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Pr

Parte XIII

di Mel

 

Nella rarefatta penombra dell’ alba Hanamichi rientrò silenziosamente dalla porta sul retro, scivolando insieme alle ombre che si allungavano, disperate, negli angoli per non scomparire alla luce che , in poco tempo, si sarebbe levata dall’ orizzonte.
La stanchezza pesava, i suoi respiri non uscivano che come sospiri, troppo deboli per essere sentiti.
Ma potevano essere intuiti, da chi , attentamente, avesse guardato quella bocca socchiusa, stanca e triste, appena resa lucida da qualche goccia di sale che si andava ormai asciugando.
Il vento aveva compassionevolmente asciugato quasi tutte le sue lacrime, sulle guance non ve n’ era più traccia, negli occhi solo qualche piccolo riflesso lucido, ma sulle labbra solo la lingua poté portare via con sé quell’ ultimo frammento di disperazione, portarlo via , all’ interno di quel corpo , dove sarebbe dovuto rimanere già da prima……………
Quelle maledette lacrime non sarebbero dovute uscire, non più ormai………….
Aveva accettato.
Si donava ogni volta.
No.
Era più corretto dire che si imponeva di continuare a donarsi.
E lo faceva per amore.
Ma non per amore di chi, quasi ogni notte, lo reclamava sensualmente.
Lo faceva per amore di chi gli aveva dato la vita.
Quella vita che, se anche sembrasse sempre e solo sofferenza, vale la pena di essere vissuta , il più a lungo possibile, per sé e per gli altri e per la piccola felicità che ogni respiro che facciamo ci porta, ricordandoci di poter dire ‘io esisto’.
Ed era solo per quello che lui andava avanti, che trovava la forza di non mostrare nessuna emozione particolare quando il suo datore di lavoro gli comunicava l’ orario dei suoi appuntamenti e l’ identità di chi, da tempo ormai, lo richiedeva.
Ed era solo per quello che non si permetteva di scoppiare in singhiozzi preparandosi per uscire.
Ed era solo per quello che non si permetteva di tremare ogni volta che prendeva tra le mani la sua rosa bianca , la sua bella catena dall’ aspetto così innocente.
Ed ora sospirava, senza permettere a nessuno di udirlo , rientrando finalmente a casa dopo un'altra di quelle notti.
Solo per poter sbirciare in silenzio la figura distesa dell’ unica donna che amava, per potersi convincere di non avere altra scelta , di essersi comportato bene , di non avere colpe, di stare facendo tutto quello che era in suo potere, per loro due.
Ed in fin dei conti la dignità non era poi così importante, se paragonata al fragile sorriso di sua madre.
Distrutto, il ragazzo dai capelli rossi si stese sul divano.
Si spogliò rabbrividendo, per poi coprirsi con una piccola coperta, a lasciare che i pensieri vagassero per portare da lui il sonno.
Rukawa ……………………. i suoi pensieri si fermavano lì, costantemente.
In fondo è difficile dimenticare la persona che solo poche decine di minuti prima ti ha posseduto.

Fare l’ amore.

No.
Non era quello che loro facevano.
Non lo era mai stato.
Faceva male.
Ma era la verità.
Fare l’ amore.
La parola stessa indica provare amore ,provarlo dentro per poi lasciare che si concretizzi in un gesto materiale,carnale, ma dal valore puro.
Si fa l’ amore con chi si ama.
E Rukawa non lo amava.
Lo usava.
Si.
Era chiaro.
Ogni notte più della precedente.
Lo usava per divertirsi.
Per riempire le proprie notti.
Perché forse il sonno che quel ragazzo dai capelli neri cacciava via dormendo di giorno non ritornava così facilmente di notte.
Un impiego per le notti di un ragazzo.
Ecco tutto ciò che era diventato.
Ed ora nemmeno il pensiero del sorriso di sua madre copriva appieno quell’ umiliazione.
L’ umiliazione che quel ragazzo gli infliggeva , resa ancora più amara dal piacere che nonostante tutto sapeva regalargli.
Eppure non era quello che lui avrebbe voluto.
Non gli interessava il piacere.
Non gli interessava affatto.
In fin dei conti gli sarebbe bastato uno sguardo.
Uno sguardo che non sapesse di superiorità e di scherno.
Che non sapesse di potere.
Voleva solo uno sguardo attento.
Voleva forse la sua attenzione.
L’ attenzione del ragazzo dai capelli neri.
Di quel ragazzo che, dal primo momento in cui si erano incontrati, non aveva avuto bisogno di parole per mostrarsi irraggiungibile per ogni altra persona.
Altero e bellissimo.
Intrinsecamente superiore.


