Nucleo

parte XVI

di Naika

 

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Rukawa avvolse il neonato, con estrema delicatezza, nella camicia candida sollevando poi il fagottino e stringendolo tra le braccia mentre gli altri ragazzi si sporgevano a fissare il visetto abbronzato, rilassato nel sonno.

“Ma come...?” chiese incredulo Ryota.

Key scosse il capo “Ha esaurito tutta la sua energia e per impedire che questo comportasse automaticamente la sua morte il fisico ha reagito facendolo tornare un neonato...” spiegò.

“Può fare una cosa simile?” mormorò Koshino.

“L’ha già fatto una volta.” gli ricordò lo scienziato.

Rukawa non badava molto ai loro discorsi.

Il suo do’hao era vivo.

Ma era un bambino di poco più di sei mesi.

“Ora che facciamo?” chiese Akira massaggiandosi il petto dove il proiettile era fuoriuscito, dopo averlo colpito alla schiena.

Koshino quasi per riflesso gli si aggrappò contro e l’asso del Ryonan gli sorrise dolcemente, passandogli una mano tra i capelli scuri.

“Lo porterò a casa con me” disse Rukawa scostando una piccola ciocca rossa dal visetto.

Il bimbo si mosse piano prima di socchiudere le palpebre, piantando gli occhioni dorati sul volto della volpe.

Rukawa ricambiò lo sguardo del piccolo prima che questi spostasse l’attenzione sulle altre, sette, facce che si erano abbassate per scrutarlo, curiose.

La sua reazione fu un sonoro: “Unweeeeeeeeeeeeeeeee!”

I ragazzi balzarono indietro spaventati dalla potenza delle tonsille del piccolo mentre Rukawa lo stringeva delicatamente a se cullandolo piano.

“Non piangere, do’hao” gli sussurrò dolcemente posandogli un bacio sulla fronte.

Il piccolo smise immediatamente di gridare, allungando una manina fuori dalla camicia per afferrare una di quelle belle ciocche scure, tirandola affettuosamente.

Il volpino gli sorrise lievemente e il piccolo s’illuminò battendo le manine felice, tendendole verso di lui.

“Sembra che tu gli stia più simpatico di noi” borbottò Akira massaggiandosi un orecchio.

“Hn...” sbottò il volpino avvolgendo il bimbo perchè non prendesse freddo.

“Sei sicuro di volerlo portare con te Kaede, è così piccolo...” chiese Ayako perplessa.

Non dubitava che Rukawa non sarebbe stato in grado di allevarlo ma che cosa avrebbe provato nel vedere il suo amante in quella forma?

Kaede annuì deciso.

Non avrebbe lasciato a nessuno il suo do’hao.

Key gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla “Lo so cosa pensi...” disse dispiaciuto “...speri che fra qualche mese, magari, lui usi i suoi poteri per riprendere il suo aspetto originario...” mormorò.

Mito s’illuminò “Potrebbe farlo?”

Lo scienziato scosse le spalle “Credo che potrebbe fare qualsiasi cosa...” sussurrò “...ero convinto di sapere tutto su di lui, che il suo fosse semplicemente un potere distruttivo e invece...” scosse il capo senza terminare la frase.

Non ce n’era bisogno.

Ognuno di loro ricordava con fin troppa precisione cos’era avvenuto in quella radura pochi minuti prima.

Possibile che il potere del Nucleo fosse mutato fino a quel punto?

E Hanamichi era consapevole del Miracolo che portava dentro?

Probabilmente no, altrimenti non avrebbe lasciato quella lettera a Rukawa.

Eppure alla fine il suo potere si era rivelato così grande da spezzare persino le barriere della morte.

O era stato l’amore?

“Tuttavia...” mormorò Key riscuotendosi “...dovrebbe riacquistare nuovamente i ricordi per poter adoperare ancora il suo potenziale...” disse facendo scorrere un brivido gelido lungo le spine dorsali dei presenti.

Tutti i suoi ricordi” specificò voltandosi verso Rukawa.

Il moretto annuì cupo.

Sapeva che cosa gli stava silenziosamente chiedendo Key.

Lo avrebbe fatto soffrire ancora?

Gli avrebbe dilaniato l’anima un’altra volta con i frammenti di quell’incubo, solo per riaverlo indietro?

“Non voglio che soffra....” mormoro “...non cercherò di farlo ricordare per forza” sussurrò deciso.

