Note&Disclaimers: tra
asterischi ciò che in originale era in corsivo e dati tecnici scopiazzati
da Clancy e Forsyth
Paura
di Alessia
parte III
Sarah era appena
tornata da Bali e lo aveva invitato a passare il fine settimana nella sua
casa in campagna nello Yorkshire.
Dopo alcuni
tentennamenti, Aiden accettò.
Era partito presto la
mattina molto presto da Digione, voleva attraversare il confine con la
Spagna entro sera.
Si fermò un paio di
volte lungo la strada per mangiare qualcosa e rilassarsi.
Alle otto si trovava
ancora a Montpellier, aveva trovato molto più traffico di quanto non
avesse pensato, così decise di passare la notte in albergo.
Chiamò Aiden, ma
quello che doveva essere il maggiordomo – e che non gli stava per niente
simpatico – affermò che il signorino Lyon aveva deciso di trascorrere
il fine settimana in campagna insieme ad un’amica.
Gli dispiacque non
potergli parlare, ma non ebbe il tempo di pensarci a lungo, doveva
studiare le cartine topografiche della zona di Matarò che aveva comprato,
segnando l’ubicazione della casa che Leandro Marquez aveva affittato per
le vacanze.
“Com’era Bali?”
I due ragazzi erano
seduti sul tappeto, davanti il camino acceso, sorseggiando una crema di
whiskey.
“Calda… molto
calda…” con un tono che tutto comprendeva, tranne il tempo
meteorologico.
Aiden le sorrise.
Sarah era una bellissima, spregiudicata e disinibita ragazza che mai
aveva, o avrebbe, avuto preoccupazioni di alcun tipo… tranne quella di
divertirsi il più possibile.
“E tu come mai non
se andato da nessuna parte?”
Aiden scosse le
spalle come a dire che non ne aveva avuto voglia, ma Sarah non era così
stupida.
“Uomo o donna?”
chiese.
Il ragazzo sorrise,
non poteva nasconderle nulla “Uomo”
“Ed è carino?”
“Molto”
“E a letto com’è?”
era quella la sua vera curiosità.
Aiden si sdraiò sui
cuscini sparsi sul tappeto “Non lo so. Vuole aspettare non so cosa per
farlo”
Sarah spalancò la
bocca “Da quanto lo conosci?”
“Un mese, più o
meno” lo disse come se si fosse trattato di un anno.
“E ancora non sei
riuscito a scopartelo??”
Aiden le lanciò
un’occhiata divertita “Chissà… forse sto perdendo il mio
sex-appeal”
La ragazza rise,
sinceramente divertita, e con un aggraziato movimento si mise cavalcioni
su di lui.
“Povero Aiden…”
mormorò carezzandogli il torace sopra il maglione “Chissà come sarai
frustrato…”
Il ragazzo sorrise e
con fare melodrammatico disse: “Volete occuparvi voi di tale incombenza,
madamigella?”
A quelle parole una
delle mani di Sarah corse sotto il maglione alla ricerca di un suo
capezzolo.
“Con piacere,
messere” rispose, chinandosi su di lui e baciandolo.
Era partito la
mattina di buon’ora.
A poco più di metà
strada fra Port-la-Nouvelle e Perpignano entrò in una stradina
secondaria, lontano dalla strada principale.
In meno di cinque
minuti cambiò le targhe e i documenti dell’auto.
Prese i documenti di
Xavier Sorel e ripartì verso la frontiera.
Ogni persona, i cui
intenti non siano del tutto leciti, benedice ogni giorno l’abbattimento
delle frontiere operato dall’Unione Europea.
Una veloce occhiata
alla carta d’identità, uno sguardo all’abitacolo – se il poliziotto
era particolarmente scrupoloso – et
voilà! Xavier Sorel
era stato accolto a braccia aperte dalla Spagna, dove avrebbe tolto la
vita ad uno dei più bravi giudici impegnati nella lotto contro i
separatisti baschi.
Quella stessa sera si
presentò all’albergo di Badalona presso cui aveva prenotato.
Prima di
addormentarsi si augurò che Aiden stesse bene e che si divertisse con la
sua amica.
Avevano trascorso la
giornata a letto.
Solo a pomeriggio
inoltrato Sarah era riuscito a convincerlo ad alzarsi ed uscire per
prendere una boccata d’aria.
“Sei un
assatanato!” gli disse mentre camminavano all’interno del parco della
villa.
