Sappiamo
tutti a chi appartengono i personaggi di SD, dunque a me non
resta che sottolineare il fatto che io non ci guadagno nulla col
loro utilizzo, ma che all'interno della fic ci sono anche alcuni
(tanti ^^;;;) personaggi originali che sono solo miei (Sizuku
*_*).
Grazie a Ria
che, dopo aver provato ad utilizzare un infame programma per
creare pagine web, ammiro ancora di più per il lavoro immane che
si sobbarca... grazie! ^*^*^
Grazie anche
a Naika e San-chan per aver letto questa cosa mentre la stavo
scrivendo e per non avermi ucciso ^^;;
E grazie a
voi che la leggerete... avete un gran bel coraggio! O_o
Passion and
Obsession parte
I
di Alessia
La donna richiuse
silenziosamente la porta alle sue spalle, sospirando,
asciugandosi con le dita alcune lacrime.
Oltre quella porta,
all'interno della stanza, le tende della finestra si muovevano al
leggero sospiro di quella brezza che portava con se l'odore del
mare e il frinire delle cicale.
Sul letto disfatto un
ragazzo stava dormendo di un sonno portato dalla sofferenza, i
suoi occhi gonfi e il viso rigato da lacrime salate.
Un mese più tardi
Il Sole era al suo zenith
e Rukawa uscendo dall'albergo si protesse gli occhi con una mano,
fissando il mare di fronte a sé.
Per quel giorno poteva
anche saltare gli allenamenti della nazionale, non sarebbe morto
nessuno e di sicuro la sua tecnica e il suo talento non ne
avrebbero risentito.
Ciò che stava per andare
a fare era tremila volte più importante.
Caro Hanamichi,
è molto tempo che non
ti scrivo, perdonami, ma il club di basket mi sta portando via
davvero un sacco di tempo, non pensavo che fare l'aiuto manager
fosse così faticoso ^__^
Gli allenamenti sono
incredibilmente duri e Miyagi non fa che ripetere di non vedere
l'ora in cui tu e Rukawa tornerete in squadra, ma non dirgli che
te l'ho detto altrimenti mi uccide ^^;;
Come stai? Sono sicura
che la riabilitazione è difficile, ma tu non arrenderti, stringi
i denti e vai avanti come hai sempre fatto, ok?
Non vedo l'ora che il Tensai, il grande re dei rimbalzi, torni a giocare.
Ora devo andare, mio
fratello mi sta aspettando.
Guarisci presto! ^__^
Haruko
Lentamente strappò la
lettera, riducendola in mille pezzettini che lasciò cadere sul
pavimento.
Poggiò il mento su una
mano fissando il vuoto oltre la finestra.
Un leggero bussare alla
porta lo distolse dai suoi pensieri e una donna entrò nella
stanza portando con sé il profumo dei gigli bianchi e delle
fresie viola di cui era ricolmo il vaso di cristallo che poggiò
sul comodino, finendo di sistemare meglio i fiori.
Voltandosi si avvicinò ad
Hanamichi e sfiorandogli una spalla gli posò un bacio sui
capelli, dopodiché silenziosa come era entrata uscì dalla
stanza.
Sakuragi tornò a guardare
fuori.
Fa caldo oggi
Dio come si sentiva
stupido!!
I jeans blu chiaro slavati
erano un po' troppo stretti e la maglietta a maniche corte rosso
vino era troppo pesante con quel caldo, per non parlare poi di
quella rosa bianca dal gambo lungo che teneva in mano.
Togliendosi gli occhiali
da sole, appendendoli al collo della maglietta, ed entrando nel
centro di riabilitazione sperò soltanto che il do'hao
apprezzasse lo sforzo.
"Buongiorno, posso
aiutarla?"
Rukawa si avvicinò al
banco dell'accettazione e chiese quale fosse la stanza di
Sakuragi Hanamichi. L'infermiera gli sorrise e disse di prendere
l'ascensore sino al terzo piano e poi la quarta porta a destra.
Ringraziò e si diresse
all'ascensore.
Stanza 304, la targhetta
accanto alla porta confermava che l'occupante della camera era il
suo do'hao.
Bussò alla porta, ma non
ricevette alcuna risposta. Riprovò e di nuovo il suo gesto si
perse nel silenzio di quei corridoi bianchi.
Probabilmente stava
dormendo, così decise di entrare per restare accanto a lui sino
al suo risveglio, ma lo trovò in piedi davanti la finestra, le
mani poggiate sul davanzale. Si avvicinò e vide i suoi occhi
vuoti, lo sguardo perso oltre l'orizzonte del mare.
Si sentiva
a
disagio. Hanamichi sempre così esuberante. Certo, aveva anche
lui i suoi momenti di malinconia, ma ora era diverso. Il suo
sguardo non aveva alcuna luce; i suoi occhi erano spenti.
Gli sfiorò una spalla per
attirare la sua attenzione e quando lo vide non fece nulla.
Non un sorriso, un
abbraccio, un bacio, un insulto o un pugno. Assoluta
indifferenza.
"Ciao do'hao"
gli sorrise, entro i suoi limiti, ma l'altro non gli rispose, non
reagì neanche all'insulto sebbene inconsistente
"Come va? La riabilitazione procede bene?" era
pazzesco! Era lì, con la persona che ogni volta che lo vedeva
non faceva che appiccicarglisi addosso e si sentiva in imbarazzo
come mai prima in vita sua.