Anche se non poteva fare a meno di sperare che Hana tornasse da lui non voleva vedere di nuovo quella disperazione nei suoi occhi.

“Ma così tu...” provò a protestare Akira.

Rukawa scosse il capo prima di abbassare il volto ad osservare quei grandi laghi di cioccolato dorato che lo fissavano allegri.

Anche se avrebbe dovuto guardarlo rifarsi una vita nuova... anche se Hanamichi fosse cresciuto chiamandolo papà e non più amore... lui voleva solo che fosse felice.

Lo avrebbe protetto da tutti, se stesso compreso.

Non avrebbe permesso nemmeno al suo egoismo di fargli nuovamente del male.

Si diresse verso il furgone con il piccolo tra le braccia mentre Akira apriva nuovamente bocca per parlare ma Key gli posò una mano sulla spalla “Lascia stare, sa quello che fa” sussurrò.

La Falce Bianca annuì lasciando a Rukawa un po’ di solitudine mentre loro decidevano il da farsi.

 

La manager dello Shohoku si accasciò esausta su una poltroncina.

Ryota le passò una mano tra i riccioli scuri, dolcemente, e lei reclinò il capo per posarglielo sulla spalla.

“Finito?” le chiese Key porgendole una tazza di the.

La ragazza annuì.

“Ora tutti ricordano che Hanamichi non è mai venuto in ritiro per problemi a casa e che Rukawa è dovuto ritornare a Kanagawa, ieri sera, perchè la sua sorellina ha avuto un piccolo incidente.” Relazionò.

Il volpino annuì silenziosamente, il bimbo nuovamente addormentato contro il suo petto.

Era ormai notte fonda quando erano giunti al rifugio e nonostante Ryota avesse protestato dicendole che doveva riposare, lei aveva insistito per modificare subito i ricordi delle due squadre.

Agire mentre essi dormivano era più facile per lei, inoltre il suo potere aveva una portata massima di pochi giorni, non poteva correre il rischio di far passare troppo tempo.

L’ex scienziato si volse verso Rukawa e Mito “Vi accompagnerò domani mattina fino a Kanagawa con il furgone...” disse “...dovrete venire a dormire a casa mia, sarebbe un guaio se qualcuno vi vedesse o se sentissero piangere Hana” mormorò.

I due annuirono, alzandosi.

Era quasi l’una ed erano tutti esausti.

Rukawa consegnò per un momento il piccolo Nucleo allo scienziato salendo in camera per prendere le valigie sue e del rossino prima di scendere nuovamente, silenzioso come un fantasma.

Anche il suo viso era quello di un fantasma.

Non era solo stanco, si vedeva che portava anche un grosso peso sulle spalle.

Key gli riconsegnò il fagottino addormentato, che aveva cominciato a lamentarsi nel sonno non appena gli era venuto a mancare quel profumo particolare che era il suo unico appiglio in quel nuovo mondo.

Hanamichi si calmò nel riposare la testolina sul braccio del volpino mentre un piccolo sorriso gli tendeva le labbra.

“Andiamo” sussurrò Key indicando loro la porta, si fermò un attimo soltanto, sulla soglia, fissando gli altri ragazzi presenti nella sala.

“E’ stato un onore conoscervi...” mormorò con un inchino.

I ragazzi lo salutarono con affetto prima di tornare alle loro camere.

L’incubo era finito così in fretta e in maniera così incredibile che ancora facevano fatica a raccapezzarsi.

 

Key parcheggiò il furgone di fronte alla casa di Yohei e il moretto scese con un sonoro sbadiglio.

Lui non aveva Ayako per modificare i ricordi dei suoi genitori, pensò con un gemito, lo aspettava una bella strigliata per la sua scomparsa improvvisa, inoltre doveva anche avvertire la scuola che Hanamichi si era trasferito a casa dei suoi quanto meno ‘fantomatici’ nonni ad Okaido.

Key aveva preparato per lui tutti i documenti necessari, al computer, mentre tornavano verso Kanagawa e lui lo sostituiva al volante.

“Hai un futuro come falsificatore...” mormorò Mito scuotendo la cartellina con i documenti.

Key sorrise malizioso “Sarebbe un lavoro redditizio” scherzò.

“Mi raccomando Ru abbi cura di lui” mormorò Yohei voltandosi verso il volpino “E guarda che verrò a trovarvi” disse accarezzando dolcemente una guancia del bimbo tra le sue braccia.

