Il vantaggio di scrivere cose semplice è che in realtà si scrivono da sole. Ecco perciò il secondo capitolo di questo raccontino senza pretese. Spero solo di divertire e di fare amare un po’ i miei cuccioli. Non chiedo altro..


Primo amore 

parte II

di Petra


In attesa che suoni la campana, ce ne stiamo in cinque o sei appollaiati in varie posizione sul banco di Davide, a confabulare fitto fitto. Anzi, per essere precisi io ci sto proprio seduto sopra al suddetto banco e con un foglio di carta sulle gambe e una penna in mano, sembro un generale alle grande manovre, circondato dal suo stato maggiore. Ma non c’è nessun arcano, non stiamo preparando alcun piano per impadronirci del mondo, io e i miei amici, non ancora, perlomeno. Il nostro atteggiamento da cospiratori si spiega semplicemente col fatto che ancora una volta i nostri genitori hanno rifiutato all’unisono, nemmeno si fossero messi d’accordo al momento della nostra nascita, di darci il permesso di passare il giovedì grasso in discoteca. Proprio così, anche quest’anno, nonostante siamo arrivati tutti alla veneranda età di quindici anni, ma si può essere più giurassici?
Comunque, dato che, come si sa, le difficoltà aguzzano l’ingegno, abbiamo pensato di organizzarcela da noi una megafesta di carnevale. L’idea a dire il vero è di Eliana, la migliore delle mitiche, che con un atto di generosità inaudita ci ha messo a disposizione il salotto di casa sua, a patto che la aiutiamo ad preparare ogni cosa. Ecco perché adesso noi, gli scorbutici al completo, ce ne stiamo qui a fare piani d’attacco per oggi pomeriggio.
Il tutto, a raccontarlo con ordine, è cominciato due anni fa, quando, giunti alle soglie delle superiori, depressi dalla constatazione che a giudicare dalla mentalità dei nostri genitori, nessuno di noi avrebbe messo piede in una discoteca prima dei trent’anni, abbiamo fatto una colletta e con estremo sacrificio, abbiamo acquistato un intero set di luci psichedeliche. Esatto, proprio come quelle delle discoteche, anche se un po’ in piccolo, a dire il vero, visto che Il tutto alla fine si riduce a cinque faretti di vari colori e ad una centralina, che poi altro non è che quella scatoletta che serve a regolare l’intermittenza. Che cosa ce ne facciamo? Ma servono come la manna, questi arnesi, se vogliamo rendere più intime le nostre festicciole, perché mica è piacevole strusciarti in un lento mozzafiato ad una ragazza carina, magari proprio quella che ti piace da un sacco di tempo, se hai sparata addosso una lampada fissa da 100 watt.
Ebbene, da quel lontano momento, la voce si è diffusa a macchia d’olio, tanto quanto basta per rendere il mio gruppazzo famoso in tutta la scuola, anzi in tutta la città direi, al punto che ogni qualvolta ad un povero minore, afflitto da genitori troppo apprensivi, viene voglia di dare una festa figa, chiama noi, gli scorbutici dell’istituto Garibaldi, ed in cambio di un invito, prezzo troppo modico a mio parere, noi gli trasformiamo il suo banale appartamento in una minidiscoteca. Nel corso di questi due anni, ogni tanto qualche faretto è passato a miglior vita, ma non è un problema sostituirlo, anzi è roba da pochi soldi. Peggio sarebbe se dovesse succedere qualcosa alla centralina, che è un marchingegno parecchio delicato e costoso. Per questo motivo, me ne sono impossessato con la forza, autoeleggendomi suo custode ufficiale, e tutto sommato gli altri sono d’accordo, perché lo sanno bene quanto sono pignolo in certe cose. Insomma, i miei coetanei si fidano di me, e se mio padre sapesse una cosa simile sgranerebbe quei suoi occhi - occhialuti per l’inaudita sorpresa.
