DISCLAIMER: come sempre i personaggi non sono miei ma del mitico Inoue con il quale mi scuso per aver approfittato delle sue creature e di aver modificato “leggermente” le loro personalità

RINGRAZIAMENTI: vorrei ringraziare Zia Chicca per avermi sopportato e aiutato sia per questa che per la mia precedente fic ( Sen/Hana) e tutti i lettori che riusciranno ad arrivare alla fine ^_^  come sempre i commenti sono graditissimi, all’indirizzo: morfeus_ares@hotmail.com

NOTE: in corsivo i flash back di Hanamichi

 

Paure

di Lilhit

 

Kanakawa, 10 anni dopo…

 

Hanamichi era appena arrivato all’aeroporto di Tokyo; dopo 10 anni d’assenza aveva finalmente rimesso piede in Giappone.

Appena partito per gli Stati Uniti, 10 anni prima, si era sentito quasi sollevato dopo ciò che era successo negli spogliatoi pochi giorni prima della partenza. Ricordava ancora alla perfezione quei momenti e i giorni che li avevano preceduti e il rimettere piede nel paese, che nonostante tutto considerava come suo, lo rendeva inquieto ma allo stesso tempo felice.

Aveva ricevuto la telefonata di Ayako solo due giorni prima, non si aspettava di risentire la voce di uno dei suoi vecchi amici così all’improvviso e dopo tanto tempo. Aveva perso ogni contatto con loro, persino con Yoei, e non riusciva a credere alle sue orecchie. Ayako, dopo 10 anni e dopo che lui era sparito in pratica senza dire nulla, gli aveva telefonato per sapere se voleva partecipare ad una festa, una rimpatriata alla quale,secondo la ragazza, non poteva assolutamente mancare. In un primo momento l’entusiasmo lo aveva portato a rispondere “ certo Ayako, non vedo l’ora di potervi rivedere tutti”, ma appena messa giù la cornetta tutto il suo entusiasmo era svanito. Ayako gli aveva detto di aver contattato tutti, che lui era l’ultimo della lunga lista e che tutti avevano accettato. Tutti… quindi anche lui avrebbe partecipato alla festa. Non sapeva se sarebbe stato in grado di affrontarlo, di rivederlo. Ciò che gli aveva fatto era stato crudele e nonostante il tempo ormai trascorso, non riusciva a dimenticarlo o a superarlo.

Non sapeva come Ayako lo avesse rintracciato ma credeva di saperlo; se gli invitati alla festa erano tutti i ragazzi che avevano giocato il campionato interscolastico l’anno in cui lui era allo Shohoku, e sicuramente la ragazza si riferiva ai giocatori del Kainan, dello Shoyo e del Ryonan, allora anche Sendo sarebbe stato presente e lui era l’unico a conoscere il suo nascondiglio.

Per quanto sapesse che non era vero, che il motivo che lo aveva portato lontano da Kanagawa e dai suoi amici non era ciò che accadde in quello spogliatoio e che la decisione era già stata presa da tempo, sapeva che in parte era fuggito e si era nascosto. Non poteva negarlo.

Recuperò il suo bagaglio e si diresse all’uscita per prendere un taxi che lo avrebbe condotto al suo albergo.

Aveva prenotato in un piccolo albergo della capitale, proprio accanto alla stazione ferroviaria, pensando che soggiornare lì fosse più saggio che dormire a Kanagawa e meno “pericoloso”. Trovare scuse per mollare la festa e tornare in albergo così era più semplice e poteva giustificare quella scelta come impostagli dal lavoro.

Quel suo viaggio a Tokyo era stato deciso già da qualche tempo e non poteva esimersi dal farlo; una bella coincidenza che la festa fosse proprio in quei giorni!

Appena arrivato in albergo si butto sul letto, il viaggio in aereo era stato un’angoscia; tutte le sue paure erano tornate a galla e si era sentito sempre più insicuro ogni istante di più. L’hostess si era dovuta avvicinata a lui più volte per assicurarsi che stesse bene.

Chiuse gli occhi ripensando a ciò che era successo allora: suo padre era morto da circa due anni e la sua matrigna era ormai indebitata fino al collo e non sapeva più come fare a far quadrare i conti. Nonostante sia lui che suo fratello Ryo, più grande di lui di tre anni, si dessero molto da fare per aiutarla, non c’èra altra soluzione. La donna, alla fine, gli aveva rivelato di aver gettato la spugna e di aver deciso di tornare a vivere negli USA per il bene di tutti e tre. Lì avrebbero potuto contare sull’appoggio di molti parenti che sembravano ben felici di poterle dare una mano. Hanamichi non avrebbe mai voluto lasciare la città in cui era cresciuto ma alla fine si era arreso all’evidenza. La madre aveva già ottenuto un lavoro lì e la sua partenza si rivelò immediata. Lui e suo fratello si occuparono delle ultime cose assieme prima di partire.

Hana aveva cercato una soluzione per poter restare in Giappone, non voleva abbandonare i suoi amici e poi non gli andava di tornare a vivere a New York  da dei parenti con cui lui non aveva nulla a che fare.

Suo padre aveva messo in cinta Alex, la sua matrigna, tre anni prima che lui nascesse. Non sapeva bene come erano andate le cose ma era chiaro che il matrimonio tra i suoi genitori avesse avuto parecchi intoppi e che in una di queste parentesi il padre avesse avuto un’altra relazione. Sua madre era morta quando lui aveva sette anni e Alex si era fatta viva per sapere se poteva in qualche modo essere d’aiuto. Per molto tempo aveva considerato la donna come un avvoltoio ma si era dovuto ricredere presto; Alex e Mery, questo il nome di sua madre, erano molto amiche e nonostante l’evolversi delle cose la loro amicizia non era mai venuta a mancare. Per questo Alex si era ripresentata a casa loro per il funerale ed aveva cercato in tutti i modi di essere d’aiuto; E c’era riuscita, non si poteva negare. Lui e Ryo, dopo un primo momento di riluttanza, divennero grandi amici e alla notizia delle nozze dei loro genitori furono felicissimi.

Per Hanamichi, che non aveva mai avuto modo di conoscere sua madre, Alex  era stata molto più importante di quella donna sempre malata e perennemente a letto. Le cose nella sua nuova famiglia andavano così bene che la notizia del trasferimento in Giappone non sortì nessuna reazione particolare anzi; Lasciare Manhattan non era stato un dramma. Il matrimonio di sua madre con un giapponese non era mai stato visto di buon occhio, date le sue origini Irlandesi. Per loro era inconcepibile che lei non sposasse un altro irlandese e soprattutto che non sposasse un bianco ed  era stata inevitabile la reazione dei parenti che li tagliarono completamente fuori dalla famiglia.

