Le parti in corsivo sono flashback
Per
ricordare, per dimenticare
di Lidia
Prologo
-Bastardo!
Avevi detto che non mi avresti MAI lasciato solo!-
Le lacrime scivolavano lungo le guance del ragazzo, il viso arrossato dalla
rabbia ed i capelli biondi scarmigliati.
Se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto, stringendosi al cuscino
guardando con odio l’altro ragazzo che se ne stava in piedi davanti a lui.
-Ti prego Justin ….-
-Lo sai cos’ho passato per stare con te!- continuò Justin alzando la
voce.
-Justin, per favore…… -
-Avevo voti migliori dei tuoi, Ray. Potevo andare in qualsiasi università.
E invece ho preferito questa, pur di starti vicino. - le parole gli uscivano
dalla bocca come insulti.
- Justin, calmati …..-
-E poi guardati,- gli occhi azzurri gli brillavano di rabbia –non sei un
gran che. Hai i denti storti, degli occhiali che sembrano fondi di bottiglia
e sei talmente magro che senza maglietta ti si contano le costole. Potevo
trovarmi un ragazzo migliore, e invece ho scelto te. E tu come mi ricambi?
Mi molli così, su due piedi. -
Il ragazzo in piedi si voltò verso lo specchio e guardando la propria
immagine pensò che non aveva tutti i torti. Non aveva un fisico atletico. I
capelli castani sembravano un cespuglio e quando sorrideva si vedeva quel
canino leggermente sporgente di cui vergognava. Gli occhi verdi erano
piuttosto belli, ma dovevano
stare nascosti dietro gli occhiali.
Guardò il ragazzo sul letto. Anche così conciato era veramente bello.
Alto, slanciato, e un viso dai lineamenti delicati, perfetto anche in quel
momento. La sua caratteristica più bella era il sorriso. Anche se era un
espressione che non si vedeva spesso su quel viso generalmente serio e
imperturbabile.
-Lasciami spiegare….-
-Non mi interessano le tue scuse!- Justin stava gridando.
In uno scatto d’ira gli lanciò il cuscino contro.
Il cuscino volo in aria, centrò Ray in pieno petto, gli passò attraverso e
cadde sul pavimento.
Ray guardò tristemente il cuscino, poi si girò nuovamente verso Justin.
- Non è colpa mia se sono morto. -
Capitolo
1
Justin
fissava il ragazzo che gli stava davanti. Si sentiva uno stupido per il suo
precedente scatto d’ira. In genere era sempre molto controllato, ma gli
eventi degli ultimi giorni avevano fatto crollare tutte le sue sicurezze e
cambiato per sempre il modo di vedere il mondo.
Non aveva mai creduto ai fantasmi o altre cose del genere, erano tutte
assurdità, ma ora se ne trovava uno accanto. Negli ultimi giorni non aveva
dormito né toccato cibo. Era rimasto chiuso nella sua stanza a guardare il
soffitto mentre il dolore gli lacerava il cuore. L’ultimo momento normale
della sua vita era stato tre giorni prima quando aveva ricevuto la notizia
dell’incidente.
All’inizio si era rifiutato di accettare la realtà: sperava che da un
momento all’altro Ray si ripresentasse davanti a lui per dirgli che era
uno dei suoi soliti scherzi.
Poi aveva dovuto arrendersi all’evidenza: Ray era morto.
E quando stava iniziando ad accettare la realtà Ray gli si era ripresentato
davanti. E non era un immagine sbiadita o trasparente.
Era di fronte a lui.
Allungò una mano per sfiorarlo, ma incontrò solo il vuoto.
