Oh My God!

parte XI

di Naika

Zenan fissava il grande portone oltre il quale Sefire era sparito con il cuore che gli martellava pericolosamente in gola.

Non poteva fare nulla.

Non poteva aiutarlo.

Non poteva proteggerlo.

Rabbia e impotenza si riversavano in lui in onde violente che lo spingevano ad aprire e chiudere i pugni con forza tentando invano di calmarsi mentre la pioggia, impietosa, cadeva su di loro.

Lo sguardo gli scivolò su Allan che, a pochi passi da loro, un po’ in disparte, fissava le alte torri del castello offrendo il volto abbronzato a quella acqua fredda e impietosa che aveva reso i suoi capelli una massa informe di oro fuso.

Lo sguardo solitamente così luminoso del Dio era passato ad uno scuro e preoccupato verde bosco mentre cercava di distinguere oltre il muro, grigio, di pioggia, le finestre che imprigionavano il suo amante.

Zenanhash sospirò scuotendo il capo preoccupato.

Non sapeva se odiare quella pioggia violenta o considerarla un’amica.

 

Il diluvio si era fermato solo per pochi istanti un’ora prima.

 

Quando ormai, secondo i calcoli di Allan, Sefire doveva aver raggiunto la sala del trono.

Lui stava passeggiando nervosamente avanti e indietro per la millesima volta quando d’un tratto Ascarot si era piegato in avanti con un grido roco di dolore.

In quel momento il vento si era zittito e la pioggia si era cristallizzata infrangendosi a terra in mille schegge di ghiaccio.

Il Custode del tempo aveva perso i sensi, presto soccorso da Gabry e Laebel, mentre Zenan spalancava gli occhi incredulo guardandosi attorno.

 

Il potere di Clhavishineriyas era dunque così grande dal consentirgli di manovrare a suo piacimento l’energia del più vecchio ed esperto di loro?

 

Perchè era esattamente ciò che stava succedendo.

Il Tempo era fermo.

Immobile.

 

Boccheggiò, senza fare rumore, guardandosi attorno, spaventato, da quel silenzio che era improvvisamente calato su di loro come un mantello troppo pesante, soffocandoli.

 

Per quanto era durato?

Non avrebbe saputo dirlo.

Forse minuti, forse ore.

 

Quelle unità di misura non avevano più senso nel momento stesso in cui Ascarot era caduto.

 

Solo quando, con un tuono, il cielo si era riscosso, rabbrividendo nello sciogliersi dall’incantesimo del Signore dalle Due Maschere, solo allora Zenan aveva ritrovato la voce.

E aveva gridato.

Aveva gridato il nome del suo amato con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Ma ancora una volta solo il vento, la pioggia e i flash violenti dei fulmini gli avevano risposto.

 

...

 

“Cerca di calmarti..” la voce pacata di Plesea lo riportò al presente spingendolo a volgere il capo verso di lei.

 

Calmarsi...

Sembrava facile a dirsi.

 

Ma Sefire era dentro quell’enorme maniero scuro a fronteggiare una creatura che nessuno di loro aveva il coraggio di guardare negli occhi.

L’aveva appena trovato!!

Aveva appena avuto il tempo di assaporare la morbida consistenza delle sue labbra.

 

Non poteva perderlo.

Non ora che era ricambiato.

Non ora che conosceva il calore del suo sorriso sincero.

 

Sarebbe stato troppo crudele.

 

Strizzò con rabbia le ampie maniche della sua veste ormai completamente zuppa mentre per la milionesima volta ripercorreva lo stesso tratto di terreno.

 

“Oh cielo...” ansimò spaventata Ferieeen correndo verso la barriera che ancora li separava dall’imponente ingresso alla dimora del Dio della Morte.

Zenanhash si volse di scatto al suono di quelle parole, gelando nello scorgere la figura di Sefire trascinarsi verso di loro.

L’angelo camminava rasente al muro di pietra scura, a fatica, quasi le gambe non riuscissero a sostenerlo.