Lui scosse la testa
“Mi piace il sesso. Non vedo dove sia il problema”
La ragazza rise e
cominciò a correre avanti, subito inseguita da Aiden.
Arrivarono senza
fiato ad un piccolo boschetto.
Il ragazzo la circondò
da dietro, baciandole il collo.
Sarah reclinò la
testa di lato per facilitargli l’operazione, poi chiese: “E
l’altro?”
Aiden si fermò un
momento, poi rispose: “Non gli ho mica giurato fedeltà eterna”
Sarah rise e gli passò
una mano fra i capelli.
Aveva passato quei
cinque giorni studiando ogni movimento, ogni respiro di quell’uomo.
Marquez viveva in una
gabbia dorata.
Aveva tutto ciò che
si potesse desiderare, ma era costantemente seguito dalle sue guardie del
corpo e la stessa cosa valeva per la moglie e la figlia.
L’unico momento di
libertà completa che si
concedeva era verso le due di notte, quando usciva sulla terrazza della
villa e si fumava un sigaro.
Era quello il momento
in cui poteva ucciderlo.
E quella era la notte
giusta.
Damien si trovava
sulla cima di una piccola collina, a circa un chilometro
dall’abitazione.
Era sdraiato, col
fucile sul treppiedi dinanzi a se, in quella posizione da un’ora e
mezza, il mirino per visione notturna puntato sulla porta da cui sarebbe
uscito.
Marquez aveva un
grosso difetto, per uno che correva i suoi pericoli, era un abitudinario.
Cercando di
trattenere uno sbadiglio guardò l’orologio: 01.59.55
Passò lo sguardo
alla terrazza.
Puntuale come un
orologio svizzero, l’uomo aprì la porta finestra e raggiunse la
ringhiera.
Si affacciò per
guardare il mare infrangersi contro la scogliera sottostante, poi,
sospirando, spuntò il sigaro, lo mise in bocca e lo accese, aspirando
quel gusto di tabacco che per lui equivaleva alla libertà.
“Addio signor
Marquez” sparò tre colpi in rapida successione che non fecero alcun
rumore. Il primo aveva ucciso l’uomo prima ancora che gli altri lo
raggiungessero.
Raccogliendo la sua
roba tornò all’albergo.
Dopo una settimana di
vacanza Xavier Sorel lasciò la Spagna.
Sulla via del ritorno
rimise le targhe originale, buttando quelle false nell’Aude e bruciando
i falsi documenti.
Consegnò l’auto
all’aeroporto di Marsiglia da cui prese un volo per Parigi, e da lì un
altro per Londra.
Gale fece accomodare
Aiden all’unico tavolo apparecchiato, al centro della sala.
Damien lo aveva
chiamato quella mattina dicendogli di recarsi al ristorante alle sette e
mezza.
Ed ora eccolo lì,
seduto a quel tavolo illuminato dalla tenue luce di due candele.
“Una rosa bianca.
Pura come te” gli sussurrò Damien posandogli avanti un bocciolo di
rosa.
Aiden lo prese con
dita tremanti e voltandosi gli sorrise.
“Bentornato Damien”
L’uomo gli si
sedette di fronte sorridendo.
Aiden gli prese una
mano, intrecciando le loro dita, e gli sorrise dolcemente.
Cenarono
tranquillamente, cullati dall’ambiente ovattato, il ristorante solo per
loro, il quartetto d’archi che suonava in loro onore.
“Il dessert”
annunciò Gale. Il menù di quella cena era stata opera di quella donna
meravigliosa “Torta Regina di Saba” disse mostrando il dolce ricoperto
di cioccolato, per poi tornare nell’ombra.
“Vuoi ballare?”
Damien scosse la
testa “Mi spiace, sono un pessimo ballerino”
Aiden si alzò in
piedi, prendendolo per mano e trascinandolo al centro della sala. Si mise
le sue braccia all’altezza della vita e gli circondò le spalle con le
sue “Fatti trasportare dalla musica” sussurrò, prima di abbandonarsi
contro l’altro.
Dopo un attimo di
reticenza, Damien si lasciò andare stringendo a se quel corpo che
profumava di rose.
La stanza era
rischiarata solo dalla luce della Luna piena.
I corpi nudi distesi
sul letto si accarezzavano, baciavano in maniera quasi reverenziale.
Solo gemiti, sospiri
di piacere emettevano quelle bocche sempre più desiderose di baci.
Le mani esploravano,
studiavano ogni centimetro di pelle che riuscissero a toccare.