In questo preciso momento, prima che le lezioni interrompano una seduta tanto rilevante, mi accingo a distribuire i compiti per oggi pomeriggio. Prima di tutto qualcuno deve portare a casa di Eliana i faretti (Davide e il suo gemello Luca, sono i più adatti visto che sono in due), qualcun altro (cioè, io) si occuperà della centralina, Luigi (che ha il padre che si guadagna la pagnotta con una bella ferramenta) porta i fili elettrici, il nastro isolante, pinze e cacciaviti. E con questo le luci sono a posto, passiamo ad occuparci della musica. Matteo non si deve dimenticare le casse, quelle potenti che rintronano come una vera discoteca, (suo padre lo può accompagnare con la macchina? Sì, può, meno male). Daniele, invece, ha detto alle mitiche che avrebbe procurato della musica da schianto.
Frase innocentissima questa, non è vero? Eppure basta che pronunci quel nome che già sento le orecchie friggermi. Lo so che ho deciso di dare retta a zio Manuel e di affrontare il mio compagno una volta per tutte, ma mi ci vuole anche un po’ di tempo per abituarmi all’idea, cavolo! In fondo, mancano ben due anni e mezzo agli esami di stato. Chi lo sa? forse nel frattempo, crescendo e maturando… ce la farò a fare un discorso coerente davanti a lui, anche se mi fissa con quei suoi occhi da infarto. Però l’idea di trascorrere i restanti anni della mia vita scolastica nel dubbio amletico di essere o non essere gay, mi rimescola in maniera strana la zona corrispondente al plesso solare.
Certo è assurdo che uno sia confuso fino a questo punto su una cosa simile, ma è un dato di fatto che a me non piacciono tutti maschi, o a quest’ora il problema neanche si sarebbe posto. Cioè, magari ne avrei avuti ben altri di problemi, ma non certo quello di capire che cavolo sta succedendo dentro ai miei sogni erotici di quindicenne allupato. Il punto è, che se solo penso di fare con uno qualsiasi dei miei compagni quello che di notte m’immagino di fare con Daniele, mi viene la pelle d’oca. E non è che lui sia il più bello in assoluto, no no. C’è Massimo per esempio che è davvero un bel ragazzo, il più bello della scuola, dicono. È alto, con le gambe lunghe e le spalle larghe. Ha gli occhi di un bel verde, le labbra carnose e un naso perfetto. Eppure neanche ci penso alla possibilità di sfiorarlo, né ci ho mai pensato. Mentre con Daniele…
Ecco, come il lupo della fiaba, proprio, mentre sto pensando a lui, l’oggetto dei miei sogni perversi entra in classe. Lo vedo avanzare tranquillo, con quel suo solito passo indolente, trascinandosi appresso l’invicta ridotto ad uno stato pietoso, muovendo quelle gambe snelle, fasciate dentro un paio di jeans sbiaditi e pieni di strappi in alcuni punti strategici. Sbav! Sono nei guai, lo so, e non posso farci niente!
Continuo a seguirlo con la coda dell’occhio, mentre si dirige dritto di filato verso il gruppo delle mitiche, e comincia a chiacchierare con loro, allegro come un fringuello a maggio. Sì, perché la parte femminile dei miei compagni lo ha accolto fin dal primo momento a braccia aperte, questo asino ripetente, e mentre noi coglioni stavamo ancora lì a rigirarci nel nostro imbarazzo, loro lo avevano già inglobato tutto d’un pezzo, eleggendolo come beniamino e confidente.
Le donne! Sono fatte così, non c’è niente da fare, l’ambiguità sessuale le incuriosisce e le diverte. Ne avessi conosciuta una di ragazza che si fa appena l’un per cento dei problemi che ci facciamo noi maschi di fronte all’omosessualità. Be’, almeno questo è consolante: semmai dovessi scoprire che sono davvero gay, perlomeno le amiche non le perdo, sicuro come la morte. Anzi, già mi immagino, tutto contento, le coccole che mi faranno per consolarmi.
“Ehi, Daniele, vieni qui un momento,” mi urla nell’orecchio quel cafone di Matteo, che è vero, nemmeno s’immagina come il mio cuore stia facendo mille capovolte al solo vedere il soprannominato ragazzo staccarsi dalle mitiche e venire verso di noi col suo sorriso sereno stampato sulla sua bella faccia. No, nemmeno se lo immagina, ma questo non lo scagiona affatto, perché un amico certe cose le dovrebbe sentire per istinto, a livello di subconscio, oserei dire, se avesse appena appena un po’ di sensibilità, ma lui niente, duro come una cocuzza.