“Sefire!!!” lo chiamò il Dio della Sapienza precipitandosi accanto alla piccola apertura che avrebbe riportato il suo amato da lui.

Il ragazzo sollevò il volto nel riconoscere la voce del suo signore, cercando senza molto successo di accelerare il passo.

 

Zenan invece non aveva più nemmeno il fiato di parlare.

Gli occhi azzurri di Sefire...

Le sue bellissime iridi cerulee...

 

Erano due laghi candidi.

 

“E’... è cieco..”   ansimò Plesea notando lo stesso particolare che aveva spezzato il respiro di Zenan.

Allan si morse le labbra a sangue, cercando senza poco successo di trattenere le lacrime che andavano a fondersi alla pioggia violenta.

“Chiamalo Zenan..” sussurrò all’amico con voce quasi irriconoscibile da quanto era roca, vedendo che Sefire, ora che non sentiva più le loro voci, faticava ad orientarsi.

Zenan annuì, intontito dal dolore, prima di prendere nuovamente a chiamare il giovane angelo.

Sefire scese a fatica i gradini che conducevano all’ingresso del castello seguendo la voce spezzata del suo signore fino alla crepa nella barriera.

Il Dio della Sapienza allungò le braccia oltre il varco, incurante del stilettate d’energia che lo scudo magico scagliava su di esse, per attirare il ragazzo contro di se, fuori da quell’incubo, stringendolo protettivamente al suo petto.

Sefire crollò contro di lui, nascondendo il capo contro la sua spalla scoppiando in singhiozzi violenti, il pianto della pioggia unico suono a fargli da eco.

 

Solo molti minuti più tardi il ragazzo sollevò a fatica il capo lasciando che Zenan gli passasse dolcemente le mani tra i capelli azzurri, rassicurandolo.

“Tesoro..” mormorò affranto il Dio senza riuscire a nascondere il tremito profondo della sua voce.

Sefire allungò una mano, incerto per accarezzargli il viso e Zenen si morse a sangue le labbra per non urlare quando vide i suoi occhi scivolare, vuoti, oltre la sua spalla.

Victor si avvicinò cautamente agli altri due posando una mano sulla spalla dell’angelo, “Sefire..” mormorò piano.

“Ti va di dirci che cosa è successo?” chiese incerto.

Il ragazzo prese un tremulo respiro, le mani strette spasmodicamente alla veste bagnata di Zenan, prima di annuire titubante.

“Allan..” chiamò guardandosi attorno spaesato.

“Sono qui..” sussurrò il Dio dell’Amore con voce rotta allungando una mano per sfiorare delicatamente la sua.

Sefire annuì con un sospiro, appoggiando nuovamente il capo contro il petto di Zenanhash, cercando di concentrarsi solo sul calore di quelle braccia amate che lo stringevano  come se non volessero lasciarlo andare mai più.

Si aggrappò a loro imponendosi di tornare indietro a poche ore prima.

Di raccontare loro che cosa aveva visto l’ultima volta che i suoi occhi avevano assaggiato la luce.

 

Quella luce... candida... intensa... e dannata.

 

 

Flash Back

 

La tenebra si scisse come nebbia leggera che va sfaldandosi tra le dita trasparenti del vento d’inverno.

Si sciolse in fluidi strascichi di seta cangiante lambendo con morbida voluttà la figura che essa stessa sembrava generare, aggrappandovisi per un momento soltanto, con l’adorante disperazione che un’amante riserva al suo crudele Signore, nell’essere abbandonato.

Sefire cadde in ginocchio, tra i frammenti di vetro, trattenendo il fiato incredulo, mentre l’oscurità si ritirava con la stessa lenta, inesorabile, eleganza con cui Clhavishineriyas veniva avanti.

L’angelo rimase immobile, in attesa.

Non riusciva a pensare.

A muoversi.

Ogni suo senso era annullato, completamente irretito, dalla creatura che stava nascendo dinanzi ai suoi occhi.

Come il lieve sorgere dell’alba, la luce da principio soffusa, ombretto rosa leggero, soffiato a spandersi in morbide nuvole, fluttuò tra le ragnatele della notte catturando la poca luce per restituirla all’aere tinta d’oro.

L’oscurità schiuse i suoi petali di velluto nero rivelando la luce che pulsava nel suo cuore.

 

Candida.

Pura.

Così antica eppure ancora immacolata.

 

Essa scivolò nella stanza divelta, accarezzandola amorevolmente con il suo chiarore delicato.

Con gli occhi spalancati Sefire vide quella luce contrarsi debolmente per poi allargarsi con un sospiro.

Un’onda tiepida e luminosa che avvolse la sala del trono incantandolo con la sua  impalpabile carezza, fluendo fino alle pareti della grande stanza, infrangendovisi in milioni di scintillii iridescenti.

 

Devastante nella sua innaturale magnificenza.

 

Un canto che fluiva attraverso il suo corpo e la sua anima nutrendola di una pace antica e lontana, cercata così a lungo senza averne consapevolezza.

Allungò una mano, ipnotizzato, osservando la sua pelle rilucere nell’essere lambita da quella forza sconosciuta eppure così familiare e calda.

 

Sono a casa.

 

Questo pensò.

Era ritornato al principio.

Aveva chiuso il cerchio.

 

Nella stessa essenza da cui era nato si sarebbe sciolto, restituendo ciò che aveva avuto solo in prestito.

 

Guarda...”

 

Quella voce profonda e melodiosa gli accarezzò l’udito facendo battere con forza il suo cuore, facendo tremare le sue membra, mentre la luce pulsava, allargandosi in luminosi respiri concentrici, dal ritmo lento e intenso.

 

Guarda che cosa sono...

 

Lo ascoltava incantato semplicemente dal suono delle sue parole.

Dal tono antico e dolce di quella voce che sembrava riversarsi su di lui con la stessa, lenta, ammaliante, possenza di quelle onde luminose sempre più grandi e calde.

Si tese inconsciamente verso di lui con l’unico bruciante desiderio di potersi abbeverare della sua vista.

Del suo vero aspetto.

Di lui.

 

E il suo desiderio venne esaudito.

 

La luce si schiuse in due grandi, splendenti, ali candide, mentre la tenebra si rannicchiava tutt’attorno in riverente, silenziosa, attesa.

Allora potè mettere a fuoco...

Potè, per la prima e ultima volta, .... vedere....

 

Fine flash back.

 

 

Sefire si rattrappì tra le braccia di Zenan mentre gli dei attorno a lui trattenevano il fiato incapaci di chiedere.

La voce dell’angelo giunse soffocata e stanca ancora permeata della meraviglia e dell’orrore che la verità aveva portato nella sua coscienza.

 

“Un demone...” sussurrò tremando con forza.

“E’ un demone mostruoso... con enormi, purissime, ali bianche...” ansimò con la voce spezzata dai singhiozzi.

 

“Un angelo....” mormorò stringendo spasmodicamente la veste di Zenan.

“Un angelo stupendo... con ritorte, deformi, corna nere...” singhiozzò affondando il capo contro il petto del Dio.

 

Zenan accarezzò incredulo e spaventato il corpo dell’angelo, stremato, dal solo rievocare quell’immagine terrificante che gli aveva dilaniato la vista.

 

 

Un demone bianco e un angelo nero.

 

 

Al contempo Vita e Morte.

Ciò che più temeva stava davvero accadendo.

 

Sefire scosse il capo tremando con forza tra le sue braccia e lui lo strinse preoccupato, accarezzandogli i capelli bagnati cercando di rassicurarlo.

 

 “Lui è...” ansimò piano il ragazzo contro il suo petto.

“Clhavishineriyas è...” deglutì a fatica affondando il capo contro la veste del Dio della Sapienza.

 

“Un errore...” sussurrò a fatica prima di perdere i sensi.

 

...

 

Zenan si richiuse silenziosamente alle spalle la porta della grande camera da letto.

Avevano fatto ritorno a Saphe.

Restare ai piedi del grande maniero scuro era inutile, nessuno di loro sarebbe riuscito ad entrarvi e l’angelo aveva bisogno di riposare in un luogo asciutto e caldo.

“Come sta?” chiese piano Victor che attendeva oltre la soglia, preoccupato.

Zenan scosse il capo, “Gli ho dato una tisana per dormire, riposerà per qualche ora...” mormorò sperando che la bevanda avesse il potere di annullare anche gli incubi che in un primo momento avevano scosso il corpo del suo amato.

Sembrava così esile e fragile nel suo letto.

Aveva lasciato il suo segretario, Lariel, l’arcangelo della guarigione, accanto al ragazzo perchè vegliasse il suo sonno.

Si passò una mano sugli occhi, stancamente, ripensando allo sguardo spento del suo compagno.

 

Sefire non avrebbe più potuto vedere.

 

Il potere di colui che gli aveva strappato la vista era troppo grande perchè potessero anche solo sperare di riparare ciò che lui aveva spezzato.

 

“Mi dispiace..” la voce di Allan, immobile poco distante, lo sguardo fisso sulla pioggia che scivolava sulle grandi vetrate trasparenti, gli giunse roca e stanca.

“Non è colpa tua Allan...” sussurrò il Dio della Sapienza.

“Non è colpa di nessuno...” mormorò.

 

E nonostante il dolore, lo pensava davvero.

 

Aveva lasciato i suoi amici alle cure dei suoi servitori per accudire Sefire e, quando l’aveva adagiato tra le lenzuola, l’angelo si era svegliato artigliando la manica della sua veste, bagnata, con forza.

“Dobbiamo salvarlo....” il suo rantolo disperato l’aveva colto impreparato.

Pensava che delirasse ma Sefire aveva artigliato il suo braccio, gli occhi spalancati nel vuoto, obbligandolo ad ascoltare.

 

Aveva odiato Clhavishineriyas, lo aveva odiato con tutte le sue forze, per ciò che aveva fatto a Sefire.

Ma dopo aver ascoltato ciò che ancora non sapeva...

Dopo aver saputo la verità...

 

“Venite, gli altri ci attendono nella sala del consiglio...” sussurrò incamminandosi per il lungo corridoio candido, cercando di trovare il coraggio per raccontare agli altri... ad Allan... ciò che aveva saputo da Sefire.

Il Dio dell’Amore accarezzò, quasi distrattamente, il vetro gelido della finestra osservando la furia e il dolore del cielo, prima di stringere con impotenza la mano e obbligarsi a seguire Victor e Zenan.

 

Voleva andare da lui.

Voleva prendere Clavis tra le braccia e tenerlo stretto al suo petto.

Voleva mettere fine a quella pioggia che sembrava sempre più l’eco di una tristezza straziante e insopportabile.

 

Un errore.

 

Così aveva detto Sefire.

Come poteva essere un errore Clhavishineriyas?

Non c’era niente di imperfetto in lui.

Assolutamente nulla.

 

Forse era quello lo sbaglio.

 

La Perfezione non poteva esistere.

 

...

 

Zenanhash si sedette sull’alto scranno che faceva capo alla lunga tavolata a cui già sedevano gli altri Dei superiori, liberatisi delle vesti bagnate avevano ripreso il loro aspetto solenne e magnifico seppure nei loro occhi scintillasse ancora l’inquietudine.

Prese un lungo respiro prima di cominciare a parlare sfuggendo lo sguardo di Allhanirayas, incapace di sostenerlo.

 

Conosceva la luce che brillava negli occhi verdi del dio biondo.

Era la stessa che vedeva, nei suoi, nello specchio, ogni mattina.

Amore.

Amore per quel dio oscuro e misterioso.

Per quella creatura dalla duplice, contraria, natura.

 

“Dovevano essere due....” mormorò.

Non serviva che spiegasse loro di che cosa stava parlando.

Quelle parole appena mormorate da Sefire erano incise, a fuoco, nelle loro menti.