Hanamichi continuava a dormire serenamente, Rukawa si era preoccupato del fatto che il bimbo non si svegliasse ma Key aveva loro assicurato che non c’era da preoccuparsi, stava semplicemente recuperando le forze perdute.

Il volpino annuì con il capo, salutando Yohei.

Era stanchissimo e le poche ore di sonno, quella notte, non erano servite a molto, anche perchè ne aveva pasate la metà a fissare il neonato accoccolato sul suo cuscino.

A casa, poi, avrebbe dovuto spiegare ai suoi quella storia incredibile.

Non poteva certo presentarsi a casa con un bebè e pretendere che non gli chiedessero nulla!

“Ti ha già detto tutto Yohei...” mormorò Key fermandosi davanti alla porta di casa Rukawa, alcuni minuti più tardi, “...tienimi informato su di lui” mormorò dandogli un numero di telefono.

Rukawa annuì raccogliendo le due borse, facendo attenzione a non scuotere troppo il piccolo addormentato prima di salutare Key.

Erano le otto del mattino ormai, dovevano essere tutti svegli e intenti a fare colazione, ragionò.

Lui aveva comunque le mani troppo impegnate per cercare di aprire la porta, per cui decise di suonare il campanello.

Come previsto venne ad aprirgli Michelle che era sempre la prima a correre alla porta e che trillò un felicissimo “Ede!” che richiamò entrambi i suoi genitori.

Rukawa gettò con noncuranza le borse in un angolo dell’atrio, togliendosi le scarpe, facendo qualche passo verso la cucina, Hanamichi ancora stretto tra le braccia quando Seji e Karen Rukawa spuntarono stupiti proprio da quella stanza.

“Kaede che è successo ti sei fatto male?” chiese preoccupatissima Karen.

“Come mai già a casa, chi ti ha accompagnato?” parlò in contemporanea il padre.

Entrambi si bloccarono nel fissare il neonato che il ragazzo aveva tra le braccia.

“E lui chi è?” boccheggiò Karen con occhi enormi.

“E’ una storia lunga....” mormorò Kaede “.. venite...” sussurrò cambiando direzione e andando in salotto seguito a ruota dalla sua famiglia.

Avrebbe dovuto usare le corde vocali.

E molto a giudicare dalle facce dei suoi.

 

I coniugi Rukawa si sedettero sul divano aspettando che Rukawa si sedesse sulla poltrona davanti a loro.

“Allora?” chiese Seji pallido “Non sarà frutto di una tua relazione vero?” chiese preoccupato.

“Che cos’è una relazione?” chiese Michelle che si era seduta in braccio alla madre e che seguiva la scena curiosa.

“Tesoro va in camera tua dobbiamo parlare da soli con Kaede” le disse dolcemente la madre.

“Ma voglio sentire anch’io!” protestò la piccola.

“Michelle..” disse grave il signor Rukawa e la ragazzina riconoscendo il tono sbuffò saltando giù dal divano e salendo le scale.

“Allora?” riprese il discorso Seji voltandosi a scrutare il figlio, preoccupato.

“Lui è Hanamichi” mormorò Kaede, grave, scostando di più la coperta per mostrare loro i suoi capelli rossi.

I due spalancarono tanto d’occhi e Rukawa sospirò, sarebbe stata una luuunga spiegazione.

 

Gli ci vollero quasi due ore per rispondere a tutte le domande anche se, alla fine, i suoi genitori fecero meno fatica a credergli di quello che aveva pensato, soprattutto dopo che, sollevando una mano, aveva fatto volteggiare la tazza di the fino a lui, senza dover alzarsi per prenderla.

“Tutto questo è...” sussurrò Karen fissando il bimbo addormentato.

“Tornerà come prima?” chiese Seji fissandolo a sua volta.

Kaede sospirò mestamente e ai genitori non sfuggì il lampo di dolore negli occhi blu del figlio.

Anche se il ragazzo non era entrato nei particolari era chiaro, da come aveva vibrato la sua voce in certi punti del racconto, che il suo rapporto con Hanamichi fosse cambiato.

Molto cambiato.

“Non lo so” mormorò Rukawa accarezzando quasi distrattamente il volto del piccolo.

“Lo ami?” chiese Karen facendolo sussultare.

Vedere il loro glaciale figlio arrossire valse più di mille risposte.