Qualcuno gli stava
facendo il solletico.
Infastidito si voltò,
ma il suo torturatore non la smetteva.
Socchiudendo un
occhio vide Aiden che lo sfiorava con la rosa che gli aveva regalato la
sera prima.
“Buongiorno”
Damien grugnì
qualcosa che sarebbe potuto passare – con molta fantasia – per un
saluto, chiuse gli occhi e cercò di riaddormentarsi.
Ma Aiden non era
dello stesso avviso.
Cominciò a
succhiargli e mordicchiargli il lobo di un orecchio.
Alla fine Damien si
ribellò, e con un rapido movimento lo inchiodò sotto di se, i polsi
bloccati sopra la testa.
“E ora?” chiese
con fare minaccioso.
“Mmh… credo di
aver raggiunto il mio scopo…” mormorò, muovendosi sotto di lui e
sentendo la sua erezione.
Sorridendo si chinò
a baciare le labbra di quel piccolo angelo tentatore.
Aiden se n’era
andato da meno di un’ora e già sentiva la sua mancanza.
Non
è vero! Tu stai benissimo da solo.
No,
tu hai bisogno di qualcuno, ed Aiden è il ragazzo perfetto.
Ecco che ricominciava
da capo.
Aveva ancora una
paura folle di innamorarsi, ma al contempo ne aveva bisogno.
Non sopportava
l’idea di poter essere ferito permettendo a qualcuno di avvicinarglisi
troppo, ma non riusciva più a stare da solo.
Voleva qualcuno
accanto a se. Qualcuno con cui parlare, ridere, persino litigare e poi
fare pace.
Qualcuno da amare.
Qualcuno che
prendesse il suo amore e lo conservasse come fosse la cosa più preziosa
del mondo. Esattamente come avrebbe fatto lui.
Aiden.
Aiden era la persona
giusta, ne era sicuro.
“Vorrei farti
conoscere una persona”
I due erano seduti
sul divano, Aiden accoccolato sul petto di Damien, l’odore di legno
bruciato che spandeva nell’aria.
“Chi?”
“Mia madre”
Damien s’irrigidì
impercettibilmente. Conoscere la madre di Aiden avrebbe voluto dire
portare la loro relazione su un nuovo piano.
Sapeva che l’altro
considerava la donna come la sua migliore amica. E se lui non le fosse
piaciuto? Se lo avesse considerato inadatto per suo figlio?
Era una reale
possibilità.
Aiden era tutto ciò
che si potesse desiderare: buono, generoso, gentile, innocente.
Si chiedeva tutti i
giorni come avesse fatto a scegliere lui.
Cos’aveva di così
speciale da far innamorare qualcuno di se?
Aiden si voltò,
fissandolo preoccupato “Mi… mi spiace, non volevo… forse tu non vuoi
incontrarla… e non sai come dirmelo, scusami, io…”
Damien lo zittì
posandogli un dito sulle morbide labbra.
“Sarei felicissimo
di conoscerla. Ma… pensi che le piacerò?”
Sembrava un cucciolo
bisognoso d’affetto quando si comportava in quel modo. Lo abbracciò
stretto, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo “Le piacerai
sicuramente. Tu piaceresti a chiunque” rialzò il viso e lo baciò
dolcemente.
Un bacio che divenne
sempre più profondo e di cui Damien prese il controllo.
“Allora? Com’è?”
“Non si stanca mai.
Fosse per lui passeremmo ventiquattr’ore al giorno a letto”
La ragazza rise
mentre gli porgeva la sua tazza di tea col latte.
“Direi che è la
persona adatta a te” disse facendogli l’occhiolino.
“Sarah…” fece
minaccioso.
“Dai, Aiden… non
è che a te questa cosa dispiaccia, ammettilo” lo stuzzicò.
L’altro rise
confermando la sua affermazione.
“Così stasera
conoscerà Cassandra. Pensi che andranno d’accordo?”
Il ragazzo si strinse
nelle spalle “Credo di si, hanno due caratteri piuttosto simili” si
alzò e indossò il cappotto “Devo andare. Ho appuntamento con Damien
alle sei e mezza al bar del Savoy”
Anche la ragazza si
alzò, accompagnandolo alla porta “Prima o poi dovrai farmelo
conoscere”
“Mai! Me lo
porteresti via in due minuti” disse ridendo.
Sarah rise scuotendo
la testa, augurandogli buona serata e salutandolo con una pacca sul
sedere.
