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Pr

Parte XIX

di Mel

 

Il sole precipitava verso un orizzonte lontano e ghiacciato, il rosso infuocava l’ aria e rifrangeva lampi brucianti nelle iridi socchiuse di Hanamichi.
Attendeva.
Come sempre.
Le braccia incrociate, il viso basso, la voglia di gettare via quel maledetto fiore che aveva sul petto, la sua profumata catena , lo voleva prendere, stringere fra le mani fino a sanguinare per poter essere certo di non sognare, di non sognare maledettamente ad occhi aperti come sempre più spesso gli capitava ormai, voleva sanguinare e sentire dolore e gettare lontano da sé quella bella e gialla catena, voleva sparire in un vicolo scuro, chiamare Yohei, vagabondare per le strade a ridere e a scherzare, lui , il guntai e la loro spensieratezza.

Ma non poteva.
Voleva correre via ed invece rimaneva lì.
Immobile, il viso ancora chino, la frangia quasi morta, in fili esangui e tristi che si allungavano, come mani dello stesso tramonto, a colorare la sua pelle un po’ più pallida del solito di qualche riflesso più acceso e vitale, nel gentile tentativo di riscaldarlo.
Ma lui non poteva niente.
Senso di apatia.
Non sentiva nulla, non il brusio della gente che passava lì accanto, non il rumore di macchine veloci , non il tonfo sordo con il quale, a chilometri di distanza, il sole cadeva nella sua tomba di ogni notte.
Insieme a quel nulla di suoni Hanamichi sentì vuoto dentro di sé.


Un solo pensiero accendeva i suoi occhi, illuminandoli ad intermittenza come una lampadina fulminata , una figura, un viso, una mano, una carezza, un suono lontano, un tocco, un lenzuolo.
Un ragazzo dai capelli neri che lo guarda, lo desidera, lo brama ed infine lo possiede.
Quello era il programma di ogni sera.
Il suo servizio speciale.
Da qualche sera di troppo dannatamente piacevole.
Ma non quella sera.

I pensieri fuggivano veloci, quasi senza nesso logico, rapidi, vaghi ed indefiniti, ma mai dolci e limpidi.
Forse un tempo, prima.
Ora non era più innocente.
Lo sapeva.
Ora il suo corpo non era più inviolato.
Aveva dovuto scoprire una dimensione nuova, imbevuta di pregnante sensualità ed erotismo.
Aveva provato sulla propria pelle, ‘nella’ propria pelle parole come possedere, accarezzare, godere, gridare.
Ora sapeva come era lo sguardo di un ragazzo che raggiunge l’orgasmo nel tuo corpo.
Ora sapeva cosa significava la parola piacere e quanto forte potesse far urlare.
Ora sapeva, ma non avrebbe dovuto.
Troppo presto, troppo in fretta.
Ma non quella sera.

Hanamichi tirò un pugno chiuso contro il muro che aveva alle spalle.
A fare certi pensieri, a ripetersi ‘ma non quella sera’, sembrava esserne dispiaciuto.
Non era vero.
Non era vero.
Non gli importava niente di quel cliente, della sua maledettissima gentilezza, del suo sorriso, del suo abbraccio caldo e rassicurante,delle sue carezze ingannatrici e suadenti, concesse solo per poi poter esigere con la coscienza un po’ meno sporca .
Non era vero.
Non era vero.
Kami perché doveva fare così male, così male anche solo pensare, anche solo………..mentirsi.
Quel ragazzo bellissimo lo perseguitava ormai, lo seguiva, nelle notti in cui lui tornava solo all’ agenzia, mentre si stendeva sul suo divano per dormire un po’ mentre avvertiva all’ interno del proprio corpo ancora tracce di lui e del suo calore.
Era nei suoi pensieri ed il credere che forse era sempre stato così, anche prima di quella notte dell’ ultimo dell’ anno, era soffocante ed angosciante, non solo debole allora, era anche diventato folle.
Aveva davvero sempre ammirato Rukawa?
Sicuramente non poteva più continuare ad ingannarsi con il proprio corpo.
Ogni singola cellula gridava di piacere durante ogni loro amplesso e dopo si adagiava soddisfatta ed appagata.
Rimaneva solo la mente per potersi ingannare e credere di non avere scelta, che se proprio dovevano aver vita quei rapporti fra loro, che almeno fossero piacevoli, perché soffrire ?Vero, Hanamichi ?
Perché soffrire ancora?
Hai già sofferto tanto…..no?
Ma chi voleva ingannare, non era soffrire anche quello?
Aveva davvero messo in conto, fra quelle eventualità, che vi fossero anche tutte quelle sere in cui doveva amare senz’ anima?
Lo poteva sopportare?
Così?
No, non faceva altro che piangere, quasi ogni volta.
Dopo.
Piangeva.
Per orgoglio infranto.
Per paura che tutto si ripetesse sempre uguale a sé stesso all’ infinito, ogni notte di tutta la sua vita.
Per quel dolore sordo che non era il corpo di Rukawa nel suo, ma la sofferenza di sentire poi un muro di ghiaccio intorno a sé.
Arrivare a non provare più niente.
Arrivare a sacrificare tutto e fallire.
Questa era la sua paura.
Nelle più solitarie delle sue notti, quando nemmeno quel cliente dai capelli scuri lo chiamava per riscaldargli le fredde lenzuola, lui se lo chiedeva.
Era solo e si alzava, senza riuscire a dormire, si alzava per andare a controllare da uno spiraglio di porta la regolarità del respiro di sua madre, di più non poteva aprirla quella porta, lei si sarebbe svegliata e avrebbe chiesto spiegazioni, lui la spiava, la guardava e cercava di darsi coraggio, di mettere da parte la speranza di notte per usarla di giorno, ogni volta così e se lo chiedeva.
Divorato dall’ ansia e dalla pesantezza di mesi vissuti così.
Ce l’avrebbe fatta?
Sarebbe riuscito ad uscirne?
Se si, a quale prezzo?
E quando?
E come?
Ci sarebbe veramente riuscito ?
O sarebbe rimasto prigioniero di quelle rose?
Per sempre…..
No,no.
Non poteva, non voleva.
Dannazione era così difficile non piangere, oramai pensava di essersi abituato eppure ogni volta l’ incredibile tristezza di quei pensieri lo trascinavano via, prigioniero di gocce salate che lottavano per uscire a far brillare quelle ciglia.
Allora si stringeva al suo divano, si aggrappava alle coperte, sentendo un freddo che non c’ era e pensava, sprezzantemente sorrideva mesto di sé, paragonandosi ad un uomo che deve mandare avanti la casa e di notte rimane sveglio a pensare ai debiti che ha.
Ma lui non era un uomo, non così forte, non così adulto, non così determinato.
Alle volte non ce la faceva.
Non riusciva a reggere il peso di una sorte completamente avversa.
Dove trovare le basi per andare avanti?
Dove?
In chi?
E piangeva.
Da solo su un divano.
O insieme al suo cliente in un letto.
Perché ogni volta che si concedeva quei pensieri tornavano, a sussurrargli maligni che sarebbe stato così per sempre, che non avrebbe conosciuto solo quello di letto, ma tanti altri ancora, si sarebbe venduto fino a non riuscire più a trovarsi e non avrebbe salvato né se stesso né sua madre.
E poi piangeva per un suo orgoglio personale.
Non aveva mai saputo cos’ era l’ amore fisico e lo avrebbe voluto scoprire con innocenza, con naturalezza.
Non così.
Ma solo per sua libera scelta.
Ma non era stato quello il suo destino.
Quella libertà di scelta non gli apparteneva più.
Si sorrise.
Tantissimi pensieri in quei momenti, tsk, stava solo aspettando un cliente, doveva liberarsene e lavorare seriamente.
Alzò il viso e si perse con lo sguardo, per non ritrovare il filo delle sue tristezze.

Il sole era morto da un po’, ma la bellezza della luna riusciva a disperdere e far dimenticare la sua triste fine, ergendosi sulle vie di una città che non dorme mai….i neon colorati che sconvolgono ogni sera l’ ordine naturale delle cose…luce ed ombra, giorno e notte…no…….
…..luce ogni istante, giorno eterno …………a ricordare agli esseri umani che non avranno pace nemmeno nel riposo ….che quel riposo non esiste e non porta loro ristoro……….

