Le parti in corsivo sono flashback

Per ricordare, per dimenticare

di Lidia


Capitolo 2

 

Damon si tolse il ciuffo dagli occhi contemplando il suo compagno di viaggio che era nuovamente sull’orlo delle lacrime.
-Oddio, speriamo che non si rimetta a piangere. Sono giorni che non fa altro. L’unico momento in cui smette è quando dorme. - pensò mentre posava a terra i bagagli.
Gli si avvicinò e egli mise un braccio sulle spalle
- E’ tardi ed io sono molto stanco. Andiamo a dormire?-
Senza attendere la risposta iniziò a togliersi gli abiti gettandoli su una poltroncina accanto al letto e rimanendo solo con gli slip e si infilò sotto le lenzuola.
Sentì Justin spogliarsi e infilarsi dall’altra parte del letto voltandogli le spalle.
Rimase con gli occhi chiusi in attesa del sonno.
Niente.
Forse era la presenza di Justin accanto a lui, forse gli avvenimenti degli ultimi giorni che non gli permettevano di chiudere occhio. Si rigirò e guardò il compagno di letto rannicchiato dall’altra parte.
Nella penombra della stanza vedeva la forma del suo corpo disegnata dalle lenzuola e i capelli biondi illuminati dalla luce argentea della luna. Anche lui si era spogliato quasi completamente rimanendo solo con gli slip e dalle coperte spuntavano le sue spalle dalla pelle candida.
-Ray aveva ragione. E’ proprio carino quando dorme. -  pensò - Oh , mio dio no!–
Sentì il membro indurirsi e premere contro la stoffa degli slip. Si rigirò in fretta dall’altra parte.
Fece scivolare una mano sotto l’elastico degli slip fino ad arrivare al sesso e lo strinse tra le dita facendo scivolare la mano avanti e indietro.
Mordendosi le labbra mentre sentiva il proprio seme scivolargli tra le dita sperò che Justin non si fosse accorto di nulla.

Malgrado lo sfogo si sentiva più nervoso di prima.
Non c’era modo di addormentarsi.
Ripescò dal giubbotto la fiaschetta d’argento e ne bevve una lunga sorsata.

*** -E’ quello giusto. Lo sento. Aiutami, ti prego. -.
-Lo vuoi sul serio?-
Aprì l’anta dell’armadietto, prese una bustina piena di polvere bianca e gliela mise in mano.
-Usa questo. Basta che lo versi in qualcosa che sta bevendo. Poi bacialo. E lui si legherà di te. Se poi ti stanchi di lui l’antidoto è semplice..-
-Non mi servirà l’antidoto. - lo interruppe Ray stringendo la bustina
Damon richiuse l’armadietto facendone sbattere l’anta e si allontanò con passo deciso.

-Idiota. Idiota. Idiota. - si ripeteva mentre camminava lungo il corridoio.
Ad ogni passo era sempre più arrabbiato.
Era il suo migliore amico eppure quando si parlava d’amore erano su due piani completamente diversi. L’amore per lui era solamente un intralcio al sesso.
Corridoio dopo corridoio, rampa di scale dopo rampa di scale.
Non sapeva bene dove stava andando. L’importante era muoversi.
Scese le scale che portavano allo scantinato quasi di corsa ritrovandosi nel corridoio buio che portava al locale delle caldaie.
Avvertì un movimento al suo fianco.
Qualcosa lo urtò facendolo finire con la faccia contro il muro.
Poi l’ombra gli fu addosso bloccandogli i polsi sulla parete di cemento con una mano mentre con l’altra gli tappava la bocca.
-Non gridare- gli intimò.
Gli lasciò libera la bocca facendo scorrere la mano sul petto fino a raggiungere la cintura slacciandogliela.
Gli sbottonò i calzoni, poi con uno strattone gli abbassò i pantaloni fino alle ginocchia.
Damon rimase contro con la fronte contro il muro sentendo l’aria fredda che gli accarezzava le natiche.
Sentì il sibilo della lampo poi qualcosa che gli premeva contro le natiche fino a raggiungere la sua apertura forzandola.
Damon si morse le labbra per non urlare. L’ombra dietro di lui aumentava la profondità delle spinte, tirandosi quasi del tutto fuori dal corpo di Damon prima di riaffondargli dentro con violenza.
Ogni volta che entrava dentro di lui gli strappava un gemito misto di dolore e di piacere.
L’ultima penetrazione fu più profonda facendolo gridare. Lo sconosciuto rimase dentro di lui cingendogli  la vita con un braccio tendendolo stretto contro di se mentre gli riversava tutto il suo seme dentro il corpo.
Solo allora lasciò la presa ai polsi lasciando Damon scivolare in ginocchio sul pavimento.
Damon si rigirò mettendosi seduto.
Guardò il ragazzo dai cortissimi capelli bruni e dal fisico atletico davanti a lui che si stava riallacciando i jeans, e gli rivolse un sorriso gelido.
-Adesso te ne puoi andare Scott- gli disse Damon rialzandosi e risistemarsi i vestiti.
Il ragazzo bruno rimase in piedi di fronte a lui sovrastandolo, i capelli rossi di Damon gli arrivavano appena alla spalla, poi gli passò una mano dietro la nuca e tentò di baciarlo.
Damon lo bloccò mettendogli una mano sul viso spingendolo via.
-Non provarci mai più!- lo ammonì guardandolo dritto negli occhi azzurro pallido.
- Damon, non possiamo continuare così, io….- balbettò Scott.
Damon fece scorrere una  mano tra la stoffa dei jeans e la pelle, lungo il plesso solare, fino a raggiungergli il pene e glielo strinse.
-Questo è tutto quello che mi serve di te, del resto non so cosa farmene. Adesso vattene, per oggi non mi servi più- ***

