Disclaimers: i personaggi non sono miei ma appartengono a Akira Toriyama e un sacco di altre brave persone


Occhi e sorrisi

di Clarus

 

Camminare nella strada della Capitale dell’Ovest, la più popolosa dell’intera Terra, era davvero un’avventura. Mille strade e mille vie s’aprivano in tutta la città, piena di vetrine e d’insegne luminose, tutte cose che la metropoli sfoggiava come gioielli. Le strade erano affollate e piene di negozi all’inverosimile. 

C’era veramente di tutto in quella città. Non si poteva camminare e non restare abbagliati da tutto, ma la cosa che la città vantava era l’enorme pace e il clima di familiarità che offriva, per questo Goten aveva deciso di trasferirsi lì, in una piccola casa a due piani. 

Sua madre era mezza morta quando le aveva detto della sua idea, ma presto si era consolata sapendo che lo faceva per lo studio. 

Suo zio, Mister Satan, lo aveva aiutato a trovare casa ed in più era stato molto felice di pagargli praticamente tutto, in fondo Goten sapeva la verità sul campione del mondo, ma non avrebbe mai pensato di ricorrere a questa “arma”. Così, ora, si ritrovava a passeggiare per quelle strade. “Ah, come si sta bene qui in città, pensò, stare insieme a mamma delle volte è veramente stressante!” e sorrise divertito a quel pensiero, e poi lì, in quella città, viveva il suo miglior amico: Trunks, ma era da molto tempo che non lo vedeva, perché lui studiava in una scuola privata e lavorava anche alla Capsule Corporation. 

Squillò il cellulare, era Leila, la sua attuale ragazza, che gli strappò un appuntamento per l’ora successiva. I due si sarebbero ritrovati in una caffetteria non molto lontano da dove si trovava Goten. “Chissà che cosa vorrà Leila?” si domandò il ragazzo, mentre si sedeva ad un tavolo. Non aspettò molto, perché la ragazza arrivò subito e di corsa per giunta. “Ehi Leila! Siediti, ma guarda che fiatone che hai! Vuoi che ti offra qualcosa?” Chiese il ragazzo gentilmente, ma lei scosse la testa. “No, no! Senti, io, io volevo dirti che… che io, che io mi… mi sono innamorata di un altro.” Goten strabuzzò gli occhi, quel colpo giungeva a ciel sereno. Non poteva crederci! 

“Ma, ma come?” 

“Aspetta Goten. Tu, tu sei un caro ragazzo, mi hai sempre dato tante attenzioni, però, però il nostro rapporto è soltanto un buona amicizia.” Goten non aveva ancora incassato il colpo, ma in fondo, sentiva che era proprio così, anche con Leila non era riuscito a trovare una ragazza per sé. Eppure, era sempre stato carino, gentile, ma con tutte le ragazze che aveva avuto (ed erano tantissime), con nessuna aveva stabilito un rapporto profondo e reciproco. 

“Va bene, ho capito Leila. – disse alzandosi – Va bene così, hai ragione tu. Sarà per un’altra volta.” La mano della ragazza afferrò la manica della sua maglia “Non ti sei offeso?” 

“No, non preoccuparti. – sorrise – Sono io che non riesco a trovare una brava ragazza, come te, per me.” 

Lei rise “Bè, ti auguro tutto il bene di questo mondo. Spero riuscirai a trovare l’amore della tua vita, chiunque sia!” “Grazie” rispose con tono sincero. Il ragazzo uscì nelle vie della città, mentre il sole stava calando verso l’orizzonte. Dentro di sé non si sentiva scosso più di tanto, solo ora si rendeva conto che con Leila c’era solamente una buona amicizia, infatti non si erano mai baciati, ma solamente divertiti per un po’ insieme. Però, in profondità, dentro al suo cuore, si domandava perché, si tormentava. 

C’era una domanda a cui lui non riusciva a trovare risposta: “Perché non riesco mai ad innamorarmi?” Lui si sentiva strano ora che ripensava alla domanda. Sentiva che il suo cuore non amava nessuna in particolare e quella, per lui, era una grande paura. Non capiva, ma lo desiderava tanto. Arrivò a casa, mente i suoi pensieri s’erano fatti confusi, poi ad un tratto, nella sua mente sbucò Trunks. Il vecchio amico e confidente, come lo voleva vedere! Moriva letteralmente dal desiderio. Da troppo tempo non lo vedeva, solo con lui si sentiva bene, con lui poteva parlare di qualsiasi cosa. Trunks era il suo miglior amico, nonché colui che lo conosceva meglio. Goten aveva confidato solo a lui alcuni suoi problemi e a nessun altro, nemmeno al fratello, che ora era lontano con Videl, Pan e Satan. Il figlio di Vegeta era importantissimo per lui, se non il più importante. E fu allora, che un pensiero lo colpì peggio di un pugno: il suo affetto per l’amico fino a dove si spingeva?

