Disclaimer&Note: per i dettagli tecnici ho impunemente scopiazzato da Clancy e Forsyth, per uno dei personaggi, sebbene sia originale, mi sono liberamente ispirata ad uno dei personaggi de "I mastini della guerra" di Frederick Forsyth


Paura

di Alessia

parte II

 


Era pomeriggio inoltrato e Damien non era ancora tornato.

Era stanco, ma non poteva andarsene, l’altro sarebbe potuto arrivare entro pochi minuti.

Non aveva la più pallida idea di come fare a convincerlo a posare per le sue foto.

Non lo conosceva per niente per poter far leva su qualcosa.

Quell’uomo era così strano.

Ci aveva pensato tutta la notte e alla fine era giunto alla conclusione che voleva rivederlo per i suoi occhi.

Quegli occhi scuri, freddi come il ghiaccio polare. Ma se si riusciva a guardare oltre, si potevano vedere anche una profonda solitudine e tristezza; lui era riuscito a vederle per un solo secondo, ma voleva ammirare quegli occhi almeno un’altra volta.

L’ascensore!

Qualcuno lo aveva chiamato. Superò il terzo piano.

Damien!

Il quarto era il piano attico, con un solo appartamento.

Ok, niente panico. Un bel respiro profondo e si alzò in piedi, davanti l’ascensore.

Si era fermato.

 

Doveva al più presto trovare qualcosa da fare, qualcosa che lo tenesse occupato per tutto il giorno impedendogli di pensare.

Possibile che nessuno desiderasse un sicario?

Chiamò l’ascensore per salire al suo appartamento.

Si poggiò alla parete di fondo, le mani nelle tasche del cappotto.

Le porte si aprirono, lui uscì e prese le chiavi dalla tasca.

“Buon pomeriggio…”

Si voltò di scatto, rimanendo immobile di fronte al ragazzo che occupava la sua mente da due giorni.

“Come hai fatto a trovarmi?” chiese glacialmente, ma un nome gli era già passato davanti gli occhi, Gale… prima o poi avrebbe licenziato quella donna.

Anzi, meglio ancora, l’avrebbe ammazzata, così avrebbe smesso di procurargli problemi. Ma quella sarebbe stata capace di perseguitarlo dalla tomba.

“Ho chiesto di lei al Blue River, ed una donna è stata tanto gentile da aiutarmi dandomi il suo indirizzo”

Come volevasi dimostrare…

“Vorrei poter dire che è un piacere rivederti,” Dio solo sa se è vero “Ma l’ipocrisia è uno dei pochi difetti che non ho. Addio”

Si voltò ed infilò la chiave nella serratura.

“Potrei parlarle? Solo due minuti” implorò.

Non sarebbe di certo morto se ci avesse parlato un altro po’. Probabilmente era l’ultima volta che lo vedeva, avrebbe fatto meglio ad approfittarne.

Aprì la porta, facendosi di lato, invitandolo ad entrare.

Aiden gli sorrise raggiante.

 

Il suo appartamento non era affatto come se lo era immaginato.

Lui aveva pensato ad uno stile minimalista, divani di pelle e tavoli di cristallo; al contrario tutti i mobili erano di legno e, nonostante non se ne intendesse, era pronto a giurare che lo scrittoio e una credenza fossero pezzi d’antiquariato.

“Come ti chiami?”

Eh? Il suo nome..? E’ vero!

“Mi perdoni” tese una mano “Aiden Lyon”

Damien annuì e si sedette sul divano color avorio “I due minuti passano in fretta” gli ricordò.

Fece un profondo respiro e cercò di raccogliere il coraggio “Desidero farle delle foto, signor Shaughnessy”

“Ti ho già detto di no”

Era così tenero, tutto impettito in mezzo al suo salotto col volto in fiamme.

“Lo so. Normalmente non insisterei, so accettare un rifiuto. Ma lei…” puntò il suo sguardo dritto negli occhi dell’altro “…lei mi è entrato nella pelle. Sono due giorni che non faccio che pensare a lei. Lei… non so come riuscire a farmi comprendere… io so solo che desidererei rivederla, ma se non posso vorrei almeno una sua foto”

Damien si alzò e si diresse verso il mobile bar, servendosi uno scotch, dopo essersi di nuovo voltato verso il ragazzo, parlò: “Vediamo se riesco a tradurre in uno degli idiomi terrestri… mmh… tu ti sei preso questa… vogliamo chiamarla cotta? Colpo di fulmine?, per me e dato che non riesci a dirmelo chiaramente preferisci inventarti la balla delle foto” Aiden era sempre più rosso “E se alla fine riuscissi davvero ad averne una, è probabile che passeresti le giornate intere sbavandoci sopra, esatto? Dio…” scosse la testa divertito “…quanto sei patetico”

Aiden era rosso, si, ma di rabbia.

