Le parti in corsivo sono flashback
Per
ricordare, per dimenticare
di Lidia
Capitolo
5
-Non
posso credere a quello che è successo questa notte. -
Justin gemette mentre sprazzi di ricordo della serata precedente
continuavano a tornargli alla mente.
Con la mente un po’ snebbiata dall’aria fresca dopo il temporale
riusciva a ricordare alcune cose che aveva fatto la sera prima.
L’immagine mentre si toglieva la maglietta e i jeans lo fece arrossire.
Per fortuna non ricordava ancora cosa era successo dopo.
Si strinse attorno al corpo il giubbotto che aveva raccolto dal divano. Solo
allora si accorse che non era il suo. Nella fretta aveva preso quello di
Damon. Poco male glielo avrebbe restituito quando avrebbe trovato il
coraggio di tornare al bungalow.
- Ehila! Come va la vita?-
La voce di Ray lo fece sobbalzare.
Con quale coraggio lo avrebbe guardato ancora negli occhi?
Come avrebbe potuto dirgli quello che aveva fatto?
Non ci fu bisogno di metterlo al corrente delle ultime novità.
-Ti sei divertito ieri sera? – commentò il fantasma con un espressione
maliziosa sul volto.
Sapeva già tutto.
-Chi te l’ha detto?- gli chiese Justin
-Non ce n’è stato bisogno. Ero lì-
Il viso di Justin si fece più rosso dei capelli di Damon.
-Vuoi dire che hai visto tutto? Che mi hai visto mentre….- non riuscì a
finire la frase per l’imbarazzo.
-Sì. Te l’ho detto. Ero lì. -
- Perché non ci hai fermato!-
-Due bei ragazzi che fanno sesso. Perché avrei dovuto rovinarvi il
divertimento? E poi è stato piacevole rimanere a guardarvi.
- Pervertito. - bofonchiò Justin allontanandosi sulla spiaggia.
Fantastico!
Si era fatto il miglior amico del suo ragazzo e sotto i suoi occhi.
Oltre al mal di testa incomincio ad avvertire una leggera nausea.
Voleva solo dimenticare quello che era successo.
Infilando le mani nella tasca del giubbotto sentì qualcosa tra le dita.
Tirò fuori la patente falsa.
Per dimenticare.
Si ricordò le parole di Damon.
Un’altra bevuta lo avrebbe aiutato a dimenticare.
Abbandonò la spiaggia e si diresse verso il centro abitato.
Trovò il bar quasi subito.
Era appena aperto e a parte un altro avventore sul fondo del bancone non
c’era nessun altro.
Attirò l’attenzione del barista con un cenno e come un cliente abituale
chiese una birra.
Senza neppure alzare lo sguardo il barista gli chiese un documento.
Justin fece scivolare la patente falsa sul bancone. La foto mostrava un
ragazzo dai capelli rosso sangue.
Fuori aveva ripreso a piovere. Una pioggerella leggera che giustificava il
fatto che si fosse tirato il cappuccio sui capelli.
Il
barista diede appena un’occhiata al documento e gli versò da bere.
Justin guardò il bicchiere pieno, la schiuma che arrivava all’orlo.
Il sapore leggermente amaro non gli piaceva, ma scolò completamente il
bicchiere.
Rialzò la testa solo per chiederne un altro, guardando il proprio riflesso
nello specchio dietro il bancone.
Aveva un’aria stralunata ma doveva ammettere che la ricetta di Damon
funzionava.
Era al secondo bicchiere quando si sentì battere sulla spalla.
Si ritrovò di fronte Chris.
-Cosa ci fai qui?-
- Dimentico. -
Chris guardò il documento sul bancone e scosse la testa.
-Tanto non funziona. - commentò. -Conosco modi migliori e più piacevoli per
scacciare i brutti pensieri. - finì sussurrandogli in un orecchio.
Dall’altra
parte del locale qualcuno li stava osservando.
