Le parti in corsivo sono flashback

Per ricordare, per dimenticare

di Lidia


Capitolo 3

   

-Che schifo di posto per passare una vacanza!-
Damon lanciava un sasso dopo l’altro tra le onde mettendoci tutta la propria forza.
-Non si può neanche chiamare città. Ci sono quattro case, un paio di negozi e un bar. E i cottage sulla spiaggia. E l’unico occupato è il nostro. Ci può essere di peggio?- continuò a lamentarsi.
- C’è il mare. La spiaggia. Il sole. - provò a placarlo Justin seduto sulla sabbia fissando il mare di fronte a lui.
Era già stato in questo posto e non ne conservava un bel ricordo.
Non era cambiato nulla .
La stessa boa tra il faro e la spiaggia.
Lo stesso faro che sembrava così irraggiungibile.
Damon lanciò un sasso che rimbalzò un paio di volte sul pelo dell’acqua prima di affondare.
-Il mare? La spiaggia? Il sole? Non mi sembra che tu stia approfittando. Guarda le nubi all’orizzonte. Entro sera ci sarà un bel temporale. Se vuoi farti una bella nuotata ti conviene approfittarne ora. Domani l’acqua sarà gelata. -
Il ragazzo accanto a lui rispose con una alzata di spalle.
Damon gli indicò  qualcuno che stava uscendo dall’acqua a qualche decina di metri da loro.
-Il panorama però non è male.- lanciò un fischio di ammirazione -Bel fisico!-
Il nuotatore si passò una mano viso per togliere i capelli dalla faccia, poi voltandosi notò i due sulla spiaggia agitò un braccio per salutarli.
-Lo conosci?-
-Sì. Studia nella nostra stessa università. Gioca nella nostra squadra di baseball. In questo ultimo anno i suoi voti sono peggiorati, così un professore mi ha chiesto di dargli ripetizioni.–
Damon guardò il ragazzo che si stava strofinando i capelli con un asciugamano.
-Quel costume da bagno non nasconde nulla. Ha proprio un bel…-
-Damon!- lo interruppe -Non riesci proprio a pensare a nient’altro?-
-Chiedo scusa. Magari tu, anima candida, in un ragazzo guardi solo gli occhi. - riprese Damon con tono malizioso.
Justin non rispose alla provocazione. Per un attimo si chiese se non sapesse quello che era accaduto qualche settimana prima. Non aveva avuto il coraggio di dirlo neppure a Ray.
Non era una cosa di grave: mentre stavano studiando insieme, Chris gli aveva posato una mano sulla gamba, sorridendogli in maniera strana.
Justin aveva fatto finta di nulla, ma non aveva potuto evitare di arrossire e di sentirsi in colpa perché aveva trovato quel contatto molto piacevole.
Ma la cosa peggiore è che quando quella sera aveva fatto l’amore con Ray, si era dovuto mordere le labbra per non gridare il nome di Chris.
Si riscosse dai suoi pensieri per guardarsi intorno .
Gli mancava qualcosa.
Era da quella mattina che Ray non si faceva vedere.
Nella mente cominciavano a scorrergli i pensieri più negativi.
E se ne fosse andato via per sempre?
Era talmente preso dai suoi pensieri che non si accorse che Damon se n’era andato.
Ma non era rimasto solo.
-Come sta andando la tua vacanza?-
Chris lo aveva raggiunto dopo essersi rinfilato la tuta sulla pelle ancora umida e il tessuto gli aderiva al corpo.
Il primo pensiero che gli passò per la mente era che Damon aveva ragione: il ragazzo di fronte a lui aveva un corpo veramente stupendo.
Il secondo che Ray gli mancava da morire e si chiese dov’era in quel momento.

 

Ray non era lontano. Nascosto dietro un cespuglio li stava spiando.
Aveva capito che la sua presenza non avrebbe certo aiutato Justin e aveva deciso di stargli alla larga per un po’.
Le cose stavano andando bene. Proprio come voleva lui.
-LASCIAMI ANDARE!-
Ray guardo il ragazzino che aveva bloccato a terra sedendocisi sopra.
-Scordatelo! Andresti a disturbarli. E adesso rispondi alle mie domande. -
-Non intendo farmi fare il terzo grado da un tipo che mi sta seduto sulla schiena. Lasciami andare.- gridò cercando di rialzarsi.
-No, finché non ti comporterai da persona civile. Non ti sei neppure presentato. -
Il ragazzino si arrese e smise di divincolarsi
-Sean. Ora lasciami andare- piagnucolò
Ray si alzò lasciandolo libero e lo aiutò a rimettersi in piedi
-Piacere di conoscerti. Io sono …- disse stringendogli la mano sfoderando il suo migliore sorriso.
-Ray. Lo so. - lo bloccò -Ho ascoltato la conversazione con il tuo ex. Dovevi dirgli di stare lontano da Chris e invece … Non dovresti intrometterti negli affari di chi è ancora vivo.-
-Ho fatto una promessa che devo mantenere. - si difese -Per questo sono ancora qui.–
-Sicuro che sia una promessa a tenerti legato qui?- chiese Sean con un sorriso enigmatico
-Certo! Per questo l’unico a vedermi è Justin!-
-Forse l’unico motivo per cui lui ti vede è perché per lui eri importante e continua a pensare a te. -
-Allora Damon dovrebbe vedermi. E’ il mio migliore amico. Anche per lui ero importante. -
-Sicuro? Magari non è come credi. Per questo non ti vede e non ti sente. -
Ray guardò lungo la riva.
Lontano riusciva a distinguere ancora Damon che si dirigeva verso il cottage e si chiese se non si era sempre sbagliato sul suo conto.

