Pretty guy

parte II

di Sei-chan



 

- Oh, questo è troppo pesante, non ti servirà. Fa ancora abbastanza caldino, non è freddo come qui da noi- ripeté Jordan per l’ennesima volta, appoggiando un cappotto molto elegante.

- Ma perché, dove andiamo? Sull’equatore?- sbottò Danny, spazientito come i commessi per le centinaia di abiti che Jordan aveva fatto passare e ripassare.

- In Italia. Nonno ha una villa in Toscana-.

Danny restò a bocca aperta. In Italia…! E lui che credeva non sarebbe andato più lontano del New Jersey!

- Ti piacerà la Toscana, vedrai- continuò Jordan.

Uscirono dall’ultimo negozio di vestiti seguiti da commessi carichi di borse. L’auto già straripava, Danny aveva male ai piedi e dalla carta di credito di Jordan dovevano essere usciti quasi tutti i cinquemila dollari che gli aveva promesso.

- Non stiamo comperando troppe cose?- chiese Danny, guardando la montagna di borse che sembrava dover volare via da un momento all’altro.

- I miei parenti sono molto esigenti. Esigono cambi d’abito per il pranzo e per la cena-.

- Non voglio che tu spenda troppi soldi. Me li toglierai dai soldi che mi darai, vero?-

- Se lo facessi saresti tu a dovermi rifondere, tesoro! Avanti, lasciami spendere il mio denaro come voglio! Non è facile accumularne tanto da non sapere che farne. E poi mi diverto; sono sicuro che ne vale la pena. Bene, adesso dobbiamo pensare agli accessori. Devi essere impeccabile... sai, mi detestano anche perché rispetto la loro etichetta meglio di loro-.

Mentre sceglievano scarpe e cravatte, Jordan gli raccontò che la sua famiglia era una di quelle che contano fin dalla notte dei tempi. Il nonno di suo nonno, o qualcosa del genere, era un grosso proprietario terriero, e aveva fatto fortuna con il legname e l’allevamento; i suoi discendenti erano stati così abili da accrescere e far lievitare gli affari, e ora il loro nome era uno dei più conosciuti. Tutti i patriarchi avevano tenuto sempre al buon comportamento e all’educazione, ed il nonno di Jordan non faceva eccezione. Esigeva che i nipoti fossero bene educati a tavola, che gli uomini si alzassero quando una signora se ne andava, e cose del genere. Chi rompeva le regole della buona società era escluso dai diritti di famiglia.

- Ma… e allora tu? Scusami, ma mi hai detto che non ti disapprova perché sei gay…-

- Ti ho detto che lui è molto aperto di mente, no? Lui mi conosce; io rispetto la sua autorità, l’etichetta, e non ho mai creato uno scandalo in vita mia. Lavoro, spendo il mio denaro come mi piace ma non ho mai fatto nulla che creasse disordine… lui lo sa, e sa che sto bene con me stesso. Non sarei la stessa persona se lo tenessi nascosto, e lui sa badare alla sostanza più che all’apparenza, al contrario dei suoi figli. Molti di loro fingono di rispettarlo e lo odiano in segreto; molti di loro vanno a letto con le segretarie e credono di ripulirsi scostando la sedia delle loro mogli a tavola!-

Jordan improvvisamente dilatò le narici come se si stesse infuriando; ma un attimo dopo aveva già ritrovato la calma e l’aveva spinto in un negozio di scarpe. Gli comprò un sacco di roba e caricarono ulteriormente la macchina, tanto che fecero una sosta in albergo prima di passare al negozio successivo. I commessi dell’albergo portarono su le borse e le scatole nella suite senza dire una sola parola, ma Danny avrebbe giurato che fra loro avrebbero discusso del nuovo mantenuto dell’ospite della 1562, e si chiese se era l’unico o se c’era qualcun altro… Jordan gli aveva chiesto se aveva un ragazzo, ma lui non gli aveva ripetuto la domanda. Forse non credeva che dovesse interessargli, per una notte di sesso a pagamento. Ma se lo portava in Italia forse non ce l’aveva… o forse lo teneva separato dalla sua famiglia, se i rapporti con i suoi parenti erano così tesi…

- A che pensi?- chiese Jordan vedendolo assorto.

- A… a niente…- rispose precipitosamente Danny, confuso. - Tu… tu per caso… voglio dire, hai un ragazzo? Un… compagno?-

Jordan rise, come se si aspettasse da un pezzo quella domanda e avesse già pensato alla risposta. - Credi che se l’avessi non lo porterei con me al posto tuo? Senza nessuna offesa, credimi-.

Danny annuì ed abbassò lo sguardo. Sapeva di essere un misero ripiego, in ogni caso, d’altra parte cos’altro è una puttana? E lui a questa sensazione c’era abituato.

- Bene!- disse Jordan accendendo la macchina dopo aver visitato un altro negozio di scarpe e una gioielleria. Gli aveva comperato non meno di cinque orologi, e gli aveva spiegato che ogni momento della giornata ne richiedeva uno: c’era quello per il giorno, quello per la sera, da taschino, quello per giocare a tennis ( “Ma io non so giocare a tennis!” “ A chi vuoi che importi, l’essenziale è che tu abbia l’abbigliamento giusto!”), quello per andare in barca e quello con il cinturino di metallo, di cui Danny non aveva capito la funzione. - Ora non ci resta che andare a comperarti delle valigie!-

- Valigie?-                       

- Ma certo, non vorrai portare in Italia tutte quelle cose in braccio, spero!-

Danny annuì perplesso. Jordan lo stava rivestendo da capo a piedi spendendo un capitale, ma sembrava felice come un bambino con le dita nella marmellata. Danny si chiese se avrebbe potuto tenere quelle cose anche finito il suo incarico, ma scacciò quel pensiero interessato sventolando una mano davanti al viso.

- Che c’è?- chiese Jordan, ma Danny fece finta di non sentire. Nella valigeria comperarono il set più costoso che c’era, anche se Danny aveva cercato di convincerlo che preferiva i gran lunga un altro set, più economico.

- Sciocchezze!- aveva tagliato corto Jordan. - Queste sono più resistenti, e sono molto più spaziose. In quelle non ci starebbe mai la tua roba!-

Danny colse su di sé gli sguardi di due commessi che si affrettarono a voltare gli occhi, mentre Jordan era andato alla cassa a pagare. Tutti in quel negozi chiamavano Jordan per nome, e Danny arrossì nuovo pensando ai commenti su di lui. Il mantenuto di Jordan, ecco cosa avrebbero pensato. Il suo amichetto; be’, dopotutto che male c’era? Che male faceva? Perché si vergognava di quello e non del fatto che fino alla sera prima si era mantenuto prostituendosi per strada? Oh, si vergognava anche di quello…

- Bene! Credo di aver preso lo stretto necessario, eh? Certo, se avessimo avuto più tempo avrei guardato anche in altri negozi!- rise Jordan strizzandogli l’occhio, cercando un posto per posare entrambi i piedi in mezzo a quel putiferio di scatole, buste e pacchetti.