Alex, anche lei Irlandese, gli aveva parlato spesso della situazione e lui non riusciva mai a sentirsi a suo agio in quell’ambiente. Anche per questi motivi aveva cercato di convincere la su mamma adottiva e suo fratello a lasciarlo vivere in Giappone, in fondo viveva lì dall’età di dieci anni, ma non ottenne nessun risultato.  Ryo si era offerto di restare con lui, se poteva fargli piacere, ma sapeva che non poteva imporgli una cosa simile. Per le ambizioni e gli studi intrapresi da Ryo, il trasferimento era una manna dal cielo. Non poteva chiedergli di rinunciarvi.

Teneva troppo a sua madre e suo fratello per lasciarli, soprattutto Ryo era stato da sempre, e soprattutto alla morte del padre, una figura fondamentale nella sua vita, troppo per chiedergli di sacrificarsi per lui, ancora.

Una volta presa la sua decisione, partire, non rimaneva altro da fare che dire addio ai suoi amici e soprattutto alla sua Kitsune….

I ricordi furono interrotti dal suono insistente del telefono.

Hanamichi si alzò svogliatamente per rispondere, non poteva essere nulla di importante visto che nessuno sapeva del suo arrivo e suo fratello non lo avrebbe chiamato a quell’ora per via  della differenza di fuso orario. Rispose con voce seccata all’apparecchio ottenendo in risposta solo un “Ciao” divertito. Conosceva bene quella voce allegra, il suo proprietario era un altro dei motivi per cui si sentiva in ansia al pensare di prendere parte alla festa.

Senza riuscire un granché a nascondere la sorpresa e l’inquietudine, e in parte la gioia, che quella telefonata gli aveva procurato, cercò di parlare con tono disinvolto.

Akira aveva saputo dove alloggiava da Ryo il quale, non essendo a conoscenza dei retroscena della loro “amicizia”, gli aveva dato tutte le informazioni senza porsi dei problemi. Hanmichi si maledisse per non aver rivelato quanto era successo tra loro a suo fratello mentre acconsentiva ad incontrarlo quel pomeriggio in un bar non molto lontano dall’albergo.

Da quando si erano lasciti, circa due anni prima, non si erano più visti e sentiti poco. Nonostante vivessero nella stessa città non si erano mai incontrati per caso e non avevano mai cercato di farlo. Akira, giocatore professionista nell’NBA era sempre molto impegnato e anche Hanamichi lo era tra il lavoro, gli impegni quotidiani e quelli con una squadretta di bambini tra i 4 e i 7 anni a cui insegnava i fondamentali del basket.

Rivedere Akira dopo tanto tempo si rivelò molto meno traumatico di quanto pensasse. Appena arrivato al bar lo aveva notato subito ed era rimasto incantato ad osservarlo per lungo tempo: la pelle chiara, i capelli neri a spazzola, gli occhi blu, le mani grandi dalle dita lunghe e sottili, le spalle larghe.. era identico a come se li ricordava e rivedere il suo sorriso aperto e solare mentre gli veniva in contro per salutarlo lo fece tornare in dietro al periodo in cui erano praticamente inseparabili. Un senso di nostalgia l’ho assalì prepotentemente.

Parlarono per delle ore, seduti a un tavolino, troppo basso per loro, in un angolo del locale, ritrovando subito il loro antico affiatamento e quella familiare sensazione di pace e benessere che la presenza dell’altro infondeva.

Quando si erano incontrati per caso in metropolitana, subito dopo l’arrivo di Akira a New York sei anni prima, nessuno dei due sembrava particolarmente contento di rivedere l’altro. Entrambi fuggiti a una realtà difficile da accettare e sopportare non volevano avere a che fare con qualcuno che gli riportasse alla mente quei tristi ricordi.

Il loro incontro però si rivelò un piccolo miracolo che permise ad entrambi di ritrovare il proprio equilibrio. Divennero presto grandi amici; Akira, appena trasferito, aveva grande bisogno di sostegno e per Hana il poterlo aiutare era la cosa che più desiderava. Fu proprio da Akira che venne a sapere dell’evolversi delle cose in Giappone ed era sempre stato lui a tenerlo informato senza rivelare a nessuno che si erano rincontrati. Così, aveva saputo che Ayako e Ryota alla fine si erano fidanzati e che, in seguito,  si erano sposati. Seppe del Gorilla, entrato a far parte della nazionale maggiore e felicemente sposato; Yoei era diventato il proprietario di un nightclub molto popolare; Mitsui e Kogure si erano laureati in medicina e vivevano assieme vicino a Kanagawa, dopo che Hsashi aveva abbandonato il basket professionistico; Maki, Fujima e Kyota giocavano ancora da professionisti e facevano parte della nazionale; tutti gli altri avevano smesso di giocare e avevano trovato la loro strada. Anche Rukawa aveva smesso dopo un brutto incidente di gioco…

Parlare di Rukawa era per entrambi molto doloroso: dopo la partenza del Rossino, Rukawa era cambiato molto, se possibile in peggio. Lui e Akira avevano avuto una relazione piuttosto lunga che, a sentir parlare il secondo, era stata una specie di incubo, piena di incomprensioni e di mezze verità che avevano da sempre logorato entrambi. L’infortunio accadde poco prima della firma di un importante contratto col l’NBA. Rukawa perse l’ingaggio e sparì senza dire nulla. Akira, ferito e deluso dal comportamento dell’altro, aveva deciso di firmare e di cominciare una nuova vita.

Alla fine la Kizune aveva ferito e deluso entrambi!

Fu proprio questo a portarli qualche anno dopo ad una svolta nel loro rapporto.

Le cose non andarono comunque come si auguravano e la colpa era evidentemente di uno solo dei due.

Hanamichi non riusciva ancora a perdonarsi per la sua mancanza di fiducia nel compagno e per essere stato la causa della fine della loro storia. Nonostante tutto, nonostante quello che poteva pensare Akira, lui l’amava davvero e forse i suoi sentimenti non erano affatto cambiati.

La serata trascorse veloce e piacevole tra i ricordi delle superiori, del periodo di lontananza e della loro amicizia. Nessuno dei due tocco l’argomento della loro separazione me si poteva sentire nell’aria che l’argomento di cui entrambi avrebbero voluto parlare era proprio quello.

Forse Akira si chiedeva ancora perché le cose non avessero funzionato e Hanamichi, dopo tanto tempo avrebbe voluto dirgli la verità ma nessuno ebbe il coraggio di fare la prima mossa e la serata si concluse tranquilla.

Si misero d’accordo per vedersi davanti alla stazione, per prendere il treno, il giorno della festa e si allontanarono.

Tornato in albergo, Hanamichi si chiese se c’era ancora una possibilità per loro, per il loro amore e per la loro amicizia. Come poteva rivelargli solo dopo tanto tempo il motivo del suo comportamento?