Avere la sua attenzione avrebbe alleviato la sofferenza di considerarsi inutile ed insignificante?


Hanamichi se lo chiese cedendo al sonno, vinto, arreso.
Nel dormiveglia ora leggero , che in breve sarebbe passato a sonno regolare, quella domanda girò a lungo nella sua mente, leggera, ma piena di significati.

Eppure il rammarico , la tristezza non lo abbandonavano…..neanche un istante d’ esistenza…..
…….perché quel cliente in quel letto non poteva dirgli che ciò che stava per fare lo faceva per ………amore?
……perché non diceva, mentendo anche ( che importava poi )che quello era l’ unico modo in cui lo poteva avere senza rischiare di vedersi rifiutare?

Sarebbe stato bello pensare di essere così importante.
Avrebbe fatto tutto meno male?

Nel buio del corridoio la donna dai lunghi capelli d’ ebano rientrò silenziosa nella propria stanza, attorno ogni cosa era oscurità , ma lei, guardandole attentamente, le aveva scorte le labbra piegate in sospiri del ragazzo dai capelli rossi mentre ,ogni notte sempre più tardi, lo sentiva rientrare stanco e muto.


Un altro giorno, un’ altra sera.


Sakuragi attese un istante, un lungo istante dall’ intensità di un brivido freddo.
Si trovava davanti alla casa del suo cliente.
Ma da solo.
Rukawa lo aspettava dentro.

Il suo datore di lavoro lo aveva chiamato, lui, rassegnato, si era seduto ad ascoltare le solite istruzioni per la sera , per la sua solita uscita con il suo abituale cliente.
Eppure non era stato come le altre volte.
Nessun incrocio fra due strade del centro.
Nessun locale.
Nessuna sala da ricevimento.


L’ appuntamento quella sera sarebbe stato a casa di Rukawa.

Suonò il campanello , incerto il suo dito si era sollevato tremando.
Un suono e poi Sakuragi levò lo sguardo verso la porta.
Lì sulla soglia , in attesa , il suo cliente , dai capelli ancora più neri e lo sguardo ancora più blu.

Lentamente Hanamichi lo raggiunse ed entrò senza dire niente, mentre i lampioni illuminavano flebilmente la strada deserta.

La porta si chiuse alle loro spalle ed una luce si accese nel salotto.

Il silenzio scandiva l’ impalpabile scorrere del tempo.

Hanamichi sollevò lo sguardo sul suo cliente.
Seduto lì , sulla sua solita poltrona …………………la stessa poltrona su cui si era trovato e dalla quale si era alzato la notte in cui tutto era iniziato……….
Hanamichi sospirò.
Perché?
Perché era successo?

Poi osservò attentamente l’ aspetto del ragazzo dai capelli neri.
Non aveva cravatta , né camicia, né una giacca elegante……………..una semplice maglietta nera lo avvolgeva, modellandosi morbidamente su di lui.