 

Le cose non stavano andando come aveva sperato.
Qualcosa non aveva funzionato.
Camminando sulla spiaggia Damon continuava a pensare dove aveva sbagliato.
Le cose non stavano andando come aveva progettato.
Aveva lasciato Justin da solo con quel tipo.
La situazione poteva tornare a suo vantaggio.
Era quasi arrivato al cottage quando si accorse si una presenza dietro di lui.
Qualcuno lo stava seguendo.
Si voltò di colpo e si trovò faccia a faccia con Scott.
-Cosa ci fai qui? Ti avevo detto che non ti volevo più vedere. -
-Ti ho seguito. Cos’altro avrei potuto fare?- Scott si avvicinò ancora di più a Damon fino quasi a sfiorarlo.
-Non ti permetterò di lasciarmi. - continuò.
Il tono della voce si era fatto tagliente come la lama di un rasoio.
Damon non si mostrò spaventato.
Tentò di colpirlo al viso con uno schiaffo, ma Scott fu più veloce di lui afferrandogli il polso bloccandogli il braccio.
-Non l’hai ancora capito? Le cose sono cambiate. Ora sono io che conduco il gioco. Tu non puoi lasciarmi. -
Le dita gli stringevano il polso penetrando nella carne dell’avambraccio.
Pensò che da un momento all’altro avrebbe sentito l’osso del braccio rompersi con uno schiocco.
Quando il dolore divenne insopportabile, la presa iniziò ad allentarsi.
-Ora hai capito chi comanda?-
Damon annuì con un cenno del capo appena percettibile.
-Bravo!- gli sorrise Scott con un sorriso famelico mentre lo abbracciava.
Damon ricambiò l’abbraccio mentre sentiva le sue mani scivolargli lungo la schiena fino ai glutei.
Solo allora lo colpì al basso ventre con una ginocchiata e lo guardò crollare sulla sabbia.
-Sì, ho capito chi comanda. -
Mentre si allontanava lasciando dietro di sé il ragazzo che si premeva le mani sull’inguine si chiese cosa stava succedendo. Sembrava che tutti si comportassero da pazzi.

 

Chris ce l’aveva messa tutta per cercare di fare conversazione, ma Justin aveva troncato tutti i tentativi rispondendo a monosillabi o non rispondendo affatto.
Ad un tratto si era alzato lasciandolo solo ed aveva fatto una passeggiata sulla spiaggia fino alla cima scogliera.
Era arrivato fino al ciglio e aveva guardato il sole che scendeva dietro la linea dell’orizzonte.
-Lo sai come si chiama questo posto?-
Si sorprese sentendo la voce dietro di lui.
Quando si voltò di ritrovò Chris di fronte.
- L’Ultimo Tramonto. - continuò Chris senza aspettare la risposta.
Justin guardò il ragazzo poi ritornò a fissare il mare.
-Nome romantico. - sperando di bloccare la conversazione
-Non tanto. Si chiama così perché alcune persone vengono qui, guardano il loro ultimo tramonto poi si buttano di sotto. E’ un volo di venti metri. -
Justin guardò il vuoto sotto di lui.
-Perché mi hai seguito?-
-Non mi arrendo facilmente. - gli aveva risposto -E mi piacciono le sfide difficili. -
Sorrideva mentre lo diceva e a Justin per un attimo sembrò di rivedere Ray quando si erano incontrati la prima volta.

 

Quando rientrò al cottage trovò Damon seduto sul tappeto di fronte al televisore intento a mangiare una pizza.
-Vuoi mangiare qualcosa?- gli disse porgendogli una fetta.
Justin ignorò l’offerta anche se rimase a fissare per un attimo i lividi scuri sul polso, poi iniziò a frugare nel giubbotto che il ragazzo alla ricerca della solita fiaschetta senza trovarla.
- E’ nell’altra stanza. Sul comodino. - gli fece notare Damon senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
Mentre andava nell’altra stanza Justin non si accorse che Damon aveva smesso di guardare la televisione per seguirlo con gli occhi e con un sorrisetto soddisfatto stampato sulla faccia mentre andava nella camera da letto e si chiudeva la porta alle spalle.