Per quanto tempo gli aveva chiesto di aspettare prima di concedersi a lui? Quante volte si era tirato in dietro? Quante volte aveva cercato di evitare che lo toccasse e lo amasse?

Sapeva di aver ferito profondamente Akira con il suo atteggiamento scostante e non pretendeva che lo perdonasse ma forse gli avrebbe potuto far capire che la colpa non era sua, che lui non aveva sbagliato nulla e che non era mai stato preso in giro.

Forse ormai era tardi per pentirsi ma conosceva abbastanza Akira per capire che il sapere la verità gli avrebbe almeno dato un po’ di pace.

Dopo la storia con Rukawa era rimasto molto ferito proprio per l’incapacità di quest’ultimo di essere sincero e lui si era comportato allo stesso modo.

Ma come poteva dirgli quello che era successo? Come poteva spiegargli la paura che aveva provato ogni volta che tentava di dirglielo?

Dopo una lunga doccia si nascose sotto le lenzuola in cerca di un po’ di calore e di sonno ma questo sembrava proprio non voler arrivare. Al posto di Morfeo, ad accoglierlo furono i ricordi…dei ricordi sepolti dal tempo da ormai troppo tempo.

La data della partenza era ormai vicina e lui non aveva ancora avuto il coraggio di dire addio ai suoi compagni di squadra, solo Yoei sapeva della sua imminente partenza e n’era rimasto fin troppo sconvolto.

Gli allenamenti erano finiti da un pezzo ma lui non aveva ancora voglia di lasciare la palestra.

Aveva appena finito di riempire la sacca con tutte le sue cose e di svuotare il suo armadietto quando il fulcro di tutti i suoi pensieri gli si materializzò davanti.

Da quanto tempo aveva scoperto di amare la sua nemesi? Da quanto tempo non riusciva a pensare ad altro? Da quanto tempo si era convinto che non poteva partire senza avergli detto ciò che provava per lui?

E ora era davanti a lui, completamente sudato, ancora ansimante per lo sforzo fisico e ancora più bello del solito. Stava per saltargli a dosso e baciarlo quando le parole del moro lo riportarono alla realtà: “ Che diavolo ci fai ancora qui? Sparisci !” .

Il tono della voce e la luce che sprigionavano i suoi occhi erano più che chiari: non lo voleva tra i piedi, non lo sopportava.

Stava per abbandonare sconsolato gli spogliatoi quando un’idea, poco sana, gli balenò nel cervello. Parlò ancor prima di aver pensato: “ Se vuoi che sparisca dalla tua vita e che non mi ripresenti più davanti a te, c’è una cosa che potresti fare ”. Rukawa lo guardò perplesso chiudendo l’acqua della doccia in cui era appena entrato e rivolgendoli un’occhiata interrogativa. Il Rossino, affascinato dalla splendida visione del suo corpo nudo e ricoperto di goccioline d’acqua, continuò: “ se tu venissi a letto con me… ti giurò che uscirei per sempre dalla tua vita”.

Un bussare insistente alla porta riporto Sakuragi al presente. Si alzò di scatto dal letto allarmato da tutto quel rumore e aprì la porta di colpo.

Una delle cameriere , non conosceva il nome, era andata ad avvisarlo che a causa di un cortocircuito i pompieri avevano ordinato l’immediata evacuazione di tutto il piano.

Fece come gli era stato detto, aiutando anche un’altra signora a scendere nella hall. Quando finalmente fu permesso agli ospiti di riprendere possesso delle loro stanze era ormai molto tardi e Hanamichi si addormento immediatamente non appena toccato il letto.

I giorni successivi furono un vero inferno per lui: la lontananza dal Giappone aveva avuto il potere di cancellare una buona metà del suo vocabolario, gli sembrava di essere tornato all’età di undici anni e si era trasferito da poco in quel paese. In pratica capiva poco o nulla. La situazione con il passare dei giorni migliorò ma le estenuanti ore di lavoro a cui fu sottoposto erano massacranti. Gli sembrava d’essere uno schiavo, con l’unica differenza che veniva pagato parecchio e che lo trattavano come una divinità, visto che era uno dei più popolari attori/modelli di quel periodo, a livello mondiale.

Il lavoro a ritmi serrati ebbe però anche dei vantaggi, uno in particolare: non aveva più pensato alla festa ne a cosa sarebbe successo ritrovandosi davanti Rukawa. Ad Akira invece, a lui aveva pensato molto.

Come combinato qualche giorno prima, Akira e Sakuragi si trovarono davanti alla stazione, il sabato della festa, per prendere il treno che li avrebbe riportati per la prima volta dopo anni a Kanagawa. A quanto sembrava, anche Akira aveva fatto il suo stesso ragionamento per quanto riguardava l’albergo e che anche per lui il problema maggiore di quella festa fosse Rukawa. Il tempo passa ma le cose non cambiano mai…

 

Saliti sul treno, si sedettero accanto in una delle prime carrozze. Entrambi erano visibilmente agitati e l’atmosfera tra loro si rivelò totalmente opposta a quella del loro primo incontro.

 

“ In questi giorni ho pensato molto e credo che noi due dovremmo parlare. Vorrei che almeno la nostra amicizia uscisse slava da tutta questa situazione ”. Hana aveva iniziato a parlare all’improvviso fissandosi le mani. Si fermò solo un attimo per guardare in faccia l’ex compagno prima di continuare: “ So che tutto quello che è successo tra noi è solo colpa mia e non credo tu possa nemmeno immaginare quanto io soffra per questo. Mi manchi… mi manchi tantissimo, come compagno, e soprattutto mi manchi tu come amico, come persona. Forse è tardi ormai ma solo ora credo di aver trovato il coraggio a la stabilità per dirti tutta la verità ”.

Akira guardò sorpreso il ragazzo accanto a lui: Hana sembrava sull’orlo delle lacrime e il tono delle sue parole lasciavano ad intendere molto più di quanto si aspettasse. Sapeva che Hana gli voleva molto bene e aveva letto nei suoi occhi che era sincero. Il motivo per cui erano ancora amici e il motivo per cui lo amava ancora, erano proprio i suoi occhi limpidi, incapaci di mentire. Ogni volta che litigavano poteva leggerci la sua disperazione, poteva scorgerci la guerra interiore che stava combattendo. Aveva sperato per tanto tempo che vincesse il lato di lui che si fidava, il lato di lui che gli avrebbe rivelato tutto ma non era successo e lui non era più riuscito a sopportare la situazione. Lasciarlo era stata la decisione più difficile della sua vita, sperava servisse ma si sbagliava.