 

Trunks stava alla finestra del suo ufficio alla Capsule Corporation, guardando un po’ malinconico la città lì fuori. Era rinchiuso lì, obbligato dalla madre a fare esperienza sul campo (ma soprattutto da un marchingegno che gl’impediva di volare via dalla finestra), fino a quando, fra poco più di un mese, sarebbe stato il presidente dell’intera azienda. Ma a lui non piaceva, preferiva andare in giro in città come un ragazzo normale, con i suoi amici, ma, soprattutto, con il suo migliore amico: Goten. Era da mesi che non lo vedeva, non vedeva l’ora di rivederlo, di parlargli, di poter vedere il suo sorriso… quel sorriso splendido, quel sorriso che il ragazzo riservava a lui, così pieno d’affetto. Il cuore di Trunks palpitò nel suo petto e lui arrossì.  

Non sapeva perché lo faceva, ma solo il ricordo di quel dolce sorriso, lo faceva emozionare, quasi gli toglieva il respiro. Voleva molto bene a Goten, era  molto importante per lui. S’erano frequentati da anni, ma quella lontananza cominciava a farlo star male. Spesso scopriva che tutta la sua mente era rivolta a Goten. Non sapeva spiegarsi quei caldi e avvolgenti sentimenti, ma sentiva che gli scaldavano il cuore e facevano riemergere i più antichi ricordi che lui aveva dell’amico. Ultimamente, i suoi genitori avevano finito di completare un loro album fotografico, ed in quelle foto Trunks ne aveva vista una. Vedeva se stesso seduto sul passeggino, con accanto a lui Goten appena nato. Nel vederla aveva sorriso, ma una dolce sensazione lo aveva avvolto, molto simile all’affetto che aveva nella sua anima. Non aveva paura, perché non capiva che cosa stava succedendo nel suo cuore, poiché tra scuola, lavoro ed allenamenti (imposti dal padre) aveva davvero molto poco tempo per sé, quasi nulla. Ora, in quei momenti si sentiva triste, poiché nonostante la sua grandissima forza era obbligato a stare lì, e non poter vedere Goten gli dispiaceva moltissimo. 

Ad un tratto pensò: “Chissà dove vive e che casa gli ha trovato Satan? A conoscerlo, m’immagino già come sia! Disordinato e caotico nelle sue cose. Mamma mia che casa avrà! Comunque devo vederlo, mi par quasi di punirlo non facendomi vedere!” Ma, a quel punto, emerse una domanda: perché desiderava così tanto vederlo? “Ovvio, è il mio miglior amico, no? Però… però… anche a me pare un po’ strana questa voglia. Va bene che ho un grande affetto per lui, che non darei mai a nessuno…” “Cosa?! – esclamò – cosa mai ho appena pensato? – la sua voce si fece tremula, quasi un soffio – Io ho un grande affetto per Goten, che non darei a nessuno…” Era vero, solo e soltanto la pura verità. Va bene che non aveva ancora molte esperienze con le ragazze, in fondo non ne aveva baciata nemmeno una, ma come poteva dire che quell’affetto che nutriva per lui non sarebbe stato di nessun altro? 

Si sentiva molto legato a lui, da sentimenti molto profondi. Si capivano a vicenda, avevano gusti molto simili, e poi anni ed anni addietro aveva effettuato il balletto della Fusion… la fusione era sta un’emozione esaltante, difficile da descrivere. Le loro menti s’era unite in una sola e lui con un colpo aveva acquistato alcuni ricordi e le sensazioni che Goten  provava, ed ovviamente anche per l’altro era stato lo stesso. A quel tempo, l’amico era ancora un semplice bambino di campagna, che pensava ai giochi che poteva trovare in città, a grandi città fatte tutte di dolci, e poi, e poi, in quel riemergere di pensieri vide chiaramente una promessa che Goten s’era fatto in quei lontani anni: sarebbe rimasto amico di Trunks per sempre, lo avrebbe aiutato in qualsiasi modo. Trunks spalancò gli occhi: se l’era ricordato solo ora, grazie a quel piccolo frammento di memoria di Goten che era in lui. 

Si sentì quasi sciogliere d’emozione nell’apprendere quelle parole di quell’innocente e semplice promessa, che l’amico aveva mantenuto con tutte le sue forze. 

