Paura
di Alessia
parte V
Gli
aveva davvero detto addio?
Lo
aveva lasciato sul serio?
Si
voltò indietro, lo sguardo puntato sulla vetrata dell’ultimo piano.
Forse
sarebbe dovuto tornare indietro, chiedergli di perdonarlo e… no…
Scosse
la testa, riprendendo a camminare.
Probabilmente
lo avrebbe ripreso con se, ma poi tutto sarebbe ricominciato da capo.
Amore
folle, indifferenza, amore folle, indifferenza, amore folle, indifferenza,
amore folle…
No,
non sarebbe stato in grado di sopportarlo, non un’altra volta.
Aveva
fatto tutto ciò che poteva.
Aveva
cercato di stargli vicino, ma il coraggio di amare era una cosa che
avrebbe potuto trovare solo dentro di se.
Sapeva
che non avrebbe amato più nessuno dopo Damien, per questo sperava che
l’altro trovasse quel coraggio al più presto.
Sperò
che Damien non volesse condannare entrambi alla sofferenza perpetua.
Fermò
un taxi, facendosi portare a casa.
Casa…
lui aveva lasciato la sua vera
casa.
Si
chiuse piano la porta della sua camera alle spalle, poggiandovisi contro.
Perché?
Perché
non era riuscito?
Avrebbe
potuto darglielo lui il coraggio, ne aveva in abbondanza per entrambi.
Scivolò
a terra, senza forze.
Non
avrebbe mai potuto dare coraggio a Damien, solo lui poteva trovarlo.
Sul
pavimento, col cappotto ancora indosso, pianse tutte le sue lacrime sino a
sfinirsi e addormentarsi.
In
qualche modo era riuscito a smettere di piangere, forse le aveva finite…
Alzandosi,
si diresse verso il bagno, si spogliò ed entrò nella doccia.
Aiden
lo aveva lasciato.
Sapeva
che sarebbe accaduto… si era preparato. E allora perché il suo cuore
gridava dal dolore?
Perché
si sentiva come se gli fosse stata strappata l’unica cosa che lo tenesse
in vita?
Dimmi che mi ami…
non c’era riuscito, aveva tentato, ma aveva fallito.
Non abbastanza…
la fiducia che gli aveva accordato non era abbastanza… com’era
possibile?
Non
lo avrebbe più rivisto.
Non
ci sarebbero più stati scherzi idioti a svegliarlo e profondi oceani blu a
dargli il buongiorno.
Soffriva
come mai aveva pensato di poter soffrire.
Ma
se avessero continuato a stare insieme e poi Aiden fosse morto la
sofferenza non sarebbe stata dieci mila volte superiore?
Tu non vuoi soffrire, ma non esiti a
far soffrire gli altri…
Era
vero. Col suo comportamento aveva sempre evitato di soffrire, ma chissà
quanto male aveva fatto alle persone che gli stavano vicino.
Si
sedette nella doccia, il viso verso il getto d’acqua.
Ricominciò
a piangere, al pensiero che avesse potuto far piangere e soffrire Aiden.
Cassandra
Hamilton entrò nella stanza di suo figlio con la stessa forza di un
tornado.
Era
stata chiamata da Liam, mentre era a Toronto, informata che Aiden era
tornata a vivere nel loro appartamento e che non usciva dalla sua stanza
da tre giorni, rifiutandosi di mangiare.
Liam
lo sentiva piangere tutte le notti.
“Andatevene!”
urlò.
Si
sedette sul letto per lanciare qualcosa contro l’intruso, ma sua madre
fu più veloce e lo abbracciò stringendolo a se, incurante dei suoi
tentativi di liberazione.
Smise
di agitarsi e tornò a piangere fra quelle braccia che lo cullavano
amorevolmente.
La
donna gli passava le dita fra i capelli, come quando era piccolo. Non
sapeva cosa potergli dire.
Aiden
era il ritratto della disperazione.
“Mamma…”
mormorò.
Cassandra
si allontanò di poco, il necessario per guardarlo negli occhi. Gli asciugò
le guance con le dita, sorridendogli triste.
“Damien…
non sono riuscito… perché? Com’è possibile? Com’è possibile…
che l’amore non sia sufficiente?”
La
donna non capì a pieno, ma non fece domande “Non lo so, tesoro… non
lo so…” rispose abbracciandolo di nuovo.
Perché
non spegneva la sveglia?
Borbottando
fece uscire una mano dal calduccio delle coperte per zittire
quell’arnese infernale.
Voltandosi,
si portò verso la metà di Aiden che, chissà perché, non si era
svegliato.
Il
suo lato era freddo… come mai?