 

*** Seduto davanti alla porta dell’ufficio di suo padre non riusciva a smettere di torcersi le mani per il nervosismo.
Stringeva talmente i denti che gli dolevano le mascelle.
-Non di nuovo. Non di nuovo.
-  gemette talmente sottovoce da non essere udibile da nessuno tranne se stesso.
Era talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno gli si avvicinava e si lasciava cadere accanto a lui sulla panca.
-Ehilà, il mondo è piccolo, non trovi? -
Si voltò verso il nuovo arrivato.
Ray gli sfoderò un altro dei suoi soliti sorrisi un po’ idioti, che si spense lentamente mentre si rendeva conto dell’angoscia che appariva sul viso di Justin.
-Tutto bene?- chiese preoccupato.
Justin scosse la testa.
-Non sopporto di essere rimproverato da mio padre.
- era quasi sul punto di piangere
Ray gli posò una mano sulla spalla.
Per Justin fu come se una scarica elettrica gli passasse attraverso il corpo.
Aveva una gran voglia di abbracciarlo lì, in mezzo al corridoio, appoggiare la testa sulla sua spalla e lasciare uscire tutte le lacrime, e al diavolo chiunque li avesse visti.
Smise di tormentarsi le mani e respirò profondamente prima di parlare
-Oggi sono usciti i risultati di fine trimestre ultimamente il mio rendimento scolastico è calato in maniera paurosa non riesco più a studiare non faccio altro che pensare a te a noi…insomma hai capito-  Justin era arrossito fino alla punta delle orecchie -inoltre sgattaiolare a casa tua ogni notte  non certo a dormire non aiuta mi sono quasi addormentato in classe la settimana scorsa  e mio padre non ha neppure aspettato che finissero le lezioni mi ha fatto uscire dalla classe per farmi venire qui comincerà a dirmi quanto l’ho deluso che non mi sto impegnando abbastanza e io mi sentirò un verme ogni volta che fa così mi viene voglia di nascondermi sotto un sasso.
-
Aveva fatto uscire le parole tutte in una volta senza interruzioni.
Si voltò versò Ray che lo fissava con gli occhi sgranati.
-
Pazzesco. - mormorò
-Lo so. E’ una situazione insostenibile.
-
-No, e’ la prima volta che ti sento parlare così tanto. Perché non ti ribelli? Perché non gli parli?-
Justin scosse la testa –Non ci riesco. Lui ha già deciso che devo essere come mio fratello e niente gli farà cambiare idea. Se Thomas non mi avesse lasciato solo forse potrei riuscire a parlargli e fargli capire come mi sento, ma da solo è impossibile.
-
Mentre parlava Ray aveva fatto scivolare la mano sulla panca fino ad arrivare alla sua.
Non gliela strinse. Lasciò che le loro mani rimanessero una accanto all’altra.
Mignolo contro mignolo.
Un leggero contatto che valeva più di qualunque abbraccio.
L’atmosfera fu spezzata dalla porta dell’ufficio che si apriva.
-Sei già qui!- la segretaria rivolse un sorriso a Justin -Oh, tuo padre è stato trattenuto, ma arriverà presto.
- diede una sbirciata all’orologio -Io devo uscire. Potete aspettarlo qui?-
I due ragazzi risposero all’unisono con un cenno del capo e rimasero seduti a vedere la segretaria sparire lungo il corridori lasciando dietro di sé la porta socchiusa.
Era appena scomparsa  dietro un angolo che Ray scattò in piedi.
-Mi è venuta una splendida idea.
- sul viso aveva un espressione folle
Afferrò  l’amico per un braccio e lo trascinò dentro l’ufficio.
-Cosa?… Dove?…Che intendi…?-
Preso alla sprovvista Justin non riuscì neppure a chiedergli cosa avesse per la testa.
Senza troppe cerimonie Ray lo portò dietro alla scrivania del preside e si mise alle sue spalle.
-Indovina….- gli chiese con tono sarcastico mentre con una mano lo costringeva a piegarsi sulla scrivania.
Con una mano sulla schiena lo tenne bloccato in quella posizione mentre con l’altra incominciò ad armeggiare con la cintura facendogli scivolare i pantaloni fino al ginocchio.
Justin cercò di rimettersi in posizione eretta ma quando sentì la sua mano accarezzargli il membro lasciò perdere ogni tentativo di ribellione e rilasciò sulla piano della scrivania afferrandone il bordo con entrambe le mani.
Le mani di Ray ora gli scivolavano sui fianchi e sulle cosce fino ad arrivare alle natiche per schiuderle.
Il silenzio dell’ufficio era rotto solo dal loro respiro e dal rumore della cerniera che Ray si stava abbassando.
Quando Ray affondò dentro di lui, Justin emise un gemito
-Ti ….-
La prima spinta lo interruppe solo per un attimo
-…prego…-
la seconda fece spostare la scrivania di qualche millimetro
-…dimmi…-
la terza fece tremare ancora di più la scrivania mentre una pila di documenti cadeva sul pavimento.