Nessuno aveva mai osato rivolgerglisi in quel modo.

Avrebbe voluto rispondere a tono, ma non aveva nulla che potesse usare a tale scopo.

Cominciando ad odiarlo a morte, uscì dall’appartamento sbattendo la porta.

 

Era seduto sulla poltrona, davanti la vetrata che dava sul Tamigi.

Quanto si odiava per quello che aveva fatto.

Ma è questo ciò che porta a fare la paura d’amare, o anche il solo lasciarsi andare.

Ti porta ad offendere, maltrattare, ridicolizzare coloro che al contrario vorresti abbracciare e proteggere.

Secondo alcuni la peggiore di tutte le paure era l’aver paura di provare paura.

Ma per Damien la paura peggiore era quella che si portava dietro da quando aveva dieci anni.

Quelle poche persone che l’avevano amato avevano ricevuto in cambio solo una parvenza d’affetto.

Si odiava per ciò che era, ma come sarebbe potuto cambiare?

 

Aiden era sdraiato nel suo letto, incapace di addormentarsi.

Ok, magari era vero… forse era stato colpito dal tanto decantato colpo di fulmine, ma non c’era ragione al mondo per trattarlo come Damien aveva fatto.

Sarebbe bastato mandarlo a quel paese, senza offenderlo ulteriormente.

Invece no! Quel mostro aveva dovuto rigirare il coltello nella piaga.

Beh, ora basta!

Lo aveva rifiutato due volte, e nonostante tutto sapeva quand’era il momento di tirarsi indietro… e questo non lo è! decise.

Avrebbe tentato ancora, e ancora, e ancora.

 

“Ciao Joel!”

L’uomo si sedette su uno degli sgabelli vuoti a quell’ora del mattino “Posta?”

“Si, aspetta che la vado a prendere” il proprietario tornò dopo due minuti “E’ stata consegnata a mano ieri sera”

L’altro annuì e s’infilò la busta nella tasca interna del cappotto.

“Ci vediamo”

Mark gli rispose con un cenno del capo.

 

Finalmente del lavoro!

Era nel suo appartamento, e stava decifrando il messaggio.

Era dell’E.T.A.

Di solito facevano tutto da se, ma quando volevano un lavoro serio, perfetto e pulito si rivolgevano ai professionisti.

E lui era il migliore.

Quando finì mandò un e-mail all’indirizzo ricavato.

La risposta gli giunse due ore più tardi.

L’appuntamento sarebbe stato all’Hotel Sacher di Vienna, stanza 203, alle nove del mattino del mercoledì successivo.

 

Era in perfetto orario, come suo solito.

Arrivato al secondo piano fu perquisito da un armadio di due metri che controllò non portasse armi addosso.

Dopo di che fu fatto entrare nella camera.

L’uomo, dai tipici tratti latini, era comodamente seduto sulla poltrona e fece cenno a Damien di sedersi.

Naturalmente non era solo, c’era una guardia armata dietro di lui, pronto ad ammazzarlo al primo gesto sospetto.

 

Aiden continuava a suonare a quel maledetto citofono da almeno mezz’ora, ma: o Damien non voleva vederlo o non era in casa.

Rassegnato all’idea di dover posticipare l’inizio del suo piano, tornò verso la metropolitana.

Non sapeva cosa fare.

I suoi amici se n’erano andati in vacanza e non gli andava di andare in ufficio, al lavoro.

Che poi… lavoro… in quel posto era solo il figlio dei proprietari, ci sarebbe dovuto andare per quale motivo?

Per far credere agli altri che non era uno scansa fatiche figlio di mamma e papà?

Perché prendere in giro se stesso e gli altri?

Cominciò a vagare per le strade di Londra, senza meta.

Aveva una voglia matta di rivedere Damien.