Intanto le mie gambe si stanno mettendo in moto da sole, lo giuro, non sto cercando scuse. Man mano che Daniele si avvicina quelle fanno dietrofront ed io mi ritrovo a rinculare, passo a passo, come uno stupido gambero, fino a ritrovarmi seduto al mio posto.
Ma si può essere più idioti? Mi viene quasi da piangere a vederlo parlare tranquillo con gli altri, che gli danno appuntamento per oggi pomeriggio a casa di Eliana come se fosse la cosa più naturale di questo mondo (e lo è, cazzo, lo è!), mentre io per darmi almeno una parvenza boia di contegno sono costretto a ficcare il naso dentro al libro di matematica. Ma preferisco tutti pensino che sono un secchione di merda, piuttosto che si accorgano di come mi tremano le gambe. Porca paletta.

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Le persone che non fanno parte del mio gruppo si chiedono chi diavolo ce lo faccia fare ad ogni festa e festicciola di sgobbare per un intero pomeriggio intorno a fili elettrici, nastri isolanti e cacciaviti. Credono, gli idioti, che sia chissà quale fatica, e si ritengono fortunati di starsene a casetta loro, mentre noi sgobbiamo, per poi godersi freschi freschi i frutti del nostro sudore. Che coglioni! Neanche li sfiora l’idea che questa è la parte più divertente di tutto l’ambaradan. Sul serio, lo è! Ci ritroviamo il pomeriggio, vestiti come ci capita, con arnesi da lavoratori incalliti a traccheggiare intorno a questa roba, che deve essere trattata con delicatezza e davvero ci vuole impegno e precisione. Ma chi la immagina la soddisfazione di fronte ad un lavoro ben fatto? Senza contare che si scherza insieme, si provano i cd, si fanno commenti e battute e poi di solito anche le mitiche ci raggiungono. Ci portano gentili gentili (in altre occasioni ce lo possiamo sognare) bicchieroni di coca cola, merendine e biscotti, mentre ce la spassiamo a ridere e a provare i passi dell’ultimo latino – americano, tutti insieme, anche i più imbranati, quelli che durante la festa vera e propria neanche se lo sognano di ballare. Sono simpatiche le ragazze quando sono così, sciolte e amichevoli, che non c’è l’ombra di un anelito erotico che si aggira per l’aria, ma semplicemente si sta insieme per far sì che una cosa riesca nel migliore dei modi. Sì, non c’è che dire, sentirsi una squadra è una delle cose che meglio rinsaldano l’amicizia.
E a proposito di squadra, in questo momento devo dire che le parti sono distribuite con la precisione di un orologio ed ognuno sta facendo il suo lavoro, alla perfezione. Eliana prepara il pane con la nutella, due delle mitiche insegnano il meneito a Matteo, Davide e Luca stanno litigando come il loro solito, tirandosi addosso per dispetto una quantità di viti e chiodi. E dulcis in fundo io con Marilena e Giulia (altre due mitiche) chiacchieriamo allegramente, mentre aspettiamo che sia pronta la merenda.
“Marco vai ad aprire la porta per piacere?” Mi dice Eliana, facendo capolino dalla cucina.
“Uh, uh,” dico io, che non riesco a negare niente ad una donna che si accinge a nutrirmi di cioccolata nera, fusa e profumata.
E così lascio il salotto canticchiando il motivetto del mentito e, aperto l’uscio, mi ritrovo davanti Daniele, inzaccherato da capo a piedi, che si pulisce le scarpe sul tappetino dell’ingresso. Scommetto che lui nemmeno se lo immagina quanto è bello, in questo momento, con le ciocche di capelli umide, appiccicate al viso arrossato dal freddo e le goccioline rapprese tra le ciglia, che luccicano invitanti. Ed io, lo giuro su Schumacher, fermo immobile sulla porta ho una visione. Fiori e luci a profusione, nastri colorati e palline sbrillucicanti ovunque. E poi dicono che gli shoujo sono robaccia esagerata, buona solo per ragazzine sdolcinate! Sono fin troppo realistici, invece, e in questo momento ne ho una prova lampante.