Ray gli sorrise -Non puoi toccarmi, sono solo uno spirito. -
Justin scosse la testa e sussurrò - E’ impossibile. Devo essere impazzito
dal dolore. -
Ray si sedette sul letto accanto a lui – Non sei impazzito. Sono solo
tornato. –
-Ma come…perché….- balbettò Justin
-Non ne ho la più pallida idea di come sono tornato. Perché lo sai
benissimo. Ti ho promesso che non ti avrei mai lasciato solo. Ed ora eccomi
qua!-
-Vuoi dire che mi rimarrai accanto come fantasma?-
-No, non funzionerebbe. Non ho più un corpo. Sono tornato per trovarti un
altro ragazzo.-
-Ma sei impazzito! Non sei ancora sottoterra e vuoi già che mi consoli con
qualcun altro?-
-Non sono impazzito, Justin. Sono morto! Però hai ragione: tre giorni sono
pochi – approvò Ray – Ma non credo di avere molto tempo a disposizione
per sistemare le cose prima di andarmene completamente quindi ascoltami.
Dopo l’uscita degli esiti degli esami, dovevamo partire per una vacanza
sulla costa solo tu ed io, ricordi?-
Justin fece un cenno con la testa.
-Bene- continuò Ray - Voglio che tu parta.-
-Mi dispiace. Non me la sento di partire da solo. - gemette Justin
-No, non sarai solo. Ho già in mente qualcuno che ti accompagnerà.-
La discussione fu interrotta dal bussare alla porta.
- Justin?- chiamò una voce dal corridoio –Posso entrare?-
Justin si alzò dal letto e andò ad aprire la porta.
Sulla soglia si trovò davanti un ragazzo di vent’anni come lui, capelli
rosso scuro tirati indietro e profondi occhi verde smeraldo.
-Tutto bene?- chiese il nuovo arrivato entrando nella stanza e guardandosi
intorno senza dar segno di vedere il fantasma a pochi passi da lui. –Mi
era sembrato che parlassi con qualcuno. -
-No, Damon. Sono solo.- rispose scrutando l’abbigliamento del ragazzo.
Abituato com’era a vedere il miglior amico di Ray in jeans e maglietta,
trovava stonato vedere il suo viso da elfo spuntare da un completo scuro.
Accarezzò distrattamente la manica della giacca, come per controllare che
fosse reale.
-Per il funerale. - rispose Damon a quella domanda silenziosa.-Era questa
mattina. -
-Non sarei riuscito a reggerlo. Io…- si interruppe bloccato dal grido che
solo lui poteva sentire.
-MI SONO DIMENTICATO D’ANDARE AL MIO FUNERALE!!!-
Justin nascose il viso tra le mani soffocando una risata. -Tipico di Ray.-
pensò.
Scambiando il riso soffocato per un gemito, Damon lo abbracciò per
consolarlo.
-Non piangere. -
Damon si sedette sul letto e attirò il biondino verso di sé,
costringendolo a sedersi a sua volta. Poi lo abbracciò dolcemente
spingendolo sulle lenzuola stropicciate– Sei ridotto ad uno straccio. Ma
ho qualcosa che ti può aiutare. - gli bisbigliò ad un orecchio mentre
armeggiava con la propria giacca.
Justin lo spinse via facendolo cadere dal letto.
Da terra Damon guardò il ragazzo con il viso in fiamme che lo aveva appena
gettato sul pavimento -Ma cosa???- poi scoppiò a ridere -Non è quello che
pensi!-
Mentre si rialzava dalla tasca interna della giacca tirò fuori una
fiaschetta d’argento.
-Ricetta segreta della nonna irlandese. Ti farà dormire un po’.- disse
stappando la bottiglietta e avvicinandola alle labbra del ragazzo sul letto.
Justin inghiottì un sorso del liquido dolce e subito sentì il corpo farsi
più pesante e il cuore più leggero. Mentre i sensi si intorpidivano sentì
Damon uscire dalla stanza.
- Ray … - mormorò mentre si arrendeva al sonno.
*** -Scuola nuova, armadietto nuovo. - Pensò Justin
mentre cercava di aprire inutilmente quel dannato lucchetto che non voleva
saperne di ubbidire. Dopo l’ennesimo tentativo si dichiarò vinto, e si
allontanò dall’armadietto dopo aver raccolto tutti i libri che intendeva
riporvi dentro precariamente in braccio.