In ogni caso, vedere il proprio ragazzo che scappa quando cerchi di avere un rapporto con lui che vada aldilà di qualche bacio o abbraccio, sentirlo irrigidire, sentire che ciò che sta facendo lo fa perché obbligato e non per amore o desiderio, faceva ancora più male. Fuori da una camera da letto erano la coppia perfetta: affiatati, innamorati, sempre d’accordo e perfettamente ingranati. Il problema nasceva ogni notte, ogni volta che cercava di fare l’amore con lui. All’inizio pensava fosse solo paura, Hanamichi non l’aveva mai detto ma era sicuro che lui fosse il primo, per questo aveva aspettato e pazientato ma la cosa non si sbloccava mai. Alla fine lo aveva messo davanti ad una scelta e Hanamichi aveva capitolato permettendogli di amarlo ma… sembrava sempre che avesse paura, che ciò che stavano facendo fosse sbagliato, che si sentisse umiliato e ferito da quell’atto. In quei momenti Hanamichi aveva l’aria di un animale in gabbia che non può opporsi alla volontà del suo padrone ma che, per quanto cerchi di non darlo a vedere, non riesce ad accettarla.  Aveva provato a farlo parlare, gli aveva chiesto se la cosa poteva dipendere dai ruoli e se voleva invertirli, ma non aveva ottenuto nulla. Hanamichi continuava a negare il problema, ormai più che evidente, e si rinchiudeva nel più totale silenzio.

E ora, dopo due anni di lontananza forzata, vederlo seduto accanto a lui con gli occhi lucidi, le mani tremanti e l’angoscia dipinta sul viso faceva ancora più male, se possibile.

“ Sono sempre disposto a parlare con te e so che anche tu sei ferito per come sono andate le cose. Mi piacerebbe sapere il perché. Manchi tanto anche a me, non sono mai stato bravo a mentire e non voglio nemmeno farlo; io ti amo ancora e… non so davvero più che fare ”.

Akira aveva parlato guardando i suoi piedi  con voce bassa ma sicura. Aveva sperato tanto che le cose tra loro tornassero apposto e che potessero ricominciare. Se c’era anche una sola possibilità che ciò accadesse, allora avrebbe fatto di tutto per sfruttarla.

“ I love you, darling !”.

Akira si voltò  verso di lui sorpreso ma immensamente felice. Strinse tra le sue, le mani tremanti del Rossino che a quel gesto arrossì leggermente, e poggiò la fronte su quella dell’altro guardandolo fisso negli occhi. Era da tanto che aspettavano quel momento e nonostante la carrozza del treno fosse piena di gente, si scambiarono un lungo e dolcissimo bacio.

Passarono il resto del viaggio mano nella mano senza aggiungere più una parola, beandosi semplicemente della presenza l’uno dell’altro.

Non avevano bisogno di parole, finalmente erano di nuovo insieme e questa volta niente li avrebbe separati.

Di comune accordo scelsero di lasciare a dopo la festa le spiegazioni, per quella sera volevano solo divertirsi, con i loro vecchi amici.

 

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Quando arrivarono al Night si comportavano nuovamente come una coppietta felice. Lasciarono i loro cappotti all’ingresso…

“ Sono nervoso, credo di avere un attacco di panico ”.

“ Non lo dire a me Aki. Sono 10 anni che non vedo nessuno di loro o che non ci parlo e se penso che li ho abbandonati senza nemmeno salutarli mi sento male ”.

“ Dici che sarebbe poco dignitoso girare sui tacchi e sparire? ”.

“ Non credo sia una buona idea. In fondo siamo ansiosi di rivederli e poi… e poi a me basta averti accanto, che importa il resto? Resta accanto a me e cerchiamo di evitare spiacevoli incontri ok ? ”.

“ Mi hai letto nel pensiero. Ti amo ma il sapere che Rukawa è qui mi spaventa. Resta attaccato a me…”.

Per rassicurare il suo ragazzo, e in parte per rassicurare se stesso, Hanamichi lo abbracciò stretto rubandogli un lungo bacio pieno di passione e amore.

Il momento magico venne però interrotto dall’arrivo di alcuni dei loro amici.

Ayako saltò praticamente in braccio ad Hanamichi mentre Miyagi li salutava felice. Solo una delle presenze rimase in disparte a fissarli con malcelato disappunto. Sakiragi e Sendo lo notarono subito ma non dissero nulla; salutarono i loro due amici e si diressero, mano nella mano, verso la sala dove gli altri stavano già facendo festa.

 

La sala era immensa, le luci soffuse la rendevano quasi magica.

Qua e là, seduti ai tavolini o in piedi davanti al bancone, i ragazzi parlavano tranquilli riuniti in piccoli gruppi. Dall’entrata della sala Hanamchi e Akira riuscirono a scorgere Akagi, Maki,Fujima e Mitsui in un angolo che parlavano animatamente; Kogure invece era vicino a una bella ragazza seduta a un tavolino; Fukuda, Jin, Kyota, Koshino e Hikoici al banco mangiavano e bevevano allegramente mentre Yoei e Haruko finivano di sistemare le ultime cose.

Senza lasciare mai la presa tra le loro mani, si addentrarono nella sala attirando l’attenzione di molti dei presenti che si avvicinarono a loro felici.

Tutti volevano sapere come si trovasse Akira in America e come fosse il campionato NBA. Akira rispondeva tranquillo a tutte le loro domande mentre Hanamichi l’osservava felice tenendo stretta la sua mano.

Fu Koshino il primo ad accorgersi della situazione; lui e Akira non avevano mai perso contatto in quegli anni e non aveva mai sentito parlare Akira di Sakuragi e il vederli lì insieme, mano nella mano, lo lasciava molto perplesso. Per porre la domanda aspettò che la confusione attorno ai due nuovi venuti si calmasse e che la maggior parte dei ragazzi radunatisi si allontanasse.

“ Quand’è che vi siete rincontrati? Non mi hai fatto sapere nulla Akira! Come state ragazzi? ”. Aveva usato il tono più discorsivo e tranquillo che fosse riuscito a trovare ma dal sorriso che gli venne rivolto dal suo ex compagno di squadra era chiaro che Akira avesse capito che c’era rimasto male.

Akira non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che Ayako, Yoei, Haruko, e i vecchi titolari dello Shohoku si avvicinarono ad Hanamichi per avere delle spiegazioni sul suo comportamento. Erano 10 anni che aspettavano una spiegazione.

“ Hanamichi, ma si può sapere dove sei andato a finire? Perché non ti sei fatto più sentire? E tu Sendo,se sapevi dove viveva perché non ci hai detto nulla prima di oggi?”  Ayako aveva parlato tutto d’un fiato agitando minacciosa il ventaglio davanti alle facce dei due ragazzi che, ormai circondati, non poterono fare a meno di spiegare un po’ la situazione.

Fu Hanamichi a prendere in mano la situazione:

“ Voi avete perfettamente ragione e mi spiace tanto di essere sparito senza dire nulla a nessuno ma la situazione era tale che non potei proprio farne a meno. In realtà avevo organizzato una piccola festicciola per salutarvi tutti ma… alla fine non potei più organizzarla. Mi sono trasferito a Manhattan e proprio lì che ho incontrato Akira qualche tempo dopo, se non ricordo male sono passati sei anni da allora, e siamo diventati subito amici. Chi l’avrebbe mai detto!”