Poi
ricordò.
Il
ricordo degli ultimi giorni lo colpì come un treno in corsa.
Non abbastanza…. queste
parole lo tormentavano.
Il
suo coraggio non era abbastanza… come il suo amore… non era abbastanza
forte da tenere vicino a se coloro che amava.
Come
poteva un sentimento tanto bello far soffrire tanto? Forse non era poi così
bello.
Amare.
Amare
significa avere coraggio… un coraggio che lui non possedeva.
Anche
volendo cambiare, non ci sarebbe mai riuscito, perché gli mancava la cosa
fondamentale.
Chissà
cosa stava facendo Aiden?
Forse
si trovava nelle sue stesse condizioni.
Al
ricordo di quegli occhi gonfi, che lui aveva reso tali, il cuore gli si strinse.
Spero che un giorno capisca…
Forse
soffrivano adesso, ma questo era niente se confrontato col dolore che
avrebbero provato continuando a stare insieme e alla successiva perdita
l’uno dell’altro.
In
qualche modo sua madre era riuscita a farlo uscire dalla sua stanza e a
farlo mangiare.
Non
le aveva ancora raccontato tutto, ma sapeva che prima o poi lo avrebbe
fatto.
Forse.
E
ora… ora lo stava portando via da Damien.
Aveva
deciso di portarlo con se in viaggio per farlo distrarre.
Poggiò
la testa contro il finestrino dell’aereo che volava sopra le nuvole, in
quel momento sembrava un bambino col disperato bisogno di conforto.
Come
aveva potuto fallire? Razionalmente – se di razionalità si può parlare
quando c’è di mezzo l’amore – sapeva di aver fatto tutto il
possibile e d’aver preso la decisione più saggia.
Ma
chi spiegava tutto questo al suo cuore?
Il
cuore sapeva solo che non era più accanto a Damien.
Solo
questo sapeva e solo questo lo interessava.
Il
suo cuore desiderava un’unica cosa: tornare da Damien e ricominciare a
battere.
“Dammi
un doppio whiskey” era seduto al bancone del bar di Mark “Posta?”
Dio, fa che ci sia qualcosa…
Prima
fosse tornato in pista, prima avrebbe dimenticato.
Forse.
L’uomo
gli posò davanti il bicchiere ed una busta bianca.
“L’hanno
portata un paio d’ore fa. Stranieri”
Damien
annuì, trangugiò il liquore, prese la busta mettendola nella tasca
interna del cappotto e lasciò dei soldi sul bancone.
“Ci
vediamo, Joel!”
L’altro
gli fece un cenno di saluto con la mano.
Sempre
se prima non mi ammazzo…
Mafia.
Non
ne sapeva molto, e quel poco che sapeva non gli piaceva affatto.
Perché
la mafia si sarebbe dovuta rivolgere a lui? Erano per caso sotto organico?
Inviò
l’e-mail all’indirizzo scritto sul foglio.
Forse
non era prudente mettersi al loro servizio, ma voleva tornare al lavoro il
prima possibile.
Lo
sguardo gli cadde sul tagliacarte d’argento, lo prese.
Ci
si poteva quasi specchiare nella sua lama, era ben affilata.
Come
in trance avvicinò la punta al polso sinistro, affondando un poco e
passandolo verticalmente.
Sordo
al dolore, si procurò un taglio di qualche centimetro.
Del
sangue uscì dalla ferita, sangue che osservò scivolare lungo
l’avambraccio sino ad esaurire la sua corsa.
Posò
l’oggetto e prese il blocco degli appunti da uno dei cassetti dello
scrittoio.
Caricò
la stilografica con dell’inchiostro nero e iniziò a scrivere…
Io, Damien Shaughnessy, sano nel corpo
e nella mente…
Il
volo British Airways atterrò con un leggero anticipo all’aeroporto
Leonardo da Vinci di Roma.
Dopo
il controllo passaporti, Devlin Forsyth, entrò in Italia.
All’uscita
dalla dogana c’era un uomo col suo nome scritto su un foglio.
Si
avvicinò “Sono io. Possiamo andare”
L’altro
annuì e lo guidò sino ai parcheggi multi piano dove lo attendeva
un’anonima Fiat Brava.
Dopo
avergli preso il bagaglio a mano, un altro uomo lo perquisì in cerca di
armi.
Non devono essere molto intelligenti
se pensano che mi porti un’arma durante un viaggio aereo…
Damien
fu fatto salire sull’auto, un uomo accanto a lui, l’altro davanti con
l’autista.
Non
sapeva dove erano diretti e non gli interessava.