Non riuscì neanche a girare l’angolo.
Finì in terra in una pioggia di libri e quaderni per appunti ritrovandosi a
guardare dal basso in alto il ragazzo che lo aveva urtato. Guardò i capelli
castani arruffati e la felpa sformata troppo grande per lui sopra un paio di
jeans sbiaditi.
-Mi dispiace. - disse lo sconosciuto porgendogli una mano per aiutarlo a
rialzarsi.
-Non è niente. – rispose a denti stretti Justin ignorando la mano tesa ed
iniziando a raccogliere i libri.
Noncurante della freddezza dell’atteggiamento il ragazzo sconosciuto iniziò
ad aiutarlo, tentando di avviare una conversazione.
-Nuovo arrivato?-
- Sì.- taglio corto Justin cercando di recuperare le sue cose il più in
fretta possibile.
-Deve essere duro cambiare scuola all’ultimo anno. Io sono Ray. Piacere di
conoscerti. -
Justin lo ignorò nuovamente e dopo aver raccolto i libri si avviò verso
una delle classi.
Ray lo segui dentro l’aula sedendosi nel banco dietro di lui. Si sporse in
avanti per parlargli, ma il tentativo fu bloccato dall’entrata in classe
dell’insegnante. Rimase a fissare il ragazzo seduto davanti a lui con un
sorriso sulle labbra senza sentire nulla di quello che il professore stava
dicendo.
- Hey tu con gli occhiali, in terza fila. - chiamò l’insegnante
-Io?- chiese Ray alzandosi in piedi mentre tutta la classe si voltava verso
di lui
-Sì proprio tu. Mi sapresti dire dove eravamo arrivati la scorsa lezione-
-Non ne ho la più pallida idea, professore. Vede, io non seguo questo
corso. -
-Allora cosa ci fai qui!-
-Ho seguito un sogno. - rispose Ray sorridendo.
Sorrideva ancora quando il professore lo sbatté fuori dall’aula...
Justin camminava lungo il corridoio deserto.
Accanto alla porta dell’ufficio del preside vide Ray seduto sulla panca,
in attesa. Sembrava più turbato dalla presenza del ragazzo biondo che per
la punizione incombente.
Justin si sedette accanto a lui.
Ray tentò nuovamente di fare amicizia. –Anche tu nell’ufficio del
preside? Cosa hai combinato?-
Justin rimase in silenzio.
- Il preside che era qui fino all’anno scorso era simpatico. Finivo spesso
nel suo ufficio. Talvolta invece di mandarmi nell’aula di punizione
giocavamo a scacchi. - continuò Ray noncurante dell’atteggiamento
impassibile del suo interlocutore -Peccato sia andato in pensione. Speriamo
che il nuovo preside non sia uno stronzo. -
- E’ mio padre. - rispose gelidamente Justin.
-Ops! Che figura da idiota. - riprese Ray ridacchiando -Non uscirò
dall’aula di punizione fino alla fine dell’anno!-
Justin guardò il ragazzo accanto a lui con gli occhi che gli brillavano
dietro gli occhiali e il sorriso accattivante e gli sorrise a sua volta.
Stava per rispondere ma la segretaria spuntò dalla porta e fece accomodare
Ray nell’ufficio.
Prima di entrare nella stanza Ray si girò e gli regalò un ultimo sorriso.
Non rivide il ragazzo castano fino alla pausa
pranzo. La giornata di fine settembre era calda e il cielo era limpido. Una
giornata troppo bella per essere sprecata tra quattro mura.
Justin passeggiava nel parco esplorando la nuova scuola. Ad un tratto sentì
la voce inconfondibile di Ray venire da dietro una siepe.