“ Sei anni? Tu sai dove viveva da sei anni e non ci hai mai detto nulla?” Ayako sembrava furiosa e anche gli altri ragazzi sembravano piuttosto alterati alla notizia.

“ Se non vi ha mai detto nulla è stato per una mia precisa richiesta. Mi spiace molto di essere sparito, ma lui non ne ha colpa.”

Tutti sembrarono calmarsi un po’ a quelle parole ma restava comunque il fatto che Hanamichi non gli volesse spiegare nulla del motivo della sua partenza…

“ Per rispondere alla tua domanda Ayako, sono dovuto partire per problemi di famiglia. Voi non lo sapevate ma mio padre è morto un anno prima che io mi iscrivessi allo Shohoku e purtroppo mia madre non riusciva più a far quadrare i conti e non gli era rimasta altra scelta che tornare a New York dai suoi familiari e chiedergli aiuto. Io e mio fratello non abbiamo potuto fare altro che partire con lei”.

Mitsui stava per dire che gli dispiaceva ma che tutto quello che gli aveva appena detto non giustificava la sua partenza così improvvisa ma non fece in tempo perché Koshino, un po’ arrabbiato, chiese: “ Si ok, ma in pratica da quando state assieme? ”.

Tutti sapevano che Koshino aveva sempre avuto un debole per Sendo ma quella reazione sembrava davvero spropositata visto che ormai lui stava assieme a Hikoichi da anni.

“ Questa è una bella domanda Hiro. Diciamo, all’incirca, 2 ore? ”.

Tutti scoppiarono a ridere per il tono imbarazzato che aveva usato Sendo ma era più che evidente che stesse scherzando.

“ Parlo seriamente Akira. Non mi sembrate affatto due che stanno assieme da così poco tempo ”.

“ E hai ragione ma, in effetti, Akira non ha mentito. Noi stiamo assieme da circa due ore. Ci siamo chiariti sul treno che ci ha portato qui da Tokyo. Ma è anche vero che noi due siamo stati assieme per parecchio tempo ma che c’eravamo lasciati circa due anni fa… e devo ammettere che la colpa fu solo mia ”. Hanamichi aggiunse queste ultime parole con voce triste guardando il pavimento. Akira, notando la cosa, gli passo un braccio attorno alla vita attirandolo a se per rassicurarlo: “ Ormai è passato e il passato non c’importa più ”.

Dopo quelle parole Koshino sembrò risvegliarsi da un lungo stato di trans: “ Ma allora è lui il tipo di cui mi parlavi sempre. Non mi hai mai voluto dire il nome e la cosa mi sembrava strana ma ora è evidente il perché. Dopo tutto quello che mi hai raccontato, dopo tutte le volte che mi hai telefonato in lacrime, per non contare la sera in cui vi siete lasciati, e tutto il tempo che hai passato a pensare a lui… tu vuoi davvero dargli una seconda possibilità? Dovresti mandarlo al diavolo! ”.

A quelle parole Hanamichi si sentì morire. Sapeva di aver ferito profondamente Akira ma il sentire che aveva telefonato a Koshino in lacrime chissà quante volte…. Si staccò da Akira lentamente fissando il pavimento. Si sentiva tremendamente in colpa per tutto quello che aveva fatto passare al ragazzo che amava ma se ripensava al giorno negli spogliatoi, a cosa avrebbe potuto pensare Akira di quanto successo e alla possibilità che incolpasse lui di tutto quello, si sentiva morire.

Quante volte lo aveva sentito piangere?

Ogni volta che lui si ritraeva o che s’imponeva di non farlo sentiva il cuore di Akira sgretolarsi. Ogni volta che faceva sesso con lui e non poteva fare altro che obbligarsi a restare fermo, sentiva Akira tremare per la rabbia e per la tristezza e poi lo vedeva alzarsi, chiudersi la porta del bagno alle spalle e poi sentiva i singhiozzi disperati. Koshino aveva ragione: come poteva dargli un’altra possibilità? Non se la meritava e aveva paura di ferirlo ancora rivelandogli tutto.

Akira riprese la sua mano e la strinse forte per rassicurarlo: “ So cosa ti ho detto Kosh e so che lo dici perché ti preoccupi per me ma ti posso garantire che le cose sono molto diverse da quelle che sembrano. Tu non eri lì e non puoi sapere come sono andate le cose, non puoi conoscere le sfumature. Conosci solo le mie sfuriate e le mie lamentele ma non hai mai potuto vedere lui o sentire la sua versione. So che probabilmente ha sofferto molto più lui di me. Mi bastava guardarlo in faccia per vedere che soffriva quanto me e forse di più. Finalmente è pronto per avere quello che entrambi volevamo due anni fa e dirmi quello che gli impediva d’essere felice. Solo questo importa ”.

Hana si sentì infinitamente felice per quelle parole. Akira lo aveva sempre capito più di chiunque altro al mondo e sapere che anche in quei momenti, per quanto stesse soffrendo, era riuscito a vedere anche la sua sofferenza lo rendeva immensamente felice e una volta di più gli dimostrava quanto quel ragazzo fosse speciale e quanto lo amava.

“ È ridicolo! Non ti rendi conto che non sta né in cielo né in terra? Non puoi perdonarlo dopo tutto quello che ti ha fatto. Con che coraggio potresti riprovare? E se poi non è cambiato nulla e continuerà a trattarti in quel modo? ”.

Koshino aveva perfettamente ragione ma lui non aveva il diritto di parlargli così: “ So che parli per il suo bene ma non credo che tu possa decidere per lui. Ti ha già spiegato che forse non conosci tutti i dettagli necessari per capire la situazione e nemmeno lui li conosce. Per questo stasera chiariremo definitivamente la cosa e solo allora Akira sceglierà cosa è meglio per lui. Qualsiasi scelta farà, dovrà farla da solo ”.

Hanamichi aveva parlato con tono molto calmo e tutti rimasero sorpresi nel sentirgli pronunciare quelle parole e con un tono di voce così adulto. Per loro, nonostante fossero passati 10 anni, Hanamichi era ancora il ragazzino mezzo teppista che non faceva altro che combinare guai e dire stupidate.

Per smorzare un po’ la tensione e cercare di far cambiare discorso, Hanamichi  andò a prendere da bere poco distante da loro.

“ Ti prego Hiro, lascialo stare. È un ragazzo fantastico, ha solo bisogno d’aiuto, di tempo e fiducia. ok? ”.

“ Certo, come no ?!”.