 

Goten tornò a casa, ancora sconvolto da quella domanda. Sapeva di voler molto bene all’amico, quella domanda gli dava una paura enorme, che non riusciva a spiegarsi, ma la cosa che lo spaventava ancora di più era il fatto che non sapeva darsi una risposta. I momenti più belli e felici della sua vita li aveva vissuti con lui,  a lui aveva confidato i suoi intimi segreti. Non poteva non ricordare come Trunks lo aveva rassicurato quando lui aveva iniziato a crescere, ed il suo corpo spesso lo spaventava con i suoi impulsi quasi incontrollabili. Sorrise. Ricordò quando,  ebbe la sua prima erezione. S’era sentito strano, cambiato, ne aveva avuto paura e la prima persona che aveva chiamato era stata Trunks. Ora si rese conto che non c’era un motivo per chiamare proprio lui, forse suo fratello o meglio ancora suo padre lo avrebbero consigliato e rassicurato meglio, ma la sua mente, il suo primo impulso era stato quello di chiamare lui. “Forse – pensò – l’ ho fatto perché lui poteva capire meglio la mia situazione, perché lui da poco aveva superato quel periodo…” E allora, ricordò la risata che l’amico aveva fatto, quella risata sincera, che gli aveva risollevato il morale in un attimo. Sorrise ancora. Trunks, il suo migliore amico, era l’unica persona (tranne i suoi genitori, suo fratello e suo nonno) a cui lui avesse dato incondizionatamente il suo affetto. Goten mangiò un poco sollevato da quei pensieri, poi si spogliò per finire quella strana giornata, perché non aveva più voglia di rimuginare su tutte quelle così delicate. Prese il pigiama dalla sedia su cui lo aveva buttato la mattina, se l’infilò e quasi subito s’addormentò, ma l’attimo prima, senza accorgersene, desiderò che Trunks fosse lì, dormiente, vicino a lui in quel letto.

 

Il figlio di Vegeta, dopo cena, s’era chiuso in camera sua. Era disteso sul letto, una gamba ciondoloni, le mani incrociate dietro la nuca, lo sguardo fisso sul soffitto. Goten… ora c’era lui nei suoi pensieri, perché da quando aveva iniziato a ragionarci quel pomeriggio, non aveva più smesso. Il piede nudo sfiorava il pavimento, ma il freddo quasi non lo sentiva. 

Rimuginare e rimuginare, s’accorse, non gli serviva a nulla. Doveva vederlo, ma lui sapeva che c’era un sottile filo che li univa, che rendeva speciale il suo rapporto. A lui Goten piaceva molto. I suoi gusti di musica, di quei pochi libri che leggeva, delle volte si sorprendeva sapendo in anticipo quello che l’amico pensava, il suo modo di scherzare e di ridere, e poi Goten era un bel ragazzo, con un bel fisico. Sentì un fremito nel suo corpo, quegli ultimi pensieri, avevano destato in lui delle strane pulsazioni e terribili paure. 

Paure di distruggere quel legame, paure nel distruggere la fiducia di Goten in lui. Ora iniziava a capire, ma aveva paura di quella verità. Pianse, pianse, soffocando i suoi singhiozzi nel cuscino. “No, tutto ma non questo! Oh no, come potrò affrontare il suo sguardo? Ho paura!” Sentì il suo orgoglio infrangersi, farsi a pezzi sotto quell’emozione, sotto la consapevolezza di quello che provava. S’intrufolò nel letto, sommergendosi nelle coperte nella vaga speranza  di sparire da quel mondo. Perché proprio Goten? Perché proprio lui, il suo miglior amico, l’unica persona che non avrebbe mai voluto ferire? La paura non poteva non impadronirsi di lui, la paura di perdere la persona a lui più cara, l’unico suo vero amico. In fondo, Trunks aveva veramente poche persone a cui voler bene, oltre a Goten. C’erano suo padre, sua madre, ma anche Goku, Gohan, Crillin, C18, e nessun altro. Il suo mondo si fermava lì, il suo mondo affettivo era chiuso a loro, ma in compenso riceveva grandi emozioni, e grandi amicizie, insostituibili, che non avrebbe mai trovato in persone della sua età. 

Un grande combattente come lui, uno dei più forti dell’intero pianeta, ora si doveva piegare a dei semplici sentimenti che erano fioriti spontanei nel suo cuore, sentimenti di un affetto che sconfinava nell’amore semplice ed innocente.

I suoi occhi frizzavano, quando smise di piangere. Si rendeva conto che era inutile fronteggiare quelle emozioni con il suo orgoglio e la sua testardaggine, sentimenti troppo forti da poter sconfiggere, anche se in un semplice duello, com’era abituato lui. Ora desiderava una sola cosa e per quello decise. Scese dal letto, s’infilò le scarpe e spalancò la finestra. Il fresco della notte sfiorò il suo volto, ancora umido per le lacrime ed un piccolo brivido lo fece tremare, ma lui non seppe mai se fosse stato di paura o di freddo.

 

Goten si svegliò di colpo, scosso da quello che aveva sognato. Non poteva crederci. Si alzò dal letto, come se fosse lui la causa dei suoi sogni. Guardò la sua figura riflessa nello specchio, mentre si lavava la faccia con l’acqua fredda, per svegliarsi ancora di più. Scivolò a terra. “No! No!” mormorò, singhiozzando. Quelle sensazioni che aveva vagamente sentito in sogno erano insopportabili. 