-Hai visto il nuovo arrivato?- stava chiedendo ad una ragazzo dai capelli
rosso scuro sdraiato sull’erba accanto a lui - E’ un angelo!-
-Sono nella sua classe d’inglese. Non è un angelo. E’ un pezzo di
ghiaccio. - ribatté il ragazzo dai capelli rossi. -Lascialo perdere. -
continuò sistemandosi il ciuffo che gli ricadeva sul viso nascondendolo per
metà e lasciando libero solo un occhio verde, dallo sguardo freddo.
Ray sospirò -Non puoi capire. Dal primo momento che l’ho visto ha capito
che era speciale. Mi sento come se avessi le farfalle nello stomaco. Credo
di essere innamorato. E non so neanche come si chiama. -
- Non è amore. - Lo contraddisse l’altro –Ti sei solo lasciato ingannare
dal suo aspetto. Ti spezzerà il cuore e poi non venire da me per qualche
filtro per dimenticarlo. Adesso è meglio che vada o farò tardi a lezione.
-
“Innamorato” la parola era rimasta impressa nella mente di Justin e del
resto della conversazione non aveva sentito quasi niente. ”Innamorato”.
Di lui? Un ragazzo?
Un ragazzo innamorato di lui.
Si sentì pervadere dal panico.
Non riusciva più a muoversi.
Più del fatto che era un ragazzo e che era innamorato lo stupiva che fosse
interessato a lui
Rimase nascosto dietro la siepe mentre il ragazzo dai capelli rossi si
allontanava. Ray era rimasto seduto sull’erba e non sembrava intenzionato
ad andarsene.
-Allora, cosa mi rispondi?- chiese Ray: Parlava a voce alta, ma non c’era
più nessuno ad ascoltarlo. Poi si alzo di scatto e girò velocemente
intorno alla siepe fino a trovarsi di fronte ad
lui.
-Cosa mi rispondi?- ripeté Ray -Ho detto che sono innamorato di te. Cosa mi
rispondi?-
Justin lo fissò terrorizzato e fuggì via.
-Almeno dimmi come ti chiami!- gli gridò dietro Ray.
Il ragazzo biondo si bloccò al
centro del prato, si girò indietro e gridò -Justin. Mi chiamo Justin.- e
corse via con il cuore in gola e il viso in fiamme. ***
Justin
si svegliò. La luce del sole filtrava attraverso le tende della finestra.
Si mise a sedere e scosse la testa per snebbiarsi la mente.
-Mi sento confuso. - mormorò a se stesso
-Tu ti senti confuso? Io questa mattina mi sono svegliato e stavo andato in
bagno a lavarmi i denti. Solo a metà strada mi sono reso conto che ero
morto e che la carie era l’ultimo dei miei problemi. -
Ray gli stava davanti seduto al contrario su una sedia ai piedi del letto
con le braccia incrociate sulla spalliera.
-Oh mio Dio. - gemette Justin.
-Dobbiamo parlare. - iniziò Ray ma si bloccò sentendo aprire la porta.
Il viso di Damon apparve nello spiraglio aperto.
-Ti senti meglio?- chiese inutilmente. Tutta l’attenzione di Justin era
puntata sulla sedia davanti a lui.
-La vacanza di fine anno…. – gli stava dicendo Ray
-Cosa?-
-Ho chiesto se ti senti meglio?- ripeté Damon
-La vacanza di fine anno. - insistette Ray -Quella che abbiamo progettato da
tanto tempo. Io e te, insieme. Sulla costa. Ricordi? -
-Sì. -
-Bene. - risposero all’unisono Ray e Damon.
- E’ già tutto prenotato. Voglio che tu parta. - continuò Ray.
-Partire?-
-Partire?? Dove vorresti andare. - chiese Damon confuso.
Justin nascose il visto tra le mani: quella conversazione a tre gli stava
facendo venire il mal di testa.
-Chiedigli di venire con te.- Ray si stava facendo sempre più insistente.