- Perché, quando partiamo?- ribatté Danny perplesso, vedendo il completo grigio che avevano preso da Gucci misteriosamente sdoppiato: nella busta ce n’erano due. - Guarda qui, hanno sbagliato… ce ne sono due…-

- Uno è per me, sciocco! E comunque, per rispondere alla tua domanda, credo che dovremo essere lì per domani sera-.

- Oh, così presto?-

- È quello che ho detto. Non preoccuparti, vedrai, prima si inizia e prima si finisce. Che faccio portare su per cena? O preferisci uscire?-

- Come vuoi tu-.

- Io ho voglia di hamburger-.

- Va bene-.

- Preferisci fare prima un bagno?-

- Non è necessario, anzi, se lo vuoi fare tu…-

- Io me lo faccio dopo. Il bagnoschiuma è in uno dei ripiani dello specchio, scegli tu quello che preferisci-.

- Ok-.

Danny fece scorrere l’acqua, aggiunse il bagnoschiuma e si spogliò, attendendo che la vasca si riempisse. Si guardò allo specchio e pensò a Ken. I lividi sulla sua faccia stavano scomparendo; o forse era una sua impressione, forse era naturale che sembrassero meno evidenti nella suite di un albergo a cinque stelle, con migliaia di abiti carissimi al di là della parete e… avrebbe voluto pensare “un compagno straricco e per di più innamorato”. Be’, probabilmente Jordan non lo considerava più che uno dei suoi segretari, o l’autista che guidava la limousine di rappresentanza… proprio come Ken, che lo considerava un suo impiegato, un suo sottoposto… e probabilmente anche per lui non era altro che quello.

Si immerse nell’acqua bollente. Non doveva permettere ai suoi pensieri di andare molto lontano. Le illusioni erano pericolose, e l’aveva sperimentato nella sua vita con Ken. Quando l’aveva conosciuto erano state scintille, e si era illuso che la sua vita sarebbe cambiata: un compagno innamorato, un appartamento insieme, magari anche un lavoro decente, non dover più battere… e invece era andato tutto al contrario… non sapeva più cos’era godere del sesso. Per lui era diventato solo un dovere, un lavoro…

- Danny?- Jordan bussò alla porta del bagno, e Danny si riscosse.

- Che c’è?- disse con voce titubante. Si era preso un colpo, altroché, stava quasi per appisolarsi!

- Ci vuoi anche le patatine con l’hamburger? Così comincio ad ordinare-.

- Sì, grazie! Una porzione abbondante!- gridò, poi si decise ad uscire. Si scrollò i capelli gocciolando su tutto il pavimento del bagno, si mise l’accappatoio ed uscì strofinandosi la testa.

- Ah, hai finito, credevo che fossi annegato!-

- Oh, non sono stato dentro così tanto…-

- No, hai ragione. Ti donano i capelli da pulcino bagnato, sai? Senti, quando arriva su la cena bussami così esco, d’accordo? Metti pure un po’ di musica, se vuoi-.

Jordan si tolse la camicia ed entrò in bagno. Danny accese la radio, cercò la stazione che ascoltava sempre quando aveva tempo. A quell’ora c’era un programma di dediche, non era mai riuscito a prendere la linea, e anche se ci fosse riuscito, a chi avrebbe dedicato una canzone? A Ken? Il pensiero lo faceva ridere, Ken non se ne sarebbe accorto neanche se l’avesse legato e costretto ad ascoltare.

Alzò le spalle, poi afferrò il ricevitore del telefono e fece il numero senza pensarci. Una bella canzone per se stesso, e che cavolo! Aspettò speranzoso... ma come al solito non ci fu niente da fare: era occupato. Sentì il nome di ragazze che dedicavano canzoni ai fidanzati, madri che ne dedicavano ai figli, nipoti ai nonni… e per lui non c’era neanche una piccola strofa.

Il cameriere bussò alla porta. Danny mise giù il telefono, chiamò Jordan dentro il bagno, fece entrare la cena e balbettò imbarazzato che non aveva spiccioli per la mancia, ma il ragazzo non sembrò contrariato più di tanto. Jordan uscì in accappatoio, Danny arrossì ed il cameriere se ne andò, e finalmente mangiarono sul letto, riempiendolo di briciole.

Quando ebbe finito, Jordan batté le mani. - Allora, che si fa stasera?- chiese alzandosi per frugare fra gli abiti nuovi di Danny. - Usciamo? Ti va di andare a ballare? O sei stanco?-

Danny aggrottò la fronte. - No… cioè, non sono stanco… ma sei sicuro? Non dobbiamo partire presto, domani?-

- Oh, non c’è problema. L’aereo senza di noi non parte. Ho un jet privato-.

Danny rimase a bocca aperta per un minuto.

- Allora? Vuoi uscire, stasera?- rincalzò Jordan.

- Ma certo, ok, usciamo- rispose finalmente Danny, e Jordan sorrise e gli mise in mano gli abiti che aveva scelto. - Mettiti questi-.

Uscirono e andarono in una delle discoteche più in della città, una di quelle in cui Danny da solo non sarebbe entrato nemmeno dopo centomila anni di attesa. Invece il buttafuori fece passare Jordan con rispettosa deferenza nonostante la fila chilometrica dall’altra parte del cordone di velluto.

Dentro, a parte gli abiti costosi dei clienti, era esattamente uguale a qualsiasi altra discoteca della città, persino un po’ depressa, a dire il vero. Jordan scese subito in pista a ballare e Danny lo imitò, dapprima con titubanza. Jordan gli lanciava ogni tanto uno sguardo furtivo, e Danny si sentì preda di un timore incontrollato; voleva fare colpo su di lui, improvvisamente, fargli pensare che era sexy e si muoveva bene.

Ben presto dimenticò lo scorrere del tempo e si concentrò solo sulla musica. Fu svegliato dalla sua trance dalla mano di Jordan che gli batteva sulla spalla.

- Hai sete?- gli urlò in un orecchio, porgendogli un bicchiere. Danny lo ringraziò con un cenno della testa e si lasciò guidare ad un tavolino vuoto. Si concentrò sul suo drink, e quando alzò gli occhi Jordan era già tornato in pista, ma quando stava per alzarsi e seguirlo, vide che davanti a lui c’erano un ragazzo e una ragazza che, ignorandosi completamente, cercavano di ballare con lui, e Jordan lasciava guizzare lo sguardo dall’uno all’altro.