Aveva sognato Trunks, lo aveva visto diverso, ma tutto questo a causa di quello che sentiva. No, non poteva essere così in realtà! No! “No, no! Non ci credo non può essere vero! Io, io voglio molto bene a Leila, a tutte le ragazze con cui sono stato … non posso credere che, che io mi sia innamorato proprio di Trunks! No, no, deve essere solo un sogno un brutto sogno!” mentre parlava ansimava. Si vestì velocemente ed uscì di casa, senza nemmeno aver cura di chiudere la porta. S’incamminò per le via delle città, ancora piene di gente, per la maggior parte giovani ragazzi di città e di campagna. Non pensava a dove andare, solo il più possibile lontano da quel letto maledetto. Raggiunse una piccola birreria e decise di fermarsi lì, per bere qualcosa. Si sedette in un angolo vuoto del locale e si fece portare un boccale di birra. Iniziò a bere, mentre il fiume dei sentimenti avanzava nel suo cuore. “Come può essere? Io, io voglio molto bene a Trunks, ma come posso, come posso essermi innamorato di lui? È il mio miglior amico, è importantissimo per me! Ma come posso… come potrei… e lui odia, odia queste cose!” Ma quella era una bugia per ingannare il suo animo, perché mai avevano fatto parola di quelle cose e senza nemmeno accorgersene, Goten iniziò a bere, a svuotare bicchieri su bicchieri, annebbiando la mente ed alleviando quella massa di pensieri, che lo attanagliava come la più stretta delle morse. 

Sentì pian piano i suoi sensi offuscarsi, mentre le sue palpebre si facevano pesanti e a stento li teneva aperte, ma non voleva più dormire, poiché aveva paura che quei sogni tornassero a tormentarlo. Mandava giù bicchieri e bicchieri di birra, fino a quando si sentì tremare e singhiozzare. Pianse silenziosamente, sapendo come appariva a chi lo vedeva, e si vergognava d’essersi ridotto così, proprio lui uno dei più potenti guerrieri della terra. Dentro il suo animo si mescolavano la vergogna di sé, la paura, il terrore, il dubbio, l’affetto, la felicità ed i ricordi, un miscuglio di sentimenti che avrebbe ucciso una persona normale, ma non lui, poiché dentro di sé, se lo avesse voluto, avrebbe trovato la forza per sostenere tutto, la volontà di andare avanti.

 

Trunks stava volando sopra la città, sperando di trovare la casa di Goten. Girò a lungo, sopra ogni casa e palazzo, fino a quando si ricordò d’avere l’indirizzo. Prese di tasca il cellulare e lesse il vecchio messaggio nel quale l’amico gli dava l’indirizzo della casa. In un attimo giunse alla piccola villa. Le finestre erano chiuse e non c’era luce che venisse dall’interno. “Per forza, è notte inoltrata! Starà dormendo, anche se è strano che lui vada a dormire quest’ora, per lui è presto!” Poggiò una mano sulla porta, che si aprì al suo lieve tocco. Il ragazzo entrò titubante. “Goten! Goten sei in casa?” Ma non ci fu nessuna risposta. 

La paura s’impadronì di Trunks: cos’era successo, perché non era lì a casa? Accese immediatamente la luce ed iniziò cercalo, vide, però, quasi subito il letto disfatto, l’acqua per terra e i vestiti buttati alla meglio da qualche parte. Capì subito che era uscito di fretta. “Che cosa ti sta prendendo Goten?” Uscì di casa e lentamente s’alzò in volo. Cercò l’aura dell’amico, che però era fievole e difficile da trovare, ma lui era il suo miglior amico, la persona che amava e non poteva non spendere tutte le sue forze nel cercarla. Passò poco più di mezz’ora, quando stanco scese a terra. Entrò in una birreria, ma subito sentì aleggiare la presenza di Goten. I suoi occhi sondarono l’intera stanza, cercando fino al tavolo più appartato e discosto. 

E fu lì che lo vide, innocente preda della tristezza e dell’alcol. S’avvicinò a lui. “Goten…” riuscì a mormorare. 

Il giovane alzò un attimo la testa, ma non lo vide neppure, sapendo però che lui era lì. “Trunks vattene, non è l’ora…” rispose ubriaco, accasciandosi sul tavolo a malo modo. 

“Goten, non stai bene, vieni con me.” Ma non ci fu risposta. Trunks pagò tutta la birra che aveva bevuto l’amico (ed era veramente tanta!), si passò un suo braccio intorno al collo ed uscirono. “Oh, Goten, come hai fatto a ridurti così? Cosa mai ti ha spinto fino a questo livello? Che pensieri ti stanno passando per la mente? Io, io non ce la faccio a vederti così malridotto! Oh Goten, se tu sapessi, se tu sapessi che ti amo, tutto sarebbe più facile…” raggiunse la casa, proprio quando Goten riprendeva i sensi, anche se ancora ubriaco. 