Quando due uomini entrarono nel bar, una della due figure si gettò a terra
nascondendosi meglio che poteva dietro un tavolino.
-Cosa stai facendo?- chiese Sean
-Non vorrei farmi vedere da qualcuno. - rispose Ray dal suo improvvisato
nascondiglio
-Ti ricordo che siamo due spiriti. -
- E’ vero!- rispose Ray imbarazzato per esserselo dimenticato per
l’ennesima volta, ma rimanendo nascosto. -Però loro possono- aggiunse
indicando con un cenno del capo Justin e Chris al bancone del bar.
Lo aveva seguito da lontano fin dalla spiaggia.
Guardò il biondino che ridacchiava mentre Chris gli sussurrava in un
orecchio.
Stava andando tutto bene.
Nel
cottage sulla spiaggia invece le cose non erano così tranquille.
Damon guardò il ragazzo di fronte a lui.
Si sentiva vulnerabile con solo l’asciugamano intorno ai fianchi, ma non
voleva che lui lo notasse.
- Vattene. - gli disse brusco.
Scott scosse la testa sconsolata.
-No, non me ne vado. Non senza di te. -
Mentre parlava gli si era avvicinato fino ad arrivargli così vicino che
Damon dovette gettare la testa indietro per guardarlo in faccia.
Sentì l’asciugamano che gli veniva strappato dal corpo.
Voleva dirgli in andarsene e non farsi più vedere, ma era bloccato. Non
riusciva a parlare, non riusciva a muoversi. Era così spaventato che non
riusciva nemmeno a pensare.
Scott lo obbligò a voltargli le spalle e gli afferrò i polsi
torcendoglieli dietro la schiena prima di spingerlo a faccia in giù sul
pavimento.
-Tu sei mio: non ti lascerò mai. -
Mentre con una mano gli bloccava i polsi con l’altra lo accarezzava, ma
non c’era nulla di tenero in quelle effusioni. Era come se facesse
l’inventario di qualcosa di sua proprietà.
Spalle, schiena, fianchi, natiche.
Fece scorrere la mano tra i glutei e spinse un dito in profondità, poi un
altro.
Damon gemette.
Scambiando il gemito di dolore per uno di piacere, Scott si slacciò i
pantaloni.
-Lo sapevo che tra noi non poteva finire. Tu mi vuoi ancora. - sussurrò
mentre gli scivolava dentro il corpo.
L’intrusione forzata fece reagire Damon che incomincio a dibattersi a
urlare.
-Lasciami andare! Basta! Mi fai male!-
L’improvvisa reazione lasciò Scott di stucco che si staccò da lui
lasciandolo libero.
-Cosa? Non hai mai fatto così. Cosa ti prende?-
Damon si era messo seduto stringendosi le ginocchia al petto.
-Perché non voglio. Non voglio più che tu mi tocchi. -
Guardò Scott che si era rialzato e si risistemava i vestiti mentre scuoteva
ottusamente la testa.
-No, tue sei mio. Per sempre. Ormai non ci sono più ostacoli. E’ che non
è il posto ed il momento giusto. Ti farò ricordare quello che c’è stato
fra di noi, e tu sarai di nuovo solo mio. - mormorò Scott dirigendosi verso
la porta.
- Maledetto. - gli gridò dietro Damon sottolineando l’insulto lanciandogli
dietro l’asciugamano.
-Sì, maledetto. Ormai ho dannato la mia anima per sempre. Per te. Solo per
te. - concluse sottovoce Scott parlando più a se stesso che al ragazzo che
si lasciava alle spalle mentre usciva.
Sul
bancone del bar ormai c’erano tre bicchieri in fila uno accanto
all’altro. Justin teneva la testa appoggiata al banco.
-Dopo appena tre bicchieri sono completamente ubriaco. Non sono un gran che
come bevitore. - pensò
Ogni volta che ne aveva vuotato uno si era sentito la testa più leggera e
gli sembrava che i brutti ricordi sparissero.