La
macchina entrò sulla 201 e Damien si rilassò cercando di godersi il
paesaggio.
Philadelphia.
Un
cliente molto importante dello studio legale Lyon&Hamilton
aveva deciso di cambiare assistenza legale e sua madre era lì per
convincerlo a ripensarci.
Cassandra
si assentava per molte ore, ma quando tornava in albergo lo spronava a
muoversi, ad uscire.
Il
più delle volte lo trascinava a forza, supplicandolo quasi.
Ma
Aiden non ce la faceva. Era in un profondo stato di depressione e solo una
persona avrebbe potuto cambiare quello stato di cose.
Fissando
suo figlio, rannicchiato in posizione fetale sul letto, Cassandra desiderò
poter aprire la testa di Damien per vedere cosa ci fosse dentro.
Probabilmente
avrebbe trovato il vuoto assoluto.
Era
sera quando la macchina si fermò e Damien sapeva solo di trovarsi in
Toscana.
Fu
fatto entrare in una tipica casa di campagna italiana, gli mostrarono la
sua stanza e gli consigliarono una buona notte di sonno, perché il giorno
successivo avrebbe incontrato il suo futuro datore di lavoro.
Passò
la notte in bianco in realtà.
Non
voleva ammetterlo, ma era nervoso… aveva uno strano presentimento.
La
colazione gli fu servita in camera alle otto e mezzo.
Poco
meno di un’ora prima aveva sentito delle macchine arrivare.
Alle
nove uno degli uomini dell’aeroporto lo venne a prendere portandolo in
biblioteca.
Fu
fatto accomodare nella stanza vuota.
Diede
un’occhiata in giro, avvicinandosi alla libreria a muro sino al
soffitto. Prese un libro per sfogliarlo, ma si ritrovò con un blocco di
libri finti in mano.
Ridacchiando
rimise tutto a posto.
La
stanza era anonima, nulla che la facesse sentire viva.
Sospirando
si sedette su una delle poltrone, chiedendosi, per l’ennesima volta, se
avesse fatto bene.
La
mafia non era semplice terrorismo, come l’E.T.A. o l’I.R.A., ma una
struttura molto più complessa e pericolosa, le cui lunghe braccia
raggiungevano vertici sempre più alti.
“Benvenuto
in Italia, signor Forsyth”
Damien
si alzò, voltandosi e trovandosi di fronte un uomo sulla sessantina,
l’aria del nonno affettuoso, ma i suoi occhi parlavano di spietatezza e
crudeltà.
Accanto
a lui un altro uomo, di non più di quarant’anni che avrebbe svolto il
ruolo d’interprete.
I
due si sedettero l’uno sul divano, l’altro sulla poltrona di fronte a
Damien.
“Avevo
sentito dire che non lavorava più”
“Ho
avuto da fare” a distruggermi la
vita e a ridurmi il cuore in poltiglia sanguinolenta.
Il
mafioso annuì alla rapida traduzione.
“Cinque
milioni di sterline” Damien non mosse un muscolo, ma il suo cuore perse
un battito “E’ questo quanto le offro”
“Chi
dovrei uccidere per tale somma? Il Papa?” chiese sorridendo.
L’uomo
sorrise a sua volta, scuotendo la testa “Nessuno di così importante”
prese una foto dalla tasca interna della giacca e gliela porse.
Damien
la prese, esitante, ancora una volta quella strana sensazione.
Come
al rallentatore si vide abbassare lo sguardo sulla foto.
Il
cuore smise di battere, intorno a lui tutto divenne nero, la presa più
forte sull’immagine.
Aiden.
La riconsegnò al
mafioso “Come mai lo volete morto?” lo sforzo immenso di tornare alla
realtà, di pronunciare quelle poche parole lo avevano quasi svuotato.
“Pensavo
che lei non facesse domande” replicò l’uomo lievemente contrariato.
Con
un sforzo sovrumano cercò di sorridere e scuotere le spalle, indifferente
“Mi chiedevo solo cosa avesse fatto un ragazzo così giovane per
meritare la vostra condanna”
“In
realtà il ragazzo non ha fatto nulla” spiegò l’uomo “Ma sua madre
ha perso una causa che avrebbe dovuto vincere”
Tutto qua…
volevano il suo Aiden morto solo
per quello?
“Perché
il figlio? Non sarebbe stato più logico uccidere la donna?”