“Cosa, cosa è successo?” riuscì a dire stordito. 

“Eri in una birreria. Sei ubriaco Goten” 

“Trunks, sei tu?” mormorò tremolante. Lui rise sottovoce: 

“Sì, sono io. Chi dovrei essere?” 

“Trunks, sei venuto anche ora…” 

“Sì, sono venuto per te.” Il figlio di Vegeta sentì l’amico tremare lievemente, accorgendosi del contatto fisico che c’era fra loro. “Hai freddo, amico?” 

“Sì, un poco. Voglio andare a letto, ho un forte mal di testa.” Trunks l’accontentò, portandolo di peso nella stanza e deponendolo nel letto. Goten tremò ancora, scosso da chissà quali pensieri e l’amico del giovane se ne avvide, per questo si fece triste, ma non disse nulla, per non turbarlo ancora di più. 

“Mettiti sotto le coperte. Ora torno a casa, vedrò di tornare domani, saltando qualche appuntamento.” Goten s’infilò nel letto, ma d’un tratto, senza che nemmeno lui se ne accorgesse, lo fermò. 

“Aspetta, non andare Trunks rimani qui con me, ho paura.” Disse sinceramente spaventato. Trunks lo guardò un momento, e gli sembrò che Goten fosse un bambino, un semplice ed innocente bambino impaurito da qualcosa, un bambino da proteggere. La mano di Trunks prese quella dell’amico nella propria e gli rispose con tutto l’affetto che aveva: 

“Non preoccuparti, rimarrò con te, per tutto il tempo che vuoi.” Il ragazzo si sfilò le scarpe con un gesto fluido, ed entrò nel letto, che era abbastanza grande per due persone. Tirò su le coperte, coprendo sia Goten, sia se stesso. Rimasero pochi secondi così, poi, senza che Trunks se ne accorgesse, Goten si raggomitolò contro di lui, poggiando la sua testa sul petto dell’amico. Un tenue rossore di un innocente sentimento colorò le guance del ragazzo, mentre il suo cuore palpitava forte. 

“Ho paura…” disse Goten semiaddormentato. 

Trunks gli accarezzò i capelli, sussurrandogli: “Non avere paura, ci sono io, il tuo fido amico di sempre. Dormi, coraggio, non c’è paura.” La dolcezza che c’era in quelle parole cullò Goten come una madre coccolava un bambino. Sorrise, sentendolo lì vicino, forte come una vecchia e testarda montagna pronta a proteggerlo. Quel sorriso, però, era quello che Trunks amava, il sorriso sincero e spontaneo che aveva Goten, quel sorriso che solo lui riusciva vedere, scorgendo tutta la semplicità, l’innocenza e la spensieratezza dell’animo dell’amico. Un sorriso semplice, di quei sorrisi che si vedono raramente al mondo. Il giovane figlio di Vegeta si calmò vedendolo, sentì nascere dentro di sé un’infinita felicità, osservando il volto dell’amico, con quel suo sorriso, che era il più bello di tutti quelli che gli aveva dato. 

Gli accarezzò i capelli e lo strinse a sé, in un dolce abbraccio che il suo cuore riempiva d’amore. Furono pochi attimi, ma Goten poté sentire, vivere tutte le sensazioni che stava vivendo l’amico. In un secondo aveva letto la felicità nata in Trunks, capì che era lui fonte e questo lo rese felice, placando i suoi sentimenti tumultuosi e gonfiando il suo cuore all’inverosimile di quello strano sentimento chiamato amore che lo univa all’amico. Chiuse gli occhi ed un dolce e spensierato sonno lo cullò, cancellando  il dolore che gli aveva provocato il sogno di poche ore prima. 

Ora la notte, non era più una bestia feroce per nessuno dei due.

Goten s’addormentò, mentre Trunks lo stringeva a sé. Fra le sue braccia era come un bambino che aveva appena trovato un rifugio. Era così piccolo rannicchiato contro di lui! Gli accarezzava i capelli con una dolcezza estrema, mentre ascoltava il lento ritmo del respiro di Goten. 

Ora poteva capire, ora sapeva il perché di quei sentimenti, quei sentimenti che lo spingevano verso l’amico. La spontaneità, l’innocenza, la semplicità di Goten erano irresistibili per lui, e poi il ragazzo era sempre stato il suo amico più intimo, a cui aveva potuto sempre far ricorso. Aveva riso, scherzato, ma anche pianto, e tanto, sopra la spalla che gli aveva dato Goten, e  lui stesso aveva fatto la medesima cosa con Trunks. Ora, nel vedere nuovamente quel sorriso scopriva un’altra felicità, più profonda, sapendo d’essere stato lui a placare, a dare pace ai pensieri dell’amico. 

Sorrise pure lui, sospirando “Goten…” mormorò. Sbadigliò, sentendo ora la stanchezza del giorno farsi strada fra le sue membra. Si rilassò, chiuse gli occhi e in un attimo s’abbandonò a sogni  di universi pieni di felicità. La notte fuori dalla finestra sorvegliava quei due ragazzi, con i suoi mille occhi chiamati stelle, osservando quella grande amicizia, che poche ore prima s’era data da fare, mostrando tutta la sua profondità. La luna sembrava più splendente quella notte, illuminando quella piccola stanza, di quella piccola villetta.

 

Il sole bruciò all’orizzonte levandosi su quelle terre, scacciando lentamente la notte, mentre il giorno si risvegliava, insieme ai primi abitanti. Goten aprì lentamente gli occhi, svegliandosi gradualmente dal sonno. Subito sentì il lieve e calmo sospiro Trunks sul volto. Si scoprì rannicchiato contro il petto dell’amico, che lo aveva abbracciato per tutta notte. Le sue guance si colorarono, mente poco a poco ricordava della notte prima. Sentì quella grande forza chiusa nel cuore dell’amico, che lo legava a lui. 

Sapeva che Trunks gli voleva molto bene e lo aveva dimostrato poche ore prima. Gli occhi di Goten s’inumidirono, mentre due piccole lacrime gli rigavano il viso. Era commosso, non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lui… Forse era un bene sentire quei sentimenti che lo spingevano verso il giovane. 

Piano, con lenti movimenti sciolse quell’abbraccio, che lo aveva scaldato per tutta la notte. Uscì sul terrazzo, guardano l’alba. “Trunks, sei venuto in mio soccorso ancora una volta… Come avrei fatto se non ci fossi stato tu? Se sono così, molto lo devo a te, ma come posso, come posso dirti quello che porto nel cuore? Tu sei speciale per me…” mormorò, mentre le calde lacrime gli scendevano ancora dagli occhi. Singhiozzò, ora il suo era un pianto di paura. Il suo cuore era troppo debole per affrontare tutto quello, non avrebbe mai retto se Trunks gli avesse detto un secco no. 

E se fosse successo, che ne sarebbe stato della loro amicizia, che da anni durava, se non da una vita? Rovinare tutto per quel singolo attimo? Eppure non poteva nascondere quei sentimenti, ormai capiva che non poteva, che non aveva la forza di annientarli e disperderli, ma in cuor suo quello era l’ultimo dei desideri. Non aveva idea, era troppo confuso, non riusciva più a pensare bene, ma non poteva dimenticare quella dolcezza con cui era stato trattato, come Trunks lo aveva abbracciato, coccolato, proprio come si fa con un bambino. C’era anche quella mano con cui l’amico gli aveva accarezzato i capelli. No, tutto quello non sarebbe finito, mai nemmeno dopo la morte. S’asciugò le lacrime e ritornò in casa. 

Aveva deciso, gliel’avrebbe detto, giocando tutto per tutto, anche se lui non l’avesse voluto, Goten gli sarebbe rimasto amico, gli avrebbe perdonato tutto, perché era lui che aveva deciso quel futuro. E se un giorno Trunks tornasse, tutti i suoi patimenti sarebbero stati ricompensati. Certo, era un ben misera speranza, avrebbe vissuto per veder realizzato quel sogno o desiderio o speranza, non sapeva nemmeno lui dargli un nome. Quando tornò, però, in camera il suo cuore ebbe un sussulto. Vederlo dormire così beato era già sufficiente per lui. Guardò i contorni del suo viso, non poté non ammettere che Trunks, con quell’aria felice e serena, non fosse bello. Anzi non era bello, era bellissimo, la cosa più bella che Goten avesse visto. Si sedette sul bordo del letto, osservandolo in silenzio. Gli sfiorò una guancia con la mano. No, non poteva assolutamente dirglielo, non voleva spezzare così crudelmente quella felicità che Trunks gli aveva dato, e che lui avevo dato all’amico. S’alzò e s’infilò un vestaglia che era appoggiata alla sedia. Andò in cucina, preparandosi la caffettiera, per prepararsi un caffè forte, perché la sbornia della sera prima non gli era ancora passata. 

La caffettiera iniziò gorgogliare ed all’improvviso, due braccia gli avvolsero dolcemente la vita. Goten sentì le sue gambe tremare d’improvviso, mentre tutto il sangue che aveva in corpo gli andò alle ginocchia. 

“Come ti senti?” gli chiese Trunks. 

Goten piombò in confusione, non sapeva cosa dirgli, alla fine riuscì a parlare: “Bene, grazie.” Goten era tremendamente emozionato, ma anche impaurito. Sentiva dietro di sé il forte corpo di Trunks e la cosa lo metteva un po’ a disagio. 

“Che ti prende?” 

“Eh? No, no, niente, niente. Solo, solo che mi hai preso un po’ di sorpresa, non credevo ti svegliasti così presto.” 

“Non è nemmeno da te.” Rispose un po’ sorpreso Trunks, allentando un po’ la presa, ed in quel momento Goten si liberò, spengnendo il fuoco e prendendo la caffettiera. 

Sorrise un po’ forzatamente, cosa che non passò inosservata agli occhi di Trunks, poi gli disse: “Vuoi un po’ di caffè? La sbornia di ieri sera non mi è ancora passata del tutto, sono, sono ancora un po’ intontito…” si scusò il giovane. A Trunks tutta quella timidezza non era da Goten, ma non lo fermò, non voleva disturbarlo, i pensieri che lo tormentavano non gli erano del tutto passati. Lasciò penzoloni le braccia. 

Fece finta di sbadigliare e rispose: “Sì, una tazza la prendo volentieri.” Goten ne versò due tazze fumanti. Si sederono al tavolo in silenzio. Entrambi allungarono la mano per prendere lo zucchero, si sfiorarono ed arrossirono un poco, fu Trunks a lasciare all’amico la zuccheriera. 

“Grazie” riuscì a balbettare Goten, sempre più confuso e frastornato. Troppa era la tensione che si era creata, ma nessuno dei due riusciva ad infrangerla. 

“Hai dormito bene ieri sera?” chiese sinceramente preoccupato Trunks. 

“No, proprio ora me lo dovevi chiedere Trunks?” pensò, per poi rispondere: “Sì, ho dormito bene.” Passò un solo attimo, in cui lui bevve il caffè e si alzò, ma Trunks continuò a parlare. “Che   cos’ hai Goten? Ieri sera, quando ti sei addormentato fra le mie braccia eri felice, hai sorriso, il più bel sorriso che io abbia mai visto sul tuo volto. Cos’ hai? Vuoi parlare con me? Io non posso vederti così triste, mentre poche ore fa eri felicissimo…” Goten lo guardò, scoprendo per l’ennesima volta la sincerità dell’amico, che gli brillava negli occhi. Quell’espressione era sempre stata presente quando parlavano, sempre in quegli splendidi occhi azzurri. Li amava, con tutte le loro infinite sfumature, che sapevano sempre emozionare Goten. Ora quegli occhi brillavano, nella luce nascente del sole, pieni di tutto l’affetto che Trunks aveva per lui. Un affetto sincero, incondizionato, un affetto che sconfinava in un’estrema sincerità e dolcezza. 

Goten amava la sincerità, l’affetto, la dolcezza che Trunks sapeva dargli, l’unico che non facesse parte della propria famiglia. Tutto questo lo sapeva e il suo cuore era felice per tutta quella preoccupazione, ma al tempo stesso era pesante, poiché sapeva che stava affliggendo l’amico. Non sapeva che rispondergli, non sapeva che dire, alla fine riuscì a dargli una risposta: “Trunks, non so come risponderti…” Lui si voltò, s’alzò, prese le mani di Goten nelle proprie e lo guardò dritto negli occhi. Quello sguardo penetrò nell’anima del giovane Goten, quello sguardo pieno d’affetto. Il ragazzo si morse un poco il labbro, quel gesto fu come una coltellata per Trunks,  perché capì che in quei pensieri c’era lui. “Goten, tu sei il mio più grande amico, una persona importantissima per me. Ti conosco, sei sempre spontaneo con tutti, come era tua padre quando era piccolo, ma ora non lo sei, e ti vedo triste. Non posso vederti così teso. Forse sono io la causa di tutto e mi rattrista molto, perché ti voglio bene, sempre te ne vorrò. Non so a cosa tu stia pensando, ma mi fa male sapendo che sono io la causa del tuo dolore. Non posso, non riesco a capire quanto ti tormentano questi pensieri, ma vederti così, mentre sei sempre allegro, non riesco a sopportarlo, proprio no…” Gli occhi di Trunks erano umidi, sul punto di piangere. 

Goten si sentì sconvolto per quelle parole, che si erano avvicinate così tanto alla realtà. Cosa poteva dirgli? Voleva urlargli tutto quello che sentiva, ma la paura era un freno per tutto quello. Non sapeva nulla, non avevano mai parlato di quelle cose, non sapeva cosa Trunks ne pensasse e riconosceva quel grande errore ,che aveva fatto la notte precedente: aveva tentato d’ingannarsi. 

Rimase in silenzio, indeciso, confuso. Non riusciva a sbloccarsi e quel silenzio era una terribile prova, che Trunks non poté reggere. Dai suoi occhi umidi, iniziarono a scendere le lacrime. “Perché non vuoi rispondermi Goten? Sono davvero io quello che ti fa soffrire?” disse mesto Trunks. Goten s’inginocchiò davanti a lui, si liberò le mani, asciugandogli le lacrime. Il ragazzo le sentì calde sulle sue dita, come le guance del ragazzo. 