Danny si sedette di nuovo sulla panca, stringendo il bicchiere con entrambe le mani. Che si era aspettato? Non stavano mica insieme. Che era geloso a fare? Non gli doveva niente, Jordan. Poteva ballare con chiunque. La storia si ripeteva…

Sentì delle lacrime dispettose pungergli gli occhi e corse in bagno. Doveva darsi una lavata alla faccia e calmarsi, mettersi in testa che non doveva stare male per niente, e che Jordan lo stava trattando molto meglio del dovuto. Molto meglio di Ken… erano usciti solo pochissime volte; si erano conosciuti in un locale come quello, e per una volta Danny aveva fatto il ritroso: non si era lasciato trascinare nel cesso appena Ken gliel’aveva chiesto… e così aveva guadagnato un secondo appuntamento, ed un terzo; e alla fine c’era stato. Era quello che Ken voleva fin dall’inizio, e forse se gli avesse detto di sì subito, paradossalmente, la sua vita sarebbe stata migliore… uscendoci insieme aveva confessato a Ken quello che faceva per vivere, e lui l’aveva accettato, e probabilmente aveva pensato a come guadagnarci su… ed era stato l’inizio della fine. A volte si chiedeva se era davvero solo per quello che avevano vissuto insieme per tre anni… o forse solo per il suo masochismo incontenibile… e poi non erano più usciti, o quasi. Quando Ken si ricordava in ritardo di qualche ricorrenza fingeva di regalargli un’uscita, e di solito lo portava in qualche posto squallido per spendere poco…

Si strinse le braccia con le mani e sospirò. Si sciacquò la faccia e respirò profondamente. Ormai l’aveva fatto, se ne era andato e l’aveva lasciato. Doveva ricominciare, stava ricominciando. Ma… la sua nuova vita ricominciava troppo uguale a quella vecchia. Non aveva dovuto soffocare la sua gelosia mille volte quando vedeva Ken ballare con chiunque c’era in pista, ignorandolo disperatamente?

No, no, no. Jordan non gli aveva promesso nulla. Non gli aveva promesso di essergli fedele! Solo perché era stato gentile con lui… no, doveva stare calmo e fare il suo lavoro meglio possibile. Tutto qui.

Uscì dal bagno nella calura soffocante del locale. Tornò al suo tavolo e vide Jordan seduto con il suo drink.

- Stai bene?- gli chiese.

- Certo-.

- Sei sparito… credevo fossi arrabbiato-.

Danny sorrise. - No, non lo sono-.

- Vuoi andare via?-

- No-.

Jordan si guardò intorno e gli tese la mano. - Vieni-.

Danny non capì che voleva ma lo seguì senza toccarlo. Jordan portò lui e i loro due bicchieri su un divanetto rosso proprio vicino all’uscita; lì la musica arrivava bassa, e infatti la penombra era piena di coppiette che sussurravano lontano dal frastuono.

- Dimmi che c’è- disse Jordan sedendosi.

- Ti ho detto che non c’è niente- rispose Danny imbronciandosi.

- Ti ho visto. Senti…-

- No, ascoltami tu. Guarda, non mi devi alcuna spiegazione, ok? Fa’ pure quello che vuoi. Fra noi… non c’è niente, non mi devi niente, sul serio, se vuoi…-

- Se c’è qualcosa che ti turba puoi dirmelo, ok? Dimmi se ho fatto qualcosa-.

- No… non c’entri. È solo che… pensavo a delle cose passate. Ma non ti preoccupare, non ti riguardano, e non riguardano più neanche me-.

- Se… vuoi lasciar perdere tutto puoi farlo. Quando vuoi-.

- No. Quei soldi mi servono- disse Danny senza riflettere. Jordan abbassò gli occhi e giocherellò con il bicchiere.

- Ok, allora- disse dopo un istante sorridendo. - Senti, torniamo a ballare?-

Jordan gli prese la mano e lo condusse in pista, e per le ore successive ballò solo con lui. Danny si lasciò andare pensando che era sexy e che ci sapeva fare.

Tornarono all’albergo alle cinque passate. Danny era talmente stanco che sembrava ubriaco. Jordan invece più lo guardava più si sentiva sveglio, ansioso di metterlo a letto ma non per dormire.

Danny si lasciò spingere passivamente verso il letto. Jordan lo aiutò a spogliarsi ma non gli diede nulla con cui rivestirsi, poi cominciò a levarsi i vestiti a sua volta.

Jordan si chinò sulle gambe di Danny e le accarezzò, dal ginocchio in giù. Passò la mano aperta sul piede, e poi abbassò la testa e prese il suo alluce in bocca. Danny fu attraversato da una scarica elettrica che lo svegliò di colpo. Il suo stomaco si contrasse e si riempì di eccitazione sempre crescente man mano che Jordan leccava e succhiava con voluttà. Si alzò a sedere per raggiungere la sua testa, e Jordan alzò lo sguardo; lasciò il suo piede e si appoggiò al muro, invitandolo ad avvicinarsi. Danny attraversò il letto e si chinò fra le sue gambe.

Jordan comprese subito che Danny sapeva che fare, e lo faceva bene. Il suo sesso si eccitò immediatamente alle brevi carezze delle labbra di Danny, e presto Jordan si accorse di ansimare e di gemere forte, e le sue dita erano saldamente infilate nei capelli dell’altro. Quando fu sul punto di venire, gli strattonò indietro la testa con violenza, e Danny gridò andando a cadere di schiena sulle lenzuola. Jordan gli si stese sopra e venne contro il suo stomaco, con un sospiro rauco. Rimase disteso così per qualche minuto, poi si alzò a versare due bicchieri di tè freddo, porgendone uno in silenzio a Danny.

- Scusa- disse poi, come la volta precedente in cui avevano fatto l’amore.

- E perché?-

- Perdonami… ero eccitato-.

- Per lo meno sei riuscito a spogliarti, ora-.

- Sì… mi spiace, ero eccitato… mi hai eccitato al locale, e io… scusami-.

- Non preoccuparti. Io… sto bene. E poi, puoi fare quello che vuoi, con me. Chiedi pure-.

- No, è che… e poi comunque ti avevo detto che non sei costretto a fare sesso con me, no?-

- Senti, smettila di giustificarti, ok? Va tutto bene-.

- Sei sicuro? Non sei neanche venuto!-

- Non fa niente- mormorò Danny. Jordan sospirò e si infilò sotto; Danny lo seguì.

 

Quando Danny si svegliò, con la luce forte che filtrava dalle tapparelle chiuse, Jordan non era lì con lui; cominciava ad abituarsi a non trovarselo vicino al risveglio. Si alzò a sedere e lo vide in mezzo a una decina di valigie aperte, mentre andava e veniva con pile di vestiti in mano. Si accorse che si era svegliato e si fermò.

- Buongiorno! O meglio, dovrei quasi dire buon pomeriggio! Hai fame?-

- Un po’. Che fai?-

- Sto facendo le valigie. Tra qualche ora dovremmo proprio partire-.

- Aspetta, ti aiuto!-

Stivare tutte le loro cose in valigia fu un’impresa titanica; Jordan era molto meticoloso, e aveva diviso gli abiti delicati da quelli che non lo erano, le cose per la sera e per il giorno, per lo sport, per la piscina, e a Danny sembrò quasi leggermente maniacale. Alla fine però riuscirono a chiuderle tutte, chiamarono i facchini dell’albergo e le trasportarono in strada ad aspettare il taxi. Alla fine, per caricare tutto ce ne vollero due, e requisirono anche i facchini dell’aeroporto per metterle sull’aereo. Quando finalmente riuscirono a salire erano già le quattro.

- Non credo che arriveremo per cena- disse Jordan sorridendo. A bordo c’era la sua segretaria, che gli aveva portato un pacco di documenti da firmare, dopo che nei giorni precedenti si era reso quasi irreperibile.