-…che..-
la quarta spinta lo costrinse a mordersi le labbra
-Sì, ti amo.
- gli sussurrò ad un orecchio Ray.
-No!- ansimò Justin cercando di riprendere il controllo -DIMMI CHE HAI CHIUSO LA PORTA A CHIAVE!-
-Ho paura di essermene  completamente dimenticato.
-
Ma Justin non pensava più alla porta o se avesse visto veramente un’ombra dietro la porta a vetri.
L’unica cosa importante era che Ray non si fermasse.

 

Di nuovo fuori seduti sulla panca nel corridoio, uno accanto all’altro.
Avevano entrambi ancora  il respiro affannato.
Ray si voltò verso di lui con un sorriso raggiante
-
Com’è stato?-
Justin cercò  riprese fiato. Il cuore gli batteva come impazzito.
Riuscì solo a pronunciare una parola
-WOW-
Non riuscì ad aggiunge altro. 
Dall’angolo in fondo al corridoio comparve suo padre.
Anche a quella distanza poteva vederne l’espressione truce.
L’uomo gli fece cenno di seguirlo dentro l’ufficio e Justin lo segui chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Ray da solo in corridoio ad origliare la conversazione.
Ascoltare non gli era difficile. Il tono del preside avrebbe attraversato un muro di roccia. E la misera porta con il vetro smerigliato non poteva trattenere il suo sdegno.
-Che diavolo ti succede! Sei una vera delusione! Di certo Thomas sarebbe stato il primo della scuola . Quando vai a casa dopo le lezioni sai cosa devi fare.
-
Per un momento si interruppe.
Fuori dalla porta Ray tese le orecchie per capire cosa stava succedendo.
-E SMETTILA DI SORRIDERE!- tuonò il preside.

 

Quando finalmente uscì dall’ufficio trovò Ray ancora allo stesso posto.
-Tocca a te!- gli disse indicandogli la porta. Un leggero sorriso gli aleggiava ancora sulle labbra.
Il ragazzo scosse la testa.
-Spiacente di deluderti. Non ho combinato nulla di male.-
-Allora perché sei venuto qui?-
-Sapevo che eri qui. E che avevi bisogno di me.
-
Camminarono fianco a fianco in silenzio.
Solo quando si lasciarono alle spalle la scuola ed iniziarono a camminare nel parco che Justin riacquistò la voce.
-Ho bisogno di te anche per un'altra cosa.
-
-Cosa?-
-Quello che abbiamo fatto oggi..- le parole gli morivano in gola -
E’ stato come un esorcismo. -
Ray ridacchiò
-Non era un esorcismo. Era una sveltina. Un ottima sveltina devo dire. Se hai bisogno di un esorcismo devi rivolgerti a Damon. E’ il suo campo.
-
Riprese fiato e ripartì alla carica.
-Mio padre parte per tutto il fine settimana. Un convegno fuori città. La casa sarà libera. Ho bisogno di te. A casa mia.
- ***  

Seduti sul davanzale della finestra Sean e Ray guardavano il ragazzo biondo agitarsi nel sonno.
-E tu vorresti che il mio Chris si mettesse con questo qui?-
-Perché no? Non posso lasciare Justin solo. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla. Quando mi sono reso conto che dovevo trovare qualcuno che mi sostituisse accanto a lui, Chris è stato il primo a venirmi in mente. Inoltre sono perfetti insieme, sembrano fatti l’uno per l’altro. -
Sean scosse la testa. Chris con quel biondino.
Non era possibile.
Eppure doveva ammetterlo. Chris lo aveva seguito fin sulla scogliera per parlargli.
Per stagli vicino.
Rimase a guardarlo mentre si rigirava nel letto con la fiaschetta d’argento ancora stretta al petto.
Nel sonno le labbra si erano schiuse.
Prima appena un accenno, poi si erano allargate in un sorriso.
-Cosa ha bevuto? Sta sorridendo. - chiese a Ray
-Non è un amore quando sorride?- rispose con orgoglio Ray in contemplazione del suo ragazzo.
-Ti ho chiesto cosa ha bevuto!-
-Un intruglio di Damon. Serve per ricordare. - gli rispose senza staccare gli occhi da Justin.
-Per ricordare? Un intruglio di Damon?- Sean era stranamente interessato
-Sì, il ragazzo dai capelli rossi. Nell’altra stanza. E’ il mio migliore amico. Sua nonna è una specie di strega. Si interessa di magia e cose simili. Tutti la considerano una signora un po’…- si interruppe per un attimo facendo mulinare l’indice vicino alla tempia -Bhe, diciamo stravagante. Ha insegnato a Damon un sacco di cose. E alcune funzionano sul serio. Quando ero piccolo dicevano a noi bambini di stare lontano da Damon, perché tutti in quella famiglia sono tutti in un po’ strani. C’è chi è finito in prigione, o in manicomio, o peggio. E Damon crescendo sarebbe diventato come loro: un poco di buono, destinato a finire come i suoi parenti.
-Ah, sì: quello che non-riesce-a-vederti-perché-forse-non-eravate-così-amici.- precisò Sean con tono ironico con il solo intento di fargli del male.
Ray non se la prese.
Si limitò a sbatterlo giù dal davanzale con una spinta.
Mentre Sean si rialzava a fatica dalla brutta caduta Damon entrò nella stanza.
Rimase solo pochi secondi.
Il tempo di sfilare dalle braccia di Justin la fiaschetta.
E mentre Ray rimaneva a guardare con adorazione il ragazzo addormentato, Sean fissava il ragazzo che usciva dalla stanza o meglio, la bottiglia che Damon stava portando via.