Per un istante vide
l'ombra di un'emozione nei suoi occhi, ma non riuscì a capire
cosa fosse.
Hanamichi si sedette sul
letto prendendo un libro e iniziando a leggere, ma dopo pochi
istanti alzò gli occhi guardandolo freddamente "Ehi, kitsune, che ne dici di andartene?"
Rukawa era a dir poco
sconvolto, ma l'unica reazione che ci fu sul suo volto fu un
sopracciglio interrogativamente sollevato "Puoi ripetere?
Che c'è do'hao, i farmaci che ti danno hanno aggravato i
preesistenti danni cerebrali?"
Sakuragi sorrise, ma il
suo era un sorriso di scherno "Oh, come sei spiritoso, mi
sto sganasciando dalle risate" posò il libro sul letto
"Voglio che tu te ne vada, e che soprattutto non ti faccia
più rivedere. Detto chiaramente, Rukawa: io ti sto
mollando"
Rukawa strinse forte i
pugni, ferendosi il palmo di una mano con una spina rimasta nel
gambo. Non poteva credere alle sue orecchie, quella non poteva
essere la stessa persona che fino a qualche settimana prima
giurava e spergiurava di amarlo.
Annuì lentamente
"Sta bene. Addio" uscì dalla stanza richiudendosi
silenziosamente la porta dietro di sé.
Non aveva mai costretto
nessuno alla sua presenza, e non avrebbe di sicuro iniziato oggi.
Forse avrebbe potuto insistere, cercare di capire, una parte di
sé lo voleva disperatamente, ma Rukawa Kaede non si sarebbe mai
abbassato a tanto.
Camminando lungo la strada
per tornare al ritiro si rese conto di stringere fra le mani la
rosa e con disprezzo la gettò in strada, dove una macchina
l'investì sporcandola e distruggendola.
Solo quando lo vide uscire
dal centro permise alle lacrime di scorrere libere sul suo volto.
Alle spalle sua madre lo abbracciò stretto, cercando di
consolarlo, anche se non riusciva a capire il comportamento di
suo figlio.
"Perché non vuoi
dirglielo?" sussurrò piano.
Continuò a piangere e
quando smise si soffiò il naso e si asciugò gli occhi. Non si
voltò, e continuando a guardare il mare mormorò: "Non
voglio la sua pietà"
Due mesi più tardi
Ancora nessuno era
riuscito ad abituarsi al silenzio che cera durante gli
allenamenti, e tanto meno nessuno aveva mai pensato che un giorno
sarebbero arrivati ad ammettere con sé stessi che quel pazzo
esaltato, disturbatore, egocentrico, mancava loro.
Lo stesso giorno in cui la
scuola aveva riaperto Sakuragi era andato dallallenatore Anzai, consegnando le proprie dimissioni dal club di basket.
Naturalmente Anzai le aveva rifiutate, ma laltro si era
stretto nelle spalle rispondendo: "Fa come ti pare, nonno,
tanto io qui non ci metto più piede" e se nera andato
seguito dalla sua armata.
Quando l'allenatore aveva
detto alla squadra della decisione del loro compagno nessuno
aveva voluto crederci, ma alla fine si erano dovuti arrendere
allevidenza; e anche se ognuno di loro aveva cercato di
parlargli per chiedere spiegazioni la sua armata li bloccava,
impedendo qualsiasi tipo di contatto.
Era tornato alla sua
vecchia vita fatta di risse, giri con gli amici e corse dietro le
gonnelle, con lunica differenza che adesso riusciva nelle
sue conquiste. Misteriosamente adesso le ragazze gli cascavano ai
piedi.
Hanamichi si alzò in
piedi, spazzolandosi i pantaloni e si diresse verso luscita
della terrazza per raggiungere Yohei e gli altri, ma trovò la
porta chiusa e sbarrata dal corpo di Rukawa.
Luno con
labituale faccia inespressiva, laltro strafottente.
Si fissavano, senza
distogliere lo sguardo, quasi fosse una gara.
Alla fine Sakuragi alzò
la testa per osservare la scia di un aereo che si dirigeva verso
occidente.
"Togliti di lì"
ordinò quando tornò a guardare laltro.
"Dimmi perché hai
lasciato il club" voleva sapere, voleva sapere tante cose,
ma per iniziare quella andava bene.
Hanamichi si strinse nelle
spalle "Mi ero rotto, tutto qua. Ora, se non ti
spiace
" si avvicinò per uscire, ma Rukawa lo bloccò
posandogli una mano sul petto e spingendolo indietro.
"Stronzate! Tu ami il
basket quanto me. Qual è la vera ragione?" tutto dipendeva
da quello, ne era sicuro, anche il perché lo avesse lasciato.
Sakuragi lo afferrò per
la giacca della divisa, ed entrambi provarono quella strana
sensazione chiamata deja-vu "Stammi bene a sentire perché
non lo ripeterò: io-odio-il-basket" lo disse lentamente,
scandendo ogni parola, assicurandosi che laltro capisse
bene la sua affermazione, poi lo gettò a terra ed uscì dalla
terrazza per raggiungere i suoi amici.
Il pomeriggio era noioso.
Tutti i pomeriggi erano noiosi.