“ Dai ragazzi, non mi sembra il caso di fare tutto questo casino. Non conosco come sono andate le cose ma sono più che sicuro che riusciranno a risolvere le cose da soli. E poi questa è una festa, no? Tieni Sendo, fatti una birra ”.

Mitsui era intervenuto nel momento migliore impedendo a Koshino di passare a parole più pesanti e riportando il discorso su temi più leggeri. L’unico che sembrava particolarmente contento nel sentire quella conversazione e che forse aveva capito la situazione era Rukawa che, nonostante si fosse tenuto a debita distanza, era fin troppo interessato.

“ Quella è meglio se la lasci bere a Hisashi, Akira. Tieni, bevi questo ”.

Tutti rimasero molto colpiti dall’atteggiamento di Sakuragi, non capivano perché avesse impedito a Sendo di prendere la birra e come mai l’altro avesse esitato tanto.

C’erano davvero tante cose strane quella sera.

La serata comunque continuò tranquilla. Hanamichi e Akira continuavano a stare appiccicati ed entrambi cercavano in tutti i modi di stare il più lontano possibile da Rukawa.

Quando Akira si allontanò un attimo da Hna, per andare al bagno, Rukawa ne approfittò per avvicinarsi a Sakuragi che vedendolo avanzare cominciò ad agitarsi.

Cercò con lo sguardo Akira o qualche altro amico da cui farsi aiutare ma sembrava che tutti avessero di meglio da fare che salvare lui in quel momento.

“ Non hai mantenuto la promessa D’hao! ”.

a quelle parole, pronunciate in tono freddo e distaccato più di quanto non fossero mai state, Hana cominciò a tremare.

I fremiti che gli attraversavano le membra erano tanto forti che tutti riuscirono a notarlo, compreso il suo interlocutore.

“ Cos’è, vuoi il bis per caso e stai tremando dalla gioia? ”.

Più Rukawa si avvicinava, più Hanamichi indietreggiava e tremava.

Nessuno si aspettava un comportamento simile da parte del Rossino, nemmeno Rukawa che vedendo lo sguardo terrorizzato del ragazzo smise d’avvicinarglisi cominciando a preoccuparsi.

L’attenzione di tutti i presenti si puntò su Hanamichi che, pallido come un cadavere, ormai tremava in modo quasi convulso e dal suo naso aveva cominciato ad uscire del sangue.

Akira, che aveva assistito da lontano al breve scambio di battute, si avvicinò di corsa al suo ragazzo allarmato dalla vista del sangue ma non appena gli fu abbastanza vicino da toccarlo lo vide crollare a terra cominciando a vomitare sangue.

Akira, come tutti i presenti, era terrorizzato. Teneva l’amico per le spalle cercando di aiutarlo senza però sapere davvero cosa fare.

Hanamichi, a malapena in grado di parlare riuscì a far capire ad Akira che aveva bisogno di pillole e che le aveva nel cappotto all’ingresso. Ayako corse all’ingresso a prendere il flaconcino e quando tornò rimase sconvolta dalla quantità di sangue che Hanamichi aveva vomitato.

Hanamichi riuscì a stento a prendere le quattro pillole prescrittegli dal medico, prima di perdere conoscenza.

Akira continuava a tenerlo stretto a se e a pulire in qualche modo il volto del Rossino. Rukawa sembrava sconvolto quanto lui, non riusciva a credere che la colpa di quella situazione fosse sua. Ora non aveva più dubbi sul motivo che aveva portato alla rottura tra Sendo e Sakuragi e stranamente non n’era affatto contento.

Si era reso subito conto di aver fatto una cavolata quel giorno negli spogliatoi. Era scappato senza avere il coraggio di guardare le conseguenze delle sue azioni e dicendo a se stesso che non aveva fatto nulla di cui dovesse pentirsi: in fondo era stato lui a chiederglielo!

Ma sapeva bene di mentire a se stesso e quando non lo aveva visto a scuola la mattina dopo aveva dovuto ammettere almeno con se stesso ciò che aveva fatto. Lo scoprire che il Rossino si era trasferito e che aveva mantenuto la sua promessa lo aveva tranquillizzato e aveva in apparenza fatto sparire il problema. Ma come detto, era solo apparenza; il suo carattere peggiorò ulteriormente e la relazione con Akira aveva riportato a galla tutto quanto. Forse doveva delle scuse ad entrambi ma non sapeva proprio che dire o fare per farsi perdonare. E a giudicare dalla scena a cui stava assistendo non sarebbero bastate tutte le parole del mondo.

Stava ancora pensando a ciò che aveva fatto e a quanto era stato stupido ad avvicinarsi a Sakuragi in quel modo, dicendoli quelle parole, quando Hanamichi riprese conoscenza.

Il suo volto era quasi completamente coperto di sangue e il pavimento era ormai un lago ma sembrava stesse benissimo ed essere tornato come prima, solo i suoi occhi erano ancora visibilmente sconvolti. Si alzò tranquillamente senza bisogno d’aiuto, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti i presenti. Akira comunque, ancora sotto shock, non gli si voleva allontanare per nessun motivo. Lo scortò al bagno per permettergli di lavarsi e togliersi dalle mani, dal viso e dai vestiti tutto quel sangue lanciando, prima di allontanarsi, un’occhiata veloce e abbastanza minacciosa a Rukawa.

Akira non aveva dubbio che la causa di quel malessere fosse stata la presenza del volpino e poi era sicuro che Rukawa avesse detto qualcosa al suo Hana prima che lui si accasciasse al suolo. Cosa poteva avergli detto?

Da quando si erano rincontrati a New York aveva notato che ogni volta che veniva fatto il nome del Volpino, Hanamichi s’innervosiva. All’inizio lo aveva visto spesso sbiancare e tremare in modo meno evidente di quella sera ma comunque molto preoccupante. Ricordava ancora la reazione quando gli aveva rivelato che lui e Rukawa erano stati assieme per due anni: il bicchiere caduto per terra, il suo volto pallidi, le mani tremanti…

Per la prima volta da quando lo conosceva aveva capito una cosa: era Rukawa la causa della sua fuga da Kanagawa.

Ma se Rukawa aveva quell’effetto su di lui ed era la causa della sua partenza improvvisa… poteva essere sempre lui la causa dello strano rapporto che il Rossino aveva con il sesso?!

Finalmente, dopo tanto tempo e tante domande inespresse, aveva capito di cosa aveva paura Hanamichi, del perché aveva l’impressione che per lui il sesso fosse una costrizione e che lo considerasse umiliante, del perché avesse sempre avuto tanta paura di parlare con lui e rivelargli cosa lo tormentava, il perché dei suoi occhi colpevoli e tristi, dei sui malesseri improvvisi non appena avessero finito l’amplesso… quante volete lo aveva sentito piangere e vomitare dietro la porta del bagno chiusa?