“… piove,” mi sta dicendo lui, a mo’ di saluto, “Spero di non essere in ritardo.”
Inghiotto un grumo di saliva e scuoto la testa. Restiamo a guardarci in faccia, lui con espressione sempre più perplessa, ed io che… bo’, che ne so che espressione ho io. Spero non troppo da imbecille, ma non ci giurerei.
“Posso entrare?” mi chiede con una sfumatura ironica nella voce. Scatto di lato, come se mi avesse punto uno spillo e lascio che mi passi vicino, mentre entra nell’appartamento. Il suo odore, a dire il vero delizioso, mi colpisce come una mazzata… shampoo e pioggia, mescolati insieme ad un sentore fresco come di menta. Chanel, vatti a fare una sega!

Daniele viene accolto con un urlo di giubilo da tutte le mitiche all’unisono. Lui le saluta con un democratico bacio a testa e poi comincia a frugare dentro quel suo invicta che ha tutta l’apparenza di un residuato, passato, pesto e contuso, attraverso almeno tre guerre, e tira fuori una decina di CD. Davide se ne impadronisce per primo e mentre legge le etichette si esibisce in una sorta di danza di guerra.
“Ehi, guardate che roba” ulula rapito, “Techno, house, disco anni 70, underground e persino salsa. Ma cosa fai di mestiere, il dj?”
Lui si schernisce in modo così amabile che mi viene voglia di abbracciarlo (anche se, ora che ci penso, io ho sempre voglia di abbracciarlo).
“C’è musica per almeno tre feste.” Esclama Matteo, mentre infila uno dei cd nello stereo. Un suono dal ritmo martellante
si diffonde subito nell’ambiente, rimbombando cupo sulla tappezzeria del salotto.
“Bello!!!!” mugola Davide, “Impazzisco per questo pezzo. Alza un po’ il volume, Mat,’” e Matteo non se lo fa ripetere, ma da quel solito orso che è, esagera, e in men che non si dica l’intero stabile vibra pericolosamente, investito da un’onda d’urto di mille decibel.
Tutta la banda al completo si lancia a ballare, tutti tranne me e Daniele, che restiamo un po’ basiti a guardare quegli esagitati, dimenarsi come se li avesse colpiti la terzana. Ma questo momento di consonanza dura poco, Eliana afferra Daniele per la mano e lo trascina in pista, e mica deve metterci troppo impegno a convincerlo, perché dopo solo un attimo di incertezza, quello è già in mezzo agli altri a contorcersi come un boa constrictor. Io invece rimango fermo e immobile come una statua di sale, mentre lo osservo affascinato. Si muove bene, Daniele, anche ballare sa il maledetto, con movimenti eleganti, forse un po’ troppo sinuosi per un ragazzo, ma per niente ridicoli. Anzi, direi che non mi è mai sembrato così… sexy. Dio! Mi rendo conto che se rimango qui a guardarlo per un altro secondo non rispondo delle azioni di quel coso che ho dentro i pantaloni. Mi manca solo di avere un’erezione qui davanti a tutti e le mitiche come minimo mi prendono per il culo per i prossimi vent’anni. Faccio un dietrofront e batto in ritirata strategica verso le retrovie, che in questo caso hanno la forma e l’apparenza della cucina di Eliana.
Appena varco la soglia mi fermo esterrefatto e subito la bava comincia a colarmi giù dal mento. Sul bel tavolo rotondo, insieme ad un vaso pieno di inutili fiori e altre chincaglierie simili, troneggia un vassoio ricolmo di fette di pane con la nutella. Alzo gli occhi al cielo sconsolato. Chi può essere così babbeo da abbandonare qui tutta questa grazia divina solo per mettersi a ballare? Be’, io no di sicuro, anzi, evitando di pormi altri inutili quesiti, mi avvicino al tavolo, prendo sicuro e definitivo possesso di una sedia e comincio a mangiare a quattro palmenti.
Ma si sa, la felicità non è fatta per l’uomo. Da quando Adamo, irretito da Eva, si ingozzò di mele, a noi poveri esseri caduti nel peccato è preclusa ogni possibilità di pace e tranquillità. Sì, lo sanno tutti, ma è una lezione difficile da digerire, soprattutto se si hanno quindici anni e la coscienza pulita riguardo a serpenti e mele. Comunque non faccio in tempo a dare un morso alla terza fetta che dalla porta fa capolino la testa di Daniele.