Riflettendo sulla crudeltà delle insegne al neon Hanamichi si sentì chiamare, una mano sulla sua spalla, lieve, gentile.
Di nuovo gli occhi azzurri di Sendoh.
La rosa gialla che, candida, si piegava ad ogni movimento di brezza sul petto del Pr.

Era una sera inquieta, Sendoh continuava a girare da un locale all’ altro, prendeva da bere in ognuno di quei posti, ma lasciava il bicchiere sempre mezzo pieno ed andava via, camminando piano per le stesse strade, entrando a caso in locali dei quali non conosceva né il nome né gli interni.
Hanamichi lo seguiva.
Tranquillamente.
Accompagnandolo.
Osservandolo con un velo di preoccupazione.
Non capiva il suo comportamento, né quali pensieri rendessero quegli occhi celesti così cupi.
Voleva solo fermarsi un po’ più a lungo in un posto tranquillo.
La frenesia delle strade lo infastidiva e non serviva a calmare neanche i sentimenti di Akira.
Accostandosi dolcemente al proprio cliente Hanamichi sorrise senza molte difficoltà.

“Vieni, permettimi di accompagnarti in un luogo che gradirai sicuramente”mormorò

Gli occhi di Sendoh si sgranarono un istante, poi con un sorriso di semplice rimando, vuoto di ogni significato, seguì il suo impeccabile accompagnatore.
Hanamichi non si girò fino a che non scorse l’ insegna moderna di un locale che conosceva bene, cercò lo sguardo del proprio cliente, lo trovò e con un cenno gli indicò che erano arrivati.
Con eleganza Hanamichi si fece da parte facendo passare prima il ragazzo che doveva accompagnare poi entrò, chiese un tavolo e due drink, sicuro di sé e gentile.
Akira lo guardava, mentre si occupava di lui, di loro, organizzava quella serata, lavorava, con quell’ espressione adulta e seria sul viso, ma non senza una traccia che potesse ricondurre al Sakuragi allegro di ogni partita condivisa.
Sendoh si sorrise malinconicamente poi si sedé al loro tavolo.
Nei loro bicchieri ‘Mimosa’ e ‘Calla rossa’*.

L’ ambiente era fresco e riposante, diverso dal luogo del loro primo incontro.
Le pareti lucide di stucco erano ricoperte da quadri dai vetri freddi e colorati, i toni del rosa, dall’ incarnato al salmone, al magenta si mescolavano alle sfumature di grigi di rara lucentezza, dal perla all’ antracite, in ogni gradazione diversa per ogni angolo dell’ immensa sala, divani di diverse misure occupavano ogni spazio, ogni anfratto, adattandosi alle esigenze dei diversi clienti, da quelli pronti a condividere con molti amici la serata a quelli riservati che preferivano un angolo per sé e la persona del loro cuore, coni di luce si alternavano a coni di ombra, lunghi lampadari di freddo metallo pendevano come mani di automi dal soffitto intarsiato da travi, ponti e fili ed in netto contrasto con la modernità di tali oggetti, decorazioni floreali fresche e profumate ornavano ogni piccolo tavolino, ogni mensola, ogni bancone, senza rendere tutto troppo femmineo, ma donando con la loro semplicità un aspetto curato e ricercato, niente fiocchi né stoffe, solo fiori, anche solo uno, lasciato a dare un’ aria casuale ad un tavolinetto basso.

Calle, gigli, tulipani, papaveri, magnolie viola e magnolie bianche, loto, camelie, glicini, azalee, ciclamini, lavanda , dalie, margherite grandi, narcisi, giacinti ed orchidee.

Una festa di colori ed aromi.
Riposante e raffinata.

Sendoh si guardò intorno, soddisfatto.
Hanamichi sorrise, una luce fiera negli occhi, per aver fatto bene la propria scelta.

“Non pensavo ti piacessero i fiori….”mormorò Akira

Hanamichi prese tra le dita una calla bianca, sembrò accarezzarne il petalo con le punte delle dita poi ne inspirò il profumo.
Alzò lo sguardo.

“Sono semplici e al tempo stesso splendidi…in che cos’altro è possibile trovare tutta questa armonia?”

Sendoh sorrise apertamente.
“Non ti facevo così romantico”

“Non sono romantico………sono sincero”sottolineò atono Hanamichi


“Non penso sia una buona qualità……per un Pr”lo provocò divertito il ragazzo dagli occhi chiari


“E’ un’ ottima qualità per una persona……..e prima di essere un Pr sono una persona”
Il tono sicuro, gli occhi limpidi.


“Capisco”mormorò solo Akira, ritirandosi a guardare la grande sala
Vi erano poche persone, ma il campanello vicino alla porta continuava a suonare per ogni nuovo cliente che entrava, ben presto la sala sarebbe stata affollata.
Il loro tavolo era d’ angolo, i soffici cuscini rossi li avevano accolti morbidamente e la fragranza dei fiori si mescolava, stordendo i sensi come la più raffinata delle droghe.
Akira non voleva più aspettare.
Se doveva tradire lo voleva fare subito, senza più pensieri atroci e rimpianti.
Si girò velocemente, strinse fra le mani il mento di Hanamichi e rubò uno sfiorare di labbra a quella bocca.

Il ragazzo dai capelli rossi si scostò, una mano sul viso, prese un fiore dal vaso e lo tirò sul volto di Akira.

Era stato solo un fugace contatto, assolutamente non un bacio, si erano appena appena accarezzati, ma Hanamichi non poteva permetterlo, non voleva.

“Non provarci mai più”sussurrò freddo

Sendoh raccolse il fiore che era scivolato a terra.
Il suo Pr l’ aveva usato per colpirlo, esattamente come avrebbe fatto una dama per vendicarsi di una tale umiliazione, per non schiaffeggiarlo direttamente.
Un Pr non poteva picchiare un cliente.
Sendoh sorrise.
Pensò di lasciar perdere ogni cosa, di scusarsi ed andare via.
Ma ormai aveva deciso.
Sarebbe andato fino in fondo.

Afferrò una delle mani di Sakuragi, la strinse e guardandolo negli occhi gli disse di volerlo.

Hanamichi ritirò la mano, si allontanò con garbo, stabilendo fra di loro distanza.
Perché?
Perché era finita così?
Akira non si arrese, non poteva permettersi di far passare del tempo.
Il tempo serviva a chi voleva pensare e lui non voleva, non doveva.
Si accostò a lui, tentò di baciarlo ancora una volta, incurante delle persone intorno, la leggera penombra non lasciava scorgere con chiarezza i loro visi, ma lasciava intendere cosa stessero facendo.
Hanamichi si guardò intorno, rifiutando con le mani ogni contatto.
Nessuno sembrava particolarmente interessato a loro ed i fitti coni di ombra nascondevano interamente alcune zone della sala.
Il ragazzo dai capelli rossi si alzò allontanandosi, sedendosi poco più in là, su una sedia bordeaux, di fronte al proprio cliente.
Il tavolo di vetro a dividerli.

“Adesso basta Sendoh, non puoi prenderti queste confidenze con me……..ti ho già detto che il mio lavoro …”
Fu interrotto.


“Si…lo so – sospirò lui dai capelli neri – ….lo so….il tuo lavoro è fare compagnia ……..allora ti prego, TI PREGO, fammi compagnia……..rimani con me…stanotte….”

Hanamichi ridusse la propria voce ad un filo calmo e serio.
“No, non posso ….e non puoi nemmeno tu”

Akira alzò i suoi occhi celesti affogando in due polle decise che…che sapevano?

“So …so che hai un amante …….non pensi a lui ?Non so chi sia, ma credo che meriti rispetto……non tradire la sua fiducia……”

Lui dai capelli neri sgranò gli occhi, sorpreso.
Poi li chiuse, colpevole.

Sakuragi sapeva.
E adesso, adesso cosa doveva fare?

Si sentì ancora il campanello della porta, il vento portò loro gli odori dei fiori.

Akira rise.
Prese il bicchiere, quasi ferocemente e lo vuotò, in un solo sorso.

“Non….non importa…… – mormorò quasi più a se stesso che non al suo Pr –…..non…importa più……”

“Perché?”chiese Hanamichi

Voleva che parlasse, che si confidasse, per allontanare da sé la minaccia di un altro cliente interessato al suo corpo, ma anche per aiutarlo.
Per vedere di poter fare qualcosa per la tristezza in cui stavano annegando quegli occhi così azzurri.