Non era esattamente quello che speravano per il loro ‘bambino’ però... dopo quanto avevano sentito, dopo quanto avevano passato, chi erano loro per separare qualcuno che nemmeno la morte era riuscita a dividere?

E poi gli occhi di Kaede brillavano di una nuova, meravigliosa, luce quando si abbassavano sul bimbo tra le sue braccia.

“Sì...” soffiò piano il volpino e la madre annuì soddisfatta scambiando uno sguardo e una stretta di mano con il marito.

“Allora vedrai che tutto si sistemerà....” lo rassicurò.

 

“Hana!” tuonò Kaede fissando il piccolo che rideva felice, il cucchiaio che aveva usato come catapulta per sparargli in faccia la minestra, ancora sollevato nella manina destra.

Karen ridacchiò porgendo un panno al figlio perchè si ripulisse dalle farfalline che aveva anche nei capelli, sfilando il cucchiaio al rossino per imboccarlo.

Kaede seguì la scena con un sospiro.

Erano passati sei lunghissimi mesi da quando aveva portato a casa Hanamichi.

Il bambino cresceva normalmente senza manifestare alcun potere o caratteristica particolare anche se Micheal continuava a stargli accanto a mo’ di cane da guardia ogni volta che Rukawa lo lasciava a giocare sul tappeto mentre lui era intento a fare i compiti.

Il piccolo do’hao era una copia formato ridotto del ragazzo che amava.

Aveva la stessa vitalità e la stessa voce.

Quando piangeva lo sentivano persino i vicini tanto che avevano dovuto inventare la scusa che per guadagnarsi qualcosa Kaede faceva il baby sitter.

Mito andava spesso a trovarli e così pure gli altri compagni in quella loro avventura, a parte Key che comunque telefonava spesso per sapere se c’erano novità.

Ma Hanamichi sembrava aver perso i suoi poteri o averli relegati in un angolo remoto di se stesso da dove non potevano, o non volevano, riemergere.

Non poteva dargli torto.

Usarli avrebbe significato ricordare....

Nonostante questo Hanamichi sembrava non aver perso la sua sintonia con il mondo attorno a lui.

Quando piangeva irrimediabilmente fuori cominciava a piovere, quando lui rideva spuntava il sole ed era capitato più di una volta, quando Kaede lo portava a spasso, nel parco, che passerotti e fringuelli andassero a posarsi sulla carozzina per osservare il piccolo addormentato o per cantargli canzoni allegre.

Dopo un primo momento di diffidenza il rossino aveva smesso di piangere quando un estraneo gli si avvicinava anche se era preferibile che fosse Rukawa a presentarglielo.

Con Ayako e gli altri invece non si faceva più problemi.

Li aveva presi in simpatia e non aveva più nessuno scrupolo a rovesciare le loro tazze di the oppure ad attaccarsi ai lunghi riccioli di Ayako per tentare la scalata della sua spalla.

Non stava fermo un minuto nemmeno a pagarlo a meno che Rukawa non lo portasse fuori in giardino e non si mettesse a giocare a basket.

Allora il bimbo restava immobile e silenzioso a fissarlo seguendo ogni suo movimento con attenzione.

Tuttavia se di giorno Rukawa era troppo impegnato ad evitare disastri per fermarsi a pensare troppo a lungo, di notte tornavano prepotentemente i ricordi e lui si ritrovava a stringere il cuscino chiedendosi se un giorno avrebbe potuto riabbracciare il suo amante.

Avevano sedici anni di differenza.

Quando Hanamichi fosse stato maggiorenne lui avrebbe avuto quasi quarant’anni e per lui non sarebbe stato che un fratello maggiore, se non addirittura un padre.

Scacciava quei pensieri ripetendosi che almeno non lo aveva perso ma averlo così vicino eppure così irrimediabilmente lontano era doloroso.

Terribilmente doloroso.

“Kaede è ora che tu vada agli allenamenti” lo riscosse dai suoi pensieri Karen.

Il moretto annuì alzandosi.

“Ciao mamma...” disse, scoccandole un bacio sulla guancia “...ciao Hana, non distruggere casa!” si premurò.

Il bimbo lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla porta prima di voltarsi verso Karen ed indicare l’uscio con la manina.

“No, tesoro non puoi andare con lui, lo sai” gli disse dolcemente porgendogli un nuovo cucchiaio di pappa.

Il bimbo la fissò torvo scuotendo il capo e la donna sospirò riponendo il tutto.