A Danny sembrò che lo guardasse con disprezzo, anche se non ne era sicuro. Il fatto che Jordan lo portava in Italia con sé forse la rendeva gelosa? A dire il vero si sentiva un po’ di troppo, la complicità che avvertiva fra lei e Jordan gli sembrava eccessiva per un rapporto esclusivamente di lavoro. Forse Jordan l’aveva preso in giro? Voleva portarlo con sé solo per far avere un colpo a suo nonno? Non riusciva a giudicarlo, lo conosceva talmente poco…

Jordan finì di firmare i suoi documenti, la ragazza andò a sedere nel posto davanti con un laptop sulle ginocchia, e anche Jordan accese il suo. Alzò gli occhi e sorrise a Danny.

- Paura di volare?-

- No. Non credo. Non lo so…-

- Non hai mai volato prima d’ora?-

- No…è un problema?-

- No, ma vuoi un tranquillante? La mia segretaria usa delle compresse di valeriana-.

- No, no… credo che riuscirò a dormire anche senza-.

- Tu dormi sempre- rise Jordan scuotendo la testa. Anche Danny sorrise, ma non poté fare a meno di appisolarsi.

- Ehi, siamo arrivati. Danny, svegliati-. La mano di Jordan lo scosse con la consueta gentilezza. Danny si stropicciò gli occhi e vide il mondo ancora molto lontano, dal finestrino.

- Stiamo per atterrare. Tra poco scendiamo, ok? Hai dormito tutto il tempo-.

- E senza nessun farmaco- ridacchiò Danny.

All’aeroporto trovarono una macchina che li aspettava, ed un’altra che prese in consegna le loro valigie. Viaggiarono per mezz’ora nella campagna toscana e finalmente giunsero davanti alla villa.

Il vialetto era illuminato a giorno da decine di faretti, e all’ingresso c’era un gran via vai di macchine, servitori e valigie. Mentre la macchina attendeva il proprio turno per scaricare i suoi passeggeri davanti alla porta, Danny notò che Jordan stringeva forte i pugni e si torturava le labbra, ma quando il maggiordomo aprì la sua portiera, chi ne scese era il ritratto della serenità.

- Leo! Da quanto tempo, come stai? Hai perso ancora capelli, eh? Ma ti trovo bene!-

- Grazie, signorino, lei è sempre molto gentile! Spero che abbia fatto buon viaggio-.

- Certo, sai, ho un aereo comodissimo, dovresti provarlo-.

- Non credo che avverrà mai, signorino-.

- Ah, Leo, questo è Danny… il mio compagno, sarà mio ospite per tutta la settimana, ti prego di trattarlo con riguardo-.

- Buonasera, signore. La prego di rivolgersi a me per qualsiasi necessità- disse il maggiordomo inchinandosi leggermente con deferenza. Danny, sorpreso, riuscì solo a fare un cenno con la testa. Jordan se ne accorse.

- Non farti intimidire- gli disse. - È solo la prima sera, devono essere formali. Ma già domani spettegoleranno di te, vedrai-.

Danny sorrise nervosamente, mentre varcavano la soglia di un’anticamera ricolma di parenti e camerieri in uniforme.

- Elena!!!- urlò Jordan, avvicinandosi ad una donna corpulenta con una crocchia di capelli rossi, e sollevandola facilmente nonostante la sua mole. - Quanto mi sei mancata!!!-

- Jordan, brutto birbante, sei arrivato, finalmente! Lasciati guardare… oh, come sei sciupato… sei dimagrito ancora!-

- Elena, se fossi dimagrito tutte le volte che me l’hai detto ora sarei trasparente! Vieni, ti presento una persona- Jordan portò la donna vicino a Danny.

- Elena, questo è Danny, è il mio ragazzo. Danny, questa è Elena, la mia tata-.

- Piacere, signora-.

Elena acque per un momento, osservando Danny, che si sentì terribilmente a disagio. Poi sfoderò un largo sorriso. - Dimmi ragazzo, è vero che non mangia abbastanza? Io lo so che non mangia bene, non è vero?-

- Io… non saprei, signora, non…-

- Elena, avanti, non molestarlo, siamo stanchi! Danny dormirà con me nella mia stanza, d’accordo?-

- Oh, Jordan, non sapevo… scusa, Roger mi ha detto di preparare entrambe le stanze al primo piano, mi spiace…non sapevo che avreste dormito insieme, altrimenti io…-

- Non preoccuparti, Elena, non fa niente, tanto le stanze sono…-

- Jordan! Caro cugino, quanto tempo!-

Un uomo altro e magro, con i capelli biondi e un completo scuro, e con un’espressione di finta contentezza sul viso, tese la mano a Jordan, che la strinse con malcelata freddezza.

- Roger! Lupus in fabula!- disse Jordan, saettandolo con lo sguardo. - Come stai?-

- Molto bene, e tu? Vedo che sei venuto in compagnia… perché non mi presenti il tuo amichetto?-

- Lui è Danny, e non rivolgerti a lui come il mio “amichetto”-.

- Oh, bene, Danny… e ce l’ha un cognome, oppure fra voi le presentazioni non hanno importanza?-

- Roger, io…- fremette Jordan.

- Daniel Kelley, molto piacere. Roger…?- intervenne Danny, con lo stesso tono di Roger.

- Roger Connor, sono il cugino di Jordan. Strano che non ti abbia parlato di me- rispose Roger, ignorando la mano tesa di Danny. - Ora, se volete scusarmi…- disse con gentilezza untuosa, e andò a salutare altri parenti. Elena non disse nulla e condusse Danny e Jordan alle loro stanze, e poi se ne andò un po’ abbattuta. Solo quando si fu chiuso la porta alle spalle Jordan rilasciò il respiro.

- Ecco, hai conosciuto Roger. Il principale esponente del partito “ Facciamo a Jordan un elettroshock”. Per lui il fatto stesso che io venga qui ogni anno è un insulto. Ha persino proposto di votare la decisione se mandarmi in un convento a riflettere! Mi spiace per come ti ha trattato-.

- Non fa niente. Tu mi sei sembrato più offeso-.

- Può darsi, ma sentimi bene: lui è pericoloso, quindi fa’ attenzione. Se sapesse che sei una prostituta…-

- D’accordo- disse Danny abbassando gli occhi. In quelle ventiquattro ore l’aveva quasi scordato.

- Ehi! La cosa non è importante per me, sia chiaro!- Jordan li strinse le spalle.

- Ok. Grazie-.

- La tua stanza è quella di là, ma sono comunicanti, ok? Nessuno farà caso in quale letto dormiamo, ma vorrei che sembrasse che dormiamo nello stesso-.

- Per me si può anche fare-.

In quel momento bussarono alla porta. Era Elena con le loro valigie.

- Mi spiace per Roger, Jordan. È sempre così- si giustificò la donna di fronte a Danny.

- Non importa, Elena. Ormai ci sono abituato, e poi abbaia tanto, ma non morde-.

- Sarà. Il signore è stato avvertito del tuo arrivo, ma ha detto che vi incontrerete domattina, ora è stanco-.

- Lascia pure riposare il nonno. Siamo stanchi anche noi, vero, Danny? Non preoccuparti, Elena, facciamo noi con le valigie-.

Elena annuì ed andò via. - Poverina, si preoccupa per me. Mi ha praticamente allevato lei, sai?-

Danny tacque, attendendo che continuasse, cosa che però non successe. Jordan cominciò a tirare fuori le sue cose dalle valigie e a sistemarle con attenzione. Dopo un po’ si riscosse e si ricordò della sua presenza.

- Oh, scusa, Danny, che sbadato. Hai fame? Non abbiamo cenato…-

- Sì, ma io non ho particolarmente fame…-

- Se vuoi vado in cucina e porto su un paio di panini, probabilmente ci sarà anche del dolce, che ne dici?-

Danny scosse le spalle. - Come vuoi tu-.

Jordan uscì dalla stanza e Danny cominciò a sua volta a sistemare le cose nella stanza accanto. Cominciò ad accatastare sul letto i completi che aveva nella prima valigia, le scarpe, i costumi da bagno… finché non trovò l’occorrente per la doccia e la biancheria. Si infilò nel bagno e si attardò sotto l’acqua calda per un quarto d’ora, meditando sul modo di comportarsi in quella casa sconosciuta, e su che cosa avrebbe dovuto e potuto aspettarsi.

Jordan tornò su con dei panini e delle bibite.

- Ah, bene… sei già pronto per la notte?- rise. - Domani dobbiamo alzarci in tempo. Il lunedì, dopo l’arrivo, tutta la famiglia al gran completo dev’essere riunita per colazione alle dieci, quando scende il nonno, per salutarlo-.

- Tutti insieme a fare colazione?-

- Certo, il nonno deve poterci vedere con un unico colpo d’occhio. Gli altri giorni puoi fare quello che vuoi, ma non domani, è tassativo! Chi non c’è viene escluso dai festeggiamenti e rinchiuso nelle segrete!- rise Jordan, battendosi una mano sulla coscia.

- Mi scruteranno come un fenomeno da circo…?- disse debolmente Danny.

- Non importa. Te l’ho detto che il nonno è forte, vedrai-.

Danny annuì e sospirò. - Comunque, siamo abbastanza in orario, no? A che ora mi devo svegliare?-

- Se ce la facciamo per le nove, o anche un po’ più tardi… giusto per non arrivare con il fiatone! Credi di potercela fare?-

- Certo, non sono un dormiglione…-

- Certo che no!- lo canzonò Jordan.

- No, non lo sono! È che in questo periodo ero particolarmente stanco, ok?- s’imbronciò Danny, e Jordan si allungò ad accarezzargli il viso.

- Mmm, no, non ti arrabbiare… anche se sei molto sexy con le labbra tirate in questo modo…-

Danny d’impulso ritrasse il viso.

- Ok, scusa- riprese Jordan. - Non avrei dovuto farlo- sorrise a mo’ di scusa, e Danny senza una parola andò a lavarsi i denti. Poi si pentì della sua freddezza e tornò nella stanza. Si sentiva il rumore della doccia, così sedette ad aspettarlo.

Jordan uscì nudo dal bagno, strofinandosi un asciugamano sulla testa. Quando vide Danny fece un salto indietro, e tentò maldestramente di coprirsi con quell’asciugamano, ma lo fece cadere. Danny riuscì a non arrossire.

- Ehm, ciao, che ci fai qui? Credevo fossi già a letto-.

- No, non… volevo sapere.. chiederti… se vuoi fare l’amore-.

- Non era negli accordi, non sei obbligato…-

- Lo so, ma voglio saperlo lo stesso? Ne hai voglia? Io ne ho voglia-.

- Davvero?-

- Sì, anche se i desideri di una puttana non contano, no?-

- Non dirlo più-.

- Oh, è vero- disse Danny portandosi una mano alla bocca. - Non deve trapelare, giusto?- gli strizzò l’occhio.

Jordan si infilò i boxer e sedette accanto a lui. - No, non è per questo. Non voglio che tu lo dica più né che lo pensi più. Non sei una puttana, sei una persona. Dimmelo pure, se ti va… e dimmi anche quello che ti passa per la testa, quando vuoi. Io… non ti picchierò, stanne certo-.

Danny ebbe un sussulto al cuore e si tirò impercettibilmente indietro. Era una sua impressione, o… Jordan si stava riferendo a Ken? No, impossibile, lui non sapeva nemmeno…

- Che.. che intendi dire?- mormorò.

- Nulla… voglio dire che chi ti ha fatto queste ferite è solo un animale… uno che non ti merita, e che potrebbe morire…-

- Ti… ti ho detto che mi hanno scippato. È la verità-.

- Sì. Per quelle del viso, forse. Ma chi ti ha costretto a considerarti solo e soltanto una puttana dovrebbe morire-. Jordan strinse le labbra e lo guardò con decisione. Danny arrossì e distolse il viso, cercando di coprire malamente i suoi tagli. Improvvisamente, senza che riuscisse a trattenerle, due stupide lacrime spuntarono dai suoi occhi, seguite da tante, tante altre che gli bagnarono il viso come non succedeva da tantissimo tempo. Si coprì il viso con le mani cercando disperatamente di ricacciarle indietro e di nasconderle. Jordan invece gli afferrò i polsi e glieli scostò.

- Mi spiace… non volevo…- cercò di giustificarsi. Il suo sguardo era dispiaciuto e preoccupato.

- Ora… ora mi passa, scusami, solo un attimo… e poi ti faccio quello che vuoi…- mormorò Danny tra i singhiozzi che gli facevano tremare la voce.

- Non ti preoccupare… piangi quanto vuoi. Mi dispiace solo di… averti fatto stare male-.

Jordan si passò una mano fra i capelli, e dopo un secondo si alzò e andò nell’altra stanza. Danny che fino a quel momento aveva cercato di trattenersi, si gettò sul cuscino e pianse ancora più forte. Non si accorse che Jordan era ritornato che qualche minuto di sfogo più tardi.

- Ecco… ti ho portato il tuo pigiama, vestiti- disse Jordan, porgendogli l’indumento. - Se… vuoi che decida io, mi piacerebbe che tu restassi con me, stanotte-.

Danny annuì e si calmò. Indossò il pigiama in silenzio ed entrò nel letto di Jordan, sempre senza una parola. Dopo un po’ Jordan si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.

- Se vuoi parlare…- sussurrò. Danny sorrise tra gli ultimi singhiozzi, ma non disse nulla. - Io non lo so perché ti ho chiesto di venire qui. Non ci ho pensato, ecco. Ma… non voglio che tu pensi che sei una cosa mia, o che ti ho comprato, ok? Io… non sono abituato a… a farlo, ecco-.

- Non ti piace andare a puttane?- chiese Danny con un filo di voce, dandogli le spalle. Jordan strinse la mano su di lui.

- No-.

- Be’, allora… come mai sei venuto a cercare me?- disse Danny in tono sarcastico.