 

*** -Bella casa..- commentò Ray appena entrato.
Justin si guardò intorno.
Una casa grande, troppo grande.
L’arredamento era robusto, antico e totalmente privo di calore.
Non si vedevano in giro oggetti personali, foto o souvenir di vacanze.
Sembrava una gigantesca stanza d’albergo.
Ogni cosa mostrava che il denaro nella sua famiglia non mancava.
Altre cose scarseggiavano tra quelle mura.
-Già, - gli rispose con lo sguardo perso nel vuoto –Quando ci siamo trasferiti in questa città pensavo che sarebbe cambiato qualcosa. Invece… Mio padre è riuscito a trovare una casa quasi uguale a quella che avevamo. I mobili sono disposti come nella vecchia casa. E’ rimasto tutto com’era. Non  è cambiato nulla.
-
Scosse la testa per liberarsi dai brutti pensieri.
Quando si voltò di nuovo verso il suo ospite sorrideva.
-Non ti ho chiesto di venire qui per parlare dei problemi della mia famiglia. Togliti di vestiti.
-
-Ma come? Non mi dai neanche un bacio prima?- rispose Ray imbarazzato dall’improvvisa  avance.
-Ok, allora me li tolgo io.
-
Senza perdere  tempo si sfilò il maglione sotto lo sguardo  stupito di Ray di  che dopo il primo attimo di smarrimento lo imitò.

 

Ore dopo erano sdraiati fianco a fianco senza fiato sul tappeto del salotto.
-Ok, ricapitoliamo. - disse Ray -Camera tua. Fatto. La camera degli ospiti. Fatto. In cucina. Fatto. -
-Ho ancora tracce di panna montata dovunque. La prossima volta usa meglio la lingua. - commentò Justin
-Sulle scale. Fatto. -  continuava ad elencare Ray -Nello studio di tuo padre. Fatto. -
-Sembrava il remake di quello che abbiamo fatto nel suo ufficio. -
-Zitto che mi fai perdere il filo. In camera da pranzo. Fatto. In salotto. Appena finito. -
Justin ridacchiava
-Ci sono rimasti il vialetto d’ingresso, ma non credo che i tuoi vicini sarebbero d’accordo. E la camera di tuo padre. Ma non credo che lì riuscirei a combinare qualcosa. -
- Neach’io.- rispose Justin ridendo. Non riusciva a fermarsi . Era sull’orlo di un attacco isterico
-Ah, e poi c’è la rimasta la stanza accanto alla tua camera da letto. -
- No.-
Solo una parola.
Justin era tornato improvvisamente serio.
Si era alzato e aveva recuperato i vestiti.
Ray lo guardò rivestirsi. Era tornato il solito Justin. Del ragazzo con cui si era rotolato fino a poco fa sul tappeto non c’era più traccia. Si rivestì anche lui.
-Vieni con me. -
Senza controllare se Ray lo stesse seguendo salì le scale.
Si fermò di fronte alla porta della camera accanto alla sua stanza.
Solo allora si voltò verso Ray.
-Ti presento mio fratello Thomas- e aprì la porta.
Ray guardò all’interno della stanza.
Per i mobili sembrava la copia esatta della stanza di Justin.
A differenza dell’altra camera ogni ripiano era invaso da un esercito di trofei, coppe, targhe, medaglie e riconoscimenti.
E foto. Sempre dello stesso ragazzo sui diciassette anni.
Capelli biondi occhi azzurri.
Tranne che per qualche particolare era la copia esatta di Justin
Justin era entrato nella stanza e faceva scorrere le dita sui trofei con delicatezza come in trance.
-Sai, mio fratello era bravo in tutto. Sport, studio. Tutto. Mi sfidava in ogni cosa. E mi batteva sempre. -
-Dovevi odiarlo a morte. - commentò Ray.
-Odiarlo? Io l’adoravo. - un sorriso gli apparve sulla labbra. -Non puoi capire. In una famiglia come la nostra, in cui nessuno mostra i propri sentimenti, quelle sfide erano l’unico modo per dirci che ci volevamo bene. Anche se vinceva sempre per me erano i momenti più belli della mia vita.  In una sola cosa riuscivo a metterlo in difficoltà. -
Si era fermato di fronte ad una foto incorniciata appesa al muro.
I due fratelli in costume da bagno sul bordo di una piscina. Thomas con al collo una medaglia dorata. Justin accanto a lui, un quattordicenne sottile come un giunco, con al collo una medaglia d’argento.
- Un’estate siamo andati in vacanza sulla costa. Ogni giorno mi allenavo fino allo sfinimento e l’ultimo giorno l’ho sfidato. Una nuotata fino ad una boa. Sapevo che potevo farcela. E avevo ragione. Quando sono arrivato prima di lui mi è sembrato di toccare il cielo con un dito. Mi  ha abbracciato e  ha detto che stavo diventando una campione. Ma non aveva accettato la sconfitta. Mi ha sfidato ad arrivare fino al faro e ha ripreso a nuotare. Era troppo per le mie forze. Sono tornato a riva ad aspettarlo. Invano. Hanno ripescato il suo corpo solo il mattino dopo. - Justin sospirò  poi riprese a parlare -Sai qual è la cosa più triste?. Mio padre lo ha reso l’essere perfetto che io non sarò mai. E ora lo odio con tutte le mie forze. Lo odio perché non sarò mai come lui, lo odio perché mi ha lasciato solo. -Camminava per la stanza sfiorando ogni oggetto.
-Sai cosa mi fa fare mio padre ogni volta che non riesco ad essere perfetto? Mi fa pulire questa stanza. - continuò Justin senza aspettare una risposta -Spolverare ogni trofeo. Lucidare ogni medaglia. -
Ray fece scorrere un dito su un mobile. Non c’era traccia di polvere. Nelle coppe ci si poteva specchiare. Doveva essere un lavoro che Justin faceva spesso.
-Un giorno entrerò in questa stanza e butterò tutto dalla finestra. - concluse con un sorriso un po’ folle. ***