Se non c’era Kaede nei paraggi Hanamichi s’incupiva e non ne voleva sapere di mangiare.

In effetti il piccolo faceva ben poco se non c’era Rukawa con lui.

Di solito si addormentava da qualche parte con una maglia o un qualche altro oggetto del moretto stretto tra le braccia.

La donna scosse il capo, allontanando quei pensieri mentre si rimetteva ai fornelli, cercando di decidere che cosa preparare per la cena quando si accorse di aver terminato il sale.

“Michelle controlla Hanamichi per dieci minuti esco a comprare il sale!” disse richiamando la bambina che era nella stanza accanto.

La bimba sollevò il naso dal disegno che stava facendo osservando la madre che adagiava il bimbo sul divano.

“Sta attenta che non si faccia male” si raccomandò la donna prima di prendere il capotto e uscire di corsa.

Michelle l’osservò andarsene e poi passò lo sguardo sul bambino.

“Ci hanno lasciati soli” disse con un’alzata di spalle porgendogli una matita colorata.

Hanamichi la mise in bocca, curioso, assaporando il legno e colorandosi allegramente la tutina azzurra sotto lo sguardo divertito della bambina.

La ragazzina riprese il suo attento lavoro per fermarsi però subito dopo.

“Secondo te come è fatto un elefante?” chiese mentre osservava la ‘cosa’ che stava tentando di disegnare per il compito che le aveva dato la maestra, quel mattino a scuola.

Hanamichi continuò allegramente a colorare la sua tutina alzando solo per un momento il visetto per fissarla negli occhi.

La bambina scosse le spalle.

“Deve essercene uno nell’enciclopedia degli animali della mamma” borbottò ad alta voce, avvicinandosi all’alta libreria alla ricerca del libro.

Il volume però si rivelò essere molto, molto, in alto.

La piccola sbuffò contrariata andando in cucina a prendere una sedia.

Si mise in piedi su di essa ma anche così non riusciva ad arrivarci.

Ostinata e caparbia allora Michelle mise un piede sullo schienale della sedia usandolo come trampolino tenendosi precariamente con una mano alla libreria sotto gli occhi di Hanamichi che la fissava curioso.

La ragazzina riuscì a sfiorare il libro, si allungò ancora di più finchè non riuscì a tirarlo verso di se.

La piccola però non aveva calcolato il peso del volume che le fece perdere il già precario equilibrio facendola cadere all’ indietro.

 

Hanamichi spalancò gli occhi di fronte a quella scena.

 

Come un film al rallentatore vide Michelle cadere, la sua bocca spalancarsi in un grido, il suo corpo precipitare verso il basso tavolino di metallo poco lontano dalla libreria.

 

Si sarebbe spezzata l’osso del collo.

 

E lui non avrebbe potuto fare niente.

Sarebbe rimasto lì a guardarla morire.

 

Quel pensiero scatenò un’angoscia terribile dentro di lui mentre immagini sepolte nella sua mente tornavano prepotentemente ad occupare la sua memoria e con esse ritornò il dolore, la paura, l’angoscia.

Il passato lo travolse con un’onda impetuosa che rischiò di farlo annegare in quel mare di lacrime che la sua anima ancora suggellava.

.

“No!” gemette lanciandosi in avanti mentre tutto il suo corpo gridava liberandosi dalla prigione in cui era stato intrappolato.

 

Karen fece in tempo ad aprire la porta di casa che con un borato una luce intensa la colpì, accecandola per un momento.

“Ma cosa?”  sussultò correndo verso il salotto.

La scena che le si presentò aveva dell’incredibile.

Hanamichi... un’Hanamichi sedicenne, nudo come un verme era accasciato a terra, il corpo sconvolto da singhiozzi violenti, mentre Michelle in piedi a pochi passi da lui lo fissava con occhi enormi, increduli.

 

Il rossino non sentì la donna avvicinarsi cautamente a lui.

La prima volta i ricordi erano stati insopportabili.

Ora invece in quell’oceano di dolore c’era un frammento di memoria nuovo.

C’erano baci e carezze.

C’era il calore di un corpo candido stretto al suo.

Si appigliò a quella sua piccola felicità con tutte le sue forze per non impazzire mentre un o dopo l’altro doveva rivivere tutti quegli anni di incubi.

“Kaede..” sussurrò tra i sussulti mentre Karen lo avvolgeva con il plaid su cui, in quei mesi, aveva giocato, attirandolo dolcemente a se.