Akira sollevò il volto dal pavimento e fissò la schiena del suo ragazzo incredulo: come aveva fatto a tenersi dentro tutto quanto per così tanto tempo? Come aveva fatto lui, che diceva di amarlo, a non capirlo prima? Eppure i segnali c’erano ed erano tanti, evidenti. Come aveva potuto metterlo con le spalle al muro, obbligandolo a scegliere tra l’andare a letto con lui o il lasciarsi?

Abbracciò di slancio Hanamichi, ancora intento a lavarsi, cominciando a piangere: “ Hana, perché non me l’ hai mai detto? Avrei potuto aiutarti, avrei potuto provare a rendere le cose meno dolorose per entrambi e soprattutto non ti avrei mai obbligato a fare qualcosa che ti

ferisse ”.

Hanamichi chiuse l’acqua girandosi nell’abbraccio del ragazzo che amava e cercando la sua protezione e il suo calore.

Si sentiva sempre così solo, sfinito e al freddo dopo una crisi, soprattutto se così violenta.

Lentamente scivolarono a terra restando abbracciati. Akira si appoggiò alla parete tirandosi contro Hana che aveva cominciato a singhiozzare.

Lo fece accoccolare tra le sue gambe, contro il suo petto cercando di calmarlo cullandolo dolcemente.

Da dietro la porta si sentivano arrivare le voci preoccupate dei presenti che si chiedevano come fosse potuto succedere, cosa aveva scatenato quella reazione o se avesse qualche grave malattia.

Quest’ultima domanda, la più frequente, martellava anche nella mente di Akira che avendo notato le macchie di sangue sui vestiti dell’amico aveva ripensato a quanto successo e alle pillole che il Rossino si era fatto portare.

Dopo qualche minuto Hanamichi smise di piangere, o almeno si calmò un po’, permettendo ad Akira di fargli la domanda più importante di tutte in quel momento: “ Hana, tesoro, cosa è successo? Sei malato, a cosa ti servono queste pillole?”

“ Non preoccuparti Aki, non è una cosa grave e poi erano anni che non avevo più una crisi. Mi porto sempre a presso le pillole per sicurezza ma non né avevo più avuto bisogno, anche se sospettavo che stasera sarebbe potuta andare così… tu hai capito vero? Hai capito quello che…”.

“ Si Hana, ho capito. Perché non mi hai detto nulla? ”.

“ Non sapevo come fare. Avevo paura che ti saresti allontanato da me perché in fondo mi sento colpevole per quanto è successo. Non volevo perderti e poi lui è il tuo ex ragazzo e non sapevo come avresti potuto prenderla ”.

“ Che vuoi che m’importi di lui. Cosa è successo tesoro? Ti conosco e sono sicuro che tu non ne hai colpa ”.

“ Se non fosse così? Se non mi volessi più? Io non voglio perderti ”.

“ Mi avevi promesso che mi avresti detto tutto alla fine della festa. Ora che so cosa è successo cosa vuoi che cambi il come? Niente, io ti amo! ”.

 

“ Se tu venissi a letto con me… ti giurò che uscirei per sempre dalla tua vita ”.

Dopo quelle parole, dette quasi in un sussurro, si era voltato per raccogliere la sacca, che aveva poggiato a fianco al suo ex armadietto, convinte che non ci sarebbe stato un seguito e invece…

Due braccia forti lo spinsero in avanti con violenza e lui battè la testa contro lo spigolo dell’armadietto. Dopo il colpo era scivolò a terra privo di sensi e così rimase per diversi secondi; il tempo necessario perché la Kizune riuscisse ad afferrare la cintura del suo accappatoio, trascinarlo fino ad una piastra del riscaldamento e legarcelo contro.

Quando Hanamichi aveva ripreso conoscenza era ormai legato saldamente ad uno dei tubi che entravano nel muro partendo da termosifone. Rukawa gli aveva già tolto la maglietta e ora stava armeggiando con i pantaloni.

Hanamichi impiegò qualche istante a registrare la situazione, il dolore pulsante alla tesata non gli permetteva nemmeno di tenere gli occhi aperti. Capiva soltanto che le sue mani erano bloccate, che le braccia erano allungate, che il suo torace poggiava su qualcosa di morbido e ruvido al contempo, forse un materassone, e che le sue ginocchia poggiavano sul pavimento.

Non fece in tempo a chiedersi cosa stesse succedendo che una voce fredda e ironica gli sussurrò all’orecchio la risposta a tutte le sue domande: “ ora avrai ciò che mi hai chiesto D’hao, ma ricordati che poi dovrai mantenere la promessa”.

Così dicendo si posizionò alle spalle del compagno e abbracciandolo per la vita per tenerlo fermo, lo penetrò.

Hana non ebbe il tempo di rispondere, nemmeno il tempo di pensare, che un dolore fortissimo gli trapassò le membra.

Non riuscì a non gridare per il dolore mentre Rukawa, senza aspettare un solo secondo, iniziò a muoversi con forza dentro di lui, uscendo completamente e riaffondando con violenza.

Dopo un primo memento sommerso da paura e dolore, Hanamichi cominciò a gridare, piangere e implorare la Kizune di smettere, di fermarsi e di lasciarlo andare ma la sua nemesi non era affatto del suo stesso parere.

Il tempo sembrò dilatarsi e non finire mai sotto quelle spinte violente. A nulla servirono le sue suppliche e le sue grida disperate di dolore.

Rukawa non si era fermato e anzi, sembrava galvanizzato da tutte quelle grida.

Affondò un’ultima volta il lui venendo dentro il suo corpo. Non aveva mai provato un orgasmo di portata simile, tanto che la sua idea di lasciare andare la sua vittima dopo una bella lezione svanì, lasciando il posto a idee ben più crudeli.

Dopo aver ripreso fiato usci senza premure dal corpo tremante del compagno di squadra, indeciso su cosa potesse fargli ora.

“ Mi hai sporcato di sangue D’hao. Non si fa così ”. Dette queste parole salì sopra il materassone sedendosi sulle braccia distese e legate del Rossino e ponendogli il suo sesso sporco di sangue e nuovamente eccitato davanti al volto. “ Ora devi pulirlo ”.

Hanamichi sollevò gli occhi verso di lui implorante ma era più che evidente che Rukawa non avesse alcun’intenzione di lasciarlo andare. Provò ugualmente a chiedergli di smettere e di lasciarlo andar via, giurandogli che non avrebbe detto nulla a nessuno e che sarebbe sparito come promesso ma non servì a nulla. Alla fine dovette arrendersi all’evidenza e fare ciò che il suo carnefice gli chiedeva.

Chiuse gli occhi più forte che poteva mentre con la lingua ripuliva dal suo sangue il membro pulsante di Rukawa e poi lo accoglieva nella sua bocca per succhiarlo come gli era stato imposto. Non ci volle molto prima che l’orgasmo travolgesse il suo aguzzino, che si riverso nella sua bocca.