 

Lo svegliò la luce soffusa che entrava dalla finestra. Guardò l’orologio.
Era presto. Era ancora l’alba.
Si girò verso l’altro lato del letto.
Vuoto.
Si alzò dal letto e si diresse verso la finestra che dava sul mare.
Justin era seduto su sulla spiaggia con lo sguardo perso verso l’orizzonte.

Anche se a prima vista sembrava che Justin fosse solo, non era così. Cercando di muovere il meno possibile le labbra per non sembrare che parlasse da solo stava discutendo con il fantasma del suo ragazzo seduto accanto a lui.
-Dove ti eri cacciato. E da quando siamo partiti che sei sparito. Mi hai mollato solo con Damon.  E tu sai quanto gli sono antipatico. -
-Non gli sei antipatico. E’ solo il suo carattere. -
-Il suo carattere? Posso ricordarti cos’è successo quando ci hai presentato?-
-Non prenderlo come un fatto personale. E’ così con tutti. E’ solo un po’ timido. Per questo è sempre solo. -
-Mi odia. Eppure non gli ho fatto niente. -
-Lasciamo perdere Damon. Non siamo qui per lui. -
-Oddio, non vorrai ricominciare con questa storia pazzesca di trovarmi un altro ragazzo per sostituirti?-
-Certo! E l’ho già trovato. -
Justin nascose il viso tra le mani trattenendo imprecazione.
-Smettila, ti prego! Non ne posso più di questa tua ossessione di trovarmi un altro!-
- Ok ,- accondiscese Ray -cambiamo discorso. Come sono morto?-
Justin si girò verso di lui con un espressione sbigottita sul volto.
-Vorresti dire che non ti ricordi come sei morto?-
-Io mi ricordo solo che era sera e stavo camminando verso il dormitorio. Poi BANG. Vuoto assoluto .-
-Quel BANG era un auto che ti investiva. Il guidatore non si è neanche fermato. -
Ray rimase a fissare il mare di fronte a lui con aria vacua cercando di ricordare i suoi ultimi momenti, poi  si tirò su la felpa e si esaminò il petto alla ricerca dei segni di pneumatici.
Justin guardò quel corpo sottile e desiderò con tutta l’anima di poterne accarezzare la pelle ancora una volta.
Si rammaricò di averlo insultato quando era tornato da lui la prima volta,
Non era vero che non era un gran che, anzi, trovava molto bello il suo corpo magro e sottile, la vita stretta e, soprattutto, gli occhi dolci dietro le lenti.
Era il corpo contro cui gli piaceva stringersi.
I capelli che adorava accarezzare.
La pelle che amava sfiorare….
-Sei sicuro?- riprese Ray interrompendo i suoi pensieri -Se mi fosse passata sopra una macchina avrei qualche segno o almeno  me ne ricorderei. -
-Ricordarti? Ma se ti sei dimenticato di andare al tuo funerale! Per favore smettiamo di parlare della tua morte. Mi fa star male. -
-Accidenti a questa storia del funerale. Me lo ricorderai per il resto della mia vita?-
Justin dovette ricorrere a tutta la sua buona volontà per non fargli notare che non c’era più “un resto della sua vita”.
-Ok. Ti va una nuotata?- continuò Ray -L’acqua deve essere fantastica! Prima o poi dovrai fare pace con ……..-
Gemendo Justin si lasciò cadere all’indietro sulla sabbia e si coprì il viso con il braccio.
-Accidenti a te!- lo interruppe -Ci sono tre argomenti di cui non voglio sentire parlare e tu li hai toccati tutti e tre in pochi minuti. La tua morte, il fatto che mi vuoi trovare un sostituto e mio fratello. Vattene! Lasciami in pace!-
Non ricevendo risposta Justin si tolse il braccio dagli occhi e si guardò intorno.
Ray non c’era più.
Quando l’aveva accanto stava male ma il dolore di quella presenza era niente a quello che sentiva quando non c’era.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dai rumori della spiaggia.
Le onde che infrangevano sul bagnasciuga.
I gabbiani che stridevano.
Il sole sulla pelle.
Qualcuno che correva sulla sabbia.
Qualcuno che gli inciampava addosso e lanciava un imprecazione.

 

Justin si mise seduto e guardò il ragazzo davanti a sé che stava cercando di rialzarsi.
-Mi spiace- mormorò.
-Colpa mia. Stavo guardando il mare e non mi sono accorto che eri steso qui.- rispose il ragazzo togliendosi la sabbia dalla tuta.
-Ehi, ma cosa ci fai qui!- esclamò dimenticandosi completamente della sabbia sui vestiti.
Justin guardò sbalordito il ragazzo dai capelli biondi che gli arrivavano quasi alle spalle.

Da lontano Ray guardò i due ragazzi che si parlavano.
Conosceva Chris di fama. Era il capitano della squadra di baseball dell’università. Fisico atletico e penetranti occhi scuri.
-  Perfetto. - disse tra se e se sorridendo.
Come inizio forse non era un gran che. Ma era pur sempre un inizio.
Rimase a guardare i due pensando alla prossima mossa.
-Dì al tuo amico di stare lontano dal mio ragazzo. -
La voce dura dietro di lui lo scosse dai suoi pensieri.
Ray si voltò e si trovò di fronte ad un ragazzino esile dai capelli scuri che lo fissava con odio.
-Dì al tuo amico di stare lontano dal mio ragazzo. - ripeté prima di voltarsi ed allontanarsi,
Ray rimase un attimo impietrito. Quel ragazzo parlava con lui? Lo vedeva?
-Aspetta!- gridò inseguendolo ma il ragazzino sembrava non sentirlo.
-Gli passerò attraverso. - pensò mentre d’istinto allungava la mano per afferrargli il braccio.
Con sua grande sorpresa la mano gli si chiuse sul polso trattenendolo.
-Lasciami andare!- gridò il ragazzino divincolandosi per liberarsi.
-Chi sei? Anzi cosa sei?- chiese Ray cercando di non lasciare trapelare il sbigottimento.
-Sono il ragazzo di Chris. Quindi dì al tuo amico di stargli lontano. Lui è mio!-
Ray lo squadrò da capo a piedi. Gli arrivava appena al petto. Non doveva avere più di quattordici anni.
-Non credevo che a Chris piacessero così giovani. -
Gli occhi scuri del ragazzino si riempirono d’odio mentre la rabbia gli coloriva il viso mettendo in risalto le lentiggini.
-Idiota!- gli gridò liberandosi finalmente dalla presa di Ray -Io sono morto da sei anni!-

 

Justin rimase a guardare il ragazzo che si allontanava correndo sulla spiaggia. Ormai era lontano. Riusciva a malapena a distinguere il colore della maglietta.
Trasalì sentendo la voce di Ray di nuovo al suo fianco.
-Insieme sarete perfetti. -
-Abbiamo scambiato solo due parole. Questo non vuol dire niente. L’amore non funziona così. -
-Ti sbagli! E’ il tipo perfetto per te. E anche il suo ex ragazzo è d’accordo. - concluse Ray voltandosi verso Justin con un sorriso innocente per nascondere l’ultima menzogna.
Il ragazzo non lo stava ascoltando. Si era alzato e si era diretto verso il cottage.
Ray si alzò a sua volta spolverandosi i pantaloni con le mani per togliere la sabbia. Si blocco di colpo rendendosi conto  dell’inutilità del gesto e gli corse dietro.
Lo raggiunse mentre stava entrando.
Justin aveva attraversato il soggiorno e stava sbirciando dentro la camera da letto.
Damon stava dormendo. Ma il suo sonno era agitato. Stringeva le lenzuola fino ad avere le nocche bianche.
Si mosse verso di lui per svegliarlo ma la voce di Ray lo fermò
- Incubi.- mormorò -Non lo svegliare. Peggioreresti la situazione. -
Il volto di Ray si era fatto improvvisamente triste. Si sedette sul letto vicino al suo amico.
-Justin, promettimi che gli starai vicino. Non lo dimostra, ma soffre molto. Ed è solo anche lui.-
Appoggiato allo stipite della porta Justin non disse nulla, ma accennò appena un assenso con il capo prima di uscire dalla stanza socchiudendo la porta.
Rimasto solo con Damon lo guardò dormire. Sapeva di non poterlo toccare, ma passò la mano sulla guancia fino al collo.
Sulla gola c’erano dei segni scuri.
Lividi che si stavano riassorbendo.

