Nucleo
parte XV
di Naika
Nucleo: parte
vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.
Hanamichi rimase
immobile.
Incredulo, nel fissare
la lenta, elegante, parabola con cui Rukawa si accasciava a terra.
Un tonfo sordo,
attutito dall’erba smeraldina, dalla terra compatta.
Un suono soffocato.
Un piccolo ansimo nel
silenzio sorpreso.
L’ultimo battito del
suo cuore.
L’ultimo singhiozzo
della sua anima.
Troppo.
Il dolore era troppo.
E la mente... la mente
semplicemente si lasciò travolgere.
Andare.
Lontano.
Alla deriva.
Finchè... scomparve.
Hanamichi s’inginocchiò
lentamente al fianco di Rukawa osservandolo con occhi, immensi, spalancati.
“Ru..?” pigolò piano.
Un richiamo appena
sussurrato.
Come se il ragazzo
accanto a lui stesse dormendo.
E lui non volesse
svegliarlo.
Rukawa aveva dei
risvegli così bruschi.
Rischiava di prendersi
un diretto in pieno volto.
Ma forse aveva parlato
troppo piano perchè dal volpino non venne risposta.
Allungò una mano e gli
sfiorò la fronte candida facendo scivolare la mano lungo la sua mascella,
piano, fino alle labbra.
“Kaede..?” sussurrò
dolcemente raccogliendo con le dita il piccolo rivolo di sangue che colava
sul lato destro del suo labbro.
“Kaede... svegliati
sono io...” mormorò con dolcezza.
Ma ancora il suo
volpino non volle rispondergli.
Doveva essere davvero
stanchissimo.
Forse non era il caso
di svegliarlo, la volpe si sarebbe sicuramente arrabbiata con lui ed era
l’ultima cosa che voleva.
“Va bene se sei stanco
puoi dormire un’altro po’...” disse piano sdraiandosi al suo fianco,
sull’erba umida.
“Io..” sussurrò “...posso
dormire qui accanto a te?” mormorò incerto “Ti prometto che non ti darò
fastidio...” gli soffiò sulle labbra sfiorandogliele dolcemente con le sue.
“Io...” sussurrò con
voce spezzata mentre una lacrima lucente si faceva largo sulla sua guancia
“...voglio solo stare qui con te...”.
Il cristallo salato
rotolò sulla sua pelle dorata, scivolando fino al mento, precipitando sul
volto pallido di Rukawa, a pochi centimetri dal suo.
“Ti amo Kaede...”
singhiozzò mentre la forza di gravità spingeva quella goccia cristallina,
giù, lungo la gota del moretto, lentamente, quasi anch’egli, seppure
imprigionato dalla morte.... stesse piangendo.
“Quante storie, è morto
stupido!” disse soddisfatta una voce crudele mentre l’ombra scura di un uomo
si delineava su di loro.
Hanamichi sollevò il
volto ad incontrare gli occhi glaciali di Edmond e il fucile che questo gli
puntava alla testa.
“Quanto a te se non
vuoi fare la stessa fine... seguimi!” ordinò deciso tirandogli un calcio al
ventre che lo fece rotolare ad alcuni passi dal cadavere del compagno.
Hanamichi si mise
faticosamente in ginocchio tossendo, le braccia strette attorno allo
stomaco, avvertendo nuovamente la fredda consistenza della canna del fucile
premere, questa volta, contro il suo petto.
“Forza moccioso, mi hai
già dato fin troppi guai!” ordinò gelido spingendo il fucile contro di lui
con aria minacciosa.
Ma Hanamichi si limitò
semplicemente ad osservare il metallo lucente e poi, lentamente, ad alzare
lo sguardo su di lui.
“Morto?” mormorò piano
come se non riuscisse a capire la sua lingua.
“Stecchito! E ora
alzati se non vuoi fare la stessa fine anche tu!” continuò isterico Edmond
che con un occhio controllava Mitsui, immobile a pochi passi da loro,
incerto sul da farsi.
Gli altri due
sembravano troppo impegnati a piangere sui loro cari perchè fossero un
problema.