L’uomo
divenne rosso di rabbia a stento trattenuta, e sebbene non ne fosse sicuro
Damien suppose che avesse cominciato a parlare in dialetto “Quella
puttana, dieci anni fa ha fatto condannare a morte mio figlio in America,
e questo paese del cazzo non ha voluto chiedere l’estradizione perché
sa che è mio figlio. Quando l’avranno ucciso non potrò più vederlo,
ma quella troia dovrà provare lo stesso dolore che mi ha inflitto”
Damien
annuì “Capisco. Accetto”
L’altro
sorrise come se nulla fosse accaduto “Bene. Voglio che lo uccida il
venti febbraio, è lo stesso giorno in cui uccideranno mio figlio” si
alzò ed uscì dalla stanza.
“Signor
Forsyth?” Damien fu richiamato all’attenzione dall’interprete, che
gli porgeva una foto di Aiden “Questo è il suo obiettivo, Aiden Lyon.
Dovrà essere lei ad informarsi sulla vita del ragazzo. Le crea
problemi?” Damien scosse la testa e l’altro annuì “Domani troverà
sul suo conto la metà della cifra pattuita, il resto a lavoro ultimato”
alzandosi, se ne andò anche quest’ultimo.
Alcuni
minuti più tardi sentì una macchina partire.
Aveva
accettato l’incarico, ma era ovvio che non l’avrebbe portato a
termine.
Accettare
era stato l’unico modo per proteggere Aiden, quell’uomo sarebbe stato
disposto ad ammazzare mezza Londra pur di raggiungere il suo scopo, glielo
aveva letto negli occhi.
Aveva
un mese di tempo.
Doveva
organizzare la sua fuga, a partire dal venti febbraio Aiden sarebbe stato
l’obiettivo principale della mafia e di tutti i sicari che questa
avrebbe assunto.
Dopo
circa un’ora fu riaccompagnato all’aeroporto dagli stessi uomini del
giorno precedente e quattro ore più tardi era di nuovo nel suo
appartamento.
Vuoto.
“Buongiorno,
casa Hamilton”
“Vorrei
parlare con Aiden, per favore”
“Un
momento, prego”
Liam
portò il telefono a Cassandra, come gli era stato ordinato.
“Signora
Hamilton, il signor Shaughnessy al telefono per Aiden”
“Grazie Liam”
prese il telefono e riaprì la comunicazione solo quando l’uomo si
richiuse la porta alle spalle “Cosa vuoi Damien?"
L’altro
non si stupì nel sentire la voce della donna “Devo parlare con Aiden,
Cassandra. E’ molto importante”
La
donna stinse la cornetta “No, ora ti dico io cosa è
importante. E’ importante che Aiden non ti riveda mai più. Non hai idea
di quanto stia soffrendo, non esce di più di casa, non parla e non
mangia. Rivederti non aiuterebbe, anzi, peggiorerebbe la situazione”
detto questo interruppe la comunicazione.
Aiden
era in uno stato di profonda depressione.
Sembrava
che non ci fosse modo per farlo uscire e tornare alla vita.
Se
Aiden non usciva di casa non era possibile che qualcuno gli facesse del
male.
Bene.
Avrebbe
dovuto studiare un modo per portarlo al sicuro. In realtà il suo piano
era di parlare con Cassandra sin dall’inizio e sapere come stesse Aiden.
Non
sarebbe mai riuscito a parlare con lui tranquillamente.
Sospirando
riprese il telefono e cominciò a fare una serie di telefonate e ricerche
su Internet.
“Aiden,
che ne dici di venire con me a Lisbona? Ti divertiresti, staremmo insieme,
se vuoi potrebbe venire anche Sarah…”
Il
ragazzo, seduto su una poltrona con lo sguardo fuori dalla finestra scosse
la testa “No, grazie mamma. Non me la sento di viaggiare” poi con
improvvisa curiosità “Chi era al telefono?”
La
donna sobbalzò leggermente “Avevano sbagliato numero”
Aiden
annuì, tornando a fissare il vuoto oltre la finestra.
Neanche
Perry Mason sarebbe riuscito a scagionare quel ragazzo!
Claudio
Fiorini – studente di Economia alla NYU – aveva rapito, violentato,
seviziato e infine ucciso una ragazza di diciotto anni, il cui unico
errore era stato l’aver accettato un appuntamento da quel ragazzo
italiano dai modi così gentili.
Claudio
aveva nascosto la ragazza in casa sua, in cantina, e quando Caryn Malloy
era morta aveva semplicemente gettato il corpo in una discarica.
Quando
la polizia aveva perquisito l’abitazione del ragazzo, aveva trovato
tracce di sangue sul pavimento e su alcuni utensili che Claudio aveva
usato come strumenti di tortura.
Cassandra
Hamilton aveva tentato l’unica linea difensiva possibile invocando
l’infermità mentale, ma gli esperti lo avevano giudicato perfettamente
in grado di scindere il bene dal male.