Ma neanche a quel punto Rukawa sembro intenzionato a lasciarlo andare.

Hanamichi interruppe il suo racconto per osservare il volto di Akira. Il ragazzo più grande teneva gli occhi chiusi, dai quali scendevano lacrime silenziose; stringeva stretto a se il Rossino come a volerlo proteggere almeno dai ricordi di quella crudeltà.

“ Mi dispiace così tanto Hana. Io non avevo capito nulla, non sono riuscito a cogliere tutti i messaggi che m’inviavi, pensandoci adesso mi rendo conto che erano così tanti. E io non ho fatto nulla per aiutarti e ti ho persino imposto quello stupido ultimatum. Io…”.

“ Schhh non è colpa tua ma mia. Avrei dovuto dirtelo subito ma non avevo il coraggio. Tu hai reagito come avrebbe fatto chiunque. Io ti ho sempre amato, come ti amo adesso, e nonostante mi sia sempre fidato di te non ho saputo dimostrartelo”.

“ Vorrei che finissi il racconto Hana. Questa sarà l’ultima volta in cui dovrai ricordare queste brutte cose, ci penserò io a te ma vorrei sapere tutto ”.

Dopo un piccolo segno d’assenso Hanamichi continuò il suo racconto:

Rukawa si alzò senza ascoltare le suppliche di Hanamichi posizionandosi nuovamente alle sue spalle. Hana cominciò a tremare e piangere nuovamente, era terrorizzato dal comportamento di Rukawa e dalle sensazioni che gli dava il suo corpo. Sentiva delle forti fitte e non riusciva a muovere le gambe.

La Kizune cominciò a far scorrere le sue mani sul corpo del Rossino, sulle spalle, sulla schiena, sui fianchi, sul sedere proseguendo la sua corsa tra le gambe e afferrando con forza il suo sesso.

“ Continui a piangere e lamentarti ma sono sicuro che muori dalla voglia che muova la mia mano, non è vero ?”.

Hanamichi non rispose, cercava di tenersi calmo e di assecondare i movimenti del compagno che stringeva con troppa forza.

Rukawa lasciò la presa di scatto e fece voltare il Rossino senza alcuna gentilezza, strappandogli altre grida di dolore.

Salendo a cavalcioni su di lui e facendo presa con le braccia sui fianchi, lo sollevo leggermente per spostare il corpo verso l’interno del materassone. Dopo aver fatto passare le gambe di Sakuragi sulle sue spalle, Rukawa entro prepotentemente in lui, di nuovo, con forza. Senza alcun rispetto. E mentre lo possedeva, continuava a fissare il suo volto stravolto dal dolore.

Quando finalmente si fu svuotato nel corpo del compagno, usci da lui dirigendosi verso la doccia per ripulirsi.

Solo quando era ormai pronto ad andarsene, si degnò di slegare le mani di Hanamichi senza dire nulla.

“ Ho dovuto chiamare mio fratello per farmi venire a prendere… Riuscivo a malapena a respirare. Sono stato in ospedale per due giorni poi mi sono fatto dimettere e sono andato direttamente all’aeroporto. Sono rimasto bloccato a letto per un mese, un mese orrendo in cuoi non riuscivo a fare altro che pensare e ripensare a tutto questo. E stato allora che ho avuto le prime crisi….”.

Un forte rumore  seguito da delle grida riportò alla realtà i due ragazzi seduti sul pavimento del bagno che affacciandosi alla porta videro Koshino e Mitsui che cercavano di picchiare Rukawa ma senza riuscirci, dato che gli altri li avevano bloccati.

Hanamichi rimase ghiacciato, non riusciva a credere che i suoi amici avessero sentito tutto. Akira, invece, si avvicinò a Rukawa dopo aver fermato i due amici; gli sferrò un pugno intimandogli di andarsene, immediatamente.

Dopo un momento d’esitazione, Rukawa non poté fare altro che ubbidire e andarsene.

Koshino, avendo notato Hanamichi sulla porta del bagno gli si era avvicinato con passo deciso: “ Voglio scusarmi con te Hana. Non avrei dovuto dire quelle cose prima. Avevi ragione, non conoscevo affatto la situazione”

“ Non importa ”.

Non appena Akira si riavvicinò a lui Hanamichi lo abbracciò forte, affondando il volto nel suo petto. “ Voglio andare via, Akira, per favore”

“ Certo Hana, ora andiamo via ”.

Senza riuscire a salutare nessuno, Hanamichi si fece accompagnare all’uscita tra gli sguardi preoccupati degli amici e poi fino al suo albergo.

I ragazzi fecero tutto il tragitto dal locale alla stazione, il viaggio in treno e poi il tratto fino all’albergo senza mai parlare. Hanamichi continuava a camminare a testa bassa e a piangere e Akira non sapeva che altro fare se non tenere stretta la sua mano.

Arrivati in albergo Hanamichi si rifugiò subito sotto le coperte esausto.

Akira aveva capito che aveva il permesso di restare lì con lui anzi, non pensava che Hanamichi gli avrebbe permesso di lasciarlo andare. Indossò il suo yukata e si sdraiò accanto al suo ragazzo, ritrovandoselo subito tra le braccia un pulcino spaventato. Nonostante i suoi 26 anni il Rossino continuava ad avere un’aria innocente, come quella di un bambino di 4 o 5 anni, che faceva una tenerezza incredibile. Rimase tutta la notte a vegliarlo, posandoli piccoli baci tra i capelli e sulla fronte, passandogli piano le dita tra i capelli.

La mattina dopo, quando Hanamichi si svegliò era ancora accoccolato tra le braccia del suo ragazzo che lo teneva stretto a se. Quanto gli era mancata quella sensazione di casa, d’affetto e di sicurezza che solo la presenza del suo amore gli sapeva infondere? Quante notti era che non dormiva così bene?

Questa volta non si sarebbe fatto scappare quell’angelo dal sorriso solare, dalle labbra di miele e dai modi un po’ hentai.

Poter dormire con la testa appoggiata alla sua spalla, con le labbra che sfiorano la base del collo, e poter respirare il suo profumo… non esisteva nulla di più bello. E poi le braccia forti che gli cingevano il torace e il battito del suo cuore rendevano quel momento magico.

Proprio in quel momento così bello, racchiuso nel calore dei loro corpi, si rese conto che una cosa sola poteva essere più bella: fare l’amore.

Dopo tanto tempo in cui solo il pensare a quell’atto lo faceva stare male si rendeva conto che lo desiderava. Non aveva più paura, voleva soltanto rendere felice quel ragazzo che per tanto tempo lo aveva sopportato e nonostante tutto continuava ad amarlo, desiderarlo e rispettarlo.

Forse era arrivato anche per loro il momento d’essere felici.

 

Owari

 


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