 

Nella stanza accanto, seduto sul pavimento con la testa appoggiata al divano, anche Damon si era lasciato sprofondare nel sonno e nei ricordi.

 

*** Lunedì mattina. Il solito inizio di giornata a scuola. Mentre recuperava i libri per la lezione dal suo armadietto si era ritrovato accanto Ray che cercava di farsi perdonare l’appuntamento mancato.
-Mi spiace. Andremo al cinema insieme un’altra sera.
- Ray era molto mortificato
Damon sospirò. Non era arrabbiato, ormai era abituato alle attese inutili.
-Me ne sono completamente dimenticato- continuò a scusarsi Ray. -
E’ che Justin mi aveva chiesto di andare da lui ed io...-
Si voltò verso di Ray e gli lanciò un sorrisetto ironico.
-Già, adesso hai il tuo principe, del tuo migliore amico non te ne importa più nulla. Non hai più bisogno di me, giusto?-
Non attese la risposta.
Se ne andò lasciandosi dietro alle spalle Ray che lo fissava stupito.

 

-Idiota. Idiota. - si ripeteva.
Avrebbe voluto avere un muro dove sbattere la testa, ma davanti a sé aveva solo la rete che delimitava il campo da football.
Rimase lì in piedi a guardare la squadra della scuola che stava finendo gli allenamenti.
Quando i giocatori lasciarono il campo tornò all’interno della scuola.
Poi giù verso le cantine.
Non ci volle molto.
Ad un tratto sentì qualcuno che lo afferrava dolcemente per la vita.
Sorrise.
Scott non si era tolto neppure la divisa per correre da lui.
-Non così.
- sussurrò
Scott lo spinse con la faccia contro il muro.
-Più forte, se no non mi piace.
- mormorò
Si lasciò spogliare. Le mani del suo amante che gli scorrevano su tutto il corpo.
Quando gli entrò dentro la prima volta gli fece male.
Dovette mordersi l’avambraccio per non urlare.
Ogni volta che entrava ed usciva dal suo corpo, il dolore gli arriva dritto al cervello.
Ma andava bene così.
Il dolore cancellava qualsiasi pensiero dalla mente. E  cancellava anche la rabbia.
Sentiva Scott dietro di lui che ansimava e si muoveva sempre più lento fino a fermarsi del tutto stringendolo contro di sé mentre raggiunge l’orgasmo.
-Peccato- pensò Damon staccandosi da lui. Avrebbe voluto che durasse più a lungo.
-Adesso te puoi anche andare.
-
Scott obbedì in silenzio.
Rimase a guardare il ragazzo grosso come un armadio che percorreva il corridoio.
-Niente di meglio di una scopata senza coinvolgimenti sentimentali per sentirsi meglio.- pensò rimettendosi a posto i vestiti prima di tornare in classe.
Passando vicino al suo armadietto aveva visto un angolo di foglio che sporgeva dallo sportello.
Lo tirò delicatamente fuori.
Poche righe.
La calligrafia spigolosa di Ray.
‘’ Incontriamoci al laghetto dopo le lezioni. Ti prometto che stavolta mi ricordo dell’appuntamento. Ray ’’
Sorrise.
E sorrideva ancora mentre alcune ore dopo usciva nel parco.
Ma quando arrivò al luogo dell’appuntamento il sorriso gli si spense.
Ad aspettarlo c’era Ray.
E Justin.
Anche lui non sembrava felice di essere lì.
-Ciao Ray.- salutò ignorando completamente il ragazzo biondo che gli stava accanto imbronciato.
-Perfetto, adesso ci siamo tutti e tre.
- iniziò Ray -E’ tempo di fare le presentazioni. Justin ti presento Damon, il mio miglior amico. -
I due non sembravano affatto interessati l’uno all’altro e rimasero muti a fissarsi.
-
E’ troppo chiedere che le due persone più importanti della mia vita vadano d’accordo?- cercò di rompere il ghiaccio Ray senza troppo successo –Ok. Che ne dite se vi lascio soli per cinque minuti per fare amicizia? Me ne vado dall’altra parte del laghetto così potete scambiare quattro parole. Non cercherete di ammazzarvi l’un l’altro se rimanete soli per cinque minuti. Giusto?-