Portare
via qualcuno ad Aiden…
Aiden era troppo
possessivo per permettere a chiunque di allontanarsi da lui, se non
quando, e se, si fosse stancato lui stesso.
“Damien Shaughnessy,
mia madre Cassandra Hamilton”
“Lieto di
conoscerla signora Hamilton” disse stringendole la mano. Si era sorpreso
nel riconoscere la stessa donna di quella sera al ristorante.
I due non sembravano
affatto madre e figlio, i lineamenti del tutto diversi, i capelli rossi e gli
occhi verdi di lei… l’unico momento in cui non si avevano dubbi sulla
loro parentela era quando sorridevano.
Lo stesso sorriso
limpido, aperto, felice.
“Mi chiami
Cassandra. Posso chiamarla Damien?”
L’uomo annuì.
Decisamente Aiden doveva aver ripreso in tutto e per tutto dal padre.
“Di cosa ti occupi
Damien?”
Erano a tavola e la
donna si stava, come ogni madre apprensiva, informando se la persona che
aveva davanti era giusta per suo figlio.
“Sono il
proprietario del Blue River”
La donna socchiuse
gli occhi, come se stesse cercando di focalizzare qualcosa che le
sfuggiva.
“Ora ricordo! Sei
stato tu a portare il dolce quella sera”
Damien annuì
sorridendo “Gale, la direttrice del ristorante, mi aveva chiesto di
aiutarla”
La serata trascorse
tranquilla, parlarono molto sebbene Aiden fosse quello che meno
partecipava alla conversazione.
“Sono contenta di
averti conosciuto Damien”
Erano nella hall
dell’albergo, la donna stava congedandosi piuttosto presto, il mattino
successivo sarebbe dovuta partire per San Francisco.
“Anche per me è
stato un piacere, Cassandra. Spero di poterti rivedere presto”
La donna annuì “Ne
sono sicura” sorrideva, felice che suo figlio avesse trovato qualcuno di
così speciale. Poi, inaspettatamente, si avvicinò e gli pose un bacio
sulla guancia, sorprendendolo alquanto “Vieni a casa con me, Aiden?”
“No, mamma”
“D’accordo” gli
sorrise e lo abbracciò “Ti chiamo domani quando arrivo” e salì sulla
limousine che la riportò a casa.
“Saresti potuto
andare con lei” gli disse Damien in macchina, una Porshe nera vecchia
modello.
Aiden non distolse lo
sguardo da finestrino, ma sorrise “No, tanto appena arrivata si metterà
a dormire e domattina partirà all’alba. Come vedi non avremmo passato
molto tempo insieme” concluse.
“E questo ti
dispiace?”
Aiden questa volta lo
guardò “Dovrebbe?” all’occhiata sconvolta di Damien sorrise e
decise di dargli ciò che voleva “Certo che mi dispiace. Ma sono
cresciuto in questo modo, e in ogni caso… ogni volta che torna a Londra
passa con me tutto il tempo che può. Però… quando ero piccolo spesso
mi faceva andare dove era lei”
“Sul serio?”
Aiden annuì,
rannicchiandosi contro il sedile. Non era poi così male parlare del
rapporto con sua madre “A dieci anni avevo già visitato più paesi di
quanti avrei saputo elencare. Veniva a prendermi all’aeroporto e
passavamo ogni ora libera che avesse insieme. Una volta non poté venire e
per poco non morì di paura”
“Cos’è
successo?”
Aiden cercò di
ricordare “Avevo quattordici anni e mi fece andare a Marsiglia. Lungo la
strada, vicino il porto, qualcuno uccise un uomo ed io rimasi bloccato per
oltre due ore, e dato che il telefono della limousine era guasto non potei
avvertir… Damien cos’hai?” si rialzò sul sedile, preoccupato per il
pallore dell’altro e dal modo in cui stringeva il volante.
Si fermò sul ciglio
della strada, slacciandogli la cintura di sicurezza, traendolo a se e
baciandolo con foga.
Ne era sicuro.
Il suo primo omicidio
era avvenuto vicino a quell’angelo.
Quella notte la
trascorsero semplicemente l’uno fra le braccia dell’altro.
Damien voleva solo
dimenticare.
Dimenticare ciò che
era stato, quello che aveva fatto, le vite che aveva tolto.
Voleva solo cercare
di essere il più felice possibile accanto alla persona di cui non avrebbe
più saputo fare a meno.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|