*** - Mi stai deludendo. -
- Mi dispiace. Io….- cercò di discolparsi Justin ma suo padre lo bloccò
immediatamente.
- Le tue scuse non mi interessano. Ho appena visto la classifica dei
migliori studenti della scuola. Non sei neppure tra i primi dieci. La verità
è che non ti impegni abbastanza. Tuo fratello Thomas sarebbe sicuramente
tra i primi cinque. -
Justin se ne stava di fronte a suo padre incapace di reagire.
Suo fratello.
Sempre suo fratello.
Non riusciva a sentire nient’altro della ramanzina di suo padre tranne
quella parola. Fratello.
- Hai sentito quello che ho detto?-
- Sì,- mentì -mi impegnerò
di più. Ora posso andare?- malgrado avesse un tono di voce controllato
dentro era furente.
-Vai pure, quando torni a casa sai cosa devi fare. - lo congedò suo padre
senza guardarlo lasciare l’ufficio.
-Bella strapazzata!- lo apostrofò qualcuno dietro
di lui.
Justin riconobbe subito la voce.
Ray era seduto sulla panca del corridoio
sorridente come suo solito.
-Cosa ci fai qui?- gli chiese
-Il solito! Sono nei guai. Qualcuno ha rubato tutte le rane del laboratorio
e le ha liberate nello stagno del parco. E come al solito il professore ha
dato la colpa a me. Lo avevo quasi convinto che non c’entravo quando il
mio giubbotto ha iniziato a gracidare. Ne avevo dimenticata una..-
Al pensiero di Ray in piedi di fronte al professore a dichiarare la propria
innocenza in tasca una rana, Justin sorrise e sentì la rabbia sbollire.
-Se ti ho fatto sorridere, ne è valsa la pena. - continuò Ray strizzandogli
l’occhio. –Invece tu cos’hai fatto per meritarti un simile
trattamento? Se non sbaglio negli esami del primo trimestre sei dodicesimo.
Un ottimo risultato. -
-Non abbastanza per mio padre. -
-Se è già arrabbiato meglio non farlo attendere. - disse Ray alzandosi per
entrare nell’ufficio del preside- Credo che salterò storia. Non è che
potresti prendere gli appunti anche per me?-
- Ok.-
-E portarmeli?
- Ok.-
-A casa mia?-
Justin ripensò a quello che aveva sentito da dietro la siepe e arrossì.
-Giuro che non ti toccherò neanche con un dito. - gli disse Ray intuendo i
suoi pensieri e sparendo oltre la porta senza aspettare la risposta.
Suonare, lasciare gli appunti e andarsene.
Questo erano i propositi di
Justin, ma davanti alla porta non
riusciva proprio a decidersi a suonare il campanello.
Rimase sul portico un attimo per prendere coraggio.
Non ebbe bisogno di suonare: la porta gli si spalancò davanti.
-Finalmente sei arrivato!- lo
accolse Ray.
Justin gli porse gli appunti senza dire una parola.
Ray allungò la mano verso i quaderni, ma invece degli appunti
gli afferrò il polso e lo trascinò in casa.
-Cosa penseranno i miei vicini se lascio i miei ospiti davanti la porta
senza farli accomodare in casa. Sarebbe scortese!-
Senza lasciare la presa lo portò fino alla cucina e piantandogli le mani
sulle spalle lo costrinse a sedersi.
-E sarei un pessimo padrone di casa se ti lasciasse andare senza offrirti
qualcosa. Caffè?- continuò Ray che senza aspettare la risposta gli aveva
messo davanti una tazza piena e si era seduto accanto a lui.
Gli sembrava scortese andarsene subito. In fondo voleva solo essere gentile.
E poi gli aveva promesso di non mettergli le mani addosso.
La cucina era piccola e accogliente e anche se non voleva ammetterlo si
sentiva bene in quella casa così diversa dalla propria.
Si portò la tazza alle labbra assaporando il caffè.
Era buono. Forte, ma allo stesso tempo molto dolce. Ray doveva aver
esagerato con lo zucchero.