Il
caso aveva fatto molto scalpore sia in America che in Italia, il cui
governo aveva tentato l’estradizione una sola volta, per poi lavarsene
le mani, nonostante le insistenze di Carlo Fiorini.
Damien
lesse tutto con avidità.
Del
processo, degli affari di Fiorini, della sua vita.
Se
vuoi sconfiggere il tuo nemico devi conoscerlo come fossi il suo migliore
amico.
Il
telefono squillò.
Era
l’otto febbraio.
Era
tutto pronto, documenti falsi, prenotazioni aeree e alberghiere.
Aveva
assunto un investigatore privato, un mediocre, che non faceva domande e
gli bastava ricevere i suoi soldi per eseguire qualsiasi ordine.
Ora
mancava solo Aiden.
Dal
rapporto che l’investigatore gli aveva consegnato, risultava che Sarah
si recava da lui tutti i giorni – ad orari variabili – costringendo il
ragazzo ad uscire e a fare una passeggiata.
La
madre era partita da alcuni giorni per il Portogallo.
L’unico
momento in cui poteva prendere Aiden con se era quando usciva con Sarah.
Ed
era quello che stava aspettando. Dalle nove di quella mattina.
Anni
di pratica l’avevano aiutato a diventare invisibile
e a passare inosservato, ma non sarebbe potuto rimanere per tutto il
giorno.
Poi
la vide. Sarah che scendeva da un taxi ed entrava nel palazzo.
Ora
avrebbe dovuto aspettare un’altra mezz’ora, un’ora, prima di
rivederla con Aiden.
“Ti
prego Aiden... vedrai che ti farà bene uscire e respirare dell’aria
fresca...” non sapeva più come fare a convincerlo.
Era
importante che Aiden non si isolasse, aveva anche pensato di trasferirsi a
casa sua, ma in questo modo Aiden si sarebbe sentito sotto controllo e
aveva rinunciato.
Così,
adesso, cercava di passare con lui più tempo possibile, cercando di farlo
uscire e farlo tornare alla vita.
Lo
sguardo le cadde sulla macchina fotografica, si inginocchiò di fronte a
lui, prendendogli una mano “Potresti fare delle foto, è da tanto che
non ne fai...”
Il
ragazzo tolse la mano dalla sua, bruscamente “Non ne ho voglia”
Sarah
sospirò. Aveva un’ultima carta da giocare, crudele, ma se fosse servita
allo scopo...
“Che
ne dici di andare a St. James’ Park? Dopo, se ti va, potremmo andare a
cena al Blue River”
Aiden
si voltò di scatto, gli occhi di nuovo vivi.
Eccoli!
Stavano uscendo dal portone.
Si
mantenne a distanza di qualche metro, quando fossero... ma dove diavolo
stavano andando?!
Accidenti,
aveva programmato di avvicinarli quando fossero stati soli nel parco, ma
ora si stavano dirigendo verso la metropolitana.
Dannazione!
C’era una sola possibilità a quel punto.
“Ciao
Aiden”
Il
ragazzo si bloccò di colpo, girando su se stesso, incredulo.
“Damien...”
sussurrò.
Dio,
com’era bello rivederlo, annegare di nuovo nei suoi profondi occhi blu.
Non
esisteva più niente e nessuno intorno a loro.
Aiden
e Damien.
Damien
e Aiden.
Nessuno
poteva modificare il destino.
“Cosa
ci fai qui, Damien?”
A
fatica l’uomo staccò lo sguardo da Aiden per concentrarsi su Sarah.
“Sono
venuto a prendere Aiden. Tieni” le porse una busta color crema “Quando
tornerà dai questa a Cassandra” poi di nuovo guardando Aiden e
prendendolo per mano: “Vieni, andiamo”
L’altro
annuì, felice come mai da quattro mesi a quella parte. Ma qualcosa lo
tratteneva.
“Lui
non viene da nessuna parte con te” era Sarah che lo tratteneva per il
braccio.
“Sarah...
è importante che lui venga con me...”
Si
guardarono negli occhi, poi, lentamente, Sarah lasciò il braccio di Aiden.
“Ti
prego...” mormorò “...non farlo soffrire ancora”
Damien
annuì “Non l’ho mai voluto” poi rafforzò la stretta sulla mano di
Aiden e lo portò via.
Sarah
stringeva in mano la busta, piuttosto voluminosa. Non sarebbe stato facile
dirlo a Cassandra.
Scuotendo
la testa si diresse di nuovo verso il palazzo.
No,
non sarebbe stato affatto facile.
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