E aveva ragione.
Ci volle solo un minuto.
Non appena Ray si era allontanato Justin gli porse la mano.
- Piacere di conoscerti. -
Ma il  tono della voce era falso.
Damon gli strinse la mano. Il sorriso stampato sulla sua faccia era quello di un gatto che aveva appena preso la sua preda.
-Il piacere è tutto mio.- poi gli avvicinò le labbra all’orecchio e gli sussurrò con la voce più malefica -Era comoda la scrivania del preside?-
Con piacere guardò Justin sbiancare. -Allora avevo visto bene. C’era qualcuno dietro la porta.
-
-Sì,- il sorriso gli si allargò sul viso -come mi piacerebbe poter dire tutto tuo padre.
- 
Da quel ragazzo biondo si aspettava una reazione ben diversa. Pensava che si sarebbe spaventato, cominciando a balbettare scuse per quello che era successo.
Invece Justin liberò la mano dalla stretta e fece partire un pugno colpendolo in pieno viso.
Damon si ritrovò a terra con Justin sopra di lui che cercava di colpirlo ancora.
Bloccò  il secondo colpo afferrandolo  per un polso e lo fece cadere accanto a lui.
Nei pochi secondi che occorsero a Ray per tornare su sui passi e fermarli si erano conciati per le feste.

 

-Ma siete impazziti!-
Ray era riuscito a separarli ed ora erano seduti  tutti e tre fianco a fianco cercando di capire quale era il punto che faceva più male.
Ray sollevò il ciuffo che nascondeva metà del viso di Damon constando che l’occhio gli stava diventando nero.
Justin invece aveva un livido  sulla guancia e si teneva la mano dolorante.
Nel tentativo di separarli Ray si era strappato il giubbotto e aveva un graffio sul braccio.
Tutti e tre  avevano i vestiti macchiati d’erba e di fango.
-Accidenti- mormorò Justin controllandosi gli abiti.-Non posso tornare a casa in questo stato.
-
Damon si alzò per primo.
-Casa mia è la più vicina. Lì possiamo risistemarci un po’. Andiamo?-
Ray aiutò Justin ad alzarsi e lo seguirono attraverso il parco.

 

-Non è un gran che. - si scusò Damon quando  li fece entrare
In effetti la casa era piccola ed aveva bisogno di qualche riparazione. O almeno un
a ritinteggiata. Anche i mobili avevano visti tempi migliori.
-Vado a prendere del ghiaccio.
- disse Ray sparendo oltre la porta della cucina.
Conosceva bene quella casa e ci si trovava a proprio agio.
Gli altri due si sedettero sul divano.
Approfittando dell’assenza di Ray, Justin ruppe il silenzio
-Mi odi così tanto?-
-Sì.
-
-Perché?-
-Tu non sei come me. Non dovrai mai combattere per ottenere qualcosa.  Nella tua vita avrai tutto su un piatto d’argento. I soldi non mancano alla tua famiglia. E se quelli non bastassero ci sono le amicizie di tuo padre. Hai la strada tutta in discesa. Studi, carriera. Tutto.  E poi….-
Damon si interruppe, era stato quasi sul punto di dirgli tutto.
Ray rientrò nel soggiorno con il ghiaccio avvolto in due tovaglioli  e un sorriso in faccia.
-Ci vorrà anche del disinfettante.
-
Gettò un fagotto ad ognuno prima di sparire nuovamente.
-Tanto non ha importanza.
- riprese Damon con un sospiro con il ghiaccio premuto contro l’occhio livido -Tra qualche mese non sarai più un problema. Andrai lontano in qualche università prestigiosa grazie ai soldi ed agli agganci di tuo padre e Ray ed io finiremo all’università di stato a qualche miglia da qui. Se sarò abbastanza in gamba da ottenere una borsa di studio. -