 

*** Stava guardando l’orologio appeso alla parete.
Era ancora troppo piccolo per leggere l’ora, ma la mamma aveva tracciato due linee sul vetro. Quando le lancette erano proprio sotto quei segni la mamma sarebbe tornata a casa.
E come ogni sera lui le sarebbe corso incontro abbracciandole le gambe e dicendole che le voleva bene.
E lei lo avrebbe preso in braccio dicendogli che lei gliene voleva di più.
Ma negli ultimi giorni non era stato così
La mamma era uscita e non era più tornata.
E suo padre si era fatto sempre più freddo. Si arrabbiava quando lui gli girava intorno o se faceva troppo chiasso quando giocava.
Rimase a guardare la lancetta che si spostava con uno scatto. Ora i segni erano coperti.
Ma anche questa sera sua madre non era tornata.
Rimase seduto sul pavimento abbracciato al suo drago di peluche e attese.
Aveva preso una decisione come solo un bambino di quattro anni poteva prenderla.
Suo padre sarebbe rincasato presto.
Gli sarebbe corso incontro come faceva con la mamma e gli avrebbe detto che gli voleva bene.
Allora lui lo avrebbe preso in braccio e gli avrebbe detto che lui gliene voleva di più.
E la mamma sarebbe tornata a casa.
Attese pazientemente fino a quando non sentì la porta aprirsi.
Solo allora si alzò e corse incontro a suo padre abbracciandogli le gambe
-Ti voglio bene!- gridò
L’uomo lo spinse via facendolo finire contro la parete.
Damon rimase senza fiato. Tra le lacrime che gli riempivano gli occhi vide suo padre entrare nella sua stanza e raccogliere tutti i suoi giocattoli e infilandoli in un sacco di plastica. Poi fece lo stesso con i vestiti.
Trascinò il sacco attraverso l’ingresso fermandosi solo per afferrare il bambino per un braccio trascinando anche lui fuori dall’appartamento fino all’auto sistemando entrambi sul sedile posteriore prima di partire sgommando.
Damon restò accucciato sul sedile troppo terrorizzato per aprire bocca chiedendosi dove aveva sbagliato. Era sicuro solo di una cosa: non avrebbe mai più detto “ti voglio bene” a qualcuno.
Era tarda notte quando la macchina si fermò.
L’uomo lo fece scendere e lo trascinò insieme al sacco fino alla porta della casetta. Suonò il campanello e senza aspettare tornò alla macchina e ripartì.
Sarebbe stata l’ultima volta che Damon vedeva suo padre.
Una donna dai capelli rossi avvolta in una vestaglia aprì la porta e guardò prima la macchina che si allontanava poi il bambino sulla porta.
-Almeno dall’aspetto hai preso tutto da mia figlia. - sentenziò facendolo entrare.
Lo portò in cucina e lo fece sedere sul tavolo mentre gli versava un bicchiere di latte.
-Adesso vediamo di conoscerci meglio. -
Da una tasca della vestaglia tirò fuori un mazzo di carte disponendone alcune sul tavolo a faccia in giù.
Lentamente cominciò a voltarle una dopo l’altra.
Damon rimase incantato: non aveva mai visto carte del genere.
La vide girare una carta dove un giovanotto era in piedi tra due fanciulle, mentre dall’alto un angelo armato di arco lo teneva sotto tiro.
-Ecco qualcosa del tuo futuro. - disse la donna -L’innamorato: il tuo primo bacio. -
La guardò girare la carta seguente.
Questa non gli piacque affatto.
La tredicesima carta.
Uno scheletro armato di falce.  ***



 
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