“Calmati Trunks, nemmeno io voglio farti soffrire. Non è che non ti voglio rispondere, io lo vorrei tanto, ma non so come dirtelo, come potresti prenderla, però ti prego, non voglio vederti piangere, anche io ti voglio bene, cosa credi?” Trunks lo guardò, contento per quelle parole, quasi sorrise, ma voleva sapere cosa temeva Goten, cosa lo spaventava così tanto, cosa gli aveva fatto. “Goten dimmi, anche se quello che porti dentro di te fosse così spaventoso, non perderai il mio affetto. Non avere paura, nulla può cancellare quello che ci ha legato per così tanti anni, fidati di me. Ci siamo sempre detto tutto, non c’è nessun segreto fra di noi, non ti ho mai tradito e poi una cosa che devo dirti anche io…” Stava per dirglielo, stava per rivelargli quello che portava nel cuore, ma Goten gli abbracciò il collo ed appoggiò la fronte contro la sua spalla destra. Stava piangendo. Trunks gli passò un braccio intorno alla vita, l’altro lo passò sulle sue spalle.

 “Scusami Trunks, scusami tanto! Sono stato un vigliacco a non dirti nulla, nella mia vita ho sbagliato tante cose, ma questo te lo devo dire dal profondo del mio cuore… Non so perché mi sia successo, ma non posso tenermelo dentro per sempre. Non so cosa penserai di me… Il mio ti voglio bene è diverso dagli altri, perché tu, Trunks, mi piaci più di chiunque altro. Tu sei la persona cui io voglio più bene, la persona a me più cara a questo mondo. Trunks, io ti amo.” Quelle parole uscirono deboli dalla sue labbra, tuttavia Trunks le poté sentire, e furono le più belle che lui avesse mai ascoltato. L’eco di quella fievole frase riecheggiò nel suo cuore e nella sua mente, affondando le radici in ogni parte del suo animo. Il suo cuore era gonfio di felicità, mentre i suoi occhi piangevano lacrime di felicità. Guardò Goten, ma il suo volto era nascosto nel suo petto. 

Strinse Goten a sé, accarezzandogli i capelli e sussurrandogli all’orecchio: “Era così difficile dirlo Goten? Avevi così paura di me? Guardami, è cambiato qualcosa fra noi due? Non piangere ti prego, sorridi, come sai fare tu. Sorridi, quel sorriso che io amo…” Gli umidi occhi di Goten lo guardarono stupito, non poteva credere a quelle parole, che gli erano state sussurrate così dolcemente. Sul suo viso risplendé un nuovo sorrise, e per Trunks fu come una seconda alba. 

I loro sguardi s’incrociarono felice, sebbene i loro occhi arrossati. La mano che era dietro la nuca di Goten, con delicatezza, avvicinò il volto dell’amico al proprio. Su entrambi ci fu un sorriso, quando l’attimo dopo le loro labbra s’incontrarono in  un tenero bacio. Fu calore, quando le loro lingue s’incontrarono timorose e quel contatto fu come una scossa, che si propagò in ogni recesso dei loro animi, che s’erano uniti per la vita, nel nome di quell’amore che a lungo era stato latente. Trunks abbracciò la vita dell’amico, mentre Goten s’era aggrappato al collo dell’altro. Entrambi non volevano staccarsi, da quel contatto nuovo per loro, un contatto che scaldava tutto il corpo. Il loro bacio si sciolse pochi attimi dopo, lasciandoli ansanti. “Trunks…” “Goten… piccolo mio…” “Sono stato davvero uno scemo a non dirtelo subito, ti ho fatto soffrire… e mi dispiace… mi sono comportato davvero come un bambino…” 

“Goten, anche se tu sei più piccolo di me, hai un grande cuore, che rischiava davvero di rompersi se ti avessi respinto, ma in fondo al mio cuore, ho capito d’essere innamorato di te, perché amo la tuo spontaneità, la tua semplicità, ma la cosa che mi piace più di te è il tuo sorriso…” 

“Ed io amo in te la tua sincerità, l’amore che mi hai sempre dato, ma soprattutto sono i tuoi occhi a darmi la felicità più grande di questo mondo, quando li vedo risplendere di felicità, proprio come ora…” 

Trunks attirò a sé nuovamente il ragazzo, dicendogli: “Ti amo Goten, dal profondo di me stesso.”

“Ti amo Trunks, da ogni recesso della mia anima. Rimarremo insieme fino alla fine.” 

“Ed oltre, se sarà necessario.” Concluse Trunks, mentre un nuovo bacio suggellò quel patto, che mai, nessuno, né di questo, né dell’altro mondo, vide incrinato o rotto. Fu così che insieme al sole nascente, nacque un amore che ancora oggi dura.





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