-Certo che vincerai una borsa di studio. - Ray era rientrato armato di cotone e bottiglietta di acqua ossigenata -Fai  tanto il modesto, ma hai ottimi voti. Meglio dei tuoi ultimamente. - ironizzò voltandosi verso Justin -Mi dà persino ripetizioni. Una battaglia persa….- concluse sconsolato.
-
E’ che hai sempre la testa fra le nuvole. - lo confortò Damon sorridendogli.
Seduti tutti e tre sul divano intenti a curarsi le ferite e parlare sembravano quasi tre amici. ***

 

-Che cosa stai cercando di fare?-
Ray guardava il ragazzino bruno in ginocchio accanto ad Damon.
Ripeteva sempre lo stesso gesto.
Allungava la mano verso la fiaschetta tenendo chiusi gli occhi. Quando si accorgeva di avere allungato troppo il braccio e di esserle passato attraverso, riapriva gli occhi  e riniziava da capo.
-Zitto. Mi sto concentrando. -
-Che vuoi fare?-
-Sto cercando di prenderla. -
-Puoi farlo?-
-No, se resti qui a rompere!-
Ray lo lasciò solo e tornò in camera da letto a guardare Justin.

 

*** Suo padre aveva capito subito cos’era successo.
L’aveva sorpreso mentre cercava di rientrare di nascosto in casa.
Non l’aveva rimproverato. Gli aveva semplicemente detto che sapeva cosa doveva fare.
E così si ritrovava a passare la serata tra stracci per la polvere e lucido.
La mano gli faceva male da morire.
Non avrebbe mai detto che dare un pugno a qualcuno facesse così male.
Non aveva mai picchiato qualcuno in tutta la sua vita.
Ripensò a loro tre seduti sul divano a casa di Damon.

A come Damon guardasse Ray.
Si era sentito il terzo incomodo.
Possibile che Damon provasse qualcosa di più di semplice amicizia nei confronti di Ray e che quest’ultimo non si accorgesse dei sentimenti del suo migliore amico?
 Seduto sul pavimento intento a strofinare un trofeo era così immerso nei suoi pensieri non si accorse della presenza sulla porta.
-Ciao Cenerentola!-
Alzò lo sguardo.
Ray  era lì.
-Tranquillo. Tuo padre è uscito e noi abbiamo approfittato della porta aperta sul retro per entrare. Spero che non ti dispiaccia. Siamo venuti a darti una mano.
Noi?
Plurale?
Per un attimo sperò in un attacco di schizofrenia.
Uno sguardo dietro le spalle di Ray infranse ogni sua speranza.
Era venuto anche Damon.
Ray raccolse uno straccio dal pavimento.
-Ne serviranno altri. -
-Nel ripostiglio in fondo al corridoio. -
Ray lanciò lo straccio a Damon e sparì verso il ripostiglio lasciandoli soli.
Damon gli sedette accanto. Prese in mano una coppa e iniziò a lucidarla.
Justin lo fissò. Gli sembrava così strano vedere  qualcun altro toccare quegli oggetti.
-Non fare quella faccia. Sono bravo nelle pulizie. -
-Ti ha raccontato tutto?-
-Raccontato tutto? No, ha solo detto che avevi bisogno d’aiuto. Tu non mi piaci. Ma per Ray sei importante. Tregua?-
- Tregua. - ripeté Justin senza convinzione.
- Tregua. - confermò Damon.
- Tregua. - stavolta lo disse con convinzione.
-Però sia chiara una cosa: tu non mi piaci. - 
-Neanche tu mi piaci. - concluse Justin.
Quando Ray tornò li trovò seduti fianco a fianco a lucidare le coppe.
-Bene. Almeno questa volta non state tentando di uccidervi a vicenda. Avete trovato qualche punto in comune?-
-Sì,- risposero i due in coro - l’antipatia reciproca. -
- E’ un inizio. - commentò Ray alzando le spalle -Un pessimo inizio. Ma è un inizio. - ***

 

Tic.
Il rumore si ripeté.
Tic.
Justin aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu il sassolino che rotolava sul pavimento.
Tic.
Un altro sassolino passò attraverso la finestra aperta e rotolò sul pavimento vicino agli altri.
Ce n’erano almeno una decina.
Si alzò controvoglia avvolgendosi nel lenzuolo prima di accorgersi che era andato a letto vestito.
Lo lasciò cadere sul pavimento mentre andava verso la finestra.
Un sassolino gli sfrecciò vicino all’orecchio mentre si affacciava.
Chris era sulla spiaggia ed interruppe i lanci per salutarlo.
-Perché no?- pensò Justin scavalcando il davanzale per raggiungerlo.

 

Intanto nella stanza accanto Damon si era svegliato indolenzito per la posizione in cui aveva dormito.
Era entrato nella camera da letto appena in tempo per vedere Justin saltare fuori dalla finestra.
Guardò la figura che si allontanava sulla spiaggia e sorrise a denti stretti.
-Funziona. Deve funzionare. -

 

 
Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions