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Pr
Parte
XIX
di Mel
Il
sole precipitava verso un orizzonte lontano e ghiacciato, il rosso
infuocava l’ aria e rifrangeva lampi brucianti nelle iridi socchiuse
di Hanamichi.
Attendeva.
Come sempre.
Le braccia incrociate, il viso basso, la voglia di gettare via quel
maledetto fiore che aveva sul petto, la sua profumata catena , lo
voleva prendere, stringere fra le mani fino a sanguinare per poter
essere certo di non sognare, di non sognare maledettamente ad occhi
aperti come sempre più spesso gli capitava ormai, voleva sanguinare
e sentire dolore e gettare lontano da sé quella bella e gialla
catena, voleva sparire in un vicolo scuro, chiamare Yohei, vagabondare
per le strade a ridere e a scherzare, lui , il guntai e la loro spensieratezza.
Ma non poteva.
Voleva correre via ed invece rimaneva lì.
Immobile, il viso ancora chino, la frangia quasi morta, in fili esangui
e tristi che si allungavano, come mani dello stesso tramonto, a colorare
la sua pelle un po’ più pallida del solito di qualche riflesso
più acceso e vitale, nel gentile tentativo di riscaldarlo.
Ma lui non poteva niente.
Senso di apatia.
Non sentiva nulla, non il brusio della gente che passava lì
accanto, non il rumore di macchine veloci , non il tonfo sordo con
il quale, a chilometri di distanza, il sole cadeva nella sua tomba
di ogni notte.
Insieme a quel nulla di suoni Hanamichi sentì vuoto dentro
di sé.
Un solo pensiero accendeva i suoi occhi, illuminandoli ad intermittenza
come una lampadina fulminata , una figura, un viso, una mano, una
carezza, un suono lontano, un tocco, un lenzuolo.
Un ragazzo dai capelli neri che lo guarda, lo desidera, lo brama ed
infine lo possiede.
Quello era il programma di ogni sera.
Il suo servizio speciale.
Da qualche sera di troppo dannatamente piacevole.
Ma non quella sera.
I pensieri fuggivano
veloci, quasi senza nesso logico, rapidi, vaghi ed indefiniti, ma
mai dolci e limpidi.
Forse un tempo, prima.
Ora non era più innocente.
Lo sapeva.
Ora il suo corpo non era più inviolato.
Aveva dovuto scoprire una dimensione nuova, imbevuta di pregnante
sensualità ed erotismo.
Aveva provato sulla propria pelle, ‘nella’ propria pelle parole come
possedere, accarezzare, godere, gridare.
Ora sapeva come era lo sguardo di un ragazzo che raggiunge l’orgasmo
nel tuo corpo.
Ora sapeva cosa significava la parola piacere e quanto forte potesse
far urlare.
Ora sapeva, ma non avrebbe dovuto.
Troppo presto, troppo in fretta.
Ma non quella sera.
Hanamichi tirò
un pugno chiuso contro il muro che aveva alle spalle.
A fare certi pensieri, a ripetersi ‘ma non quella sera’, sembrava
esserne dispiaciuto.
Non era vero.
Non era vero.
Non gli importava niente di quel cliente, della sua maledettissima
gentilezza, del suo sorriso, del suo abbraccio caldo e rassicurante,delle
sue carezze ingannatrici e suadenti, concesse solo per poi poter esigere
con la coscienza un po’ meno sporca .
Non era vero.
Non era vero.
Kami perché doveva fare così male, così male
anche solo pensare, anche solo………..mentirsi.
Quel ragazzo bellissimo lo perseguitava ormai, lo seguiva, nelle notti
in cui lui tornava solo all’ agenzia, mentre si stendeva sul suo divano
per dormire un po’ mentre avvertiva all’ interno del proprio corpo
ancora tracce di lui e del suo calore.
Era nei suoi pensieri ed il credere che forse era sempre stato così,
anche prima di quella notte dell’ ultimo dell’ anno, era soffocante
ed angosciante, non solo debole allora, era anche diventato folle.
Aveva davvero sempre ammirato Rukawa?
Sicuramente non poteva più continuare ad ingannarsi con il
proprio corpo.
Ogni singola cellula gridava di piacere durante ogni loro amplesso
e dopo si adagiava soddisfatta ed appagata.
Rimaneva solo la mente per potersi ingannare e credere di non avere
scelta, che se proprio dovevano aver vita quei rapporti fra loro,
che almeno fossero piacevoli, perché soffrire ?Vero, Hanamichi
?
Perché soffrire ancora?
Hai già sofferto tanto…..no?
Ma chi voleva ingannare, non era soffrire anche quello?
Aveva davvero messo in conto, fra quelle eventualità, che vi
fossero anche tutte quelle sere in cui doveva amare senz’ anima?
Lo poteva sopportare?
Così?
No, non faceva altro che piangere, quasi ogni volta.
Dopo.
Piangeva.
Per orgoglio infranto.
Per paura che tutto si ripetesse sempre uguale a sé stesso
all’ infinito, ogni notte di tutta la sua vita.
Per quel dolore sordo che non era il corpo di Rukawa nel suo, ma la
sofferenza di sentire poi un muro di ghiaccio intorno a sé.
Arrivare a non provare più niente.
Arrivare a sacrificare tutto e fallire.
Questa era la sua paura.
Nelle più solitarie delle sue notti, quando nemmeno quel cliente
dai capelli scuri lo chiamava per riscaldargli le fredde lenzuola,
lui se lo chiedeva.
Era solo e si alzava, senza riuscire a dormire, si alzava per andare
a controllare da uno spiraglio di porta la regolarità del respiro
di sua madre, di più non poteva aprirla quella porta, lei si
sarebbe svegliata e avrebbe chiesto spiegazioni, lui la spiava, la
guardava e cercava di darsi coraggio, di mettere da parte la speranza
di notte per usarla di giorno, ogni volta così e se lo chiedeva.
Divorato dall’ ansia e dalla pesantezza di mesi vissuti così.
Ce l’avrebbe fatta?
Sarebbe riuscito ad uscirne?
Se si, a quale prezzo?
E quando?
E come?
Ci sarebbe veramente riuscito ?
O sarebbe rimasto prigioniero di quelle rose?
Per sempre…..
No,no.
Non poteva, non voleva.
Dannazione era così difficile non piangere, oramai pensava
di essersi abituato eppure ogni volta l’ incredibile tristezza di
quei pensieri lo trascinavano via, prigioniero di gocce salate che
lottavano per uscire a far brillare quelle ciglia.
Allora si stringeva al suo divano, si aggrappava alle coperte, sentendo
un freddo che non c’ era e pensava, sprezzantemente sorrideva mesto
di sé, paragonandosi ad un uomo che deve mandare avanti la
casa e di notte rimane sveglio a pensare ai debiti che ha.
Ma lui non era un uomo, non così forte, non così adulto,
non così determinato.
Alle volte non ce la faceva.
Non riusciva a reggere il peso di una sorte completamente avversa.
Dove trovare le basi per andare avanti?
Dove?
In chi?
E piangeva.
Da solo su un divano.
O insieme al suo cliente in un letto.
Perché ogni volta che si concedeva quei pensieri tornavano,
a sussurrargli maligni che sarebbe stato così per sempre, che
non avrebbe conosciuto solo quello di letto, ma tanti altri ancora,
si sarebbe venduto fino a non riuscire più a trovarsi e non
avrebbe salvato né se stesso né sua madre.
E poi piangeva per un suo orgoglio personale.
Non aveva mai saputo cos’ era l’ amore fisico e lo avrebbe voluto
scoprire con innocenza, con naturalezza.
Non così.
Ma solo per sua libera scelta.
Ma non era stato quello il suo destino.
Quella libertà di scelta non gli apparteneva più.
Si sorrise.
Tantissimi pensieri in quei momenti, tsk, stava solo aspettando un
cliente, doveva liberarsene e lavorare seriamente.
Alzò il viso e si perse con lo sguardo, per non ritrovare il
filo delle sue tristezze.
Il sole era morto
da un po’, ma la bellezza della luna riusciva a disperdere e far dimenticare
la sua triste fine, ergendosi sulle vie di una città che non
dorme mai….i neon colorati che sconvolgono ogni sera l’ ordine naturale
delle cose…luce ed ombra, giorno e notte…no…….
…..luce ogni istante, giorno eterno …………a ricordare agli esseri umani
che non avranno pace nemmeno nel riposo ….che quel riposo non esiste
e non porta loro ristoro……….
Riflettendo sulla
crudeltà delle insegne al neon Hanamichi si sentì chiamare,
una mano sulla sua spalla, lieve, gentile.
Di nuovo gli occhi azzurri di Sendoh.
La rosa gialla che, candida, si piegava ad ogni movimento di brezza
sul petto del Pr.
Era una sera inquieta,
Sendoh continuava a girare da un locale all’ altro, prendeva da bere
in ognuno di quei posti, ma lasciava il bicchiere sempre mezzo pieno
ed andava via, camminando piano per le stesse strade, entrando a caso
in locali dei quali non conosceva né il nome né gli
interni.
Hanamichi lo seguiva.
Tranquillamente.
Accompagnandolo.
Osservandolo con un velo di preoccupazione.
Non capiva il suo comportamento, né quali pensieri rendessero
quegli occhi celesti così cupi.
Voleva solo fermarsi un po’ più a lungo in un posto tranquillo.
La frenesia delle strade lo infastidiva e non serviva a calmare neanche
i sentimenti di Akira.
Accostandosi dolcemente al proprio cliente Hanamichi sorrise senza
molte difficoltà.
“Vieni, permettimi
di accompagnarti in un luogo che gradirai sicuramente”mormorò
Gli occhi di Sendoh
si sgranarono un istante, poi con un sorriso di semplice rimando,
vuoto di ogni significato, seguì il suo impeccabile accompagnatore.
Hanamichi non si girò fino a che non scorse l’ insegna moderna
di un locale che conosceva bene, cercò lo sguardo del proprio
cliente, lo trovò e con un cenno gli indicò che erano
arrivati.
Con eleganza Hanamichi si fece da parte facendo passare prima il ragazzo
che doveva accompagnare poi entrò, chiese un tavolo e due drink,
sicuro di sé e gentile.
Akira lo guardava, mentre si occupava di lui, di loro, organizzava
quella serata, lavorava, con quell’ espressione adulta e seria sul
viso, ma non senza una traccia che potesse ricondurre al Sakuragi
allegro di ogni partita condivisa.
Sendoh si sorrise malinconicamente poi si sedé al loro tavolo.
Nei loro bicchieri ‘Mimosa’ e ‘Calla rossa’*.
L’ ambiente era
fresco e riposante, diverso dal luogo del loro primo incontro.
Le pareti lucide di stucco erano ricoperte da quadri dai vetri freddi
e colorati, i toni del rosa, dall’ incarnato al salmone, al magenta
si mescolavano alle sfumature di grigi di rara lucentezza, dal perla
all’ antracite, in ogni gradazione diversa per ogni angolo dell’ immensa
sala, divani di diverse misure occupavano ogni spazio, ogni anfratto,
adattandosi alle esigenze dei diversi clienti, da quelli pronti a
condividere con molti amici la serata a quelli riservati che preferivano
un angolo per sé e la persona del loro cuore, coni di luce
si alternavano a coni di ombra, lunghi lampadari di freddo metallo
pendevano come mani di automi dal soffitto intarsiato da travi, ponti
e fili ed in netto contrasto con la modernità di tali oggetti,
decorazioni floreali fresche e profumate ornavano ogni piccolo tavolino,
ogni mensola, ogni bancone, senza rendere tutto troppo femmineo, ma
donando con la loro semplicità un aspetto curato e ricercato,
niente fiocchi né stoffe, solo fiori, anche solo uno, lasciato
a dare un’ aria casuale ad un tavolinetto basso.
Calle, gigli,
tulipani, papaveri, magnolie viola e magnolie bianche, loto, camelie,
glicini, azalee, ciclamini, lavanda , dalie, margherite grandi, narcisi,
giacinti ed orchidee.
Una festa di colori
ed aromi.
Riposante e raffinata.
Sendoh si guardò
intorno, soddisfatto.
Hanamichi sorrise, una luce fiera negli occhi, per aver fatto bene
la propria scelta.
“Non pensavo ti
piacessero i fiori….”mormorò Akira
Hanamichi prese
tra le dita una calla bianca, sembrò accarezzarne il petalo
con le punte delle dita poi ne inspirò il profumo.
Alzò lo sguardo.
“Sono semplici
e al tempo stesso splendidi…in che cos’altro è possibile trovare
tutta questa armonia?”
Sendoh sorrise
apertamente.
“Non ti facevo così romantico”
“Non sono romantico………sono
sincero”sottolineò atono Hanamichi
“Non penso sia una buona qualità……per un Pr”lo provocò
divertito il ragazzo dagli occhi chiari
“E’ un’ ottima qualità per una persona……..e prima di essere
un Pr sono una persona”
Il tono sicuro, gli occhi limpidi.
“Capisco”mormorò solo Akira, ritirandosi a guardare la grande
sala
Vi erano poche persone, ma il campanello vicino alla porta continuava
a suonare per ogni nuovo cliente che entrava, ben presto la sala sarebbe
stata affollata.
Il loro tavolo era d’ angolo, i soffici cuscini rossi li avevano accolti
morbidamente e la fragranza dei fiori si mescolava, stordendo i sensi
come la più raffinata delle droghe.
Akira non voleva più aspettare.
Se doveva tradire lo voleva fare subito, senza più pensieri
atroci e rimpianti.
Si girò velocemente, strinse fra le mani il mento di Hanamichi
e rubò uno sfiorare di labbra a quella bocca.
Il ragazzo dai
capelli rossi si scostò, una mano sul viso, prese un fiore
dal vaso e lo tirò sul volto di Akira.
Era stato solo
un fugace contatto, assolutamente non un bacio, si erano appena appena
accarezzati, ma Hanamichi non poteva permetterlo, non voleva.
“Non provarci
mai più”sussurrò freddo
Sendoh raccolse
il fiore che era scivolato a terra.
Il suo Pr l’ aveva usato per colpirlo, esattamente come avrebbe fatto
una dama per vendicarsi di una tale umiliazione, per non schiaffeggiarlo
direttamente.
Un Pr non poteva picchiare un cliente.
Sendoh sorrise.
Pensò di lasciar perdere ogni cosa, di scusarsi ed andare via.
Ma ormai aveva deciso.
Sarebbe andato fino in fondo.
Afferrò
una delle mani di Sakuragi, la strinse e guardandolo negli occhi gli
disse di volerlo.
Hanamichi ritirò
la mano, si allontanò con garbo, stabilendo fra di loro distanza.
Perché?
Perché era finita così?
Akira non si arrese, non poteva permettersi di far passare del tempo.
Il tempo serviva a chi voleva pensare e lui non voleva, non doveva.
Si accostò a lui, tentò di baciarlo ancora una volta,
incurante delle persone intorno, la leggera penombra non lasciava
scorgere con chiarezza i loro visi, ma lasciava intendere cosa stessero
facendo.
Hanamichi si guardò intorno, rifiutando con le mani ogni contatto.
Nessuno sembrava particolarmente interessato a loro ed i fitti coni
di ombra nascondevano interamente alcune zone della sala.
Il ragazzo dai capelli rossi si alzò allontanandosi, sedendosi
poco più in là, su una sedia bordeaux, di fronte al
proprio cliente.
Il tavolo di vetro a dividerli.
“Adesso basta
Sendoh, non puoi prenderti queste confidenze con me……..ti ho già
detto che il mio lavoro …”
Fu interrotto.
“Si…lo so – sospirò lui dai capelli neri – ….lo so….il tuo
lavoro è fare compagnia ……..allora ti prego, TI PREGO, fammi
compagnia……..rimani con me…stanotte….”
Hanamichi ridusse
la propria voce ad un filo calmo e serio.
“No, non posso ….e non puoi nemmeno tu”
Akira alzò
i suoi occhi celesti affogando in due polle decise che…che sapevano?
“So …so che hai
un amante …….non pensi a lui ?Non so chi sia, ma credo che meriti
rispetto……non tradire la sua fiducia……”
Lui dai capelli
neri sgranò gli occhi, sorpreso.
Poi li chiuse, colpevole.
Sakuragi sapeva.
E adesso, adesso cosa doveva fare?
Si sentì
ancora il campanello della porta, il vento portò loro gli odori
dei fiori.
Akira rise.
Prese il bicchiere, quasi ferocemente e lo vuotò, in un solo
sorso.
“Non….non importa……
– mormorò quasi più a se stesso che non al suo Pr –…..non…importa
più……”
“Perché?”chiese
Hanamichi
Voleva che parlasse,
che si confidasse, per allontanare da sé la minaccia di un
altro cliente interessato al suo corpo, ma anche per aiutarlo.
Per vedere di poter fare qualcosa per la tristezza in cui stavano
annegando quegli occhi così azzurri.
Akira scrutò
il viso di Hanamichi, cercò di sostenere il suo sguardo, di
sorridere.
Ma aveva così tanto bisogno di aiuto, di parlare, di sfogarsi,
di riordinare i pensieri distrutti da quella logorante incertezza…….
Crollò,
con le mani strette intorno al vetro freddo, la testa china.
Sconfitto.
“Non..importa…più!
Lui già pensa che io l’ abbia tradito……non è rimasto
più niente ….niente…..quale fiducia ?…niente ..niente”
Hanamichi gli
alzò il viso con una mano, delicatamente.
“E tu? Ti arrendi
così? Senza lottare? Non posso credere che Akira Sendoh, asso
del Ryonan, rinunci ad un incontro così importante, preferendo
stare in panchina”
“Non posso fare
più nulla…non so….cosa…come…..Oh Kami….”sospirò lui
Hanamichi si alzò,
per un attimo Akira pensò di averlo seccato, pensò che
sarebbe andato via, che lo avrebbe lasciato lì, da solo.
Poi improvvisamente lo sentì di nuovo accanto a sé.
Sorrise.
Ora sentiva anche una sua mano sulla spalla.
Era così calda e rassicurante.
Hanamichi riprese
con lentezza e tatto.
“Perché
non provate a parlarne, potreste trovare una soluzione insieme…”
Akira rise.
“Parlare? …..ah ah ah ….tu non lo conosci…”
“Parlami di lui”
“Cosa?”
Hanamichi sorrise
incoraggiandolo.
“Si…parlami di lui…..niente nomi…parlami semplicemente di lui…….”
Akira sospirò.
Era come farsi volontariamente del male.
Come torturarsi da solo.
Ma iniziò a parlare.
“Lui……..lui è
un gran testardo…..è veramente ribelle….se io dico una cosa
lui sceglie sempre quella opposta ….alle volte lo fa solo per il gusto
di litigare…….perché poi adora avvicinarsi e chiedermi di fare
pace……….è leale e sincero…..mi dice sempre tutto quello che
pensa, senza riflettere……non segue mai i miei consigli ….e poi torna
da me quando le cose vanno male………è……lui è….oddio Sakuragi
…….mi manca da morire………”
Akira si coprì
gli occhi con le mani, chinandosi sotto il peso delle sue stesse parole.
Hanamichi si passò le dita fra i capelli poi corse a dargli
appoggio con una carezza gentile sulla nuca.
“Sendoh…….non
so che dire ……si capisce quanto sia grande il tuo affetto anche solo
dalle parole che usi per parlarmi di lui….”
“Si , ma a lui
non basta…..non bastano….lui non le ascolta….pensa solo a quello che
deve urlarmi contro e non mi ascolta…..a cosa mi serve parlare?A cosa?”
“E pensi che andare
a letto con me sia la soluzione giusta invece?”
Silenzio.
Non aveva gridato,
le loro voci erano rimaste basse, ma vibravano intensamente per esprimere
ogni sfumatura di sentimento.
“Lo so che non
è una soluzione…..ma se devo essere accusato di qualcosa che
non ho fatto…..lui ..lui ieri sera mi ha aggredito urlandomi contro
che lo tradisco da sempre…..da sempre….ti rendi conto? Ero andato
da lui per cercare di parlargli e mi sono trovato davanti solo il
suo muro di insulti e poi la sua porta chiusa………..se devo essere accusato
ingiustamente almeno voglio prima che quello che mi urla contro sia
la realtà…….così posso convincermi che ha ragione, che
è colpa mia…..così….forse……forse posso provare a dimenticarmi….di
lui…………………………………………………………………con te”
Hanamichi comprese.
“Dimenticare non
serve a niente…non puoi cancellare i momenti più importanti
della tua vita in un attimo, neanche se vorresti…….e poi lo avrai
capito oramai che non sono quel tipo di persona ……”
“Si…si, scusami…..perdonami
Sakuragi ….continuo a considerarti una bambola….perdonami…non volevo
offenderti……”
Hanamichi rise tristemente.
“Beh….almeno tu chiedi scusa….c’ è chi lo fa sentendosene in
diritto……”
Akira annuì,
senza chiedere altro.
Passarono pochi istanti.
Poi una lacrima
scivolò silenziosissima dagli occhi del ragazzo dai capelli
neri.
Hanamichi prese il fazzoletto che ornava il proprio taschino e lo
uso per raccogliere quella goccia calda e sofferta.
“Non so…cosa …fare……..dove….dove
sbattere la testa…….non ho speranze….no…è finita……è
tutto finito…”
“Non dire così”
“Ma se non possiamo
parlare non risolveremo mai niente….no,no….è finita……è
finita….”
Hanamichi gli
passò una mano sulla schiena, poi sul viso, ad asciugare dolcemente
le altre lacrime che avevano ben presto imitato la prima nella sua
discesa.
“Aspettami qui,
vado a prenderti qualcosa da bere”
Hanamichi si alzò
velocemente, si diresse al bancone, chiese del liquore caldo e lo
portò con sé.
Il suo lavoro quella sera si prospettava più difficile del
solito.
Dove trovare la forza per sostenere un’ altra persona quando era lui
stesso ad avere bisogno di quel sostegno?
Akira cercava solo un po’ di consolazione, di aiuto e lui, lui lo
capiva perfettamente.
Ora sapeva perché aveva avuto timore di quegli occhi tristi
la prima sera in cui si erano incontrati.
Quegli occhi erano come i suoi.
Vuoti, mesti e senza alcuna speranza.
Akira voleva solo aiuto e lui lo capiva, lo capiva perché erano
nella stessa situazione.
Ma a lui non era concesso chiedere aiuto, perché nessuno avrebbe
potuto fare niente per aiutarlo, anche sapendo.
Ora tornava verso il loro tavolo, cercò di raccogliere le forze.
Avrebbe tirato su quel cliente, prendendo esempio da Yukari, avrebbe
trovato le parole adatte ed avrebbe fatto bene il proprio lavoro,
sperando al tempo stesso di sentirsi meglio.
Camminò velocemente attraversando gli spazi fra i tavoli sparsi,
Akira lo attendeva.
Improvvisamente si sentì osservare, scrutò intorno a
sé, nessuno lo guardava, si diresse verso il proprio tavolo.
Forse si era sbagliato.
Sendoh bevve lentamente.
Il liquore dolce e tiepido gli riempiva la bocca, scivolando sulla
lingua in una languida carezza.
Ringraziò con uno sguardo il proprio accompagnatore per quella
premura.
“Ascoltami Sendoh…..devi
fare qualcosa…….prova di nuovo a dirgli quello che pensi …..cerca
di spiegargli il tuo punto di vista….e se lui non ti vuole ascoltare
…chiedi ad un suo amico di parlargli …....scrivigli………registra un
nastro…..trova un modo….un sistema…..lui forse sa che tu hai ragione
ed ha paura……..prova…..prova a superare l’ ostacolo dei suoi insulti…….non
far morire questa storia……cercare un altro…..o annegare nell’ alcol
non ti servirà……sarà peggio di prima…..affrontalo…in
qualche modo…ok?”
Hanamichi lo fissò
negli occhi, come a sottolineare quanto fermamente fosse convinto
di quella soluzione.
“Non spendere
soldi con me…..io non ti servo……..guarisci la vostra tristezza”
Akira annuì
posando il bicchiere.
“D’ accordo” sospirò
pianissimo
Hanamichi sorrise.
“Non ho sentito….”
Akira rise.
“D’ accordo” ripeté a voce alta
“Bene”
Il ragazzo dai
capelli rossi si avvicinò e strinse quel cliente nel suo abbraccio.
Un abbraccio fra compagni.
Niente di più.
Il tempo era passato.
Un rinnovato sorriso di pura speranza illuminava ora gli angoli delle
labbra di Akira.
Insieme si alzarono, uscendo a farsi accarezzare dalla brezza della
notte.
I neon brillavano
più di prima, tentando di superare le stelle.
Le strade piene risuonavano di rumori e suoni.
Passando sui marciapiedi
ingombri, i due ragazzi avanzavano lentamente, diretti verso la periferia.
Il silenzio li accompagnò per un po’.
Improvvisamente
Akira si voltò verso il proprio Pr.
“Sakuragi…dimmi…perché
fai questo lavoro….?”
Hanamichi strinse
le labbra in una piega amara.
Non poteva fidarsi di lui.
Anche se avevano parlato.
L’ esperienza oramai gli aveva insegnato a vivere nel mondo reale,
non nelle favole.
“Lei è
troppo curioso…signor Cliente….”sbuffò divertito il ragazzo
dai capelli rossi
Akira rimase in
silenzio.
“Si guadagna bene…..tutto
qui…..”
Gli occhi attenti
di Hanamichi intravidero una stazione.
Il Pr fermò i suoi passi.
“Bene…per questa
sera il mio servizio termina qui”
Sendoh annuì.
“Buonanotte”disse
Sakuragi
Akira si avvicinò, lo fermò stringendogli un braccio.
“Lascia che ti
ringrazi”
Un bacio gentile
sfiorò la guancia di Hanamichi.
Un gesto di semplice affetto e riconoscenza.
Lui dagli occhi
nocciola arrossì leggermente.
“Ci vediamo”
“Buonanotte Sakuragi”
La notte portò lontano la figura alta del bel corpo di quell’
accompagnatore mentre dall’ altra parte della città un ragazzo
fiducioso passò la sua, di notte, a cercare di registrare l’
amore che provava su di un nastro.
Una mano candida
rovistò a lungo, spostando giornali ed altri fogli.
Sembrava furiosa.
Triste e furiosa.
Cercò ancora, creando disordine, senza preoccuparsene in alcun
modo, improvvisamente si fermò.
Strinse il pugno fin quasi a farsi male poi afferrò un depliant
dalla copertina bordeaux, attraversò strade, stringendo sempre
più forte quel piccolo fascicolo e nel silenzio generale lo
gettò a terra, ai piedi di alcuni giocatori di basket.
I soliti allenamenti
, gli stessi sguardi.
Rukawa che fissava il suo Pr per chiedergli se aveva lavorato la sera
prima, ma non per lui.
E Sakuragi che rispondeva di si, sfuggendo ai suoi occhi.
Conversazioni private.
Fra un tiro ed un passaggio.
Conversazioni che nessuno osava interpretare od osservare.
Fino a che la
porta della palestra non si aprì.
Un ragazzo dai capelli neri lasciò le scarpe fuori e si richiuse
l’ ingresso alle spalle.
Avanzando deciso il giocatore del Ryonan si diresse a centro campo,
sfidando con lo sguardo il numero dieci dello Shohoku.
Con il disprezzo che riempiva i suoi occhi Koshino gettò ai
piedi di Akagi un depliant bordeaux scuro.
Al centro del campo.
Riconoscendo con trionfo un lampo disperato negli occhi di Sakuragi.
Rukawa riconobbe
immediatamente quella copertina stampata a lettere dorate.
In basso a sinistra facevano mostra di sé le lettere “P” ed
“R”.
Il suo respiro
si bloccò un istante.
Sakuragi rimase
immobile.
Nel silenzio più assoluto si udì il tono deciso del
capitano.
“Cosa significa?”
Silenzio.
Pesante e denso.
La voce di Koshino
si fece finalmente udire.
Livida di una rabbia né velata né trattenuta.
“Semplicemente
ritenevo corretto informare la vostra squadra dei ‘passatempi’ illegali
del vostro compagno”
Silenzio.
“A chi ti stai
riferendo?” intervenne Miyagi facendo un passo avanti
Koshino sorrise
soddisfatto, aveva atteso questo momento.
“Sto parlando
di lui”gridò quasi, indicando con un dito il ragazzo dai capelli
rossi poco distante
Gli sguardi increduli
si girarono a cercare la figura di Hanamichi.
Sakuragi non abbassò
lo sguardo.
Rimase solo in silenzio.
“Quali passatempi
illegali? Avanti, vedi di dimostrare quello che stai insinuando”gli
intimò Mitsui
Il giocatore del
Ryonan indicò con uno sguardo il depliant a terra.
Akagi lo raccolse
iniziando a sfogliarlo.
Sakuragi strinse
i pugni, così forte da conficcarsi le unghie nel palmo.
Nessuno lo guardava.
Solo lui.
Solo Rukawa.
Da così vicino poteva vedere bene quanto stessero tremando
quelle braccia.
Velocemente il
capitano sfogliò le pagine, alla ricerca di quelle prove.
“Io non vedo altro che…..”
Si fermò.
Il silenzio, se possibile, si fece ancora più profondo.
Akagi alzò il viso per cercare con gli occhi Sakuragi.
Lo fissò un istante poi rilesse la scheda che aveva davanti.
Hanamichi non abbassò il viso.
Tempo fa qualcuno gli aveva insegnato a non abbassare mai lo sguardo,
con nessuno.
E lui aveva bisogno di forza in quel momento.
Anche solo della forza delle proprie convinzioni.
“Sei tu?”chiese incredulo il capitano
Il numero dieci
annuì semplicemente.
Il depliant cadde
a terra.
I ragazzi lo raccolsero, guardandolo sconvolti.
Koshino sorrise
sprezzantemente.
“Avete visto che
lavoro fa il vostro compagno?Devi ringraziare che non sei una donna
Sakuragi altrimenti saprei chiamarti con il tuo nome……”
Lo sguardo di
Rukawa si incendiò d’ odio.
Ogni altro pensiero
fu interrotto dall’ arrivo di Sendoh.
Il silenzio lasciò
il posto ai suoni leggeri del respiro affannato di Akira.
Aveva corso, ma
non aveva fatto in tempo.
Vedeva ora fra le mani dei compagni di squadra di Sakuragi quel depliant
maledetto.
Era corso fin lì sperando di fare in tempo ed evitare il peggio.
Era rientrato a casa ed aveva trovato la propria stanza in disordine,
i fogli sparsi sul pavimento, la scrivania piena di libri caduti dagli
scaffali.
Aveva cercato di capire poi, quasi come fosse stato un presentimento,
si era ricordato di quel depliant, lo aveva cercato, ne aveva notato
la mancanza ed aveva intuito chi mai potesse averlo preso e per quale
motivo.
Ma era troppo
tardi.
“Hiro…cosa………
hai …………fatto?”
Ogni altra parola
fu impedita.
“Sakuragi ….cosa
significa?”domandò Kogure sistemandosi gli occhiali sul viso
attonito
Silenzio.
“Questo è il tuo….lavoro? ”chiese Miyagi
“AVANTI! Cosa
significa? RISPONDI”gridò Mitsui
Fino all’ ultimo avrebbe difeso Hanamichi dalle accuse di quel nanetto,
ma adesso sentiva la propria fiducia verso quel compagno crollare.
Ora che aveva davanti agli occhi quella scheda personale, quella foto,
quei dati.
Hanamichi chiuse
gli occhi.
“Esattamente quello che vedete” rispose
Akagi fece un passo verso di lui.
“Lavori come accompagnatore?”
Hanamichi accettò
la sconfitta.
“Si”
Silenzio.
La voce bassa
di Ayako si levò stupita.
“Sakuragi vuoi
dire che ……che quella sera in cui ..hai ballato con me… tu …….”
“Si………..stavo
lavorando”mormorò lui, un’ espressione affranta per il dispiacere
che le stava dando
Improvvisamente
un rumore secco e forte risuonò nella palestra.
Mitsui aveva gettato
a terra quel depliant, con tutte le sue forze.
“Vuoi forse dire
che tu….TU….sei un maledettissimo gigolò?”ringhiò
“No!”chiaro , forte , deciso
Gli occhi di Hanamichi inchiodarono quelli scuri come la notte di
Mitsui.
“Io non sono un
gigolò, io non vendo il mio corpo, io vendo solo la mia compagnia,
sono un semplice Pr”
“Non mi importa cosa sei …né quale sia il tuo lavoro….ma stai
lontano da Akira” urlò Koshino
“Cosa c’ entra
Sendoh adesso?” chiese infuriato Miyagi
“BASTA”ordinò Akagi
Il silenzio e
l’ ordine tornarono a dominare, intervallati solo dai passi decisi
con i quali il capitano si dirigeva verso Sakuragi.
Gli sguardi attenti
di tutti, puntati su di loro.
“Sakuragi, è
davvero questo il tuo lavoro?”
Gli occhi limpidi
e sinceri di Hanamichi si scontrarono con la fierezza di quelli di
Akagi.
“Si”
“Bene, tu sai
vero che non ti è possibile lavorare senza mettere nei guai
la squadra? ”
“Si”
“Sono costretto
a metterti davanti ad una scelta……o lasci il tuo lavoro…o………..o lasci
la squadra”
“Capisco”
I secondi passavano.
Un’ agonia lenta ed indescrivibile.
Rukawa rimase immobile.
Sentiva qualcosa di indefinito turbarlo.
Guardò intensamente il proprio Pr.
Hanamichi schiuse
le labbra.
I respiri sospesi.
“Lascio la squadra”
Ayako si coprì
le labbra con una mano.
I ragazzi sussultarono.
Quel tono freddo e distaccato.