Akira scrutò il viso di Hanamichi, cercò di sostenere il suo sguardo, di sorridere.
Ma aveva così tanto bisogno di aiuto, di parlare, di sfogarsi, di riordinare i pensieri distrutti da quella logorante incertezza…….

Crollò, con le mani strette intorno al vetro freddo, la testa china.
Sconfitto.

“Non..importa…più! Lui già pensa che io l’ abbia tradito……non è rimasto più niente ….niente…..quale fiducia ?…niente ..niente”

Hanamichi gli alzò il viso con una mano, delicatamente.

“E tu? Ti arrendi così? Senza lottare? Non posso credere che Akira Sendoh, asso del Ryonan, rinunci ad un incontro così importante, preferendo stare in panchina”

“Non posso fare più nulla…non so….cosa…come…..Oh Kami….”sospirò lui

Hanamichi si alzò, per un attimo Akira pensò di averlo seccato, pensò che sarebbe andato via, che lo avrebbe lasciato lì, da solo.
Poi improvvisamente lo sentì di nuovo accanto a sé.
Sorrise.
Ora sentiva anche una sua mano sulla spalla.
Era così calda e rassicurante.

Hanamichi riprese con lentezza e tatto.

“Perché non provate a parlarne, potreste trovare una soluzione insieme…”

Akira rise.
“Parlare? …..ah ah ah ….tu non lo conosci…”

“Parlami di lui”

“Cosa?”

Hanamichi sorrise incoraggiandolo.
“Si…parlami di lui…..niente nomi…parlami semplicemente di lui…….”

Akira sospirò.
Era come farsi volontariamente del male.
Come torturarsi da solo.
Ma iniziò a parlare.

“Lui……..lui è un gran testardo…..è veramente ribelle….se io dico una cosa lui sceglie sempre quella opposta ….alle volte lo fa solo per il gusto di litigare…….perché poi adora avvicinarsi e chiedermi di fare pace……….è leale e sincero…..mi dice sempre tutto quello che pensa, senza riflettere……non segue mai i miei consigli ….e poi torna da me quando le cose vanno male………è……lui è….oddio Sakuragi …….mi manca da morire………”

Akira si coprì gli occhi con le mani, chinandosi sotto il peso delle sue stesse parole.
Hanamichi si passò le dita fra i capelli poi corse a dargli appoggio con una carezza gentile sulla nuca.

“Sendoh…….non so che dire ……si capisce quanto sia grande il tuo affetto anche solo dalle parole che usi per parlarmi di lui….”

“Si , ma a lui non basta…..non bastano….lui non le ascolta….pensa solo a quello che deve urlarmi contro e non mi ascolta…..a cosa mi serve parlare?A cosa?”

“E pensi che andare a letto con me sia la soluzione giusta invece?”

Silenzio.

Non aveva gridato, le loro voci erano rimaste basse, ma vibravano intensamente per esprimere ogni sfumatura di sentimento.

“Lo so che non è una soluzione…..ma se devo essere accusato di qualcosa che non ho fatto…..lui ..lui ieri sera mi ha aggredito urlandomi contro che lo tradisco da sempre…..da sempre….ti rendi conto? Ero andato da lui per cercare di parlargli e mi sono trovato davanti solo il suo muro di insulti e poi la sua porta chiusa………..se devo essere accusato ingiustamente almeno voglio prima che quello che mi urla contro sia la realtà…….così posso convincermi che ha ragione, che è colpa mia…..così….forse……forse posso provare a dimenticarmi….di lui…………………………………………………………………con te”

Hanamichi comprese.

“Dimenticare non serve a niente…non puoi cancellare i momenti più importanti della tua vita in un attimo, neanche se vorresti…….e poi lo avrai capito oramai che non sono quel tipo di persona ……”

“Si…si, scusami…..perdonami Sakuragi ….continuo a considerarti una bambola….perdonami…non volevo offenderti……”
Hanamichi rise tristemente.
“Beh….almeno tu chiedi scusa….c’ è chi lo fa sentendosene in diritto……”

Akira annuì, senza chiedere altro.
Passarono pochi istanti.

Poi una lacrima scivolò silenziosissima dagli occhi del ragazzo dai capelli neri.
Hanamichi prese il fazzoletto che ornava il proprio taschino e lo uso per raccogliere quella goccia calda e sofferta.

“Non so…cosa …fare……..dove….dove sbattere la testa…….non ho speranze….no…è finita……è tutto finito…”

“Non dire così”

“Ma se non possiamo parlare non risolveremo mai niente….no,no….è finita……è finita….”

Hanamichi gli passò una mano sulla schiena, poi sul viso, ad asciugare dolcemente le altre lacrime che avevano ben presto imitato la prima nella sua discesa.

“Aspettami qui, vado a prenderti qualcosa da bere”

Hanamichi si alzò velocemente, si diresse al bancone, chiese del liquore caldo e lo portò con sé.
Il suo lavoro quella sera si prospettava più difficile del solito.
Dove trovare la forza per sostenere un’ altra persona quando era lui stesso ad avere bisogno di quel sostegno?
Akira cercava solo un po’ di consolazione, di aiuto e lui, lui lo capiva perfettamente.
Ora sapeva perché aveva avuto timore di quegli occhi tristi la prima sera in cui si erano incontrati.
Quegli occhi erano come i suoi.
Vuoti, mesti e senza alcuna speranza.
Akira voleva solo aiuto e lui lo capiva, lo capiva perché erano nella stessa situazione.
Ma a lui non era concesso chiedere aiuto, perché nessuno avrebbe potuto fare niente per aiutarlo, anche sapendo.
Ora tornava verso il loro tavolo, cercò di raccogliere le forze.
Avrebbe tirato su quel cliente, prendendo esempio da Yukari, avrebbe trovato le parole adatte ed avrebbe fatto bene il proprio lavoro, sperando al tempo stesso di sentirsi meglio.
Camminò velocemente attraversando gli spazi fra i tavoli sparsi, Akira lo attendeva.
Improvvisamente si sentì osservare, scrutò intorno a sé, nessuno lo guardava, si diresse verso il proprio tavolo.
Forse si era sbagliato.


Sendoh bevve lentamente.
Il liquore dolce e tiepido gli riempiva la bocca, scivolando sulla lingua in una languida carezza.
Ringraziò con uno sguardo il proprio accompagnatore per quella premura.

“Ascoltami Sendoh…..devi fare qualcosa…….prova di nuovo a dirgli quello che pensi …..cerca di spiegargli il tuo punto di vista….e se lui non ti vuole ascoltare …chiedi ad un suo amico di parlargli …....scrivigli………registra un nastro…..trova un modo….un sistema…..lui forse sa che tu hai ragione ed ha paura……..prova…..prova a superare l’ ostacolo dei suoi insulti…….non far morire questa storia……cercare un altro…..o annegare nell’ alcol non ti servirà……sarà peggio di prima…..affrontalo…in qualche modo…ok?”

Hanamichi lo fissò negli occhi, come a sottolineare quanto fermamente fosse convinto di quella soluzione.

“Non spendere soldi con me…..io non ti servo……..guarisci la vostra tristezza”

Akira annuì posando il bicchiere.

“D’ accordo” sospirò pianissimo

Hanamichi sorrise.

“Non ho sentito….”

Akira rise.
“D’ accordo” ripeté a voce alta

“Bene”

Il ragazzo dai capelli rossi si avvicinò e strinse quel cliente nel suo abbraccio.
Un abbraccio fra compagni.
Niente di più.

Il tempo era passato.
Un rinnovato sorriso di pura speranza illuminava ora gli angoli delle labbra di Akira.
Insieme si alzarono, uscendo a farsi accarezzare dalla brezza della notte.

I neon brillavano più di prima, tentando di superare le stelle.
Le strade piene risuonavano di rumori e suoni.

Passando sui marciapiedi ingombri, i due ragazzi avanzavano lentamente, diretti verso la periferia.
Il silenzio li accompagnò per un po’.

Improvvisamente Akira si voltò verso il proprio Pr.

“Sakuragi…dimmi…perché fai questo lavoro….?”

Hanamichi strinse le labbra in una piega amara.
Non poteva fidarsi di lui.
Anche se avevano parlato.
L’ esperienza oramai gli aveva insegnato a vivere nel mondo reale, non nelle favole.

“Lei è troppo curioso…signor Cliente….”sbuffò divertito il ragazzo dai capelli rossi

Akira rimase in silenzio.

“Si guadagna bene…..tutto qui…..”

Gli occhi attenti di Hanamichi intravidero una stazione.
Il Pr fermò i suoi passi.

“Bene…per questa sera il mio servizio termina qui”

Sendoh annuì.

“Buonanotte”disse Sakuragi

Akira si avvicinò, lo fermò stringendogli un braccio.

“Lascia che ti ringrazi”

Un bacio gentile sfiorò la guancia di Hanamichi.
Un gesto di semplice affetto e riconoscenza.

Lui dagli occhi nocciola arrossì leggermente.

“Ci vediamo”

“Buonanotte Sakuragi”


La notte portò lontano la figura alta del bel corpo di quell’ accompagnatore mentre dall’ altra parte della città un ragazzo fiducioso passò la sua, di notte, a cercare di registrare l’ amore che provava su di un nastro.

Una mano candida rovistò a lungo, spostando giornali ed altri fogli.
Sembrava furiosa.
Triste e furiosa.
Cercò ancora, creando disordine, senza preoccuparsene in alcun modo, improvvisamente si fermò.
Strinse il pugno fin quasi a farsi male poi afferrò un depliant dalla copertina bordeaux, attraversò strade, stringendo sempre più forte quel piccolo fascicolo e nel silenzio generale lo gettò a terra, ai piedi di alcuni giocatori di basket.

I soliti allenamenti , gli stessi sguardi.
Rukawa che fissava il suo Pr per chiedergli se aveva lavorato la sera prima, ma non per lui.
E Sakuragi che rispondeva di si, sfuggendo ai suoi occhi.
Conversazioni private.
Fra un tiro ed un passaggio.
Conversazioni che nessuno osava interpretare od osservare.

Fino a che la porta della palestra non si aprì.
Un ragazzo dai capelli neri lasciò le scarpe fuori e si richiuse l’ ingresso alle spalle.
Avanzando deciso il giocatore del Ryonan si diresse a centro campo, sfidando con lo sguardo il numero dieci dello Shohoku.
Con il disprezzo che riempiva i suoi occhi Koshino gettò ai piedi di Akagi un depliant bordeaux scuro.


Al centro del campo.
Riconoscendo con trionfo un lampo disperato negli occhi di Sakuragi.

Rukawa riconobbe immediatamente quella copertina stampata a lettere dorate.
In basso a sinistra facevano mostra di sé le lettere “P” ed “R”.

Il suo respiro si bloccò un istante.

Sakuragi rimase immobile.
Nel silenzio più assoluto si udì il tono deciso del capitano.

“Cosa significa?”


Silenzio.
Pesante e denso.

La voce di Koshino si fece finalmente udire.
Livida di una rabbia né velata né trattenuta.

“Semplicemente ritenevo corretto informare la vostra squadra dei ‘passatempi’ illegali del vostro compagno”

Silenzio.

“A chi ti stai riferendo?” intervenne Miyagi facendo un passo avanti

Koshino sorrise soddisfatto, aveva atteso questo momento.

“Sto parlando di lui”gridò quasi, indicando con un dito il ragazzo dai capelli rossi poco distante

Gli sguardi increduli si girarono a cercare la figura di Hanamichi.

Sakuragi non abbassò lo sguardo.
Rimase solo in silenzio.

“Quali passatempi illegali? Avanti, vedi di dimostrare quello che stai insinuando”gli intimò Mitsui

Il giocatore del Ryonan indicò con uno sguardo il depliant a terra.

Akagi lo raccolse iniziando a sfogliarlo.

Sakuragi strinse i pugni, così forte da conficcarsi le unghie nel palmo.
Nessuno lo guardava.
Solo lui.
Solo Rukawa.
Da così vicino poteva vedere bene quanto stessero tremando quelle braccia.

Velocemente il capitano sfogliò le pagine, alla ricerca di quelle prove.
“Io non vedo altro che…..”

Si fermò.
Il silenzio, se possibile, si fece ancora più profondo.


Akagi alzò il viso per cercare con gli occhi Sakuragi.
Lo fissò un istante poi rilesse la scheda che aveva davanti.

Hanamichi non abbassò il viso.
Tempo fa qualcuno gli aveva insegnato a non abbassare mai lo sguardo, con nessuno.
E lui aveva bisogno di forza in quel momento.
Anche solo della forza delle proprie convinzioni.


“Sei tu?”chiese incredulo il capitano

Il numero dieci annuì semplicemente.

Il depliant cadde a terra.
I ragazzi lo raccolsero, guardandolo sconvolti.

Koshino sorrise sprezzantemente.

“Avete visto che lavoro fa il vostro compagno?Devi ringraziare che non sei una donna Sakuragi altrimenti saprei chiamarti con il tuo nome……”

Lo sguardo di Rukawa si incendiò d’ odio.

Ogni altro pensiero fu interrotto dall’ arrivo di Sendoh.

Il silenzio lasciò il posto ai suoni leggeri del respiro affannato di Akira.

Aveva corso, ma non aveva fatto in tempo.
Vedeva ora fra le mani dei compagni di squadra di Sakuragi quel depliant maledetto.
Era corso fin lì sperando di fare in tempo ed evitare il peggio.
Era rientrato a casa ed aveva trovato la propria stanza in disordine, i fogli sparsi sul pavimento, la scrivania piena di libri caduti dagli scaffali.
Aveva cercato di capire poi, quasi come fosse stato un presentimento, si era ricordato di quel depliant, lo aveva cercato, ne aveva notato la mancanza ed aveva intuito chi mai potesse averlo preso e per quale motivo.

Ma era troppo tardi.

“Hiro…cosa……… hai …………fatto?”

Ogni altra parola fu impedita.

“Sakuragi ….cosa significa?”domandò Kogure sistemandosi gli occhiali sul viso attonito

Silenzio.

“Questo è il tuo….lavoro? ”chiese Miyagi

“AVANTI! Cosa significa? RISPONDI”gridò Mitsui
Fino all’ ultimo avrebbe difeso Hanamichi dalle accuse di quel nanetto, ma adesso sentiva la propria fiducia verso quel compagno crollare.
Ora che aveva davanti agli occhi quella scheda personale, quella foto, quei dati.

Hanamichi chiuse gli occhi.
“Esattamente quello che vedete” rispose


Akagi fece un passo verso di lui.
“Lavori come accompagnatore?”

Hanamichi accettò la sconfitta.


“Si”


Silenzio.

La voce bassa di Ayako si levò stupita.

“Sakuragi vuoi dire che ……che quella sera in cui ..hai ballato con me… tu …….”

“Si………..stavo lavorando”mormorò lui, un’ espressione affranta per il dispiacere che le stava dando

Improvvisamente un rumore secco e forte risuonò nella palestra.

Mitsui aveva gettato a terra quel depliant, con tutte le sue forze.

“Vuoi forse dire che tu….TU….sei un maledettissimo gigolò?”ringhiò


“No!”chiaro , forte , deciso


Gli occhi di Hanamichi inchiodarono quelli scuri come la notte di Mitsui.

“Io non sono un gigolò, io non vendo il mio corpo, io vendo solo la mia compagnia, sono un semplice Pr”


“Non mi importa cosa sei …né quale sia il tuo lavoro….ma stai lontano da Akira” urlò Koshino

“Cosa c’ entra Sendoh adesso?” chiese infuriato Miyagi


“BASTA”ordinò Akagi

Il silenzio e l’ ordine tornarono a dominare, intervallati solo dai passi decisi con i quali il capitano si dirigeva verso Sakuragi.

Gli sguardi attenti di tutti, puntati su di loro.

“Sakuragi, è davvero questo il tuo lavoro?”

Gli occhi limpidi e sinceri di Hanamichi si scontrarono con la fierezza di quelli di Akagi.

“Si”

“Bene, tu sai vero che non ti è possibile lavorare senza mettere nei guai la squadra? ”

“Si”

“Sono costretto a metterti davanti ad una scelta……o lasci il tuo lavoro…o………..o lasci la squadra”

“Capisco”

I secondi passavano.
Un’ agonia lenta ed indescrivibile.
Rukawa rimase immobile.
Sentiva qualcosa di indefinito turbarlo.
Guardò intensamente il proprio Pr.

Hanamichi schiuse le labbra.
I respiri sospesi.

“Lascio la squadra”

Ayako si coprì le labbra con una mano.
I ragazzi sussultarono.
Quel tono freddo e distaccato.
Deciso e sicuro.
Non era del loro Hanamichi.
Non lo sembrava.
Era di un accompagnatore.
Di un Pr che conosce bene il proprio lavoro.
Che parla con precisione ed accuratezza.
Era di quel Pr che avevano incontrato la sera del primo dell’ anno.


“Come vuoi”rispose Akagi

Akira fece un passo avanti.


“Sakuragi aspetta!”

Hanamichi si voltò.


Gli occhi chiari di Sendoh lo scrutavano affranti.

“Tu mi avevi detto che…….il tuo lavoro…..lo avresti lasciato subito se lo avessero scoperto……perché invece….”

Senza dire niente ognuno dei presenti osservò gli occhi di Sakuragi, il suo sguardo che sapeva d’ impotenza.
Perché quella fu la sua unica risposta.


In pochi minuti di penoso silenzio il ragazzo dai capelli rossi raccolse tutte le sue cose.
Si sfilò la maglia rossa della sua squadra e la consegnò nelle mani di Akagi.

Akira lo fermò l’ ultima volta.

“Mi dispiace….io non ho potuto……….mi dispiace …non volevo che succedesse….”


Hanamichi regalò a lui un suo piccolo sorriso.

“Non importa – disse appoggiando una mano sulla spalla che solo la sera prima aveva consolato con carezze amichevoli –…..non importa…..sono contento invece che tu abbia avuto una prova dell’ affetto del tuo compagno…….o forse è meglio dire della sua gelosia……..”

Ridendo sommessamente, così come era arrivato, Hanamichi si chiuse la porta alle spalle e lasciò la palestra.

Il silenzio rimase a fare compagnia ai pensieri di quei ragazzi.

Improvvisamente un rumore secco li fece voltare.

Tenendolo per un polso Akira aveva colpito il viso di Koshino.


“Ti rendi conto di cosa hai fatto?”sussurrò gelido l’ asso del Ryonan

Il suo compagno lo guardò con un velo di lacrime sugli occhi, le labbra imbronciate, la testa china.

“Non mi importa…..è colpa tua ….vi ho …visti ieri sera………..c’ ero anch’ io in quel locale pieno di fiori………tu…tu….TI E’ PIACIUTO COSI’ TANTO FARTI CONSOLARE DA LUI ,VERO?”


Un secondo schiaffo colpì la guancia già arrossata di Hiroaki.

“Basta!Questo non è né il luogo né il momento opportuno per questa discussione”

Sendoh lasciò la mano del suo compagno e si accostò ad Akagi.


“Ascolta Akagi so di non avere il diritto di interferire con le decisioni della vostra squadra , ma io…”


Una voce forte ed infuriata riempì la palestra.

“MA SIETE IMPAZZITI?Che bisogno c’ era di cacciarlo dalla squadra?”

I ragazzi si voltarono.

Mito ed il guntai stavano scendendo dagli spalti dove erano soliti sedersi per osservare gli allenamenti.
Lasciando a bordo campo le loro scarpe si diressero verso i giocatori.
Akagi fronteggiò lo sguardo penetrante di Yohei.

“Potrebbe mettere nei guai la squadra …basterebbe che qualcun’ altro lo scoprisse, così come è successo con questo giocatore del Ryonan”

Mito sputò fuori un verso di disgusto.

“Già…..lui……lo ha fatto solo per il suo Sendoh vero?Perchè era uscito con Hanamichi ……. ed è corso qui a gridargli in faccia la sua rabbia davanti a tutti senza pensare alle conseguenze………..beh sai che ti dico….se non sai tenerti stretto il tuo ragazzo allora è meglio che lui ti lasci……..tsk..”

Koshino impallidì violentemente.

“COME OS…..”replicò

La presa di Akira si rafforzò dolorosamente, strappando un lamento al suo compagno.

“Ha ragione – sussurrò Akira – sei stato uno stupido…..non hai pensato ai danni che avresti fatto….come sempre……”

“E’ colpa tua , vi ho visti e tu……”

“Stavamo parlando di te, sciocco… – sussurrò malinconicamente l’ asso del Ryonan –….Hanamichi mi ha chiesto di te……ed io mi sono confidato con lui ……mi ha aiutato……a modo suo ….consolato…come hai potuto fargli questo?Non pensi mai prima di parlare, vero?”

Il silenzio rese quelle parole ben più pesanti.

Ma Yohei non aveva finito.

“Perché lo avete cacciato dalla squadra ?Non ce n’era bisogno, dannazione”

“Vuoi capire che abbiamo un campionato?Abbiamo delle responsabilità….la squadra conta molto più di un lavoretto qualsiasi”rispose duro Akagi

Un pugno colpì il viso del capitano.
Akagi indietreggiò, ma rimase immobile.
Ayako gridò a Mito di smettere.

“Voi non avete idea di quanto sia importante il basket per lui, che cosa ha significato finora….”gridò Yohei contro quelle scuse che sapevano di eccessiva responsabilità

Il capitano dello Shohoku si asciugò un piccolo rivolo di sangue dal labbro.
“Gli ho dato una possibilità, Mito, o il basket o il lavoro …e lui non ha scelto quello che tu dici essere così importante”


Silenzio.

I ragazzi del guntai risero sprezzanti, lasciando che l’ ira brillasse nei loro sguardi.

Mito fece un passo avanti.
Deciso e furente.
Nemmeno più l’ ombra di un sorriso sul suo volto.
La piega delle labbra amara e serrata.

“Quello che è più importante dici? Che cosa ne sapete, voi, di quello che lui ha dovuto scegliere, voi non ne sapete un cazzo della sua vita, volete la verità? Volete sapere ?Bene….. – sibilò gelido il ragazzo moro – …………lo volete capire che se Hanamichi smette di lavorare finisce in mezzo ad una strada?”

Silenzio.
Ancora.

Yohei proseguì, immensamente soddisfatto degli sguardi che sentiva increduli su di sé.

“Suo padre è morto e lui si porta sulle spalle anche il peso di non averlo potuto salvare, sua madre è malata, è cieca, non vede più, da mesi, MESI, e lui deve pensare a sé …e… a lei …..se smette di lavorare finiscono entrambi in mezzo ad una strada, senza speranza, e VOI state lì a chiedergli ……….‘Avanti scegli o noi, i tuoi amici, con il basket che adori, che ti ha regalato un sogno che un ragazzo di strada come te non ha mai avuto o il tuo lavoro di merda che però ti fa andare avanti………oh –….proseguì lui sempre più ironico, alzando le mani per aiutarsi con i gesti –………oh sicuramente una scelta molto facile……….una stupidaggine, no? E cosa ci vuole per voi….voi quando tornate a casa trovate chi vi accoglie, chi vi porta da mangiare ……lui può solo continuare a lavorare per vivere con quello che guadagna …e sia chiaro che non avrà mai niente di cui vergognarsi anche se è un accompagnatore ..….MAI….…neanche se fosse come avete insinuato voi un maledetto gigolò……..MAI”

Il guntai annuì soddisfatto.
Mentre per la prima volta nella sua vita Akagi abbassò la testa.
Senza riuscire in alcun modo a ricambiare lo sguardo denso di Yohei.

I giocatori si guardarono fra di loro, con la coda dell’ occhio, cercando parole o pensieri adatti.
Poco più in là Rukawa si lasciò andare contro il muro alle sue spalle.

Il ragazzo moro osservò con soddisfazione i loro visi, le loro espressioni.

Noma intervenne.
“Avanti Yohei digli tutto, raccontagli anche il resto”

Mito sorrise tristemente, girandosi verso di lui, poi si rivolse ancora una volta ai giocatori fermi in mezzo al campo.


“Voi non sapete niente, non sapete quante volte ha pianto e gridato desiderando una vita normale, come la vostra, una spensieratezza senza preoccupazioni né pesi, la libertà di giocare, di vivere……no… voi non c’ eravate e lui era solo…..sere e sere…notti e notti a lavorare, chiedendoci scusa per non poter mai uscire con noi, che siamo il suo guntai, lui era solo con i suoi problemi e voi non avete fatto altro che rendere tutto sempre più difficile, fino ad allontanarlo da voi, ditemi ……adesso lui per che cosa vivrà? Che cosa sognerà?”

“Gli avete tolto tutto”disse Takamiya


“Bastava che lui sorridesse e voi potevate credere che fosse tutto a posto……basta…..mi fate schifo…andiamo via”sussurrò stanco Mito


“Si, andiamocene”ripeté Okuso


Presero le loro scarpe e con un ultimo sguardo a quei giocatori silenziosi ed immobili andarono via.

“Spero vorrete ripensarci” mormorò Yohei, mentre l’eco faceva udire a tutti quelle parole lasciate uscire


La porta si chiuse e con essa la discussione.

Ayako raccolse il depliant, stringendolo fra le braccia.
Si accostò al capitano, appoggiandogli una mano sul braccio.

Fra tutti Koshino e Mitsui non osavano alzare lo sguardo.
Il primo per la vergogna, il secondo per il rimorso.

Akira sospirò ed infranse quel silenzio teso.

“Ora capisco tante cose”sussurrò a sé

Poi prese una mano del suo compagno e si allontanò, un ultimo cenno del capo come saluto alla squadra ed uno sguardo implorante che chiedeva clemenza per il futuro di quel Pr.

Akagi alzò la testa, guardò i propri compagni.
Osservò l’ avvicinarsi lento di Ayako e di Kogure.

“Capitano….”
“Akagi….”


Ma lui scosse la testa.

“Gli allenamenti terminano qui, domani vi voglio tutti in palestra un’ ora prima …..non possiamo essere certi di quanto ci ha detto Mito, andremo da Sakuragi, parleremo con lui , poi decideremo…Ayako sfrutta il tempo fino a domani per trovare l’ indirizzo di Hanamichi”


Kogure sorrise, scambiando uno sguardo d’ intesa con la bella manager.

Solo contro un muro Rukawa non alzò il proprio sguardo.


Gli spogliatoi si riempirono di sussurri.
Mezze frasi.
Esclamazioni incredule su quella verità scoperta per caso, per umana gelosia.

“Ecco perché sembrava così educato…”si disse Miyagi

“Già……..sembrava diverso…anche oggi però…mi è sembrato …”

“Freddo…..freddo e distaccato…come avesse già messo in conto questa possibilità………”

“Mitsui….”sussurrò Kogure sentendolo finalmente parlare

“Ora capisco come mai si intendeva di borsa e di indici……” scherzò Miyagi per alleggerire la tensione

“Siamo stati insensibili …ma non potevamo sapere ……neanche immaginare…”

“Si ..sopratutto io……..non….avrei dovuto …offenderlo…” biascicò Mitsui

Kogure rise avvicinandosi, posando una mano sulla sua spalla.

“Non ti preoccupare…anzi penso lui abbia capito che in realtà lo volevi difendere quando è arrivato quel ragazzo ad accusarlo……..basterà scusarsi e vedrai che tornerà tutto come prima…….”

“Già ..quel ragazzo del Ryonan……non credevo fosse il compagno di Sendoh…strani gusti l’ asso di quella squadra….strani davvero…” ridacchiò Miyagi

Qualche altro sorriso gli fece compagnia mentre, senza fare rumore, Rukawa si allontanava uscendo.


Solo, in mezzo alla strada.
Risentiva dentro la propria testa le parole dei suoi compagni.
Una frase girava nella sua mente, incessantemente, dolorosamente.

‘…..non avrei dovuto offenderlo….senza sapere…’

Quelle poche parole si mescolavano, confondendosi con quei particolari svelati loro da Mito, stordendolo.

Se Mitsui si sentiva in colpa per averlo offeso lui, che da più di due mesi lo usava, lo ricattava, lo costringeva….cosa avrebbe dovuto sentire allora?


Entrò in casa.
Non salì in camera.
Troppi ricordi lo avrebbero assalito lì.
Aveva bisogno di pensare.
Si stese nel salotto, al buio, nel silenzio, la testa fra le mani.

Hanamichi si lasciò andare sul divanetto della sua ‘stanza’.
La voce di sua madre lo chiamava dall’ altra camera.

Ma lui chiese per sé ancora un istante, per sforzarsi di sorridere un po’.
Non che sua madre avrebbe visto quel sorriso, semplicemente con gli angoli incurvati la sua voce avrebbe ricevuto un’ inflessione più allegra.

Si alzò velocemente.
Non voleva farla aspettare troppo.

“Tesoro, come mai sei già qui?”

“Ciao, mamma” disse lui regalandole un bacio

“Non cercare di sviare le mie domande….. – disse lei ridendo, accarezzando quel volto chino sul suo – …allora che ci fai qui così presto? Gli allenamenti ?”

“Oggi ci hanno mandato a casa prima perché la squadra di pallavolo aveva bisogno dell’ intera palestra per allenarsi in vista del campionato”

“Ah, capisco…….bene, no? Così ti riposerai un po’…..”sussurrò lei contenta

“Si……vuoi che ti legga qualcosa?Oggi ho il pomeriggio libero, tutto per noi….su chiedimi quello che vuoi…”


“Mh, davvero tutto quello che voglio, piccolo mio?”

“Si, tutto, avanti ….”rise Hanamichi

Lei sollevò su suo figlio uno sguardo vacuo e vuoto e sorridendo amabilmente gli disse.

“Vorrei tanto un po’ di gelato…è tanto che non ne mangio…me lo compreresti?”

Lui la guardò stupito poi rise ancora.
“Ma certo, corro”

Hanamichi uscì veloce dalla stanza.
Nel corridoio incontrò gli occhi azzurri di Yukari.

“Stai uscendo?”

“Si”

“Posso accompagnarti? Ho proprio bisogno di fare una piccola passeggiata”

Insieme i due accompagnatori uscirono dall’ agenzia, camminando lentamente sotto il sole del primo tramonto.

“Come mai così presto a casa?”

Hanamichi sorrise tristemente, senza sforzarsi.
Se sua madre non vedeva, sapeva che invece Yukari avrebbe potuto leggere perfettamente la tristezza che riempiva i suoi occhi, con lei sarebbe stato inutile fingere, tanto più che conosceva ogni particolare della sua vita, tranne le notti nel letto di Rukawa.

“E’ successo quello che ormai mi aspettavo ”

“A cosa ti stai riferendo? Se vuoi parlarne io sono qui, lo sai”

“Ti ringrazio”

Fianco a fianco per le strade poco affollate di quella periferia pomeridiana Hanamichi le raccontò la verità, la gelosia di quell’ amante falsamente tradito, la sua follia, il racconto della verità, la scelta ed infine il suo abbandono.

Yukari annuì comprensivamente.
Poi appoggiò una delle sue candide mani sul braccio tremante di Hanamichi.

“Non potevi fare diversamente piccolo, hai scelto bene”

Lui la guardò, lo sapeva , ne era conscio, non avrebbe mai elemosinato quel posto in squadra e non avrebbe abbandonato sua madre.
Mai.
Eppure faceva male.
La consapevolezza di non poter più giocare bruciava ogni istante di più.
Ironicamente Hanamichi aggiunse un altro motivo per piangere ai tanti che già possedeva.


La busta frusciava dolcemente al ritmico ondeggiare della mano che la teneva.
La strada del ritorno parve più breve di quella dell’ andata.

“Ora si che sono stanco Yukari”mormorò tristemente il ragazzo dai capelli rossi

“Non dire così, hai ancora tanto per cui vivere ed andare avanti”

“Era un sogno Yukari, una delle ultime cose belle che mi era rimasta, ora il mio lavoro ha portato via anche quella , dopo i miei amici, la mia spensieratezza, la mia innocenz…ah…”

Hanamichi si coprì le labbra con una mano.
Forse aveva detto troppo.
Yukari non lo guardò.
Gentilmente finse di non aver sentito quello che già da tempo immaginava.

“Perdonami, sto parlando troppo…ti starò sicuramente annoiando con tutti i miei problemi”

“Se ti fa bene parlarne continua…..so bene come sia difficile trovare qualcuno con cui farlo liberamente…soprattutto per te…che nascondi così tanti segreti a tutti quanti…….”

Lui le sorrise riconoscente.
Senza cogliere il sottile riferimento a quelle parole sfuggitegli prima.

“Almeno tu, di bello, mi sei rimasta”

Lei rise sommessamente.

“Via non adularmi, non sono una ricca cliente”

Lei gli regalò uno sguardo profondo.
Affetto negli occhi.
Lui invece le donò un sorriso.

Insieme rientrarono all’ agenzia.

Il pomeriggio trascorse velocemente.
Il gusto dolce del gelato accompagnò le labbra di Hanamichi, mentre per il solo piacere di stare insieme, leggeva a sua madre un libro sui fiori.

La abbracciò diverse volte, trovando ogni motivo valido, voleva calmare i propri sensi con quelle carezze materne, si strinse a lei alla fine di quel pomeriggio, fingendo di volere un ringraziamento ed un premio, appoggiando il viso vicino al cuscino inspirò l’ odore di quelle lenzuola…..in un attimo le paragonò alle uniche altre lenzuola estranee che aveva conosciuto in tutta la sua vita…………..
com’ era diverso quell’ odore fresco di medicine e fiori dall’ aroma sensuale che la pelle di Rukawa aveva lasciato sulle coperte e sui cuscini che lui aveva respirato in quella stanza.
Fragranze diverse…….la prima piena di un senso di protezione, ma dagli strascichi tristi…….la seconda erotica e avvolgente, ma dal sapore amaro della costrizione………………………e lui si chiese se nella sua vita avrebbe mai incontrato un letto che sapeva solo d’ amore.
Scosse la testa e cercò di non ricordare altro.
Si strinse alla donna e la vegliò tutta la sera ancora.

Per tenere i pensieri lontani.
Per tenere l’ unica persona che amava vicina.


Lui non poteva credere che fosse vero.
Eppure doveva.
Era quella la realtà.
Quanto a lungo ancora si sarebbe ripetuto di non volerci credere?
Era un bastardo.
Un egoista.
Non aveva che pensato a sé.

No, doveva riflettere ancora.
Era successo tutto così in fretta.
Così maledettamente all’ improvviso.

Erano in palestra.
A conversare l’ uno negli occhi dell’ altro.
La sera prima lui non lo aveva cercato, ma aveva capito che il suo Pr aveva lavorato.
Per un altro.
Poi era comparso quel giocatore, che aveva cominciato a gridare, ad insultare ed accusare Sakuragi.
Aveva gettato ai piedi del capitano il depliant dell’ agenzia di accompagnatori.
Lui lo aveva riconosciuto subito.
Lo conservava sulla propria scrivania.
Lo guardava nelle sere in cui non poteva avere per sé la materializzazione concreta di quella foto dai colori sgargianti.
E nonostante tutto continuava ad ingannarsi, a mentire a se stesso e al mondo intero.
Poi i suoi compagni avevano scoperto la verità, il lavoro di Sakuragi.
Avevano guardato a lungo quella foto che lui conservava e riguardava gelosamente.
Si era sentito derubato.
Privato di una cosa che doveva appartenergli pienamente.
Privato di un piacere personale e segreto.
Aveva odiato quel ragazzo per questo.
Lo aveva odiato per avergli portato via la segretezza di quegli incontri, il mistero di quel lavoro, il possesso di quella verità.
Aveva osservato con quale incredibile freddezza Hanamichi avesse accettato e confermato quelle accuse.
Con quale calma avesse risposto, rischiando la vergogna, lo scherno, l’odio.
Con quale fierezza avesse difeso la propria dignità, il proprio orgoglio da chi lo chiamava venduto.
Ed aveva visto con quale distacco aveva lasciato la loro squadra.
Per sempre.
Nel momento in cui Akagi aveva imposto quella scelta lui, invece, si era sentito turbato.
Aveva sentito qualcosa di indefinito, di vagamente doloroso.
Qualcosa che gli sussurrava che se Hanamichi avesse scelto il basket lui sarebbe sparito dalla sua vita.
Qualcosa che sussurrava che di fronte a quella scelta avrebbe perso per sempre il proprio accompagnatore.
Ed invece era stata la squadra ad essere abbandonata, non lui.
Quel pensiero gli dava conforto, irrazionalmente lo faceva stare bene.
Eppure qualcosa non andava, vederlo andare via , raccogliere le proprie cose, consegnare la divisa.
Era come vederlo gettare via un sogno e lui, che quel sogno lo aveva condiviso per un anno sapeva cosa stava buttando via, a cosa rinunciava.
Lui, che quel viso lo aveva guardato a lungo e studiato e accarezzato e ne conosceva espressioni che nessun altro aveva mai visto, vi aveva letto sopra sofferenza e disperazione.
La stessa espressione di quella sera in cui lo aveva osservato mentre si spogliava per pagare la scommessa della partita a biliardo.
L’ espressione di chi è costretto ad una rinuncia immensa e dolorosa.
E anche lui ne aveva avvertito il peso.
Significava non vederlo più.
Significava osservarlo solo di sfuggita nei corridoi e doverlo richiedere quasi ogni sera per poterlo avere accanto.
Significava rinunciare a sentire il suo calore vicino mentre correvano in palestra.
Significava rinunciare a sentire la sua presenza, rinunciare alle loro conversazioni fatte di sguardi, alle volte in cui con mezzi sussurri lui gli diceva dove e a che ora quella sera, rinunciare a trascinarlo dietro le tende delle docce per strappargli una carezza alle labbra.
Non avrebbe voluto, non avrebbe mai voluto che succedesse.
Ma non aveva potuto fare niente.
Impassibile ed immobile aveva assistito all’ entrata di Sendoh, scoprendo di essere stato derubato da lui di ben due serate con il proprio Pr, aveva osservato con qualcosa di simile alla gelosia quegli sguardi, quelle parole che si erano rivolti, ma non così bene da non scambiare quella luce riconoscente negli occhi di Sendoh per amore.
Ed infine aveva trovato la verità.
Ora tutti quegli interrogativi avevano avuto la loro risposta.
Non aveva atteso invano.
Ora sapeva.
Il perché di quel lavoro.
Il perché fosse così importante.
Il perché per esso avrebbe rinunciato a tutto.
Il perché per esso aveva realmente rinunciato a tutto.
Il perché si costringesse contro la propria volontà, contro il proprio orgoglio.
Il perché della sua tristezza e della sua disperazione.
Ed infine la persona per la quale avrebbe dato la vita.
Ed ora la domanda di tanto tempo fa tornava, improvvisa, quasi incoerente.
Lui lo avrebbe fatto?
Per chi?
Per sua madre?
Non lo sapeva.
Come poteva saperlo se non l’ aveva quasi conosciuta?
Per suo padre?
No.
Forse no.
Forse no.
Per cosa l’ avrebbe salvato?
Per ascoltare ancora i suoi silenzi?
Ed invece…..quel Pr …..lavorava …orfano di un genitore …con la responsabilità della vita di un altro…solo…..e la notte….la notte ….
…..la notte lui osava farlo venire nella sua casa……..dentro al suo letto…ad aggiungere problemi e sofferenze a quelli che già aveva.
Non poteva, non riusciva a crederlo.
Si sentiva il cuore in una morsa.
Chiuso, serrato, sanguinante.
Agonizzante.
Ricordava quella frase di Mito, quella che lo aveva fatto sussultare, quella sui motivi per vivere.
‘ditemi ……adesso lui per che cosa vivrà? ’
Ed assurdamente in quel momento aveva pensato di poter diventare lui quel motivo per cui Hanamichi avrebbe potuto continuare a vivere.
Come poteva diventarlo?
Ne rise, malinconicamente.
Solo in quel salotto enorme.
Già sentiva la porta aprirsi e la solitudine entrare a minacciare la sua vita.
Eppure continuava a tormentarsi, a pensare.
Kami….lui …non avrebbe lasciato la squadra neppure per salvare se stesso, no, non l’ avrebbe mai fatto.
Ed invece quel Pr……..
…quel Pr coraggioso……………………e dolce….e caldo…………………….e bello……il suo Pr……….
No.
Perché?
Perché quei pensieri ?
Quella dolcezza che sentiva come miele pregiato in sé e sulle labbra a pronunciare senza suoni quelle parole, a pronunciare e chiamare invano quel nome e quel ragazzo.
No.
Non sapeva più cosa pensare, più cosa credere.
Tutto stava cambiando.
Di nuovo.
Ma poteva non essere così.
Quelle erano state le verità di Mito, poteva non essere la realtà, potevano essere state esagerate, drammatizzate, in difesa del compagno.
Kaede si ritrovò a sperare che fosse così.
Che in realtà fosse tutto falso.
Che Sakuragi non avesse avuto quella vita.
Che avesse scelto liberamente quel lavoro.
Altrimenti come giustificare davanti al tribunale di se stesso tutte le notti e le….le ..si…..le violenze, le minacce…….come poter sperare di ricevere, non perdono, quello sarebbe stato troppo, ma almeno compassione o pietà?
Non sarebbe stato possibile.
Mai
Mai.
Ma lui era stanco adesso e quella sera voleva sperare.
Confidare in una realtà diversa e più dolce.
Più facile.
Che non avesse fatto soffrire quel Pr come aveva invece sentito.
Si alzò, si passò una mano sugli occhi, l’ altra fra i capelli.
Poi si stese sul divano, affondando sui cuscini morbidi, tirò su di sé una coperta e dormì lì.
Lontano dai suoni ….gemiti lontani…..che la sua stanza aveva assorbito e che ogni notte regalava alla quiete dell’ oscurità.
Cercando ancora una speranza alla quale tenersi stretto lui si addormentò lentamente.
La solitudine seduta ai suoi piedi che posava la grande testa sulle sue gambe.


Il giorno seguente Hanamichi arrivò a scuola molto presto.
Non voleva incontrare nessuno.
Camminare per i corridoi quasi vuoti faceva uno strano effetto.
Ma donava un po’ di tranquillità.
Improvvisamente si sentì osservare.
Uno sguardo triste, comprensivo e amichevole al tempo stesso.
Hanamichi incontrò Kogure.

Non dissero niente.
Kogure sorrise in saluto, poi sparì nella propria classe.


Sospirando lui dai capelli rossi si rifugiò sulla terrazza per molto tempo.


La porta si aprì, il tempo era passato.
E lui si era addormentato lì, al sole, dove i raggi avevano reso tiepida la pietra del pavimento.
Si era svegliato da poco ed ora qualcuno era salito.
Si girò incontrando il suo guntai.


Sorrise, felice di vederli.
Da tanto non stava un po’ con loro.
Si alzò, correndo dai suoi amici.

Ma Yohei lo fermò con uno sguardo, mettendo distanza fra di loro.
Anche tutti gli altri rimanevano immobili.
Lontani.
Hanamichi avvertì fastidio.
Che si fossero stancati dei suoi continui rifiuti ed avessero deciso di abbandonarlo?
No, non lo poteva credere.
Non da Yohei.
Non dall’ amico con cui aveva diviso innumerevoli giornate e risse e piccole felicità.
Non dall’ amico con il quale si era confidato, al quale aveva svelato un passato da cancellare ed un presente tormentato.


Quell’ amico fece ora un passo avanti.
E chinò la testa.

“Perdonami”disse

“Perdonaci” mormorarono gli altri

Ad Hanamichi sembrò di non capire.
Cosa ?
Cosa doveva perdonare?


“Spiegati Yohei io……………parla”


“Mi dispiace Hanamichi ieri, io ………..io..ero così furioso per quello che ti avevano fatto e detto…che……”

Il ragazzo dai capelli rossi sgranò gli occhi, sospetto, quasi consapevolezza di sapere di cosa stava parlando.

“…Io…ho raccontato ai tuoi compagni la verità su di te…..la tua storia…….perdonami…….”

Hanamichi non disse niente.
Ora semplicemente capiva la tristezza dello sguardo di Kogure.
Non sapeva cosa dire, né cosa pensare, né cosa aspettarsi.
Rimase in silenzio.


“Perdonami………so di aver sbagliato, ma ti giuro non ci ho visto più…come hanno potuto…pensavano di essere nel giusto….maledizione”

Ancora Yohei non aveva alzato il viso.
Hanamichi rimase immobile.


“Non mi aspetto il tuo perdono ….ti ho tradito …capirò se non vorrai più vedermi, ma loro non c’ entrano niente ……sono stato io a parlare”

I ragazzi del guntai si lamentarono.

“Ehi…ehi…ti avvertiamo Hanamichi se non avesse parlato lui lo avremmo fatto noi, chiaro? Non possiamo sopportare certi comportamenti…..”disse Noma

Hanamichi sorrise dolcemente.

Poi una frase ed un pensiero gli rubarono il respiro.

“Almeno ci siamo tolti la soddisfazione di vedere i loro visi sconvolti”ridacchiò Okuso

Senza preavviso Hanamichi afferrò le spalle di Yohei, scuotendolo con forza.

“Dimmi……dimmi c’ era ….era lì anche…………R..Rukawa?”

Mito lo fissò sorpreso.
“Si………..credo di si ….non ho guardato ….ma se c’ era prima …sarà rimasto……si…”

Hanamichi lo lasciò.

“Cosa c’ entra Rukawa?” chiese con sospetto il suo amico

Il ragazzo dai capelli rossi scosse la testa.
Un turbinare immenso di pensieri lo avvolse, voleva riflettere, doveva riflettere.
Ma sentì il suo guntai in attesa.

Alzò di scatto la testa, sorrise a tutti loro poi parlò, lento e deciso.

“Alza la testa Yohei ………non avete niente di cui farvi perdonare….mi avete difeso…….ho solo voi……………………grazie”

Si abbracciarono.
Felici per quel perdono.
Mentre lo sguardo di Hanamichi si riempiva lento, ma inesorabile di ansia.

Quando l’ orario di lezione lo lasciò libero lui corse a casa.
Divorato dai pensieri e dai problemi.
Ora tutti sapevano.
Continuava a ripeterselo.
Ora tutti sapevano.
Anche lui.
Anche Rukawa.
Anche Rukawa.
Rientrò in casa, senza salutare, si stese sul divano, la testa fra le mani, pesante, piena di dubbi.
Ed ora cosa sarebbe successo?
Ringraziò un istante di aver lasciato la squadra, almeno quel pomeriggio non avrebbe dovuto sostenere i loro sguardi, le loro domande sospese negli occhi fissi su di sè.
Poi pensò a lui.
Cosa sarebbe successo?
Lo avrebbe rivisto?
Sarebbe continuato tutto come prima ?
Rukawa avrebbe preso con freddezza anche quella verità ed avrebbe continuato ad usarlo?
Oppure non si sarebbero più sentiti, né visti , né…….né ….né avrebbero condiviso più niente?
Non lo sapeva.
Non lo sapeva.
Era inquieto.
Teso.
Si alzò.
Camminava avanti e indietro.
Senza trovare pace né un pensiero rassicurante.
Troppe domande.
Troppo veloci.

Uscì da quella stanza, si sentiva soffocare.
Arrivò nel piccolo bar, si sedé ad un tavolino, nell’ ombra più cupa che era riuscito a trovare e rimase in silenzio.
Alle sue spalle Yukari passò guardandolo.
Una mano delicata appoggiata allo stipite.
Un attimo dopo quella mano non c’ era più.
E nemmeno quell’ ombra alle spalle.
Yukari decise, per quella volta, di lasciarlo solo a riflettere.
Lo avrebbe osservato gentilmente, per qualche giorno, per sostenerlo nel momento in cui ne avrebbe avuto bisogno.
Come una sorella , come una madre.


Continua…………….

* Sono nomi di cocktail , il primo dovrebbe esistere sul serio ed essere composto da spumante e succo d’ arancia, il secondo …..beh il secondo non cercatelo nei bar perché non credo esista…….ma sa …….chiamatela licenza poetica nata dal mio amore per le calle e per il colore rosso……………..^_____= poi se qualcuna di voi lavora come ‘bar-woman’ (anche man , perché no?)può sempre inventarlo……….ma poi me lo deve far assaggiare……….^______=

M:^________________________^Tutto inizia a muoversi ……..evvai!!!!!!
Hiro: Non è giusto ……mi fai comparire per poi farmi fare la figura del bastardo perfetto poi mi fai mollare due schiaffi e dico due !!!!dal mio koi Aki-pucci -bello e mi mandi via?????????????Dillo che vuoi morire………………
A: A me è piaciuta invece prima Hana mi coccola e poi finalmente ti pesto per quello che mi hai fatto passare……….
Hiro: Ritiro il koi Aki- pucci -bello!!!!!!!
M: Su pazientate, in fin dei conti dovrete aspettare poco, pensate a Ru ed Hana che hanno aspettato per ben 19 cap ed ancora soffrono come cani!!!!!!
R&H: Bastarda sadica e perversa!!!!!
M: Scudish! Scudish! A cuccia belli……………………groaooooooor!!!!

Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnata fin qui………chiedo scusa ad Hyme perché lo sa , ormai , quanto io sia cattiva con il piccolo Hana ……ma poi sa anche che so ricompensarlo il piccolo Hana (mandandogli in camera il piccolo Kae)
……………
La piccola Mel vi saluta !!!!!
Un bacio.


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