Justin ebbe appena il tempo di riappoggiare sul tavolo la tazza quasi
vuota..
Ray gli passo uno mano sulla nuca attirandolo a sé e gli schioccò un bacio sulle labbra.
-Avevi giurato che non mi avresti
toccato neanche con un dito!.- gridò Justin mentre lo spingeva via
fino a farlo cadere dalla sedia
-Ho mentito. - si difese Ray rialzandosi.
- TOCCAMI DI NUOVO E T’AMMAZZO. -
Ray rimase un minuto in silenzio soppesando la situazione.
-Ne varrebbe la pena. - disse Ray afferrandolo
di nuovo per la nuca e
baciandolo.
Questa volta non si ritrasse subito. Al tocco delicato di quel bacio Justin
perse ogni voglia di reagire.
La verità che lui stesso non voleva ammettere era che quel contatto così
intimo gli piaceva.
Prendendo coraggio fece scivolare la lingua tra le labbra fino ad incontrare
quella del ragazzo che intanto faceva scivolare le mani dalle sue spalle giù
verso la schiena, abbracciandolo.
-Ma cosa sto facendo?- il pensiero gli attraversò la mente come un fulmine
a ciel sereno.
Si stacco da lui e corse fuori
dalla casa più velocemente che poté. Era a metà del vialetto quando sentì
Ray gridare.
-Questo week-end i miei sono fuori. -
-Ma cosa crede! Solo perché non l’ho preso a
calci quando mi ha baciato pensa che andrò a casa sua e mi getterò tra le
sue braccia o peggio, nel suo letto?!-
A questo pensava Justin fermo davanti a casa di Ray dopo essere sgattaiolato
fuori di casa in piena notte.
Anche questa volta non ebbe bisogno di suonare il campanello. Come se lo
avesse aspettato tutto il giorno Ray lo accolse con un sorriso gli aprì la
porta facendolo entrare. Era come se lo avesse sempre saputo.
Dentro la sua testa una vocina gli stava elencando migliaia di buoni motivi
per andarsene.
E lui non la stava ascoltando.
Senza che nessuno dei due dicesse una parola Ray lo prese per mano e lo
condusse verso le scale che portavano al piano superiore.
A metà della scala Justin si bloccò. Senza lasciare la mano di Ray rimase
indietro di qualche scalino.
Gli ci volle tutto il coraggio che aveva in corpo per far uscire le parole.
-Non l’ho mai fatto. -
- Neanch’io,- rispose Ray voltandosi
con un sorriso –ma, credo che ce la caveremo bene comunque.- ***
Si
svegliò di soprassalto. Non era nella casa di Ray. Era in auto, con Damon
al volante.
-Devo aver preso una buca. - si scusò Damon.
Il ragazzo dai capelli rossi aveva accettato immediatamente la sua proposta
di partire insieme.
Justin si strofinò gli occhi e guardò l’ora.
-Le dieci?- dovevo darti il cambio alla guida un’ora fa. Perché non mi
hai svegliato?-
-Non potevo. - gli rispose -Stavi
sorridendo nel sonno.-
Senza smettere di guardare la strada di fronte a lui, Damon tirò fuori dal
giubbotto la solita fiaschetta d’argento e gliela porse.
-Non manca molto. Rimettiti a
dormire. Ti sveglierò quando siamo arrivati. -
Justin non si fece pregare. Ebbe appena il tempo di riavvitare il tappo dopo
aver bevuto un sorso che già era scivolato di nuovo nel mondo dei sogni.
*** Sdraiato nel letto Justin guardò i loro
vestiti ridotti a un mucchietto di stracci sul pavimento.
Aveva mille buone ragioni per andarsene di lì in tutta fretta e una vocina
nella sua testa gliele stava elencando tutte, ma le mani di Ray gli davano
mille buone ragioni per restare.
- E’ un peccato mortale!! – gridava la voce nella testa
Ray gli accarezzò i capelli.