Deciso e sicuro.
Non era del loro Hanamichi.
Non lo sembrava.
Era di un accompagnatore.
Di un Pr che conosce bene il proprio lavoro.
Che parla con precisione ed accuratezza.
Era di quel Pr che avevano incontrato la sera del primo dell’ anno.
“Come vuoi”rispose Akagi
Akira fece un
passo avanti.
“Sakuragi aspetta!”
Hanamichi si voltò.
Gli occhi chiari di Sendoh lo scrutavano affranti.
“Tu mi avevi detto
che…….il tuo lavoro…..lo avresti lasciato subito se lo avessero scoperto……perché
invece….”
Senza dire niente
ognuno dei presenti osservò gli occhi di Sakuragi, il suo sguardo
che sapeva d’ impotenza.
Perché quella fu la sua unica risposta.
In pochi minuti di penoso silenzio il ragazzo dai capelli rossi raccolse
tutte le sue cose.
Si sfilò la maglia rossa della sua squadra e la consegnò
nelle mani di Akagi.
Akira lo fermò
l’ ultima volta.
“Mi dispiace….io
non ho potuto……….mi dispiace …non volevo che succedesse….”
Hanamichi regalò a lui un suo piccolo sorriso.
“Non importa –
disse appoggiando una mano sulla spalla che solo la sera prima aveva
consolato con carezze amichevoli –…..non importa…..sono contento invece
che tu abbia avuto una prova dell’ affetto del tuo compagno…….o forse
è meglio dire della sua gelosia……..”
Ridendo sommessamente,
così come era arrivato, Hanamichi si chiuse la porta alle spalle
e lasciò la palestra.
Il silenzio rimase
a fare compagnia ai pensieri di quei ragazzi.
Improvvisamente
un rumore secco li fece voltare.
Tenendolo per
un polso Akira aveva colpito il viso di Koshino.
“Ti rendi conto di cosa hai fatto?”sussurrò gelido l’ asso
del Ryonan
Il suo compagno
lo guardò con un velo di lacrime sugli occhi, le labbra imbronciate,
la testa china.
“Non mi importa…..è
colpa tua ….vi ho …visti ieri sera………..c’ ero anch’ io in quel locale
pieno di fiori………tu…tu….TI E’ PIACIUTO COSI’ TANTO FARTI CONSOLARE
DA LUI ,VERO?”
Un secondo schiaffo colpì la guancia già arrossata di
Hiroaki.
“Basta!Questo
non è né il luogo né il momento opportuno per
questa discussione”
Sendoh lasciò
la mano del suo compagno e si accostò ad Akagi.
“Ascolta Akagi so di non avere il diritto di interferire con le decisioni
della vostra squadra , ma io…”
Una voce forte ed infuriata riempì la palestra.
“MA SIETE IMPAZZITI?Che
bisogno c’ era di cacciarlo dalla squadra?”
I ragazzi si voltarono.
Mito ed il guntai
stavano scendendo dagli spalti dove erano soliti sedersi per osservare
gli allenamenti.
Lasciando a bordo campo le loro scarpe si diressero verso i giocatori.
Akagi fronteggiò lo sguardo penetrante di Yohei.
“Potrebbe mettere
nei guai la squadra …basterebbe che qualcun’ altro lo scoprisse, così
come è successo con questo giocatore del Ryonan”
Mito sputò
fuori un verso di disgusto.
“Già…..lui……lo
ha fatto solo per il suo Sendoh vero?Perchè era uscito con
Hanamichi ……. ed è corso qui a gridargli in faccia la sua rabbia
davanti a tutti senza pensare alle conseguenze………..beh sai che ti
dico….se non sai tenerti stretto il tuo ragazzo allora è meglio
che lui ti lasci……..tsk..”
Koshino impallidì
violentemente.
“COME OS…..”replicò
La presa di Akira
si rafforzò dolorosamente, strappando un lamento al suo compagno.
“Ha ragione –
sussurrò Akira – sei stato uno stupido…..non hai pensato ai
danni che avresti fatto….come sempre……”
“E’ colpa tua
, vi ho visti e tu……”
“Stavamo parlando
di te, sciocco… – sussurrò malinconicamente l’ asso del Ryonan
–….Hanamichi mi ha chiesto di te……ed io mi sono confidato con lui
……mi ha aiutato……a modo suo ….consolato…come hai potuto fargli questo?Non
pensi mai prima di parlare, vero?”
Il silenzio rese
quelle parole ben più pesanti.
Ma Yohei non aveva
finito.
“Perché
lo avete cacciato dalla squadra ?Non ce n’era bisogno, dannazione”
“Vuoi capire che
abbiamo un campionato?Abbiamo delle responsabilità….la squadra
conta molto più di un lavoretto qualsiasi”rispose duro Akagi
Un pugno colpì
il viso del capitano.
Akagi indietreggiò, ma rimase immobile.
Ayako gridò a Mito di smettere.
“Voi non avete
idea di quanto sia importante il basket per lui, che cosa ha significato
finora….”gridò Yohei contro quelle scuse che sapevano di eccessiva
responsabilità
Il capitano dello
Shohoku si asciugò un piccolo rivolo di sangue dal labbro.
“Gli ho dato una possibilità, Mito, o il basket o il lavoro
…e lui non ha scelto quello che tu dici essere così importante”
Silenzio.
I ragazzi del
guntai risero sprezzanti, lasciando che l’ ira brillasse nei loro
sguardi.
Mito fece un passo
avanti.
Deciso e furente.
Nemmeno più l’ ombra di un sorriso sul suo volto.
La piega delle labbra amara e serrata.
“Quello che è
più importante dici? Che cosa ne sapete, voi, di quello che
lui ha dovuto scegliere, voi non ne sapete un cazzo della sua vita,
volete la verità? Volete sapere ?Bene….. – sibilò gelido
il ragazzo moro – …………lo volete capire che se Hanamichi smette di
lavorare finisce in mezzo ad una strada?”
Silenzio.
Ancora.
Yohei proseguì,
immensamente soddisfatto degli sguardi che sentiva increduli su di
sé.
“Suo padre è
morto e lui si porta sulle spalle anche il peso di non averlo potuto
salvare, sua madre è malata, è cieca, non vede più,
da mesi, MESI, e lui deve pensare a sé …e… a lei …..se smette
di lavorare finiscono entrambi in mezzo ad una strada, senza speranza,
e VOI state lì a chiedergli ……….‘Avanti scegli o noi, i tuoi
amici, con il basket che adori, che ti ha regalato un sogno che un
ragazzo di strada come te non ha mai avuto o il tuo lavoro di merda
che però ti fa andare avanti………oh –….proseguì lui sempre
più ironico, alzando le mani per aiutarsi con i gesti –………oh
sicuramente una scelta molto facile……….una stupidaggine, no? E cosa
ci vuole per voi….voi quando tornate a casa trovate chi vi accoglie,
chi vi porta da mangiare ……lui può solo continuare a lavorare
per vivere con quello che guadagna …e sia chiaro che non avrà
mai niente di cui vergognarsi anche se è un accompagnatore
..….MAI….…neanche se fosse come avete insinuato voi un maledetto gigolò……..MAI”
Il guntai annuì
soddisfatto.
Mentre per la prima volta nella sua vita Akagi abbassò la testa.
Senza riuscire in alcun modo a ricambiare lo sguardo denso di Yohei.
I giocatori si
guardarono fra di loro, con la coda dell’ occhio, cercando parole
o pensieri adatti.
Poco più in là Rukawa si lasciò andare contro
il muro alle sue spalle.
Il ragazzo moro
osservò con soddisfazione i loro visi, le loro espressioni.
Noma intervenne.
“Avanti Yohei digli tutto, raccontagli anche il resto”
Mito sorrise tristemente,
girandosi verso di lui, poi si rivolse ancora una volta ai giocatori
fermi in mezzo al campo.
“Voi non sapete niente, non sapete quante volte ha pianto e gridato
desiderando una vita normale, come la vostra, una spensieratezza senza
preoccupazioni né pesi, la libertà di giocare, di vivere……no…
voi non c’ eravate e lui era solo…..sere e sere…notti e notti a lavorare,
chiedendoci scusa per non poter mai uscire con noi, che siamo il suo
guntai, lui era solo con i suoi problemi e voi non avete fatto altro
che rendere tutto sempre più difficile, fino ad allontanarlo
da voi, ditemi ……adesso lui per che cosa vivrà? Che cosa sognerà?”
“Gli avete tolto
tutto”disse Takamiya
“Bastava che lui sorridesse e voi potevate credere che fosse tutto
a posto……basta…..mi fate schifo…andiamo via”sussurrò stanco
Mito
“Si, andiamocene”ripeté Okuso
Presero le loro scarpe e con un ultimo sguardo a quei giocatori silenziosi
ed immobili andarono via.
“Spero vorrete
ripensarci” mormorò Yohei, mentre l’eco faceva udire a tutti
quelle parole lasciate uscire
La porta si chiuse e con essa la discussione.
Ayako raccolse
il depliant, stringendolo fra le braccia.
Si accostò al capitano, appoggiandogli una mano sul braccio.
Fra tutti Koshino
e Mitsui non osavano alzare lo sguardo.
Il primo per la vergogna, il secondo per il rimorso.
Akira sospirò
ed infranse quel silenzio teso.
“Ora capisco tante
cose”sussurrò a sé
Poi prese una
mano del suo compagno e si allontanò, un ultimo cenno del capo
come saluto alla squadra ed uno sguardo implorante che chiedeva clemenza
per il futuro di quel Pr.
Akagi alzò
la testa, guardò i propri compagni.
Osservò l’ avvicinarsi lento di Ayako e di Kogure.
“Capitano….”
“Akagi….”
Ma lui scosse la testa.
“Gli allenamenti
terminano qui, domani vi voglio tutti in palestra un’ ora prima …..non
possiamo essere certi di quanto ci ha detto Mito, andremo da Sakuragi,
parleremo con lui , poi decideremo…Ayako sfrutta il tempo fino a domani
per trovare l’ indirizzo di Hanamichi”
Kogure sorrise, scambiando uno sguardo d’ intesa con la bella manager.
Solo contro un
muro Rukawa non alzò il proprio sguardo.
Gli spogliatoi si riempirono di sussurri.
Mezze frasi.
Esclamazioni incredule su quella verità scoperta per caso,
per umana gelosia.
“Ecco perché
sembrava così educato…”si disse Miyagi
“Già……..sembrava
diverso…anche oggi però…mi è sembrato …”
“Freddo…..freddo
e distaccato…come avesse già messo in conto questa possibilità………”
“Mitsui….”sussurrò
Kogure sentendolo finalmente parlare
“Ora capisco come
mai si intendeva di borsa e di indici……” scherzò Miyagi per
alleggerire la tensione
“Siamo stati insensibili
…ma non potevamo sapere ……neanche immaginare…”
“Si ..sopratutto
io……..non….avrei dovuto …offenderlo…” biascicò Mitsui
Kogure rise avvicinandosi,
posando una mano sulla sua spalla.
“Non ti preoccupare…anzi
penso lui abbia capito che in realtà lo volevi difendere quando
è arrivato quel ragazzo ad accusarlo……..basterà scusarsi
e vedrai che tornerà tutto come prima…….”
“Già ..quel
ragazzo del Ryonan……non credevo fosse il compagno di Sendoh…strani
gusti l’ asso di quella squadra….strani davvero…” ridacchiò
Miyagi
Qualche altro
sorriso gli fece compagnia mentre, senza fare rumore, Rukawa si allontanava
uscendo.
Solo, in mezzo alla strada.
Risentiva dentro la propria testa le parole dei suoi compagni.
Una frase girava nella sua mente, incessantemente, dolorosamente.
‘…..non avrei
dovuto offenderlo….senza sapere…’
Quelle poche parole
si mescolavano, confondendosi con quei particolari svelati loro da
Mito, stordendolo.
Se Mitsui si sentiva
in colpa per averlo offeso lui, che da più di due mesi lo usava,
lo ricattava, lo costringeva….cosa avrebbe dovuto sentire allora?
Entrò in casa.
Non salì in camera.
Troppi ricordi lo avrebbero assalito lì.
Aveva bisogno di pensare.
Si stese nel salotto, al buio, nel silenzio, la testa fra le mani.
Hanamichi si lasciò
andare sul divanetto della sua ‘stanza’.
La voce di sua madre lo chiamava dall’ altra camera.
Ma lui chiese
per sé ancora un istante, per sforzarsi di sorridere un po’.
Non che sua madre avrebbe visto quel sorriso, semplicemente con gli
angoli incurvati la sua voce avrebbe ricevuto un’ inflessione più
allegra.
Si alzò
velocemente.
Non voleva farla aspettare troppo.
“Tesoro, come
mai sei già qui?”
“Ciao, mamma”
disse lui regalandole un bacio
“Non cercare di
sviare le mie domande….. – disse lei ridendo, accarezzando quel volto
chino sul suo – …allora che ci fai qui così presto? Gli allenamenti
?”
“Oggi ci hanno
mandato a casa prima perché la squadra di pallavolo aveva bisogno
dell’ intera palestra per allenarsi in vista del campionato”
“Ah, capisco…….bene,
no? Così ti riposerai un po’…..”sussurrò lei contenta
“Si……vuoi che
ti legga qualcosa?Oggi ho il pomeriggio libero, tutto per noi….su
chiedimi quello che vuoi…”
“Mh, davvero tutto quello che voglio, piccolo mio?”
“Si, tutto, avanti
….”rise Hanamichi
Lei sollevò
su suo figlio uno sguardo vacuo e vuoto e sorridendo amabilmente gli
disse.
“Vorrei tanto
un po’ di gelato…è tanto che non ne mangio…me lo compreresti?”
Lui la guardò
stupito poi rise ancora.
“Ma certo, corro”
Hanamichi uscì
veloce dalla stanza.
Nel corridoio incontrò gli occhi azzurri di Yukari.
“Stai uscendo?”
“Si”
“Posso accompagnarti?
Ho proprio bisogno di fare una piccola passeggiata”
Insieme i due
accompagnatori uscirono dall’ agenzia, camminando lentamente sotto
il sole del primo tramonto.
“Come mai così
presto a casa?”
Hanamichi sorrise
tristemente, senza sforzarsi.
Se sua madre non vedeva, sapeva che invece Yukari avrebbe potuto leggere
perfettamente la tristezza che riempiva i suoi occhi, con lei sarebbe
stato inutile fingere, tanto più che conosceva ogni particolare
della sua vita, tranne le notti nel letto di Rukawa.
“E’ successo quello
che ormai mi aspettavo ”
“A cosa ti stai
riferendo? Se vuoi parlarne io sono qui, lo sai”
“Ti ringrazio”
Fianco a fianco
per le strade poco affollate di quella periferia pomeridiana Hanamichi
le raccontò la verità, la gelosia di quell’ amante falsamente
tradito, la sua follia, il racconto della verità, la scelta
ed infine il suo abbandono.
Yukari annuì
comprensivamente.
Poi appoggiò una delle sue candide mani sul braccio tremante
di Hanamichi.
“Non potevi fare
diversamente piccolo, hai scelto bene”
Lui la guardò,
lo sapeva , ne era conscio, non avrebbe mai elemosinato quel posto
in squadra e non avrebbe abbandonato sua madre.
Mai.
Eppure faceva male.
La consapevolezza di non poter più giocare bruciava ogni istante
di più.
Ironicamente Hanamichi aggiunse un altro motivo per piangere ai tanti
che già possedeva.
La busta frusciava dolcemente al ritmico ondeggiare della mano che
la teneva.
La strada del ritorno parve più breve di quella dell’ andata.
“Ora si che sono
stanco Yukari”mormorò tristemente il ragazzo dai capelli rossi
“Non dire così,
hai ancora tanto per cui vivere ed andare avanti”
“Era un sogno
Yukari, una delle ultime cose belle che mi era rimasta, ora il mio
lavoro ha portato via anche quella , dopo i miei amici, la mia spensieratezza,
la mia innocenz…ah…”
Hanamichi si coprì
le labbra con una mano.
Forse aveva detto troppo.
Yukari non lo guardò.
Gentilmente finse di non aver sentito quello che già da tempo
immaginava.
“Perdonami, sto
parlando troppo…ti starò sicuramente annoiando con tutti i
miei problemi”
“Se ti fa bene
parlarne continua…..so bene come sia difficile trovare qualcuno con
cui farlo liberamente…soprattutto per te…che nascondi così
tanti segreti a tutti quanti…….”
Lui le sorrise
riconoscente.
Senza cogliere il sottile riferimento a quelle parole sfuggitegli
prima.
“Almeno tu, di
bello, mi sei rimasta”
Lei rise sommessamente.
“Via non adularmi,
non sono una ricca cliente”
Lei gli regalò
uno sguardo profondo.
Affetto negli occhi.
Lui invece le donò un sorriso.
Insieme rientrarono
all’ agenzia.
Il pomeriggio
trascorse velocemente.
Il gusto dolce del gelato accompagnò le labbra di Hanamichi,
mentre per il solo piacere di stare insieme, leggeva a sua madre un
libro sui fiori.
La abbracciò
diverse volte, trovando ogni motivo valido, voleva calmare i propri
sensi con quelle carezze materne, si strinse a lei alla fine di quel
pomeriggio, fingendo di volere un ringraziamento ed un premio, appoggiando
il viso vicino al cuscino inspirò l’ odore di quelle lenzuola…..in
un attimo le paragonò alle uniche altre lenzuola estranee che
aveva conosciuto in tutta la sua vita…………..
com’ era diverso quell’ odore fresco di medicine e fiori dall’ aroma
sensuale che la pelle di Rukawa aveva lasciato sulle coperte e sui
cuscini che lui aveva respirato in quella stanza.
Fragranze diverse…….la prima piena di un senso di protezione, ma dagli
strascichi tristi…….la seconda erotica e avvolgente, ma dal sapore
amaro della costrizione………………………e lui si chiese se nella sua vita
avrebbe mai incontrato un letto che sapeva solo d’ amore.
Scosse la testa e cercò di non ricordare altro.
Si strinse alla donna e la vegliò tutta la sera ancora.
Per tenere i pensieri
lontani.
Per tenere l’ unica persona che amava vicina.
Lui non poteva
credere che fosse vero.
Eppure doveva.
Era quella la realtà.
Quanto a lungo ancora si sarebbe ripetuto di non volerci credere?
Era un bastardo.
Un egoista.
Non aveva che pensato a sé.
No, doveva riflettere ancora.
Era successo tutto così in fretta.
Così maledettamente all’ improvviso.
Erano in palestra.
A conversare l’ uno negli occhi dell’ altro.
La sera prima lui non lo aveva cercato, ma aveva capito che il suo
Pr aveva lavorato.
Per un altro.
Poi era comparso quel giocatore, che aveva cominciato a gridare, ad
insultare ed accusare Sakuragi.
Aveva gettato ai piedi del capitano il depliant dell’ agenzia di accompagnatori.
Lui lo aveva riconosciuto subito.
Lo conservava sulla propria scrivania.
Lo guardava nelle sere in cui non poteva avere per sé la materializzazione
concreta di quella foto dai colori sgargianti.
E nonostante tutto continuava ad ingannarsi, a mentire a se stesso
e al mondo intero.
Poi i suoi compagni avevano scoperto la verità, il lavoro di
Sakuragi.
Avevano guardato a lungo quella foto che lui conservava e riguardava
gelosamente.
Si era sentito derubato.
Privato di una cosa che doveva appartenergli pienamente.
Privato di un piacere personale e segreto.
Aveva odiato quel ragazzo per questo.
Lo aveva odiato per avergli portato via la segretezza di quegli incontri,
il mistero di quel lavoro, il possesso di quella verità.
Aveva osservato con quale incredibile freddezza Hanamichi avesse accettato
e confermato quelle accuse.
Con quale calma avesse risposto, rischiando la vergogna, lo scherno,
l’odio.
Con quale fierezza avesse difeso la propria dignità, il proprio
orgoglio da chi lo chiamava venduto.
Ed aveva visto con quale distacco aveva lasciato la loro squadra.
Per sempre.
Nel momento in cui Akagi aveva imposto quella scelta lui, invece,
si era sentito turbato.
Aveva sentito qualcosa di indefinito, di vagamente doloroso.
Qualcosa che gli sussurrava che se Hanamichi avesse scelto il basket
lui sarebbe sparito dalla sua vita.
Qualcosa che sussurrava che di fronte a quella scelta avrebbe perso
per sempre il proprio accompagnatore.
Ed invece era stata la squadra ad essere abbandonata, non lui.
Quel pensiero gli dava conforto, irrazionalmente lo faceva stare bene.
Eppure qualcosa non andava, vederlo andare via , raccogliere le proprie
cose, consegnare la divisa.
Era come vederlo gettare via un sogno e lui, che quel sogno lo aveva
condiviso per un anno sapeva cosa stava buttando via, a cosa rinunciava.
Lui, che quel viso lo aveva guardato a lungo e studiato e accarezzato
e ne conosceva espressioni che nessun altro aveva mai visto, vi aveva
letto sopra sofferenza e disperazione.
La stessa espressione di quella sera in cui lo aveva osservato mentre
si spogliava per pagare la scommessa della partita a biliardo.
L’ espressione di chi è costretto ad una rinuncia immensa e
dolorosa.
E anche lui ne aveva avvertito il peso.
Significava non vederlo più.
Significava osservarlo solo di sfuggita nei corridoi e doverlo richiedere
quasi ogni sera per poterlo avere accanto.
Significava rinunciare a sentire il suo calore vicino mentre correvano
in palestra.
Significava rinunciare a sentire la sua presenza, rinunciare alle
loro conversazioni fatte di sguardi, alle volte in cui con mezzi sussurri
lui gli diceva dove e a che ora quella sera, rinunciare a trascinarlo
dietro le tende delle docce per strappargli una carezza alle labbra.
Non avrebbe voluto, non avrebbe mai voluto che succedesse.
Ma non aveva potuto fare niente.
Impassibile ed immobile aveva assistito all’ entrata di Sendoh, scoprendo
di essere stato derubato da lui di ben due serate con il proprio Pr,
aveva osservato con qualcosa di simile alla gelosia quegli sguardi,
quelle parole che si erano rivolti, ma non così bene da non
scambiare quella luce riconoscente negli occhi di Sendoh per amore.
Ed infine aveva trovato la verità.
Ora tutti quegli interrogativi avevano avuto la loro risposta.
Non aveva atteso invano.
Ora sapeva.
Il perché di quel lavoro.
Il perché fosse così importante.
Il perché per esso avrebbe rinunciato a tutto.
Il perché per esso aveva realmente rinunciato a tutto.
Il perché si costringesse contro la propria volontà,
contro il proprio orgoglio.
Il perché della sua tristezza e della sua disperazione.
Ed infine la persona per la quale avrebbe dato la vita.
Ed ora la domanda di tanto tempo fa tornava, improvvisa, quasi incoerente.
Lui lo avrebbe fatto?
Per chi?
Per sua madre?
Non lo sapeva.
Come poteva saperlo se non l’ aveva quasi conosciuta?
Per suo padre?
No.
Forse no.
Forse no.
Per cosa l’ avrebbe salvato?
Per ascoltare ancora i suoi silenzi?
Ed invece…..quel Pr …..lavorava …orfano di un genitore …con la responsabilità
della vita di un altro…solo…..e la notte….la notte ….
…..la notte lui osava farlo venire nella sua casa……..dentro al suo
letto…ad aggiungere problemi e sofferenze a quelli che già
aveva.
Non poteva, non riusciva a crederlo.
Si sentiva il cuore in una morsa.
Chiuso, serrato, sanguinante.
Agonizzante.
Ricordava quella frase di Mito, quella che lo aveva fatto sussultare,
quella sui motivi per vivere.
‘ditemi ……adesso lui per che cosa vivrà? ’
Ed assurdamente in quel momento aveva pensato di poter diventare lui
quel motivo per cui Hanamichi avrebbe potuto continuare a vivere.
Come poteva diventarlo?
Ne rise, malinconicamente.
Solo in quel salotto enorme.
Già sentiva la porta aprirsi e la solitudine entrare a minacciare
la sua vita.
Eppure continuava a tormentarsi, a pensare.
Kami….lui …non avrebbe lasciato la squadra neppure per salvare se
stesso, no, non l’ avrebbe mai fatto.
Ed invece quel Pr……..
…quel Pr coraggioso……………………e dolce….e caldo…………………….e bello……il suo
Pr……….
No.
Perché?
Perché quei pensieri ?
Quella dolcezza che sentiva come miele pregiato in sé e sulle
labbra a pronunciare senza suoni quelle parole, a pronunciare e chiamare
invano quel nome e quel ragazzo.
No.
Non sapeva più cosa pensare, più cosa credere.
Tutto stava cambiando.
Di nuovo.
Ma poteva non essere così.
Quelle erano state le verità di Mito, poteva non essere la
realtà, potevano essere state esagerate, drammatizzate, in
difesa del compagno.
Kaede si ritrovò a sperare che fosse così.
Che in realtà fosse tutto falso.
Che Sakuragi non avesse avuto quella vita.
Che avesse scelto liberamente quel lavoro.
Altrimenti come giustificare davanti al tribunale di se stesso tutte
le notti e le….le ..si…..le violenze, le minacce…….come poter sperare
di ricevere, non perdono, quello sarebbe stato troppo, ma almeno compassione
o pietà?
Non sarebbe stato possibile.
Mai
Mai.
Ma lui era stanco adesso e quella sera voleva sperare.
Confidare in una realtà diversa e più dolce.
Più facile.
Che non avesse fatto soffrire quel Pr come aveva invece sentito.
Si alzò, si passò una mano sugli occhi, l’ altra fra
i capelli.
Poi si stese sul divano, affondando sui cuscini morbidi, tirò
su di sé una coperta e dormì lì.
Lontano dai suoni ….gemiti lontani…..che la sua stanza aveva assorbito
e che ogni notte regalava alla quiete dell’ oscurità.
Cercando ancora una speranza alla quale tenersi stretto lui si addormentò
lentamente.
La solitudine seduta ai suoi piedi che posava la grande testa sulle
sue gambe.
Il giorno seguente Hanamichi arrivò a scuola molto presto.
Non voleva incontrare nessuno.
Camminare per i corridoi quasi vuoti faceva uno strano effetto.
Ma donava un po’ di tranquillità.
Improvvisamente si sentì osservare.
Uno sguardo triste, comprensivo e amichevole al tempo stesso.
Hanamichi incontrò Kogure.
Non dissero niente.
Kogure sorrise in saluto, poi sparì nella propria classe.
Sospirando lui dai capelli rossi si rifugiò sulla terrazza
per molto tempo.
La porta si aprì, il tempo era passato.
E lui si era addormentato lì, al sole, dove i raggi avevano
reso tiepida la pietra del pavimento.
Si era svegliato da poco ed ora qualcuno era salito.
Si girò incontrando il suo guntai.
Sorrise, felice di vederli.
Da tanto non stava un po’ con loro.
Si alzò, correndo dai suoi amici.
Ma Yohei lo fermò
con uno sguardo, mettendo distanza fra di loro.
Anche tutti gli altri rimanevano immobili.
Lontani.
Hanamichi avvertì fastidio.
Che si fossero stancati dei suoi continui rifiuti ed avessero deciso
di abbandonarlo?
No, non lo poteva credere.
Non da Yohei.
Non dall’ amico con cui aveva diviso innumerevoli giornate e risse
e piccole felicità.
Non dall’ amico con il quale si era confidato, al quale aveva svelato
un passato da cancellare ed un presente tormentato.
Quell’ amico fece ora un passo avanti.
E chinò la testa.
“Perdonami”disse
“Perdonaci” mormorarono
gli altri
Ad Hanamichi sembrò
di non capire.
Cosa ?
Cosa doveva perdonare?
“Spiegati Yohei io……………parla”
“Mi dispiace Hanamichi ieri, io ………..io..ero così furioso per
quello che ti avevano fatto e detto…che……”
Il ragazzo dai
capelli rossi sgranò gli occhi, sospetto, quasi consapevolezza
di sapere di cosa stava parlando.
“…Io…ho raccontato
ai tuoi compagni la verità su di te…..la tua storia…….perdonami…….”
Hanamichi non
disse niente.
Ora semplicemente capiva la tristezza dello sguardo di Kogure.
Non sapeva cosa dire, né cosa pensare, né cosa aspettarsi.
Rimase in silenzio.
“Perdonami………so di aver sbagliato, ma ti giuro non ci ho visto più…come
hanno potuto…pensavano di essere nel giusto….maledizione”
Ancora Yohei non
aveva alzato il viso.
Hanamichi rimase immobile.
“Non mi aspetto il tuo perdono ….ti ho tradito …capirò se non
vorrai più vedermi, ma loro non c’ entrano niente ……sono stato
io a parlare”
I ragazzi del
guntai si lamentarono.
“Ehi…ehi…ti avvertiamo
Hanamichi se non avesse parlato lui lo avremmo fatto noi, chiaro?
Non possiamo sopportare certi comportamenti…..”disse Noma
Hanamichi sorrise
dolcemente.
Poi una frase
ed un pensiero gli rubarono il respiro.
“Almeno ci siamo
tolti la soddisfazione di vedere i loro visi sconvolti”ridacchiò
Okuso
Senza preavviso
Hanamichi afferrò le spalle di Yohei, scuotendolo con forza.
“Dimmi……dimmi
c’ era ….era lì anche…………R..Rukawa?”
Mito lo fissò
sorpreso.
“Si………..credo di si ….non ho guardato ….ma se c’ era prima …sarà
rimasto……si…”
Hanamichi lo lasciò.
“Cosa c’ entra
Rukawa?” chiese con sospetto il suo amico
Il ragazzo dai
capelli rossi scosse la testa.
Un turbinare immenso di pensieri lo avvolse, voleva riflettere, doveva
riflettere.
Ma sentì il suo guntai in attesa.
Alzò di
scatto la testa, sorrise a tutti loro poi parlò, lento e deciso.
“Alza la testa
Yohei ………non avete niente di cui farvi perdonare….mi avete difeso…….ho
solo voi……………………grazie”
Si abbracciarono.
Felici per quel perdono.
Mentre lo sguardo di Hanamichi si riempiva lento, ma inesorabile di
ansia.
Quando l’ orario
di lezione lo lasciò libero lui corse a casa.
Divorato dai pensieri e dai problemi.
Ora tutti sapevano.
Continuava a ripeterselo.
Ora tutti sapevano.
Anche lui.
Anche Rukawa.
Anche Rukawa.
Rientrò in casa, senza salutare, si stese sul divano, la testa
fra le mani, pesante, piena di dubbi.
Ed ora cosa sarebbe successo?
Ringraziò un istante di aver lasciato la squadra, almeno quel
pomeriggio non avrebbe dovuto sostenere i loro sguardi, le loro domande
sospese negli occhi fissi su di sè.
Poi pensò a lui.
Cosa sarebbe successo?
Lo avrebbe rivisto?
Sarebbe continuato tutto come prima ?
Rukawa avrebbe preso con freddezza anche quella verità ed avrebbe
continuato ad usarlo?
Oppure non si sarebbero più sentiti, né visti , né…….né
….né avrebbero condiviso più niente?
Non lo sapeva.
Non lo sapeva.
Era inquieto.
Teso.
Si alzò.
Camminava avanti e indietro.
Senza trovare pace né un pensiero rassicurante.
Troppe domande.
Troppo veloci.
Uscì da
quella stanza, si sentiva soffocare.
Arrivò nel piccolo bar, si sedé ad un tavolino, nell’
ombra più cupa che era riuscito a trovare e rimase in silenzio.
Alle sue spalle Yukari passò guardandolo.
Una mano delicata appoggiata allo stipite.
Un attimo dopo quella mano non c’ era più.
E nemmeno quell’ ombra alle spalle.
Yukari decise, per quella volta, di lasciarlo solo a riflettere.
Lo avrebbe osservato gentilmente, per qualche giorno, per sostenerlo
nel momento in cui ne avrebbe avuto bisogno.
Come una sorella , come una madre.
Continua…………….
* Sono nomi di
cocktail , il primo dovrebbe esistere sul serio ed essere composto
da spumante e succo d’ arancia, il secondo …..beh il secondo non cercatelo
nei bar perché non credo esista…….ma sa …….chiamatela licenza
poetica nata dal mio amore per le calle e per il colore rosso……………..^_____=
poi se qualcuna di voi lavora come ‘bar-woman’ (anche man , perché
no?)può sempre inventarlo……….ma poi me lo deve far assaggiare……….^______=
M:^________________________^Tutto
inizia a muoversi ……..evvai!!!!!!
Hiro: Non è giusto ……mi fai comparire per poi farmi fare la
figura del bastardo perfetto poi mi fai mollare due schiaffi e dico
due !!!!dal mio koi Aki-pucci -bello e mi mandi via?????????????Dillo
che vuoi morire………………
A: A me è piaciuta invece prima Hana mi coccola e poi finalmente
ti pesto per quello che mi hai fatto passare……….
Hiro: Ritiro il koi Aki- pucci -bello!!!!!!!
M: Su pazientate, in fin dei conti dovrete aspettare poco, pensate
a Ru ed Hana che hanno aspettato per ben 19 cap ed ancora soffrono
come cani!!!!!!
R&H: Bastarda sadica e perversa!!!!!
M: Scudish! Scudish! A cuccia belli……………………groaooooooor!!!!
Ringrazio tutti
coloro che mi hanno accompagnata fin qui………chiedo scusa ad Hyme perché
lo sa , ormai , quanto io sia cattiva con il piccolo Hana ……ma poi
sa anche che so ricompensarlo il piccolo Hana (mandandogli in camera
il piccolo Kae)
……………
La piccola Mel vi saluta !!!!!
Un bacio.
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