- È… stato un caso. E comunque non mi devo giustificare- sbottò Jordan, sulla difensiva. Poi il suo tono si distese. - Non volevo dire per… quello-.

- Lo so… lo so. Non dicevo sul serio-.

Jordan gli passò le mani attorno alla vita e appoggiò la testa alla sua spalla. - Ok. Stai bene, ora? Ti è passata?-

- Sì, scusami. Non è… una cosa che mi succede spesso. Non so che mi è preso, all’improvviso.. avevo quel groppo in gola e…-

- Non ti giustificare, dai. È un momento di debolezza, capita a tutti. Ora dormi-.

Jordan si sistemò ancora più comodamente accanto a lui e si addormentò. Danny rimase sveglio per un po’, ma alla fine riuscì ad addormentarsi anche lui.

Si svegliò che era già mattina. Un sole tiepido filtrava dalle imposte, insieme al canto chiassoso degli uccellini. Danny cercò di tirarsi su e si trovò avvinghiato nell’abbraccio di Jordan. Allora si ridistese e si godette per un momento le sue mani appoggiate alla sua pancia, intrecciando le dita con le sue. Dopo qualche minuto anche Jordan si svegliò.

- Ciao…- mormorò aprendo a fatica gli occhi.

- Ciao- sorrise Danny. Oh, per dio, quella era una cosa a cui si sarebbe abituato volentieri.

- Doccia veloce e scendiamo subito, ok? Se no va a finire che perdiamo tempo. Devi conoscere il nonno!- disse Jordan, e schizzò in bagno. Danny si sentì il cuore in gola al pensiero di incontrare davvero il nonno, e andò nel suo bagno con meno velocità. Stette dieci minuti a guardarsi allo specchio, chiedendosi se dal suo viso si capisse… che stava mentendo e quello che faceva davvero.

- Danny, sei ancora lì dentro? Sbrigati!- bussò Jordan.

- Eccomi!- Danny uscì e trovò sul letto degli abiti già pronti.

- Indossali, dai. E poi… se avessimo avuto più tempo ti avrei fatto sistemare anche i capelli-.

- Perché, che cos’hanno che non va?- disse Danny, risentito: amava molto la sua pettinatura.

- No, niente, ti stanno bene e tutto, ma per lo meno… il mio parrucchiere ci avrebbe dato un paio due sforbiciate giusto per farlo sembrare un taglio da cento dollari!-

Danny scosse la testa senza capire, e si vestì di tutto punto. La colazione del primo giorno richiedeva un’eleganza e un’accuratezza seconda solo alle grandi serate di gala. Jordan gli appuntò il fazzoletto nel taschino e sistemò i polsini e il colletto, prima di giudicarlo a posto.

- Eccoti qui. Sei un figurino. D’altra parte, col tuo fisico… ti sfido a trovare qualcosa che non ti cada a pennello-.

- Non so se mi stai prendendo in giro, ma in effetti mi piaccio molto, vestito così!-

Danny si rimirò nello specchio a destra e a sinistra, e Jordan si ammirò con lui, fissandolo con insistenza. D’improvviso Danny se ne accorse e si bloccò, e poi distolse gli occhi. Anche Jordan abbassò lo sguardo, imbarazzato.

- Bene- riprese poi battendo le mani. - Ora è meglio che ci avviamo. Magari alcuni dei miei parenti sono già a tavola… di sicuro ci sarà Roger, cerca di sederti lontano da lui e comunque non lasciarti intimorire. Al limite mostrati timido e non parlargli, ok?-

- Certo, certo, sta’ tranquillo, non sono un ragazzino, dai!-

- Sì, ma Roger è pericoloso-.

Danny rise ed annuì, e si lasciò guidare in giardino, dove era collocata un’enorme tavolata carica di tutto il necessario per la colazione, e una tavola più piccola con il buffet. Lì attorno si affannavano una marea di servitori che sistemavano ogni cosa, e un discreto numero di persone vestite come loro, in modo molto elegante.

Danny e Jordan si avviarono al buffet riempiendo i propri piatti, poi cercarono il posto più distante possibile da Roger, che non li aveva notati, o più probabilmente li stava ignorando.

Mentre stavano per sedersi, una voce allegra alle loro spalle richiamò l’attenzione di Jordan.

- Ehi, chi si vede!- disse la voce. Jordan si voltò.

- Andrew! Chi non muore si rivede! Come stai!!!-

I due volarono l’uno nelle braccia dell’altro sotto lo sguardo di Danny, imbarazzato, che non sapeva se sedersi o aspettare, con il piatto di Jordan pericolosamente in bilico in una mano già stracolma.

- Andrew! Ma da quanto tempo non ci vediamo più?-

- Ma dalla festa dell’anno scorso, cugino! Stai invecchiando o mi prendi in giro?-

- Già, già, c’eri anche tu! Ma vieni, vieni, siediti con noi. A proposito, ti presento Danny-.

Danny sorrise e tese la mano, e Andrew la strinse sorridendo anch’egli, ma con la fronte leggermente aggrottata.

- Il mio ragazzo- aggiunse Jordan, e un lampo quasi impercettibile saettò dagli occhi di Andrew. Danny se ne accorse a malapena, ma lo dimenticò immediatamente.

- Piacere- disse Danny. Andrew ritirò la sua mano senza dire nulla. Jordan gli sorrise e cominciò a parlargli immediatamente, e presto furono immersi in una conversazione a cui Danny non riusciva a partecipare.

Invece, riuscì ad osservare molto bene Andrew, e l’atteggiamento che lui e Jordan avevano l’uno con l’altro.

Andrew aveva un viso d’angelo, anche se non esattamente in senso tradizionale, ma quella era probabilmente l’unica descrizione che poteva rendergli un minimo di giustizia. I suoi lineamenti non erano per niente virili, anche se non erano effeminati, anzi: erano delicati ma trasmettevano una sensazione di grande forza. Il taglio degli occhi era molto deciso, ma il loro colore celeste mitigava quella decisione facendolo sembrare un po’ una bambolina infantile. I capelli nerissimi, lucidi, scendevano in ciuffi ribelli sul viso e sul collo, sottolineando il pallore della carnagione; le mani erano sottili e nervose, e si muovevano per accompagnare le parole come se suonassero una musica silenziosa.

Jordan gli parlava tranquillamente mangiando la sua colazione, ma Andrew sembrava letteralmente pendere dalle sue labbra: era proteso in avanti verso di lui e teneva alternativamente una mano sotto al mento o fra i capelli, lanciando delle occhiate languide a Jordan ad ogni movimento.

Ad un tratto Jordan guardò l’orologio e poi lanciò un’occhiata in giro.

- Ma oggi il nonno non si vede?- disse, senza notare lo sguardo di disappunto di Andrew.

- Be’, è ancora in orario, sono solo le dieci e cinque-.

- Lo so, ma voglio che conosca Danny al più presto-.