“Ehi, ma qui si mangia,” giubila l’ingordo. E senza darmi il tempo di dire né a né ba, entra, si siede, afferra una fetta di pane e si mette a mangiare davanti ai miei occhi increduli. Proprio così, increduli, perché basta che spalanchi la bocca e cominci a dare morsi al pane con quei piccoli denti bianchi, che la mia mente parte per la tangente e inizia a chiedersi come sarebbe se… se addentasse così il mio collo, invece. Scaccio quell’immagine, cercando di concentrarmi solo sullo strato di nutella che sto ingurgitando, ma ammetto di non averne più tanta voglia, è come se un nodo si fosse fermato in mezzo alla gola e mi impedisse di mandare giù il boccone. Lui invece mangia di gusto, il maligno essere, e non gli basta provocarmi in quel modo subdolo, gli viene pure in mente di cominciare una conversazione col sottoscritto, senza rendersi conto che il poverino è bloccato da un’improvvisa paresi alla mandibola.
“Ti sono venuti gli esercizio di matematica?” mi chiede tra un morso e l’altro.
Venuti? Anche gli esercizi di matematica vengono? E ci credo! se li fa lui, con le sue manine, vengono di certo. Mi rendo conto dalla faccia che sta facendo Daniele che si aspetta da me una risposta e non sono così obnubilato da non capire che è meglio sia sensata. Cos mi schiarisco la gola con un terribile rumore di grattugia e rispondo ansimando.
“Q- quasi tutti. Due non sono riuscito a ri- solverli.”
“Accidenti, beato te. Io al contrario ne ho risolti solo due.”
Ecco questo è uno di quei momenti che la divina provvidenza mette davanti ai deboli e agli offesi, per dare una svolta ad un’esistenza grama, sempre che il debole e offeso se ne accorga e sappia approfittarne, naturalmente. Lo so, che dovrei cogliere la palla al balzo e offrirmi di aiutarlo, ma al solo pensiero di noi due chiusi da soli in una stanza, chinati sullo stesso quaderno, magari col suo fiato che mi accarezza delicatamente il collo, io non ce la faccio a profferire verbo e rimango lì zitto a fissarlo come un baccalà.
Daniele mi lancia un altro dei suoi sguardi perplessi.
“Senti, Marco,” mi dice “E’ un po’ che volevo parlarti di una cosa, ma tu forse hai qualche problema con me?”
Chi iooooooo? Io qualche problema, ma sei matto? No, sono i miei ormoni che hanno un sacco di problemi con te. E non è colpa loro, è colpa tua che sei così… così delizioso, ecco la parola giusta, delizioso come una torta alla panna. Avanti fatti assaggiare, Daniele.
“Ehi ma qui stanno mangiando,” la voce di Matteo mi trapana i timpani e mi fa fare un salto di due metri verso il soffitto. In meno di un secondo, come rispondendo ad un richiamo ancestrale, tutti gli scorbutici e le mitiche al completo si fondano in cucina a strafogarsi di pane e cioccolata e in breve, come avviene sempre in questi casi, la situazione degenera. Eliana comincia a tirare fuori dal frigo lattine su lattine di coca cola e sprite, poi lesta come un furetto spalanca un numero considerevole di sportelli e ci inonda di merendine alla mela, alla nocciola, al cioccolato, al latte, alla vaniglia, al tiramisù, al caffè… vabbe’ per farla breve, ci ingozziamo come maiali, e nonostante le mandibole occupate a masticare, riusciamo lo stesso a fare un chiasso d’inferno. Insomma, non c’è verso in quel baccano di parlare a Daniele di torte alla panna.










Usciamo da casa di Eliana che è già buio, la strada umida di pioggia è illuminata dai lampioni e dalle vetrine dei negozi. C’è odore di buono nell’aria, di pioggia e nebbia, come solo certe serate di inverno riescono ad avere. Mi attardo un attimo a salutare i ragazzi e poi salgo sullo scooter.