Ciò di cui non si rendeva conto, però, era che la sua era pura attrazione sessuale.

Due milioni di dollari per ammazzare il giudice Leandro Marquez.

Gli uomini dell’E.T.A. gli avevano detto il nome e il compenso, e a lui non era occorso molto tempo per decidere.

Il taxi lo lasciò davanti una piccola gioielleria nel cuore di Bruxelles.

“Buona sera signore” lo accolse il ragazzo.

“Buona sera. Sto cercando il signor Van Eyck”

Gli occhi del commesso divennero due fessure “Desolato signore, ma qui non c’è nessun Van Eyck"

Damien sorrise “Dica ad Hans che c’è Timothy O’Grady che lo sta aspettando”

Il ragazzo non disse nulla, andò nell’ufficio sul retro, da cui emerse poco dopo facendolo accomodare.

L’uomo di corporatura robusta non si alzò, ma tese la mano al nuovo arrivato.

“Lieto di rivederla signor O’Grady”

Damien strinse la mano del gioielliere “Anche per me è un piacere” 

L’uomo era in realtà un trafficante d’armi, e pagando bene poteva procurare anche dei documenti falsi.

Per lui O’Grady era uno degli assassini dell’I.R.A., naturalmente non gli credeva, ma era ovvio che non avrebbe mai fatto domande. Perché perdere un così buon cliente?

Per tutta l’ora successiva Damien spiegò ciò che voleva, chiedendo se sarebbe stato pronto per fine gennaio.

Van Eyck assicurò di si.

Dopo una rapida visita a Parigi, il mattino successivo Damien era di nuovo a Londra.

 

Il citofono suonava insistentemente, ma lui non aveva alcuna voglia di lasciare il calduccio del suo letto.

Dopo dieci minuti, chiunque fosse l’incauto, ancora non si era arreso.

Alzandosi e dirigendosi in cucina vide nello schermo di chi si trattava.

Cercando di non perdere la pazienza alzò la cornetta “Che vuoi Lyon?”

Il ragazzo sobbalzò dalla sorpresa, poi sorrise “Devo parlarti Damien”

Da quando gli aveva dato il permesso di chiamarlo per nome?

“No!” e riagganciò sperando di riuscire ad addormentarsi di nuovo.

Il citofono ricominciò a suonare nello stesso istante in cui lui posò la testa sul cuscino. Gemendo nascose la testa sotto le coperte.

All’improvviso smise di suonare. Sorridendo Damien cercò di rilassarsi.

 

Per fortuna la donna gli aveva creduto quando aveva detto di essere il fratello di Damien.

Cominciò a bussare alla porta. A quel punto non si sarebbe potuto rifiutare di farlo entrare.

Voleva quell’uomo a qualsiasi costo. E lo avrebbe avuto.

 

Nononononononononono!!!!

Non era possibile, come aveva fatto a raggiungere la porta del suo appartamento????

Che aveva fatto di male per meritarsi quel tormento?

Lui era solo un onesto sicario.

Rassegnato si alzò di nuovo e spalancò la porta pronto a sbranarlo, ma questi, dopo un nano secondo di sorpresa, sorrise e si fiondò nell’appartamento.

Male. Stava invecchiando se i suoi riflessi non erano riusciti a fermarlo.

Aiden sembrava a proprio agio, si guardava intorno curiosando e muovendo oggetti di qua e di là.

“Dimmi ciò che devi dire e poi vattene, Lyon. Voglio tornarmene a letto”

Sfilandosi il cappotto, il ragazzo sorrise “Mi sembra un buon programma passare la giornata a letto” si avvicinò sinuoso come una pantera.

Damien non riusciva a capire, o quello era il gemello cattivo di Aiden o lui si trovava in una dimensione parallela.

“Che cavolo stai dicendo?”

Aiden si fermò a pochi centimetri da lui “Me lo hai detto tu… dato che non trovavo il coraggio di parlare chiaramente, volevo una foto per poterti ammirare” sporse il viso, le labbra quasi si toccavano “Ma ho deciso che l’originale è molto meglio e val bene un po’ di sfacciataggine”

Damien sorrise malizioso “Quindi ciò che vorresti è un amante, qualcuno con cui rotolarsi fra le lenzuola, esatto?”

Le guance di Aiden si colorarono leggermente, ma annuì.