Si guardò intorno alla ricerca di Chris, ma era sparito anche lui.
–Meglio così. - pensò
Alzò una mano per chiedere l’ennesimo giro, ma il barista si rifiutò di
versargli nuovamente da bere. Pagato il conto Justin lasciò il locale con
passo indeciso. Sembrava che il suo corpo volesse andare in una direzione,
mentre i suoi piedi cercavano un'altra via.
Né la leggera pioggia che gli cadeva sul cappuccio né l’aria fresca
della sera riuscirono a schiarirgli la mente.
Ray gli era accanto.
-Accidenti, non dovevi bere così tanto. E pensare che fino a ieri eri
astemio. -
Justin gemette in risposta. La luce dei lampioni che si stavano accendendo
era troppo forte per lui.
Tenendo una mano appoggiata al muro, più per rimanere attaccato alla realtà
che per reggersi in piedi, Justin finì per svoltare nel vicolo buio dietro
il locale.
Lì era così buio che a mala pena riusciva a distinguere le sagome dei
bidoni e dei sacchi dei rifiuti.
Si appoggiò al muro, la fronte premuta contro i mattoni cercando un po’
di sollievo.
-Non mi sento tanto bene…- gemette.
Ray tentò di sostenerlo, ma le sue mani gli passavano attraverso, e rimase,
impotente, a guardare il ragazzo che reggeva in piedi a stento.
-Ti prego, tienimi stretto. - gemette nuovamente Justin.
Ray si avvicinò ancora di più, facendo scivolare le mani su quel corpo che
non poteva toccare.
-Non posso. - cercò di spiegargli – Vado a cercare aiuto. -
-No, resta qui. Non mi lasciare solo. -
Noncurante della preghiera Ray rientrò nel locale.
Guardandosi
intorno vide Sean seduto sopra un tavolino.
Con le gambe penzoloni nel vuoto guardava annoiato due persone che, ignare
della sua presenza, occupavano lo stesso tavolo bevendo e parlando.
Ray gli si avvicinò.
-Devi aiutarmi. -
Sean lo guardò con aria assente.
-Perché dovrei?-
- Justin sta male. -
-E allora? Cosa dovrei fare?-
-Devi andare da Chris e dirgli di aiutarlo. -
- No. -
-Ho lasciato Justin solo nel vicolo e sta male. Come puoi essere così
insensibile?-
Sean trasse un sospiro
-Non è che non voglio. Non posso-
-Cosa intendi dire? –
-Non posso aiutarlo perché Chris non può vedermi. -
Justin
non era più solo.
Avvertì una presenza alle sue spalle. Prima che si potesse voltare
l’ombra dietro di lui gli aveva afferrato i polsi con una mano
inchiodandoli contro il muro.
-Una rapina. - pensò Justin
La mano libera dello sconosciuto che si infilasi tra il giubbotto e la
maglietta, poi giù sotto la cintura fino ad infilarsi nei pantaloni gli
fece cambiare idee sulle sue intenzione.
La carezza corse giù, fino al sesso, ma solo per un attimo, prima
di tornare verso l’addome slacciandogli la cintura e facendogli scivolare
i jeans lungo i fianchi.
Nel buio del vicolo sentì il sibilo della lampo.
Justin tentò di liberarsi, ma si sentiva troppo debole.
La reazione di Justin fu interrotto dallo sconosciuto che entrava dentro di
lui spingendolo contro il muro di mattoni.
Scott
guardò il ragazzo appoggiato al muro.
Anche se nel vicolo c’era poca luce riconobbe immediatamente il giubbotto.
-Il posto giusto. Il momento giusto. - mormorò.
Un sorriso gli apparve sulle labbra.
Questo provava che aveva ragione.
Damon lo stava aspettando, come al solito.
Quel piccolo demonio lo aveva stregato fin dall’inizio.
Mentre era a scuola o si allenava, sentiva una sensazione di calore che gli
scorreva lungo la schiena e quando si voltava si ritrovava di fronte a
quegli occhi di smeraldo che lo fissavano da lontano con aria di sfida.