- Come, non l’hai già conosciuto ieri?-

- No, ieri siamo arrivati troppo tardi, il nonno era troppo stanco per riceverci. A proposito, sai dove ci ha messo Elena? Nelle nostre vecchie stanze! Mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi!-

Andrew arrossì, e lanciò un’occhiata di fuoco alla nuca di Danny, che non si accorse di nulla. In quel momento Jordan disse: - Eccolo!- e un signore anziano ma molto distinto, con un bastone intagliato e dal puntale in argento uscì dall’ingresso, e prese posto a capotavola, proprio accanto a Roger, dalla parte opposta di Jordan e Danny.

Il nonno diede un paio di ordini, e alcuni nipoti si affrettarono ad obbedire. Roger gli disse qualcosa all’orecchio, indicando Jordan e Danny, e il nonno annuì. Roger andò verso di loro.

- Jordan, il nonno vuole che gli versi il suo caffè- disse con finta gentilezza. Lanciò un’occhiata penetrante a Danny, che si sentì spogliato di tutto davanti a lui, ma Jordan lo spinse per un braccio. - Vieni-.

Il nonno non li guardò mentre si avvicinavano, intento a spalmare un toast di burro. Toccava a Jordan salutarlo; gli altri parenti erano lì attorno, seduti tutti abbastanza lontani dal nonno, intenti a fare tutt’altro, ma pronti a riportare su di loro la propria attenzione nel caso di qualcosa di eclatante.

- Nonno- disse Jordan, in piedi, stringendo il braccio di Danny. - Che piacere rivederti. Ti trovo bene-.

Il vecchio alzò le sopracciglia folte e guardò il nipote con un’occhiata penetrante. Non sorrise, ma chinò leggermente la testa.

- Bene. Adesso siediti, Jordan. Non pretenderai che ti guardi in questo modo scomodo- disse asciutto.

- Certo, nonno. Prima vorrei presentarti una persona… lui è Daniel Kelley. È…-

Il nonno lo fermò con un gesto della mano, che trasformò immediatamente in una mano tesa. Danny si precipitò a stringerla, ma fu gratificato da una stretta debole e di circostanza, fatta con la punta delle dita.

- Molto piacere, signore…- disse debolmente Danny. Il nonno fece un mugolio incomprensibile, e Jordan indicò a Danny di sedersi, molto nervosamente.

Appena Danny toccò la sedia, e Jordan prese la caffettiera, sembrò che attorno a loro una cappa di ghiaccio si sciogliesse. Il nonno aveva conosciuto Danny e non aveva fatto nessuna scenata; la tensione di tutti i parenti si dissolse, ed ognuno tornò a dedicarsi a quello che stava facendo. Appena il brusio di voci attorno a loro cominciò ad accrescersi, sia il nonno che Jordan sorrisero.

- Bene! Credevo che oggi non mi avrebbero tolto gli occhi di dosso, nonno!- disse Jordan. Il nonno bevve il suo caffè e sorrise di nuovo.

- Saresti stato più felice se ti avessi lanciato addosso il caffè? Per ora sarebbe stata un’alternativa alla noia! E tu che ne dici, ragazzo?- disse il nonno rivolgendosi a bruciapelo a Danny.

- Io… non so, io…- mormorò questi colto di sorpresa.

- Non è educato balbettare, una confusione esteriore denota confusione mentale!- disse il nonno, e Danny arrossì. Jordan rise e mise una mano su quella del nonno.

- Dai, nonno! Non torturarlo! Non è abituato!-

Il vecchio sorrise a Danny. - Allora abituati subito. Va’ a prendermi qualche altra fetta di pane tostato, ragazzo, va’-.

Danny andò al buffet, e ad ogni passo si sentì bersaglio di mille sguardi che lo attraversavano, e quando alzò gli occhi e si vide davanti Roger che, a debita distanza, lo fissava con insistenza, fu scosso da un brivido. Quando tornò, Jordan e suo nonno stavano conversando così fittamente che non ebbe voglia di disturbarli. Guardò nervosamente l’orologio e attese che la colazione finisse.

Jordan aggiornò il nonno sui suoi affari, incalzato dalle domande del vecchio e dal suo annuire convinto. I parenti erano lì attorno, ben attenti a non abbandonare la tavola finché non aveva finito il nonno, che fece aspettare tutti imburrandosi un toast dopo l’altro e indugiando sul secondo caffè. Quando finalmente prese il suo bastone e si alzò, aiutato da Jordan, le persone si sparsero come schegge di una bomba. Un quarto d’ora dopo la tavola della colazione sembrava un campo di battaglia. Jordan e Danny tornarono dopo aver accompagnato il nonno nello studio, e non trovarono più nessuno. C’era solo Andrew, che li stava aspettando.

- Allora? Com’è andato il nonno, se l’è presa?-

- E per che cosa?- rispose Jordan sbattendo innocentemente gli occhi. - Ah, parli di Danny! Ha detto che finalmente mi vede mettere la testa a posto!-

Danny arrossì, e quando guardò Andrew vide che anch’egli era arrossito. Fecero un giro per il retro del giardino, fino alla piscina.

- Wow!- si lasciò sfuggire Danny. - Che meraviglia!-

- Ti piace? Vi va di farci il bagno?-

- Ora?- disse Andrew. - Abbiamo appena fatto colazione, e poi sarà fredda… aspettiamo nel pomeriggio quando c’è il sole!-

Jordan alzò le spalle contrariato, e Danny non disse niente. Aveva notato che Andrew cercava di calamitare l’attenzione di Jordan, e degnasse lui di qualche sguardo solo ogni tanto.

- Perché non andiamo al laghetto, invece?- propose Andrew.

- No, ora non mi va- disse freddo Jordan. - Forse è meglio che saliamo in camera per sistemare le ultime cose-. Prese Danny per mano e lo portò in camera. Sembrava nervoso.

- Che c’è?- chiese Danny.

- Niente-.

- Sei sicuro?-

- Sì… non mi va di annoiarti, ok?-

- Ok, scusami. Volevo solo…-

- Non preoccuparti, è tutto a posto. Non ho intenzione di farmi rovinare la vacanza… vieni, vuoi vedere la casa?-

- Ma certo!- rispose Danny, entusiasta di esplorare quella casa che da fuori sembrava enorme.

Capì subito che per quanto potesse essere grande, riempita di parenti sembrava minuscola. Ne incontrarono in ogni stanza e in ogni salotto che aprirono; da una parte c’erano le nuore che spettegolavano, da un’altra i nipoti piccoli che giocavano con i cani, alcuni uomini che giocavano a bridge, nella biblioteca trovarono una cugina che leggeva un romanzo d’amore di nascosto e che appena li vide scappò via arrossendo.

- Wow, è enorme!- disse Danny di fronte alla scalinata che portava al piano superiore.

- È antica... noi non la usiamo mai perché è anche fredda e ripida, ma è uno spettacolo, vieni-.

Lungo le pareti c’erano dipinti e stemmi araldici delle famiglie toscane che l’avevano posseduta. Anche il soffitto era decorato con fregi, bassorilievi e scene mitologiche.

- Si è conservata solo quest’ala della casa, purtroppo il resto è stato rifatto per varie vicende... ma qui riceviamo gli ospiti importanti, è davvero spettacolare. Guarda, questo camino è del Settecento-.