Damien gli prese i polsi stringendoli e portandoglieli dietro la schiena.

“Ma tu non sai nulla di me…” sussurrò malvagio “potrei essere un sadico…” gli morse il labbro inferiore ed Aiden sgranò gli occhi impaurito “Potrei volermi divertire legandoti, frustandoti e violentarti… torturare il tuo corpo e il tuo bel faccino…” lo fissava serio, mentre gli occhi dell’altro si riempivano sempre più di terrore.

Raccogliendo quel poco di coraggio che gli rimaneva sussurrò: “Tu non sei così…”

“Ne sei sicuro?” strinse di più la presa sui polsi, torcendoli un poco.

Aiden emise un gemito di dolore.

In che guaio era andato a cacciarsi?

Cercò di divincolarsi, ma la presa di Damien era troppo salda.

“Ti prego…” implorò.

“Non era questo che volevi?”

Aiden scosse la testa, gli occhi chiusi “Ti prego…” ripeté.

Damien sorrise e gli schioccò un bacio sulle labbra lasciandolo libero.

L’altro riaprì gli occhi, confuso all’inverosimile.

“Non fare giochi più grandi di te, Lyon. La prossima volta potrebbe non andarti così bene” era poggiato al muro, le braccia incrociate sul petto, un sorriso sardonico sulle labbra.

Aiden si accasciò al pavimento.

Quel bastardo aveva voluto dargli una lezione, ma lui era duro di comprendonio.

Voleva Damien, fosse solo per un’ora, ma lo voleva.

Sentì dei rumori provenire da quella che doveva essere la cucina.

Alzandosi si avviò in quella direzione, e appena entrato si sedette su una delle sedie.

Dopo due minuti Damien gli posò davanti una tazza di cioccolata calda.

Sorridendo pensò che sarebbe stato meglio tornare ad essere il bravo ragazzo con l’hobby della fotografia, il tipo spudorato non si addiceva al suo carattere.

Era sorpreso di vederlo ancora lì, era sicuro che se ne sarebbe andato sbattendo la porta.

Di nuovo.

Forse, in fondo, nonostante tutto, Aiden poteva essere sincero.

Notando i segni rossi sui polsi disse: “Mi dispiace, non volevo”

Osservando la direzione dello sguardo dell’altro scosse la testa e fece un sorriso amaro “Me la sono cercata”

Rimasero in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.

L’uno si lambiccava su come riuscire a convincerlo, l’altro si chiedeva se poteva rischiare e dargli una possibilità.

Alzarono gli occhi nello stesso momento, i loro sguardi s’incatenarono. 

Una mano di entrambi si avvicinò all’altro, sino a quando non si incontrarono e intrecciarono le loro dita.

Trascorsero il resto della giornata a parlare. Di tutto e di niente.

Forse per l’uno quanto stava accadendo era solo un gioco, un mero capriccio; e l’altro aveva il puro terrore di aprirsi, di innamorarsi e quindi di permettere a qualcuno di ferirlo… ma se il loro incontro fosse stato destino o mera attrazione sessuale, solo il tempo avrebbe saputo dirlo.

 

Damien era dovuto partire per un viaggio d’affari e non aveva voluto portarlo con se.

In quel mese avevano trascorso molto tempo insieme, imparando a conoscersi.

Non avevano ancora fatto l’amore, Damien insisteva nel dire che non potevano sino a quando non avrebbe risolto un certo problema.

Però non voleva dirgli di cosa si trattasse. In verità, Damien era sempre molto elusivo nelle risposte alle sue domande.

L’unica cosa che sperava era che non si trattasse di un altro uomo.

Era sempre stato un tipo molto geloso, ma con Damien questo lato del suo carattere sembrava essersi accentuato.

Quando ne parlava, Damien rideva, poi lo baciava e gli assicurava che non esisteva persona più fedele di lui sulla faccia della Terra.

Sospirando si chiuse la porta della sua stanza alle spalle e si buttò a peso morto sul letto.

Anche sua madre non c’era mai in quel periodo, sempre occupata in cause legali per lo studio suo e di suo padre, morto quando lui aveva appena due anni.

Gli mancava la sua migliore amica, a lei aveva sempre raccontato tutto e non poterlo fare in questo periodo particolare lo faceva sentire solo.

 

Era da poco passato mezzogiorno quando Damien ritirò, presso la Hertz, la macchina che aveva prenotato.