Usciti da scuola lui,
Yohei e gli altri se ne andavano in giro per locali, a giocare a
pachinko e se se ne presentava loccasione non si tiravano
indietro davanti una rissa.
Il pomeriggio era noioso,
e così capitava che appena le lezioni finivano lui se ne
tornasse a casa. Come oggi.
Era seduto a gambe
incrociate sul divano, cercando di fare i compiti se
continuava così sarebbe persino arrivato primo agli esami di
fine trimestre - mentre sua madre, seduta davanti al computer,
lavorava.
Allora: le disequazioni.
Domanda: gli sarebbero mai
servite nella vita?
Risposta: no.
Domanda: e allora perché
cavolo doveva studiarle?!
Risposta:
Sbuffando cercò di
concentrarsi su quei numeri senza senso.
"Hanamichi?"
alzò la testa di scatto alla voce di sua madre
"Pensavo
ti va se andassimo un po in vacanza
dallo zio? Io mi libererei dallo stress, e tu
credo che
anche tu abbia bisogno di una vacanza, no?"
Il ragazzo chiuse il
quaderno e pensò alla proposta di sua madre. In effetti era
vero, aveva bisogno di una pausa, ed aveva anche voglia di
rivedere gli zii e i suoi cugini, però
La città del
vento
la città dove giocava una delle squadre
preferite della kitsune. Chicago, lAmerica
quellAmerica che la sua kitsune agognava con ogni fibra del
suo essere lui laveva a portata di mano ogni volta che lo
desiderava.
Sorrise a sua madre e le
rispose in quella lingua che per lui era tanto famigliare quanto
il giapponese "Ci penserò, mamma"
La donna annuì e tornò
al lavoro lasciando suo figlio libero di studiare.
71 a 54
Stavano perdendo e di
brutto anche.
Avevano tutti quanti il
fiatone mentre gli stronzi dellaltra squadra sembravano
freschi come rose.
Nessuno osava pronunciare
quel nome, ma tutti lo stavano pensando.
Hanamichi Sakuragi.
A quanto sembrava quel
maledetto idiota era davvero il cuore pulsante della squadra. Lui
che con le sue uscite da pazzo, il comportamento da giullare
infondeva in loro ogni volta la grinta, quella vera, che serviva
per vincere. E Miyagi per quanto tentasse non riusciva ad avere
lo stesso effetto.
Perché ci hai
lasciato?!?
Il canestro
dellultimo secondo non riuscì a salvare la partita.
93 a 77
Avevano perso.
Negli spogliatoi, sotto le
docce sembrava di partecipare ad un funerale. Le matricole ci
provavano a tirar su il morale, esaltando i tiri da tre di Mitsui, le schiacciate di Rukawa o la velocità di
Miyagi, ma
bastava unocchiata ai senpai perché le loro voci
divenissero bisbigli persi nellacqua che scrosciava.
Rukawa uscì e se tornò a
casa, in silenzio come suo solito, ma pieno di rabbia e
frustrazione.
Li avevano già battuti,
perché questa volta no?
Non voleva e non poteva
credere che tutta la differenza potesse farla un singolo
giocatore, e non, soprattutto, il dohao.
Comera diversa la
sua Kanagawa dalla sua Chicago.
I profumi, il rumore, la
vista
Poggiato alla ringhiera
della terrazza pensava a ciò che avrebbe perso andandosene e a
ciò che avrebbe guadagnato. Dietro di sé sentiva i suoi amici
discutere su cosa fare quella sera, su dove andare a divertirsi.
Una mano gli si posò
sulla spalla e accanto a sé vide Yohei, lunico che sapeva.
"Dovresti farmi una
lista
" gli disse sorridendo guardando il panorama
della città che si stagliava davanti a sé "
una lista
in cui mi dici tutto quello che vuoi ti porti dagli Stati
Uniti"
Aveva deciso di partire,
sarebbe stato via il tempo necessario per tentare di superare
tutto ciò che gli era accaduto.
Sua madre lo aveva
ritirato dalla scuola, ed era stato uno spasso vedere i
professori sconvolti dalla scoperta che sua madre fosse una gaijin, specialmente il professore dinglese era stupito
dato che nei compiti non riusciva mai a prendere più di 55, ma
che colpa ne aveva lui se sembrava che quello insegnasse indiano
piuttosto che inglese?
Purtroppo nellarco
di due giorni tutta la scuola lo aveva saputo ed ora lo
guardavano in modo assai diverso.
Sospirando chiuse la
cartella rimanendo seduto al suo banco. Le lezioni, le sue ultime
lezioni, erano finite e la mattina successiva sarebbe partito.
"Ehi, Hanamichi!" Mito lo chiamò dalla soglia della porta
"Che ne dici di scatenarci per la tua ultima notte in
Giappone?"
Sakuragi sorrise scuotendo
la testa "Scusa, Yohei, ma devo finire di fare le
valige" il suo amico annuì e lo lasciò andare dopo avergli
augurato buon viaggio.
Mentre stava per varcare
per lultima volta la soglia del cancello della sua scuola
lo sguardo gli cadde sulla palestra.
Era poco meno di due mesi
che non metteva più piede lì dentro.
Chissà come..?
Come cosa?
Di sicuro stavano meglio
senza di lui.
Attraverso la porta
socchiusa sentiva le urla, le scarpe che scricchiolavano sul
parquet, il rimbalzo del pallone, ed ognuno di quei rumori era un
pugno nello stomaco.
Tutto quello gli mancava
da impazzire, più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e
soprattutto gli mancava una persona. Ma aveva detto addio sia al
basket che a Rukawa e non poteva tornare indietro.
Non andrò!
Canestro.
Non andrò!
Tre punti.
Non andrò!
Schiacciata.
Era stato Sakuragi, aveva
fatto tutto da solo e lui non aveva bisogno di alcuna
spiegazione.
Il pallone colpì il
cerchio, ma scivolò ugualmente attraverso la retina di nylon.
Si sedette sul cemento, le
mani ai lati, leggermente indietro, mentre gli occhi osservavano
il cielo della sera.
Allungò una mano e, presa
la bottiglia, bevve avidamente sino a svuotarla, sino a non avere
più fiato. Si rimise la giacca della tuta e una volta preso il
borsone salì in sella alla sua bicicletta, i Rolling Stones
nelle orecchie.
A dispetto di quanto si
ostinava a pensare, lui voleva delle spiegazioni. Se le meritava
e Sakuragi avrebbe dovuto dargliele. A costo di prenderlo a pugni
Hanamichi avrebbe risposto alle sue domande.
Perché non gli aveva mai
detto nulla della sua famiglia?
Perché aveva lasciato il
basket?
Perché
lo aveva
lasciato?
Fermò la bici davanti la
sua casa e suonò il campanello della porta.
Alta poco meno di lui,
lunghi capelli rossi ondulati, occhi dolci e un sorriso aperto
come quello di suo figlio. Ecco comera la madre del ragazzo
che voleva, ma la dolcezza degli occhi fu ben presto sostituita
dalla tristezza.
"Rukawa
"
Evidentemente Hanamichi le
aveva parlato di sé e questo lo rese felice. Felice perché
voleva dire che per laltro lui era importante, no?
La donna si spostò,
facendolo entrare in casa e dopo uno sguardo triste al piano
superiore e un profondo sospiro gli disse di seguirlo.
Bussò alla porta e
dallinterno provenne il rumore di qualcosa che cadeva e poi
unimprecazione.
Vide la donna sorridere e
scuotere la testa prima di aprire la porta "Hanamichi, un
tuo compagno di scuola è venuto a trovarti. Vieni
"
La stanza era quasi del
tutto in ordine, da uno come Hanamichi si sarebbe aspettato
calzini sulla scrivania, fogli appallottolati sul pavimento e un
centimetro di polvere, invece cera quel normale caos che
faceva di una stanza, una stanza vissuta.
Cerano due valige
già chiuse vicino la porta e un borsone sul letto.
"Ciao" lo
salutò amichevolmente, ma laltro lo fissò per un istante
e poi tornò a riempire di abiti il borsone, forse con troppa
foga "Non
non mi avevi mai detto di essere per metà
straniero
" gli sembrava un argomento abbastanza
neutrale.
Sakuragi si strinse nelle
spalle tornando a sistemare le ultime cose "Perché così mi
avresti costretto a darti lezioni dinglese o perché ti
raccontassi in ogni minimo dettaglio di comè la città di
mia madre? No, spiacente
" disse scuotendo la testa.
"Di dovè tua
madre?"
Un sorriso mesto
"Jamal Crawford"
"Chicago"
"Appunto
"
la voce triste.
Come non detto, quello non
era assolutamente un argomento neutrale. Posò la propria borsa a
terra e si sedette su un angolo del letto, guardandolo
"Quando torni?"
"Tra un mese o
due" o forse mai più aggiunse dentro di sé.
"Perché mi hai
lasciato?"
Laltro si fermò,
buttandosi sulla sedia della scrivania, fissandolo senza
espressione "Te lho già detto, mi ero semplicemente
stufato di te"
Rukawa sorrise dubbioso
"E per questo che quando credi io non ti veda mi
fissi, e di come reagisci quando una ragazza mi si avvicina per
confessarmi il suo eterno amore?"
Sakuragi arrossì
"De
devo
devo finire le valige
"
balbettò.
"E così che si
comporta il genio? Alle prime difficoltà si arrende e
scappa?"
Lo specchio che teneva in
mano cadde frantumandosi in mille pezzi. Lo guardò con occhi
infuocati, pieni di rabbia "Cosa ne sai tu?" sibilò
"Cosa ne sai delle mie difficoltà?!" urlò.
Si alzò in piedi,
infuriato anche lui "Nulla! Io non ne so nulla, ma solo
perché tu non hai voluto parlare con me. Se tu lo
facessi
"
"Io non voglio la tua
pietà!" un urlò che lasciò attonito Rukawa, mentre gli
occhi di Hanamichi divenivano lucidi.
"Pietà?" si
avvicinò di un passo allungando una mano "Perché dovrei
provare pietà per te?"
Voleva dirglielo, lo
voleva con tutto sé stesso, ma
non poteva!
Si allontanò, aprendo la
porta "Vattene, Rukawa" ma laltro non mosse un
muscolo.
"Non me ne vado
finché non mi dici tutto"
La porta sbatté facendo
tremare i muri della casa "Vuoi sapere che cè? Bene!
Ecco cosa cè!" tirò fuori da un cassettone una serie
di risultati medici e lastre di diverse risonanze magnetiche
"Cè che se gioco ancora una partita come le ultime
del campionato nazionale le prossime le giocherò su una sedia a
rotelle. Sei contento, adesso?!"
Rukawa ascoltava, leggeva,
guardava i risultati e non poteva credere ad una sola parola. Il
suo dohao non poteva non giocare più. Hanamichi era bravo,
a dispetto di quando lui gli dicesse era davvero bravo, ma allora
perché a lui?
Posò tutto al proprio
fianco andandogli vicino "Non preoccuparti, vedrai che lo
troviamo un dottore che ti metta in sesto"
Hanamichi si scansò
"Allora non hai capito! Io non voglio più giocare. Perché
dovrei continuare a fare una cosa che mi ha distrutto la
vita?"
Kaede non lo sapeva. Lui
non sapeva cosa rispondergli, perché per lui lunica cosa
che contasse davvero era il basket.
Riprese il proprio
borsone, capendo che non avrebbe mai potuto fargli cambiare idea,
e si avvicinò alla porta "Può darsi che tu abbia ragione,
che riprendere una cosa che ti ha fatto tanto male sia da
masochisti, ma di una cosa puoi star sicuro: se credevi sul serio
che ti avrei dato la mia pietà allora non mi hai mai conosciuto
sul serio" così dicendo lo guardò con occhi pieni di
rabbia, per poi chiudersi lentamente la porta alle spalle.
Dopo aver sistemato le
ultime cose, chiuse il borsone e lo posò accanto alle altre
valige. Infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans
osservò quella stanza, le pareti ora spoglie, il panorama che
offriva la finestra, che non avrebbe più rivisto per alcuni
mesi.
Sapeva già che tutto ciò
che stava lasciando gli sarebbe mancato immensamente, era
normale, ma non poteva fare altrimenti.
Uscì di casa,
proteggendosi gli occhi con un paio di occhiali da sole, per
percorrere unultima volta quelle strade, memorizzare il
profumo dellaria, il rumore del vento e del mare.
Le strade, mute
spettatrici di risse, dichiarazioni dodio eterno e baci
rubati. E non poteva
non poteva fare a meno di andare anche
lì, al campo dove prima con Haruko e poi con Rukawa si era
allenato per interminabili ore.
Fissava il canestro come
non esistesse nullaltro al mondo, ed iniziò a palleggiare
con un pallone immaginario. A superare avversari invisibili,
compiendo finte degne del più grande campione, correndo verso il
canestro e saltò.
Saltò per eseguire il suo
splendido slam dunk, in unazione che avrebbe fatto rimanere
chiunque a bocca aperta, lo sguardo pieno dammirazione, ma
non appena atterrò sentì una fitta di dolore attraversargli la
spina dorsale, la vista gli si appannò e cadde in ginocchio. Il
respiro affannato, la fronte imperlata di sudore.
Però
ne era valsa
la pena. Per lultima volta nella sua vita si era sentito
davvero vivo e avrebbe portato lemozione di quel momento
per sempre insieme a sé.
Rialzandosi un po a
fatica riprese la strada per tornare a casa.
Gli piacevano gli
aeroporti, anche se in quel momento non cera posto che
avrebbe potuto odiare di più. Odiava ciò che quel posto
significava: labbandono di tutta la sua vita e della
persona che amava.
Sua madre, seduta accanto
a lui, leggeva un libro, lunico modo che aveva per cercare
di contenere leccitazione per il suo ritorno a casa dopo
più di tre anni.
Hanamichi, invece, teneva
le lunghe gambe distese, accavallate allaltezza delle
caviglie davanti a sé, osservando la gente che lo circondava.
Turisti più morti che vivi che tornavano a casa, giapponesi che
partivano per visitare alcune delle città più belle del mondo,
uomini daffari cui non interessava nulla delle città dove
si recavano e il cui solo scopo era concludere quanti più affari
potevano per poter così aumentare il numero degli zeri sui
propri conti in banca.
Alzandosi, decise di farsi
un giro per i negozi, magari riusciva a trovare qualcosa di
carino da portare ai suo cugini, ma in realtà nulla di ciò che
lo circondava veniva visto con attenzione. I suoi occhi vedevano,
ma la sua mente era piena dei ricordi di quellultimo anno
passato allo Shohoku.
Lincontro con Haruko
e la sfida con Akagi, le risse da teppista e la prima scazzottata
con Rukawa
la prima partita contro il Ryonan e la
sconfitta
il rientro in squadra di Miyagi
la rissa in
palestra e il rientro di Mitsui
il campionato scolastico,
lebbrezza della vittoria contro squadre del calibro del
Ryonan e lo Shoyo. E in tutto questo
Rukawa
lodio che infine svela la propria natura damore. Le
ore trascorse ad allenarsi, a fare lamore, oppure stando
semplicemente insieme senza fare nulla
fino al campionato
nazionale
il suo castello di sogni che gli si sgretolava
fra le dita senza che potesse fare nulla per impedirlo
Scuotendo la testa pensò
che sarebbe bastata una bella musichetta piena di malinconia per
rendere i suoi ricordi una perfetta scena da cartone animato per
ragazze.
Tornò indietro,
risedendosi accanto a sua madre che lo accolse con un sorriso che
lui non seppe non ricambiare.
Le lezioni erano state le
più tranquille della carriera di tutti i professori. Alcuni si
augurarono persino che Sakuragi decidesse di passarci il resto
della vita in America, così loro avrebbero potuto insegnare
senza nessuno che li disturbava per tutto il tempo.
Erano abituati al
silenzio. O almeno lo sarebbero dovuti oramai essere.
Eppure nessuno dei
giocatori del secondo e terzo anno riusciva a concentrarsi. Per
tutto quel tempo non potevano negare di aver coltivato la piccola
speranza che Sakuragi tornasse indietro, in fondo laveva
già fatto.
Ma ora, con la sua
partenza, anche quellillusione era crollata.
Quel pomeriggio nessuno
giocava davvero. Tutti tranne uno.
Lunico che si
allenava senza sosta, lunico per cui ogni palleggio, ogni
canestro, ogni schiacciata erano espressione della rabbia che lo
consumava come un fuoco inestinguibile. Stava iniziando ad
odiarlo. Lo odiava per la sua vigliaccheria, per la sua
ottusità, per il dolore che gli stava facendo provare
Aveva vissuto benissimo
nel suo menefreghismo più totale, dedicandosi solo al basket,
sino a quando quellidiota non aveva dovuto irrompere nella
sua vita. Ad ogni modo
era stato magnificamente senza di
lui ed ora avrebbe ricominciato a farlo. Daltronde a lui
non serviva nullaltro che non fosse il basket.
Il mare sembrava calmo
sotto di loro, in alcuni momenti dava persino limpressione
di essere unenorme distesa di sabbia, il deserto.
Guardò lorologio, a
questora dovevano quasi aver finito gli allenamenti. Tra
poco sarebbero stati sotto le docce, stanchi morti, ma pieni di
voglia di scherzare, mentre la kitsune se ne sarebbe rimasta
allinterno della sua bolla privata da cui nessuno sarebbe
riuscito a farlo uscire.
Solo lui era riuscito ad
incrinare quel cristallo di cui si circondava, ed ancora adesso
si chiedeva come. Non aveva mai fatto nulla di particolare.
Sorridendogli,
lhostess gli chiese cosa preferisse per cena, lui scelse la
carne, ma lasciò quasi tutto il pasto sul vassoio; e non perché
non fosse buono in quegli ultimi anni il catering sugli
aerei era decisamente migliorato ma perché non riusciva a
mandare giù nulla più grande di un chicco di riso.
Una leggera carezza sulla
nuca, e per un attimo sperò di ritrovarsi davanti gli occhi
della kitsune, ma al contrario si specchiò in quelli verdi come
smeraldi di sua madre e sul suo volto passò una veloce
espressione di dolore e delusione.
"Sei sicuro di ciò
che stai facendo?" sua madre lo fissava apprensiva
"Puoi sempre tornare indietro quando facciamo scalo a
Seattle
"
Hanamichi sorrise e baciò
il palmo della mano di sua madre. Una parte di sé voleva
disperatamente tornare a casa, ma non poteva farlo. Prima doveva
imparare a vivere senza il basket e senza Kaede, e lunico
modo per riuscirci era stare lontano da entrambi.
"Sono sicuro, non
preoccuparti, ok?"
La donna annuì,
sorridendogli, anche se si vedeva che non era affatto convinta di
ciò che suo figlio le aveva detto, ma per il momento non
insistette. Farlo non sarebbe servito a nulla.
La casa era silenziosa
come sempre. I suoi genitori erano usciti a cena e gli avevano
lasciato un messaggio a dir poco demenziale nel quale gli
dicevano di non aspettarli in piedi.
Gettando il biglietto
pensò che non lavrebbe fatto neanche se glielo avessero
chiesto, lui la notte doveva dormire e non poteva restare sveglio
fino alle tre di notte. Aveva conosciuto solo una buona ragione
per farlo, ma ora non esisteva più.
Si scaldò qualcosa di
già pronto nel forno a microonde, mangiando in cucina immerso
nel silenzio. Lasciò tutto sul tavolo, ci avrebbe pensato la
cameriera a pulire tutto la mattina successiva.
Dopo essersi fatto il
bagno tornò in camera sua e provò a concentrarsi sui compiti da
fare, ma gli occhi gli si chiudevano e alla fine alzò bandiera
bianca mettendosi a letto. Si girava e rigirava sotto le
lenzuola, senza riuscire ad addormentarsi, quasi ci fosse
qualcosa a dargli fastidio. Sbuffando si tolse il lenzuolo di
dosso, rimanendo nudo, e sdraiandosi sulla schiena fissò il
soffitto.
Voltò la testa verso la
sveglia, erano appena le dieci e mezza.
Chissà se Hanamichi è
arrivato..?
Scosse la testa con forza,
girandosi su un fianco.
La cosa non doveva
interessarlo minimamente, il dohao si era comportato da
vigliacco e non meritava la considerazione di nessuno, tanto meno
la sua! Se aveva deciso di fuggire dallaltra parte del
mondo la cosa non doveva riguardarlo minimamente.
LAmerica
Per la prima volta in vita
sua Rukawa Kaede si ritrovò ad invidiare qualcuno. Invidiava
Hanamichi per il fatto di trovarsi nel posto che lui sognava da
una vita, per il conoscere quella lingua che il suo cervello
sembrava si rifiutasse dimparare. E pensare che
laltro quasi non dava peso a tutto questo lo faceva andare
in bestia.
Colpì con un pugno il
materasso sotto di sé.
E poi un altro.
E un altro ancora.
Perché? Perché a lui?
Era sera inoltrata quando
atterrarono allaeroporto, e dopo aver superato il controllo
passaporti, recuperato le valige, e superato la dogana poterono
finalmente mettere ufficialmente piede sul suolo americano.
Era tutto così diverso,
persino laria sembrava avere un altro profumo. Appena
superato il varco della dogana sua madre si alzò in punta di
piedi anche se non ne avrebbe avuto bisogno col suo metro
e settantacinque più i dieci centimetri di tacchi e
quando lo trovò corse verso suo fratello abbracciandolo con
forza, mentre alcune lacrime le rigavano il volto.
Era da tanto che non
vedeva sua madre così felice, il suo paese doveva essergli
mancato molto più di quanto lui avesse mai immaginato. Rimase
leggermente indietro per non interrompere quel momento, ma
allimprovviso si sentì attaccato alle spalle da qualcosa,
il dolore gli mozzò il fiato e la vista gli si oscurò.
"Chi sono?! Chi
sono?! Chi sono?!"
Hanamichi sorrise
"Non ci credo! Ancora fai questi stupidi scherzi?"
"Chi sono?!"
ripeté la voce, leggermente alterata.
"Chi altri potrebbe
essere se non quella bambina di mia cugina Caitlin?"
La ragazza scese dalle sue
spalle e per un momento il dolore alla schiena lo investì, ma
fece di tutto non farlo vedere, specialmente a sua madre.
"Allora? Non si
abbraccia la propria cugina preferita?" la ragazza davanti a
lui gli tendeva le braccia con stampato in faccia un sorriso a
trentadue denti che gli sembrava inquietamente famigliare.
Ma lui la guardò alzando
un sopracciglio "Chi ti ha detto che sei la mia cugina
preferita?" chiese ironicamente.
Laltra perse il suo
sorriso e gli dette un pugno in testa "Idiota
"
poi si voltò e andò da chi sicuramente lavrebbe
apprezzata.
"Non preoccuparti, Hanamichi. Dalle due minuti e non se ne ricorderà più!"
Il ragazzo si voltò verso
suo zio, un uomo alto almeno dieci centimetri più di lui, e
sorrise. Stava per tendergli la mano, ma laltro lo attirò
a sé stringendolo in un abbraccio senza scampo.
Dopo più di due ore si
poté finalmente sdraiare sul letto nella sua stanza. Era stanco
morto, tra viaggio, fuso orario, laccoglienza dei suoi
parenti e il dolore alla schiena si sarebbe volentieri rinchiuso
lì dentro per non uscirne prima di una settimana.
Non poteva essere, lo
aveva fatto di nuovo!
Era riuscito a liberarsi
della sua marcatura come se lui non esistesse neanche, e alla
fine aveva fatto quella schiacciata allo scadere del tempo che
aveva definitivamente sancito la loro vittoria.
96 a 51
Un punteggio a dir poco
umiliante, specialmente per lui.
Il Ryonan stava esultando
per la partita vinta, sebbene fosse solo unamichevole, ma
Sendoh si diresse verso di lui col suo eterno sorriso tendendogli
una mano.
"Complimenti, bella
partita" disse allegro.
Cosera, una battuta?
Lo stava prendendo per il culo?
Avevano fatto schifo,
canestri certi che neanche un bambino avrebbe sbagliato volavano
oltre il tabellone, si erano fatti rubare la palla
uninfinità di volta e quei pochi punti segnati erano suoi
o di Mitsui.
Gli rivolse
locchiata più glaciale di tutta la sua vita e se ne tornò
negli spogliatoi per farsi la doccia.
Un funerale sarebbe stato
più allegro al confronto. Tutti i titolari ostinatamente chiusi
nel loro mutismo e anche le matricole avevano capito che non era
il caso di tentare di tirar su lumore.
Dopo essersi rivestito si
sistemò il borsone sulla spalla ed uscì dalla palestra. Sarebbe
tornato a casa e si sarebbe allenato nella metà campo che suo
padre gli aveva fatto costruire in giardino sino a sfinirsi, sino
a non avere più la forza per reggersi in piedi.
Trovò Sendoh accanto alla
sua bici che lo aspettava.
"Facciamo un pezzo di
strada insieme?" propose allegramente.
Rukawa lo guardò con
lespressione da: fa come ti pare tanto non me ne frega
niente; però non salì in sella e iniziò a camminare al suo
fianco
beh, più o meno, la bicicletta era fra di loro.
Ricordava sin troppo bene
la volta in cui Sendoh aveva tentato di saltargli addosso e non
ci teneva a ripetere lesperienza.
"Che fine ha fatto Sakuragi? Non era neanche in panchina
"
Per un interminabile
secondo tutte le sue funzioni vitali cessarono, ma riuscì subito
a riprendersi.
"E
partito" mugugnò e spero che ci resti secco! pensò.
In fondo gli Stati Uniti erano uno dei paesi col più alto tasso
di criminalità, no?
Sendoh lo fissò stupito
"Partito? E dove se nè andato?"
"Chicago. Sua madre
è americana" rispose cercando di non far assomigliare le
sue parole ad un ringhio.
"Davvero è partito?
Beh, avrebbe potuto dirmelo
"
E perché mai avrebbe
dovuto farlo? la domanda gli era salita alle labbra
spontaneamente, ma per fortuna il suo cervello fece il proprio
dovere e neanche una sillaba uscì dalla sua bocca.