- È stupendo… mi piace. È il posto ideale per viverci!-

- Non lo diresti se ci avessi abitato davvero! Non è l’ideale perché d’inverno è freddissimo, anche se d’estate si sta bene, però ci vogliono un sacco di attenzioni. Persino respirare qui dentro dev’essere fatto con parsimonia, quindi usciamo-. Jordan lo fece passare per un’altra porta e visitarono le antiche camere padronali, che ora erano diventate camere degli ospiti e in quel momento erano occupate da alcuni cugini. - In pratica durante l’anno finisce che si usa solo l’ala ristrutturata. È più facile da riscaldare, è vicino alle stanze della servitù ed è più facile da gestire. Qui si apre solo per la festa-.

- La farete qui dentro?-

- Il nonno preferisce farla in giardino, ma se il tempo è brutto sì. Ma in giardino è molto più suggestivo-.

Quando Jordan decise di tornare era già ora di pranzo, e Jordan uscendo in giardino spiegò a Danny come ci si doveva comportare durante il pranzo, e lo riempì di raccomandazioni sulle posate, sul tovagliolo e sui piatti di portata, nonché sugli argomenti di conversazione. Andrew li raggiunse nell’ingresso.

- Non credo che avrò molte occasioni di conversare, comunque- osservò Danny.

- In ogni caso cerca di stare attento. Non posso sederti vicino per badare a te-.

- Cosa?-

- Sì, perché? Se siamo fortunati potremmo sederci uno di fronte all’altro, ma in genere non si fanno sedere le coppie vicine, e mai per nessuna ragione due uomini vicini. Non te l’avevo detto? Mi raccomando, e stai attentissimo a quello che fai e dici. Se ti capita di sedere vicino a Roger o a un altro del suo club-.

-Be’, non sono poi così terribili…- azzardò debolmente Andrew, ma Jordan lo zittì con un’occhiata.

- Allora forse è meglio se me ne sto zitto e ascolto…- disse a sua volta Danny.

- Non te lo permetteranno, se li conosco bene! Cercheranno di metterti in difficoltà in ogni modo-.

Danny sedette a tavola nervoso come non era stato mai; riuscì a sedersi di fronte a Jordan, e cominciò a vedersi sfilare manicaretti degli della tavola del re di Francia. Il sole era alto nel cielo e filtrava dalle fronde degli alberi; e piano piano il cibo e il caldo cominciarono a dare alla testa di Danny, che non era abituato, proprio mentre la tensione nervosa si scioglieva. Jordan gli rifilava dei calci sotto al tavolo quando lo vedeva appisolarsi, ma passarono la maggior parte del tempo a ridacchiare tra di loro come due stupiti; lo poterono fare perché attorno a loro c’erano solo parenti innocui. Andrew, seduto due posti a destra di Jordan, si sentì un’idiota e un terzo incomodo, perché di solito era con lui che Jordan faceva il cretino a tavola.  Il  pranzo passò senza niente da segnalare; forse per una volta si era sbagliato, disse Jordan, passeggiando sollevato per il giardino. Il pranzo era durato a lungo ed era già pomeriggio. Danny e Jordan salirono in camera per un breve riposino.

Mentre si toglieva l’abito elegante, Jordan ebbe un pensiero improvviso, e con la cravatta in mano andò da Danny.

- Senti, mi è venuta in mente una cosa…-

- Dimmi-.

- A te stanotte… non era venuta voglia di fare l’amore?-

- Sì, ma…-.

- Poi tra una cosa e l’altra non l’abbiamo più fatto…-

- Che intendi dire? Oh, Jordan! Intendi dire adesso?-

- Volevo solo chiederti se per caso hai ancora voglia. Io ne ho ancora di più, se ci credi-.

- Ma… non è che… disturberemo? Se qualcuno sta riposando…-

- Di questo non preoccuparti… se ti va… fregatene-.

Danny sorrise. Si stava giusto sbottonando la camicia. - Be’, d’accordo. In questo momento ho poco da fare…-

 

Scesero in ritardo per la cena, e quando arrivarono tutti gli sguardi si puntarono su di loro nel silenzio generale. Il nonno alzò un sopracciglio e si limitò a un’occhiata di disapprovazione, e subito dopo ne lanciò un’altra a Roger, impedendogli di dire qualcosa di tagliente per tutta la serata.

- Non mi sembra sia stato molto cortese da parte vostra farci attendere il quel modo- disse Roger quando tutti si furono alzati da tavola, raggiungendoli nel giardino.

- Non era affatto una cosa voluta- ringhiò Jordan.

- No, ne sono convinto. Ma forse dovreste controllare i vostri istinti, o comperarvi una sveglia-.

Jordan stava per scagliarsi contro di lui, ma Danny gli mise una mano sul braccio.

- Vieni, andiamo via- disse. Jordan lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, poi annuì.

- Sì, andiamocene, che è meglio-.

Proseguirono il loro giro per il giardino. Lampioncini illuminavano i sentieri in pietra che lo segnavano come una ragnatela.

- Vieni, da qui si arriva alla fontana. Ce ne sono altre, ma questa è la mia preferita. Rimane sempre deserta- disse Jordan, conducendolo sul sentiero costeggiato da siepi alte quasi quanto loro.

- È molto bello. Mi piacerebbe tornarci quando vedo qualcosa- disse Danny. Jordan rise.

- Hai ragione. In effetti qui non è molto ben illuminato, non ci viene mai nessuno di sera, ma io potrei venirci ad occhi chiusi. Ok, ti ci riporto domani-.

Tornarono in camera, e, mentre Danny si stava cambiando, Jordan entrò in camera sua.

- A proposito di domani… pensavo che magari ti va di fare un giro nei dintorni. Ci vogliono solo un paio d’ore per arrivare al mare, e se hai voglia possiamo fare anche il bagno-.

- Non dobbiamo rimanere qui con tuo nonno?-

- Non pretenderai che trascorriamo con lui tutto il tempo! Torneremo per cena, se ci tieni-.

- No, lo dicevo per te…-

- Allora mangeremo fuori. Ti stupiresti del numero delle persone che rimangono qui durante la settimana. Persino il nonno fa di tutto per uscire-.

- A proposito, tuo nonno mi è simpatico-.

- Credo che anche tu sia piaciuto a lui-.

- Come no-.

- Guarda, lui fa così quando è in pubblico. Non può dare confidenza, capisci. Se ti dice “aggiustati la camicia, ragazzo!” è come se ti desse un bacio in fronte. Ognuno dei miei parenti lo scruta per vedere ogni suo passo falso, capisci-.

- Be’, spero che sia così-.

- Allora, per domani?-

- Va bene-.

Quando andarono a letto Jordan si avvicinò a lui e lo abbracciò, come al solito. Danny aveva già pensato di domandargli se lo portava a visitare i dintorni, ma poi aveva scartato l’idea, perché alla fin fine lui era lì per lavoro e non poteva avere pretese; ma ora... non vedeva l’ora di fare questa gita, perché… la voleva prendere come una vacanza, come aveva deciso all’inizio. Una settimana da godersi da principio fino alla fine.


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