Si mise alla guida e tornò al suo albergo.

La mattina successiva partì di buon’ora, attraversò la frontiera col Belgio e andò dal signor Van Eyck.

Questi lo fece accomodare nel suo ufficio, e poco dopo prese una custodia per sax, lunga poco più di mezzo metro, e la pose davanti Damien.

Lui l’aprì e ciò che vide era esattamente ciò che aveva richiesto: un fucile Remington da 7mm calibro Magnum comprensivo di mirino telescopico adatto anche per la visione notturna.

Damien lo prese in mano, carezzandolo come fosse il corpo di un amante bello e mortale. Nella custodia c’erano anche i proiettili a punta cava Sierra.

“Davvero bellissimo”

L’uomo fece un cenno d’assenso. Sapeva che quello era uno dei migliori fucili di precisione esistente.

Riponendolo nella custodia, Damien chiese del resto da lui ordinato.

Van Eyck aprì un cassetto della sua scrivania e ne prese una busta marrone, piuttosto grande, da cui estrasse due targhe francesi, una carta d’identità, un passaporto e nuovi documenti per l’auto che Damien aveva ritirato il mattino precedente.

I documenti erano intestati a Xavier Sorel, all’occorrenza Damien era in grado di passare per un francese nato e cresciuto a Parigi.

Controllando ogni particolare il sicario in missione annuì e consegnò al gioielliere a tempo perso i quarantacinque mila dollari pattuiti.

“E’ sempre un piacere fare affari con lei signore O’Grady” lo salutò Van Eyck.

Lungo la strada del ritorno, Damien si fermò presso il limitare di un bosco e nascose il fucile insieme alle targhe e ai documenti nel vano che ricavò sotto la ruota di scorta.

Se tutto fosse andato bene, entro una settimana sarebbe tornato da Aiden.

 

Cercava di concentrarsi sul libro che stava leggendo, senza successo.

Pensava a dove potesse essere in questo momento, cosa potesse fare, con chi…

Il cuore pesante, poggiò il libro sul tavolino e si alzò affacciandosi alla finestra che dava su Hyde Park.

Voleva Damien.

Voleva stringerlo a se, baciare le sue morbide labbra, voleva toccarlo, sentirlo dentro di se…

Gemendo, poggiò la fronte sul vetro della finestra.

Da qualche parte sentì un telefono squillare, ma non vi badò.

Dopo alcuni minuti Liam bussò portandogli il telefono.

“Una chiamata per lei, signore. Non ha voluto dirmi il suo nome” annunciò il maggiordomo alquanto seccato dalla scortesia dell’interlocutore.

Aiden annuì e lo congedò. 

“Aiden Lyon”

“Ci ho messo una vita per poterti parlare” esordì Damien “Si può sapere quanta gente prende le telefonate in casa tua?!”

“Damien!” non poteva crederci.

“Già… come stai?”

“Ora bene” sorrideva come un ebete e si mise seduto sulla poltrona “Sai, stavo pensando a te” disse sottovoce.

“E cosa pensavi?” chiese l’altro.

“Un sacco di cose, fra le altre… che non vedo l’ora di poterti sentire dentro di me…” sussurrò invitante.

Dopo un attimo di silenzio sentì una risata provenire dall’altra parte della Manica.

“Si può sapere cosa ci trovi di tanto divertente, stupido idiota!?!” urlò, per poi attaccargli il telefono in faccia e pentendosene meno di un secondo più tardi.

Il telefono squillò di nuovo.

Aiden non fece in tempo a rispondere che dall’altra parte una voce con ancora una traccia d’ilarità disse: “Zitto e ascoltami” Aiden annuì come se l’altro potesse vederlo “Anch’io non vedo l’ora che quel momento arrivi, ma se ora dici questo tipo di cose, sarei capace di venire al telefono, tanta è la voglia di te”

“E sarebbe così male?” sussurrò dopo alcuni secondi di silenzio.

Damien sorrise “No, non sarebbe male, ma preferisco che la nostra prima volta sia dal vero e non al telefono”

Passarono l’ora successiva a raccontarsi di come avessero trascorso quelle due giornate.

Damien dovette mentire su ogni particolare, ma non poteva dirgli la verità.

In ogni caso… quello sarebbe stato il suo ultimo incarico.




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