"Quindi tu adesso sei
libero, giusto?"
Senza che se ne fosse
accorto, Sendoh gli si era piazzato davanti impedendogli di
proseguire. Figurarsi se non si lasciava sfuggire questa
possibilità! Ma non gli rispose e salì sulla bici
allontanandosi da quel cretino a cui bastava che laltra
persona respirasse per provarci.
"E inutile che
scappi, tanto riuscirò ad averti!" gli urlò dietro,
continuando a sorridere e iniziando a incamminarsi verso casa
propria.
Si trovava lì da meno di
sei settimane e già si sentiva molto meglio. Lantica
ospitalità irlandese, di cui la famiglia di sua madre era
custode, aveva fatto il proprio dovere e lui ora si sentiva a
casa. Quando lo aveva detto a sua zia, una donna la cui dolcezza
laveva colpito sin dal primo istante, lei gli aveva
risposto: questa E casa tua.
I suoi cugini, Caitlin e Colin, lo portavano tutti i giorni da qualche parte,
fortunatamente nessuno dei due aveva dei corsi estivi da dover
frequentare, così passavano tutto il loro tempo libero con lui.
Gli avevano fatto conoscere i loro amici, e a parte un paio di
idioti che aveva fatto battute cretine sul Giappone, aveva dovuto
ammettere che erano tutti piuttosto simpatici.
Ora se ne stavano seduti
in un centro commerciale, laria condizionata era una vera e
propria benedizione dopo il caldo infernale della strada. Come
fosse stato una specie di accordo non scritto si erano divisi in
due gruppi. Le ragazze da una parte a parlare di vestiti,
vacanze, ragazzi e altra roba da donne; i ragazzi dallaltra
che discutevano sul campionato di baseball, sulle ragazze e altre
cose cui non aveva prestato particolare attenzione.
Beh
si cambiava
paese ma i discorsi rimanevano sempre quelli.
"Ehi, Hanamichi!" la voce di uno degli amici di
Colin, Jimmy se
non ricordava male, lo aveva distolto dai suoi pensieri e dallo
studio della fauna locale "Ce lavevi una ragazza in
Giappone?"
Ecco ciò che non gli
piaceva di quel paese, la troppa disinvoltura nel farsi gli
affari degli altri.
Scosse la testa, pensando
ironicamente che nessuno fra di loro avrebbe apprezzato una
precisazione del tipo: no, avevo un ragazzo.
Che probabilmente ora
mi odia a morte, aggiunse fra sé e sé.
Bah
meglio così!
"Dai, non ci credo!
Ho letto certe cose sulle ragazzine giapponesi
"
continuò quello imperterrito "
la loro libertà
sessuale, la loro mancanza di inibizioni
scommetto che ne
avevi una nuova ogni sera, eh?"
Ma che razza di notizie
scrivevano gli occidentali sul suo paese?!
Sakuragi non rispose,
limitandosi a sorridere ironico, e quelli ripresero a parlare dei
loro argomenti preferiti.
No, lui non avrebbe mai
potuto avere una ragazza per notte. Quello era Kaede
era
lui che avrebbe visto avverarsi ogni suo desiderio limitandosi a
schioccare le dita. Invece
aveva scelto lui, e ancora se ne
chiedeva la ragione. Non che oramai questo avesse una qualche
importanza, probabilmente ora Rukawa lo odiava con ogni fibra del
suo essere.
Il campionato scolastico
era alle porte e la squadra stava lentamente e faticosamente
riconquistando il proprio equilibrio. Certo, allinizio era
stato tremendamente difficile cercare di andare avanti, ma il
basket è un gioco di squadra, e in una squadra nessuno è
insostituibile, chiunque con un po di tempo
può essere rimpiazzato. E questo era ciò che lo Shohoku stava
facendo. Rimettere insieme i pezzi, sostituire Sakuragi e andare
avanti, conquistando quel titolo che lo scorso anno era stato ad
un soffio.
Nessuno di loro pensava
più a quellesaltato dalla testa rossa; lo avevano fatto
allinizio mandandogli accidenti a tutto spiano per averli
lasciati in mezzo ai guai. Ma oramai sembrava quasi che per
nessuno di loro lui fosse mai esistito.
Gli allenamenti erano
sempre relativamente tranquilli, nessuno fomentava più risse e
tutti non facevano altro che dare il meglio di sé.
Il campionato sarebbe
stata una vera e propria lotta, contro squadre agguerrite come lo
Shoyo o il Ryonan che lanno precedente erano state buttate
fuori dalle qualificazioni nazionali proprio a causa loro.
Ma lo Shohoku non si
sarebbe arreso tanto facilmente, avrebbe fatto vedere agli altri
di che pasta era fatta la squadra che meritava il primo posto al
campionato nazionale.
Rukawa si allenava al suo
solito, senza badare a nullaltro che non fosse
lallenamento, a migliorarsi in maniera esponenziale.
E vero, ogni tanto gli capitava ancora di pensare a lui,
chiedendosi cosa stesse facendo, ma era più una sorta di
abitudine che un reale e sincero interesse.
Sotto le docce tutti
ridevano e scherzavano come se non avessero avuto un solo
pensiero al mondo.
Sakuragi era stato
dimenticato.
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