 

 

Lui è...

...Clhavishineriyas è...

 

...un errore.

 

 

“Ma Vita e Morte si ribellarono alla volontà che le voleva divise, spinte dall’eterno, disperato, bisogno di prevalere, si scagliarono una contro l’altra...” sussurrò “... incatenandosi.”

“E così coloro che avrebbero dovuto governare l’Esistere si ritrovarono imprigionati in un unico essere...” spiegò.

“Non doveva accadere...”

“Una simile energia non poteva coesistere...” mormorò, la voce stanca, provata.

 

Vita nella Morte, Caos nel Nulla, Ombra nella Luce...” scosse il capo piano, incapace di sostenere il peso delle sue stesse parole.

 

 

“Così nacque.... Clhavishineriyas”

 

 

Un lungo momento di silenzio incredulo.

Immobile.

Mentre pioggia e vento urlavano con forza contro le finestre della sala avvolta della ombre, la luce delle candele che non riusciva a sopraffare l’oscurità del temporale.

 

“Ma due forze contrarie come potevano risiedere nello stesso corpo?” chiese senza fiato Laebel.

“Non potevano...” confermò Zenan.

“Vita e Morte lottarono disperatamente dentro di lui per millenni, cercando di prendere il predominio l’una sull’altra inconsapevoli che se una sola fosse scomparsa anche l’altra presto sarebbe svanita.” sussurrò grave.

 

“Perchè, se possono sopravvivere una nell’altra, non possono esistere una senza l’altra” spiegò con un sospiro.

 

“Clhavishineriyas protesse il neonato universo cercando con tutte le sue forze di impedir loro di distruggersi a vicenda.” riprese a raccontare.

“Ma alla fine gli fu chiaro che non ne aveva la forza....” disse passando una mano tra i capelli, ancora leggermente umidi, mentre il suo sguardo scivolava per un momento sul volto teso del Dio dell’Amore.

 

“Fu allora che decise di sacrificare la sua anima....” mormorò piano, vedendo gli occhi verdi di Allan allargarsi increduli, mentre la sala piombava in un nuovo, pesante, silenzio.

 

“L’antepose tra loro.” sussurrò.

“Un pallido muro trasparente tra il demone e l’angelo.” soffiò piano.

A sacrificio e sigillo...” ansimò “...per noi...” gemette il Dio della Sapienza, nascondendo il volto pallido tra le mani.

 

“E’ così dunque...” sussurrò Victor piano.

Zenan annuì prima di sollevare il capo, stancamente, imponendosi di porre fine a quel supplizio.

 

“Per non impazzire Clhavishineriyas ha relegato uno dopo l’altro i suoi sentimenti, incatenandoli insieme al suo destino...”

 

Solo un doloroso, lungo, silenzio fece eco alle sue parole.

 

Oltre le grandi finestre il cielo gridò con forza riversando luce incandescente sulla terra martoriata, sferzando con la furia del vento e la disperazione della pioggia quel mondo che aveva continuato a vivere per millenni cibandosi della sua agonia.

Zenan prese un lungo respiro e si volse verso Allan, una statua pallida ed immobile, lo sguardo vuoto, fisso, su quella pioggia senza tregua.

 

Imploderà...”

 

Quell’unica parola suonò nella grande stanza come uno sparo.

“Ora che la sua anima ha spezzato le catene, ora che più niente separa Vita e Morte...” mormorò piano cercando di trovare il fiato per portare a termine il suo discorso.

 

“Scomparirà.... dilaniato in due dalla potenza che custodisce.”

 

“No...” ansimò Allan balzando in piedi di scatto, fissando gli occhi spalancati sull’amico.

Zenan distolse lo sguardo incapace di sopportare la disperazione che bagnava quelle iridi verdi.

 

“Mi dispiace Allan...” mormorò “Clhavishineriyas morirà...”

“Morirà per correggere l’errore, lasciando il posto a due nuove divinità, distinte, così come doveva essere dall’inizio.”

 

Continua....


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