“Non usciamo?”chiese incurante Hanamichi

Lo sguardo sfuggente , il tono dimesso , a metà tra domanda ed affermazione.
E se era una domanda lui la risposta la conosceva già.
Vederlo vestito così, era quella la sua risposta.
Non aveva intenzione di uscire , non l’ aveva mai avuta.
Quanto erano sembrati patetici i loro giri per le strade alla ricerca di un’ apparenza per le loro uscite.
Girare a vuoto per poi tornare immancabilmente lì…..non esattamente lì……..solo un piano più su……….
E quella volta Rukawa aveva deciso di risparmiare per sé quel tempo.
Lo aveva chiamato a casa.
Magari per averlo anche più di due volte nella stessa sera.


Sakuragi sentì le lacrime premere, brucianti, nei propri occhi.
Maledizione, aveva promesso di non piangere più inutilmente.


Con lentezza Kaede fece scivolare sul suo accompagnatore il proprio sguardo.
Dal tono della voce con il quale Sakuragi aveva formulato quella domanda si intuiva che aveva capito.
Ora era necessario rendere chiaro un altro concetto.
Non voleva perdere tempo ,lì , in silenzio, in salotto.


Attirò la sua attenzione con un movimento curato e mormorando ordinò.

“No,non usciamo….. vai di sopra…………..lavati …….stenditi sul mio letto……e aspettami”

Hanamichi perse il respiro.
Incredulo si voltò lentissimamente ad incrociare i propri caldi occhi sgranati con polle blu ghiaccio.

Rimasero fermi ed immobili.

Come poteva………………….osare…………..chiedere…………..una ….cosa….del….genere?

Come poteva………………?


Hanamichi si alzò in piedi, tremando , stringendo un pugno lungo il fianco teso.

Kaede lo osservò con distacco.


“Non vorrei interpretare in modo sbagliato il tuo perdere tempo…………….non costringermi……..”sibilò lui dai capelli neri


Sakuragi lo insultò in uno sguardo e si diresse rapido verso il corridoio.

Per un attimo Kaede fu convinto di sentire la porta aprirsi e poi sbattere, mentre i passi del suo Pr si allontanavano per la strada.
Invece passi veloci sulle scale e le proteste delle assi di legno lavorato permisero al suo cuore di smettere di battere furiosamente.

E mentre Hanamichi saliva quelle scale di condanna Kaede lasciò andare il respiro che, senza volere, aveva trattenuto.

Per lunghi minuti d’attesa vi furono solo loro.

Un ragazzo dai capelli rossi sotto lingue d’acqua calda, a passare sul proprio corpo le proprie mani, rabbrividendo.


Un ragazzo dai capelli neri seduto sulle scale, ad ascoltare il rumore di quell’acqua che scorreva, ad attenderne la fine, ad attendere il silenzio.

Hanamichi che chiudeva l’ acqua , sotto la quale aveva indugiato a lungo solo per rubare a quella notte un altro po’ di tempo , per rifiutare per qualche secondo in più la propria pelle al desiderio del suo cliente.


Kaede che, con la testa lasciata andare contro il muro, aspettava pensando e pensando e mordendosi le labbra e chiudendo gli occhi.


Hanamichi che entrava nella stanza, quella stanza, chiudendosi la porta alle spalle, scivolando con un telo addosso dalla soglia fino al letto, lasciando a terra quel pezzo di stoffa , guardandosi attorno prima , per sincerarsi di essere solo, salendo sul letto , tirando un lenzuolo su di sé , allungando le gambe fra la frescura della stoffa di cotone, tremando.


Kaede, in attesa.

Hanamichi, in attesa.

E mentre il tempo scivolava e le nubi con esso sgombravano il cielo ora pulito, Kaede si alzò ed aprì una porta da poco chiusa.
Ora andava a reclamare ciò che aveva fatto preparare.
Ed entrò e chiuse la porta.
Nella penombra i contorni di un corpo familiare alle sue mani si stagliavano netti fra il bianco chiaro e la luce della luna.


Luna piena , che brillava con tutta la sua forza.
Entrando in fasci penetranti come lunghe lame di spade a due tagli.