“Marco, me lo dai un passaggio?” mi chiede Giancarlo.
“Sei scemo,” gli dico, “Sei senza casco. Se becchiamo una multa mio padre mi sequestra lo scooter per tutta l’estate.”
Lui fa una faccia afflitta.
“Come cavolo torno a casa, io, adesso?” piagnucola.
“Prendi un autobus, no? C’è la fermata proprio qui di fronte.”
Gli suggerisco impietoso.
“Ma fa freddo e mi sa che sta per piovere,”
“Te lo do io, un passaggio, Giancarlo, non preoccuparti. Puoi mettere il casco di Giulia,” interviene Matteo risolvendo la situazione.
Meno male, non mi andava affatto di fare altra strada al freddo ed umido per accompagnarlo. D’accordo l’amicizia, ma davvero sono a pezzi e non vedo l’ora di essere al calduccio in camera mia, a friggermi il cervello davanti al televisore. Scusa sul serio Davide, non te la prendere, sarà per la prossima volta. Ingrano la marcia e parto sgommando, come il deficiente che so perfettamente di essere, ma che posso farci? non ci resisto proprio a non fare il pagliaccio. Sarà un virus che ti becchi a quindici anni.
Non faccio nemmeno cento metri che una certa cosa attrae la mia attenzione. Pianto una frenata netta, così stridula che la gente sotto la pensilina davanti alla quale mi sono fermato di botto, sobbalza. Scorgo sguardi omicidi in più di un volto, ma non me ne curo. Ho occhi solo per lui, Daniele, che evidentemente sta aspettando l’autobus, poverino, con questo freddo e tutta questa umidità.
“Vuoi un passaggio?” gli chiedo, speranzoso di terminare un certo discorso interrotto, quello, per intenderci, che lo vedeva paragonato ad una torta alla panna.
Lui, sorride e scuote la testa.
“Grazie, ma è meglio di no, sono senza casco.”
“Ma non ti preoccupare,” lo rassicuro, “Non è un problema, tanto le multe le paga mio padre.” Certo che le paga lui, ma solo dopo avermi sequestrato lo scooter per sei mesi almeno, però.
Lui ride, ma scuote di nuovo la testa riccioluta.
“E meglio di no, davvero. Se mio padre viene a sapere che vado su un motorino senza casco mi stronca. Comunque, grazie, sei davvero gentile, non me l’aspettavo.”
In che senso non se lo aspettava, mi chiedo frastornato.
“Perché no, scusa?”
“Così,” risponde stringendosi nelle spalle e dondolando avanti ed indietro l’invicta, che proprio non ne può più. Poi, evidentemente non soddisfatto nemmeno lui di quella risposta senza capo né coda, mi punta in faccia gli occhi seri seri.
“Posso farti una domanda Marco?” mi dice e le guance gli si colorano un po’.
“Certo.” rispondo io, tutto quello che vuoi, aggiungo nella mia mente.
“Non è che non ti piacciano i gay, per caso?”
Cosa? Cosa? Cosa? Devo avere qualche problema d’udito, primo segno di artereosclerosi, dicono.
“A me??? Ma che dici? Come ti viene in mente?”
“Scusa, ma il fatto è che sembri sempre così in imbarazzo quando ci sono io. Ho pensato che forse è perché sono omosessuale.”
“Ma… ma.. ma…?”
“Oddio, il mio autobus…” esclama “Vabbe’, ne parliamo un’altra volta, d’accordo?”
Mi fa ciao ciao con la manina e salta su quel brutto coso arancione, lasciandomi lì sulla strada, a fissare il traffico che scorre, come un perfetto deficiente.
Continua….

Noticina finale: magari state pensando che questa trovata del set di luci psichedeliche sia una vera cretinata, ma vi assicuro invece che è l’unica cosa vera di tutto il racconto. Voglio dire che quando avevo quindici anni è successo davvero che io e i miei amici ci siamo comperati quelle cose che vi ho descritto. E vi assicuro che davvero la parte più divertente di ogni festa che organizzavamo stava nel montarle. Se penso alle risate, alle scorpacciate e a tante cose di quei pomeriggi passati a “lavorare”, quasi mi commuovo… ehi, non guardatemi storto, ho detto quasi.


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