“Kaede...” sussurrò Hanamichi calmandosi lentamente tra le braccia della donna.

“Cos’è successo Hana?” gli chiese piano lei passandogli una mano tra i capelli rossi.

“Michelle stava.. stava per cadere e io...” ansimò con voce spezzata “...io non potevo permettere che morisse di nuovo qualcuno davanti a me...” mormorò tra i singhiozzi.

La donna lo strinse a se dolcemente “Non piangere più piccolo, adesso è davvero tutto finito” lo rassicurò dolcemente continuando a cullarlo finchè il suo respiro non divenne lento e regolare.

Rimasero così per lunghi istanti prima che Hanamichi sollevasse il volto lentamente.

Karen gli riassettò i capelli con un sorriso “Va da lui Hana, ti ha aspettato tanto” lo incitò.

Hanamichi annuì, alzandosi in piedi precipitandosi su per le scale.

Nemmeno un minuto più tardi il ragazzo tornò giù a rotta di collo, una tuta nera e rossa, di Rukawa, indosso.

Infilò le scarpe e senza nemmeno salutare si precipitò verso lo Shohoku.

“Peccato... mi perderò la scenetta” mormorò allegra Karen prima di voltarsi verso Michelle, che, troppo stupita da quello che era accaduto di fronte a lei, aveva perso l’occasione di svignarsela prima di ricevere la giusta ramanzina per il suo comportamento sconsiderato.

 

L’allenamento proseguiva come il solito, senza niente di particolare.

Rukawa provava i tiri da tre sovra pensiero.

Pochi minuti prima era scoppiato un violento acquazzone che era durato diversi minuti ma che si era ritirato lasciando un sole più brillante di prima.

Aveva l’aria di essere uno di quei fenomeni che scatenava inconsciamente Hanamichi.

Eppure non aveva mai visto una pioggia così torrenziale e dolorosa.

Che gli fosse successo qualcosa?

Eppure ora il sole splendeva alto e dalle finestre delle palestra, aperte, sentiva provenire il canto di gioia dei fringuelli.

Prima tanta disperazione, poi tanta gioia...

Cha cavolo stava succedendo?

I suoi pensieri s’interruppero bruscamente quando la porta della palestra si spalancò con un tonfo.

Per una frazione di secondo la luce intensa del giorno gli permise di scorgere a malapena la sagoma dello scocciatore.

Un ragazzo alto, con un fisico tornito che quel sole luminoso sembrava accarezzare con riverenza.

Lentamente la sagoma di luce avanzò, emergendo dai raggi dorati mentre un soffio profumato di vento scivolava nella palestra facendogli danzare i capelli rossi sulla pelle dorata, a sfiorare due occhi color cioccolato che scivolarono frenetici per la sala finchè non incontrarono i suoi.

Allora il cuore di Rukawa smise completamente di battere.

O forse semplicemente ricominciò.

Perchè quell’angelo lucente era Hanamichi.

Il suo Hanamichi.

 

“Sakuragi quando sei tornato da Okaido?” chiese cordialmente Kogure mentre Ayako, Mitsui e Ryota fissavano increduli il ragazzo sulla soglia.

 

Rukawa invece non si mosse.

Non fece assolutamente nulla per una frazione, interminabile, di secondo.

Poi si precipitò letteralmente addosso al rossino spingendolo fuori della palestra e richiudendosi la porta alle spalle, direttamente in faccia Kogure che era rimasto senza una risposta alla sua domanda.

 

“Non vorrà picchiarlo vero?” chiese Kogure fraintendendo la furia con cui Rukawa aveva spinto Hanamichi fuori della palestra.

“Adesso li sistemo io quei due!!” tuonò Akagi spalancando la porta metallica che dava sul cortile dietro la palestra, mentre Mitsui cercava, invano, di fermarlo.

 

Oltre la soglia, avvolti dall’abbraccio lucente del sole, accarezzati dalla brezza leggera, due sagome erano profondamente allacciate, sprofondate in un bacio che sembrava sfidare tutte le leggi dell’apnea.

Akagi boccheggiò un paio di volte incredulo di fronte a quella scena e Ryota ridacchiò, posandogli una mano sulla spalla per farlo ritornare all’interno della palestra mentre Ayako chiudeva silenziosamente la porta alle sue spalle, lasciando loro un po’ d’intimità.

 

 

Fine....


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