Ma quel contatto durava solo un istante: non appena i loro sguardi si
incrociavano, Damon gli voltava le spalle.
Scott aveva cercato di avvicinarlo, ma Damon lo ignorava completamente
facendo finta di non vederlo o sentirlo.
Scott, frustrato da quell’atteggiamento, aveva reagito con violenza
seguendolo giù negli scantinati della scuola.
E aggredendolo.
Aveva sbattuto Damon contro il muro strappandogli gli abiti di dosso e
prendendolo con rabbia.
Il ragazzo dai capelli rossi l’aveva stupito anche allora.
Non aveva gridato, non aveva cercato di sfuggire alla sua stretta.
Aveva solo mormorato una frase -Finalmente, ce ne hai messo di tempo per
capire cosa volevo.-
Dopo di allora c’erano stati altri incontri. Rapidi, pieni di rabbia ma
piacevoli allo stesso tempo.
Le copie della loro prima volta.
Al di fuori di quegli incontri Damon continuava ignorarlo.
Scott non riusciva più a fare a meno di lui, gli obbediva come un cagnolino
completamente in suo potere.
Una volta aveva chiesto a Damon perché lo trattava così. Per tutta
risposta Damon aveva sorriso e gli aveva detto –Per vendetta. Così impari
a trattare male i bambini più piccoli di te. -
Ma in realtà Scott sapeva la verità.
Gliela leggeva negli occhi quando facevano l’amore e Damon si appoggiava
al suo petto e lasciava cadere
indietro la testa sulla sua spalla con il respiro corto e le labbra
socchiuse.
La verità era che Damon lo amava, anche se in maniera contorta, anche se
quel piccolo demonio non lo avrebbe mai ammesso.
E lui amava Damon.
Con tutto il cuore, con tutta l’anima.
Non importava cosa Damon potesse dirgli o fargli. I suoi insulti erano più
dolci del miele.
Solo una volta l’aveva ferito: quando gli aveva detto di essersi
innamorato di un altro.
Ma tutto questo non aveva più importanza: Damon era tornato da lui. Per
sempre.
Si avvicinò alla figura nel vicolo e gli afferrò i polsi bloccandolo
contro il muro.
Con la mano libera gli lo accarezzò prima di slacciargli i jeans.
Come ogni volta non reagì lasciandosi spingere contro il muro ad ogni
spinta, fino alla fine, quando inarcò la schiena e buttò la testa
indietro.
Si rese conto del suo errore solo quando il cappuccio gli scivolò dai
capelli.
Scott si bloccò di colpo lasciando Justin libero di scivolare a terra.
Mentre guardava il ragazzo che si stava raggomitolando sull’asfalto semi
svenuto sentì arrivare qualcuno di corsa che si gettava contro di lui con
tutto il suo peso sbattendolo a terra.
Scott si rialzò velocemente e corse fuori dal vicolo maledicendo sé stesso
per lo sbaglio commesso.
Justin
riprese lentamente conoscenza.
Qualcuno era chinato accanto a lui e dopo avergli risistemato gli abiti, gli
aveva sollevato la testa appoggiandosela in grembo e aveva cominciato ad
accarezzargli i capelli biondi.
Il ragazzo si lasciò cullare dolcemente ripensando a quando, dopo aver
fatto l’amore, Ray si comportava allo stesso modo.
La testa gli doleva ancora ma, per merito di quella presenza, si sentiva
molto meglio.
L’ombra sopra di lui iniziò a cantare a bocca chiusa una melodia dolce e
ipnotica.
Solo una persona al mondo poteva farlo sentire a quel modo.
Justin rimase a godendosi quel
momento con gli occhi chiusi.
Se li avesse aperti sapeva cosa avrebbe visto: uno sguardo verde giada
dietro un paio di lenti.
- Ray - mormorò lasciandosi scivolare in uno stato di torpore.
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