Sarebbe assurdo. No,
devo parlargli e se mentre parlo con lui capisco che posso osare qualcosa
in più, spero di avere la prontezza di spirito di approfittarne. Insomma,
io sono sempre stato un uomo d'azione, non di pensiero, o no?
Seguo con gli occhi Daniele che raccoglie le sue cose e lascia l'aula
chiacchierando allegramente con le mitiche e mi volto verso Matteo.
"Senti," gli dico, "Devi prestarmi il tuo casco."
"Ma sei scemo?" mi risponde, "E secondo te come ci torno a casa?"
"O Matteo, non cominciare a fare il coglione." Quasi mi metto ad urlare
per quanto sono esasperato, "Me lo devi prestare se sei un amico. Non fare
storie."
Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa come un mantice.
"Ripeto. Come diavolo ci torno a casa, io?"
"Che ne so? Vacci senza casco..." perché mi fa perdere tempo con queste
quisquiglie.
"Tu sei deficiente." Dice e se ne va voltandomi le spalle. Lo raggiungo
con uno scatto, afferrandolo per la manica lo costringo a girarsi verso di
me. Cavoli, siamo nel corridoio e di Daniele non c'è nessuna traccia,
scommetto che è già arrivato alla fermata e se sale sull'autobus come
cavolo lo acchiappo?
"Ti prego Matteo, per piacere," imploro con gli occhi fuori dalle orbite.
"Ti giuro che mi potrai chiedere quello che vuoi in cambio, ma per
stavolta soltanto prestamelo. È questione di vita o di morte... se ti
fanno la multa la pago io, te lo giuro su tutto quello che vuoi."
Matteo fa la faccia di uno che ha a che fare con uno spettro maligno. Mi
guarda per qualche secondo atterrito e confuso, ma infine si arrende.
"Se mi spacco la testa, almeno spero che mi verrai a trovare
all'ospedale..." dice porgendomi il suo casco rosso fiammante.
Se avessi tempo mi metterei in ginocchio e gli bacerei le mani, ma non
posso fermarmi. Afferro quell'arnese vistoso e scappo via senza nemmeno
ringraziarlo.
Passo volando tra gli studenti che si attardano, maledetti perdigiorno,
come se fossi inseguito da un branco di Unni incazzati, sordo alle
proteste di coloro che urto e alle imprecazioni di quelli a cui pesto i
piedi o ficco un gomito nello sterno. Finalmente arrivo in vista del mio
fido scooter, metto in moto e schizzo verso la fermata.
Eccolo lì, Daniele! Fermo in attesa, con quella sua solita aria tranquilla
e un po' svagata, talmente immerso nei suoi pensieri che sobbalza quando
mi fermo di botto e lo saluto con uno stentoreo: "Ciao!"
"Ciao," mi risponde ma ha negli occhi un'aria cosi piena di domande che mi
pare che la sua testa sia circondata da un'aureola di punti interrogativi.
È il momento per me di mostrare che non sono fatto di semolino andato a
male, perciò gli pianto addosso uno sguardo intrepido e gli dico senza
nemmeno respirare.
"Ti devo parlare, Daniele, subito, è importante. Ti do un passaggio fino a
casa, così almeno possiamo discutere tranquillamente, ok?"
E prima che possa dire anche solo una parola gli allungo con gesto deciso
il casco di Matteo.
I punti interrogativi intorno alla sua testa riccioluta sembrano essere
aumentati di numero e forse stanno anche cominciando a brillare ad
intermittenza. Ma improvvisamente il suo viso sembra rilassarsi.
"Va bene," dice e senza aggiungere altro sale sul mio scooter. "Vai dritto
e poi alla prima traversa gira a destra. Devi seguire tutta la Vittorio
Emanuele, ti dico io quando devi svoltare di nuovo."
Io non posso rispondere, perché appena ho sentito le sue braccia
circondarmi la vita il mio cervello ha fatto definitivamente tilt.
Fortunatamente riesco a mantenere la prontezza di spirito per ingranare e
partire via. E meno male che lui non si accorge del mio stato d'animo, se
solo infatti ne fosse appena cosciente si renderebbe conto che stiamo
rischiando entrambi la vita su questo trabiccolo che sembra voler sfuggire
ogni momento alle mie mani sudate. Cerco disperatamente di concentrarmi
sulla guida e di non pensare alle sue dita calde aggrappate al mio
giubbotto, ma non so nemmeno come faccia a non sbandare quando sento le
sue labbra vicino al mio orecchio che mi sussurrano dolcemente:
"Alla prossima devi svoltare a sinistra e poi, appena vedi un gruppo di
case gialle, ti fermi."
Il suo alito mi sta accarezzando il collo in un modo così sensuale che ho
la pelle d'oca dappertutto, persino alla base della nuca sento i capelli
che si drizzano leggermente. Senza contare che sono consapevole in modo
quasi doloroso di ogni punto del suo corpo che sta aderendo al mio. Il suo
petto che preme contro le mie spalle e le gambe che sono appoggiate
lievemente alle mie cosce, ogni singolo centimetro di carne mi trasmette
un calore che si trasforma in un formicolio pericoloso... troppo
pericoloso... porca paletta, non sto mica avendo un orgasmo sul motorino,
vero? Oddio no, sarebbe davvero la fine!!!
Ma cosa c'è in Daniele per farmi quest'effetto? Quale miracolo è questo
che ci siano persone con le quali non puoi entrare in contatto, neanche
casualmente, neanche innocentemente, senza provare quest'eccitazione
folle, che prima che dal corpo sembra partire direttamente dal cuore? Me
lo dicevano, ed io non ci credevo, non ci ho mai creduto, perché mai prima
d'ora ho sentito niente di simile e se non si prova sulla propria pelle è
inammissibile persuadersi che possa accadere una cosa come questa,
assurda, misteriosa, impossibile da spiegare o da concepire.
È così perciò che ci si innamora, senza ragione, senza motivo, contro ogni
logica ed evidenza. Malgrado noi stessi, malgrado tutto. Fa persino paura
questa cosa ignota ed incontrollabile, come una fame oscura e potente, che
ti si annida dentro le viscere e ti riempie di una voglia più grande di
te. Fa paura e fa venire anche le lacrime agli occhi, perché è bellissimo,
dio santo, bellissimo... cos'altro si può dire se non che è bellissimo?
Continua...
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