-Sarò felice di essere dannato. - rispose
Justin alla voce moralista
-Lo conosci appena!-
Ray gli baciò il collo.
-Anche questo è un modo per conoscersi. -
-Cosa penserà la gente se lo venisse a sapere?-
Ray gli sfiorò il petto facendo scendere le mani verso il basso.
-Non me ne importa. -
-E se lo venisse a sapere tuo padre?-
Ray gli mordicchiò un
capezzolo.
-Me ne importa ancora meno.-
-Ti userà e poi ti getterà via-
Ray lo baciò appena sopra l’ombelico.
-Meglio essere usato che essere inutile. -
-Ti farà male!-
I baci di Ray scendevano sempre di più verso il basso
-Anche il dolore può essere piacevole. -
-Ti spezzerà il cuore.-
Ray gli accarezzava i fianchi.
-Meglio un cuore spezzato che non averlo affatto. -
- E’ ………- la vocina rimase in sospeso.
Ray era sceso fino all’inguine e gli aveva preso il sesso tra le labbra.
- E’ dannatamente bello!- ammise controvoglia la vocina prima di tacere per
sempre.
Justin gli affondò le mani tra i capelli spingendolo dolcemente contro di sé
inarcando la schiena per offrisi meglio a quella bocca calda ed eccitante.
Le mani di Ray scivolavano sui fianchi fino ad insinuarsi tra il lenzuolo e
la schiena, poi sempre più giù, fino a fare scivolare le dita unte di
vaselina dentro di lui.
Justin teneva gli occhi chiusi. Si sentiva terribilmente impacciato e temeva
che un suo movimento o un semplice sussurro avrebbe spezzato quella
sensazione.
Sentì Ray staccarsi da lui per afferrargli le gambe e spingendo le
ginocchia contro il petto prima di penetrarlo.
Justin si morse le labbra per non gemere per il dolore, aggrappandosi alle
spalle del suo amante.
Il calore gli partiva dal basso ventre e si diffondeva per tutto il corpo
fino ad infiammargli il viso mentre sentiva il proprio sesso rigido
strisciare contro gli addominali del ragazzo sopra di lui.
Ray si fermò un istante per permettergli di abituarsi a quella sensazione,
poi riprese a muoversi lentamente spingendosi sempre più in profondità nel
suo corpo.
Il dolore svanì in un istante sostituito dalla più piacevole sensazione
che avesse mai provato.
Quando raggiunse l’estasi un grido di piacere gli sfuggi dalle labbra e si
abbandonò completamente senza forze sul letto.
Ray si staccò da lui e si sdraiò al suo fianco
- Stringimi.- sussurrò Justin rendendosi conto che quella era la prima
parola che diceva da quando erano saliti in camera.
Ray gli circondò il petto con le braccia e lo abbracciò ridacchiando
-Siamo in un letto ad una piazza, tenerti stretto è l’unico modo per non
finire sul pavimento. Ma un giorno avremo un letto vero. A due piazze. Te lo
prometto. - ***
-Svegliati.
Siamo arrivati. -
Damon gli aveva posato una mano sulla spalla e lo stava scrollando.
-Bel posto isolato. Il cottage è proprio sul mare. Ho già la chiave.
Dobbiamo solo portare dentro i bagagli. -
Justin uscì dall’auto e si stiracchiò mentre Damon recuperava le borse
dal bagagliaio.
Era ancora intontito quando arrivarono davanti alla porta e mentre rimase a
sbadigliare appoggiato allo stipite mentre Damon apriva la porta e lo faceva
entrare.
Lasciò cadere i bagagli sul pavimento nel soggiorno e si diresse verso
l’altra stanza.
La camera da letto.
A tentoni cercò l’interruttore nella parete.
Quando la stanza fu illuminata non riuscì a trattenere le lacrime.
Nella stanza c’era un letto a due piazze.
Fine episodio 1
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