Il ragazzo dai capelli neri si spogliò velocemente, lasciando in terra , accanto alla porta , ogni cosa, avanzando piano, ma costantemente.

Arrivato a toccare con le gambe i bordi del proprio letto Kaede alzò un sopracciglio.

Il corpo che si immaginava di vedere in realtà ansimava piano coperto dalle lenzuola.


Un mormorio chiaro e distinto.
Infastidito.

“Non ti avevo detto di coprirti”

Hanamichi alzò uno sguardo su di lui, arrossendo nella semioscurità.


Un movimento rapido e la mano di Kaede gettò ai piedi del letto quel lenzuolo impudente.


In un istante la luna trovò qualcosa da riflettere ed entrando, ancora più forte di prima, si riflesse in milioni di minuti bagliori sulla pelle bagnata di quel ragazzo steso.


Tanti piccoli punti luminosi , mille gocce di fresca acqua………………….invitanti.

Kaede non si fece più pregare, con desiderio scese su quel corpo dal viso nascosto fra i cuscini e lo sfiorò con la punta della lingua.

L’ acqua si mescolò al sapore della pelle , il dolce al salato , i mugolii al silenzio.

Tenendolo immobile con le mani Kaede si occupò di tutta quella pelle , di ogni singola goccia d’ acqua , di ogni piccolo anfratto , dalle spalle al gomito , al fianco , all’ inguine, alle gambe.

E piano , a lungo , con ricercata attenzione, salì per occuparsi dell’ interno delle cosce , sulla pelle morbida e bollente che solo quel punto possedeva così tanto.
Leccando un’immaginaria linea, immaginari fasci di muscoli , tracciando , segnando , arrossando la consistenza di quel corpo , di quel punto.

Ogni singola goccia , anche la più nascosta, catturata ed inghiottita.


Fino a che il continuare di quel gioco non rese insopportabile il desiderio.

Kaede si tese sentendo la propria pelle chiedere qualcosa di più.


E furono movimenti delicati……………..sempre delicati…………….
…farsi spazio con le mani ………
…stringerlo sistemandosi contro di lui e contro l’ interno del suo corpo …….
…tenerlo fermo e sentire dal respiro se stava andando tutto bene……
…ed infine tendersi , ritrarsi e spingere…………….

…dentro.

Ed entrare , entrare fino in fondo , sentirlo gemere per l’ intrusione, guardarlo per osservare la sua espressione.
E ricominciare a spingere, sempre più forte, per sentirlo gridare il prima possibile , il più forte possibile.
E premere nel suo corpo, prendere un ritmo serrato, sentirlo tendersi fra le proprie braccia, guardarlo ancora.
E vedere solo il suo viso arrossato, la sua bocca socchiusa, i suoi occhi stretti. Il suo piacere.
E affondare ancora, muoversi in quel corpo , su quel letto, sentirne il cigolio , la leggera protesta.
Ed intravedere il piacere, stare per afferrarlo, sentirlo premere per concretizzarsi in un orgasmo.

Ed infine raggiungerlo con una spinta ed il suono di grida nella testa.
Le grida del ragazzo sotto di sé.


Hanamichi accettò quel ritmo, stringendosi a lui, lasciando che facesse ciò che voleva di sé.
Gridò soltanto.
Senza poterne fare a meno.
Non sarebbe riuscito a rimanere in silenzio.
Non sarebbe riuscito a sopportare in silenzio il ritmo sfrenato di Rukawa, quel ritmo veloce, fatto di spinte e ansimi.
No.
Come avrebbe potuto in silenzio?
Provava piacere.
E non voleva.
Ma lo provava.
E non poteva fare niente.
Niente.
Niente.


E Kaede spinse ancora, lasciando scendere in lui il suo seme.
E Hanamichi venne allargando di più le gambe, inconsciamente.

Dopo un istante ed un altro respiro profondo il ragazzo dai capelli neri posò tra quelle cosce le proprie mani , le tenne divaricate ancora un attimo, per poter uscire con delicatezza poi si lasciò andare accanto all’ amante, che già aveva chiuso i propri occhi riverso fra le lenzuola.

La luna continuava a brillare con tutta la sua maestosa lucentezza.
Dea chiara fra le nubi nere della notte.

Con il suo argento essa illuminò ancora due corpi , per qualche minuto ancora.

Ed infine accompagnò verso casa un ragazzo dal viso chino ed i capelli rossi.


Entrato nel silenzio Hanamichi sollevò uno sguardo sul triste corridoio scuro.
Vuoto e solo come lui in quel momento.


No.
Non vuoto.
Qualcuno , qualcuno rimaneva appoggiato ad un muro e lo guardava.


Nelle ombre che salivano lui riconobbe Yukari.

La giovane donna lo guardava , silenziosamente.
Lo stava aspettando.
Per parlargli.
Lo aveva deciso.
Se lo avesse sentito rientrare tardi un’ altra volta gli avrebbe parlato.


“Sei stato trattenuto dal tuo cliente?”

Sicura si levò la domanda.
Senza forse essere esattamente quella pensata.
Ma doveva esserlo, altri motivi per quei ritardi continui lei non voleva vederli.


Hanamichi annuì distrattamente.

“E’ molto tardi...............dovresti cominciare ad evitarlo................sei ancora minorenne............”

“Si lo so – rispose stancamente lui – non mi sono potuto liberare”

“Va bene.........ma ricorda una cosa .........i clienti rimangono clienti................”

Lo sguardo della donna si fece penetrante.


“Cosa vuoi dire?”chiese lui

“Ho notato che il signor Rukawa ti ha.................preso in simpatia...................evita le confidenze................per te e per lui.....................
.....ma sopratutto per te , piccolo...............”


Hanamichi la guardò mestamente , il buio lo aiutava , forse il triste lucore e la rassegnazione dei suoi occhi potevano sempre sembrare stanchezza lontani dalla luce che, al contrario, ne avrebbe reso evidente la natura disperata.

Oramai era troppo tardi.

La confidenza nella quale era entrato con il “signor Rukawa” era diventata talmente grande da portarlo a dividere , già da tante notti , il suo letto con lui.
Anche se solo per qualche ora.
Anche se solo il tempo necessario a soddisfare un desiderio.
Anche se solo per farsi umiliare.

E Hanamichi non ebbe più il coraggio di risponderle , senza dire niente si diresse lì , alla propria porta, per entrare e sparirvi dentro, per lasciarsi per qualche altra ora all’ oblio che solo il sonno sapeva concedergli.
E appoggiò la propria mano alla maniglia , la strinse , ma non la aprì.


Con uno scatto lui fu davanti a Yukari.

E nel silenzio della notte si lasciò abbracciare da lei.
Le si appoggiò contro.
Con il viso sulla sua spalla morbida e profumata.
Sentì mani gentili cingergli la schiena.
Si lasciò ad una carezza della sua sola amica.

Ed infine la lasciò, rientrando nelle sue stanze.
Per un bacio a sua madre ed una piccola coperta insieme alla quale dormire.


Nell’ oscurità del corridoio , dopo un silenzioso saluto fatto di sguardi, Yukari rimase lì , appoggiata ad una parete appena tiepida.
Nel silenzio lei si mormorò.


“Non è ancora il momento”


Prese una sigaretta da un piccolo astuccio dorato , la guardò senz’ alcun interesse, la accese ed aspirandone il sapore sentì che era
ancora troppo presto per mantenere quelle promessa.

Continua..........................


M:Ringrazio tutti coloro che leggeranno questa storia.

Saluto tutto il sito, un bacio a Ria.

La mia mail è sempre MelKaine@hotmail.com




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