Sussultò quando
l’alieno invece di fare quanto gli aveva ordinato sbattè le palpebre un paio
di volte per poi pigolare piano, di nuovo, “Morto?”.
“Sì, cretino! Defunto!
Spirato! Trapassato! M.O.R.T.O!!” scandì con furia.
Hanamichi lo fissò
ancora per un momento e poi spostò lo sguardo sul compagno disteso a terra.
Morto.
Quall’uomo diceva che
il suo Kaede era morto.
Ma non era possibile.
Kaede non poteva essere
morto.
Stava solo dormendo.
Presto si sarebbe
svegliato e gli avrebbe dato del do’hao come sempre.
E poi sarebbero tornati
a casa insieme.
Ne era sicuro.
Era così.
Doveva essere così.
Non poteva...
Non poteva essere...
... morto.
“Bastardo è colpa
tua!!!” il grido assassino di Koshino prese l’americano alla sprovvista.
Si voltò in tempo solo
per vedere la piccola furia lanciarglisi contro con impeto, il pugnale, che
aveva strappato dalla gola di Key, stretto nella mano destra.
Il play maker glielo
piantò nel braccio con rabbia strappandogli un grido, affondando la lama
nella pelle, prima di ritrarla e affondarla di nuovo, alla cieca.
Edmond lasciò cadere il
fucile, cercando di alzare le braccia per difendersi ma debilitato dal
combattimento con Rukawa riusciva a schivare i colpi a fatica e una dopo
l’altra le coltellate furiose del moretto si piantavano nelle sue braccia,
nelle gambe, nello stomaco.
Mitsui intervenne
afferrando il ragazzo per le spalle quando il killer cadde a terra
agonizzante.
“Calmati Hiroaki non
ridurti al suo livello!!” cercò di blandirlo, tenendolo stretto tra le
braccia “Akira non avrebbe voluto questo...” gli sussurro dolcemente mentre
il ragazzo smetteva di contorcersi per liberarsi, cominciando nuovamente a
singhiozzare.
Hanamichi li ignorò
completamente, avvicinandosi nuovamente a Rukawa, sedendosi stancamente al
suo fianco.
Gli pose le mani sulle
spalle e lo scosse piano.
“Ru... svegliati per
favore...” sussurrò “... quell’uomo dice che tu... tu...” balbettò incerto
scuotendolo di nuovo.
“Kaede!!!” gridò
agitando con forza il corpo privo di vita.
Ma dal compagno non
venne nessun suono.
Nessun: “Non perdono
chi disturba il mio sonno...”.
Nessun pugno.
Niente.
Hanamichi lo adagiò,
lentamente, a terra.
Kaede.
Il suo Kaede.... era
morto davvero.
Lo sguardo scivolò
accanto a lui, fino al fucile che era caduto di mano ad Edmond mentre
cercava invano di difendersi dall’attacco folle di Koshino.
Quel fucile aveva tolto
la vita a Kaede.
Il suo Kaede.
Lentamente, usando la
canna dell’arma come un bastone Hanamichi si sollevò in piedi.
Lentamente, seguì
l’americano che strisciava, a terra, cercando di allontanarsi non visto.
Lentamente, gli si pose
davanti.
Lentamente, posò la
bocca del fucile sulla sua fronte.
“As..aspe..” supplicò
l’uomo cercando di sollevare le mani per scansarlo.
Hanamichi gli sorrise.
“E’ davvero morto”
sussurrò.
E poi sparò.
Mitsui si volse di
scatto, troppo preso a calmare Hiroaki per rendersi conto di quello che
stava facendo il rossino.
Fece in tempo soltanto
a voltare il capo per evitare gli schizzi di sangue, poi il Nucleo lasciò
cadere l’arma, un filo di fumo leggero che ancora usciva dalla canna.
“Ora è davvero tutto
finito” mormorò Hanamichi fissando il cadavere del suo aguzzino per poi
cadere a terra e scoppiare in violenti, disperati, singhiozzi.
Di fronte a quel dolore
Mitsui non seppe muoversi.
I suoi singulti erano
strazianti, spezzati da lamenti di dolore simili all’uggiolio di un cucciolo
ferito.
Era davvero finita.
Ma a quale prezzo?
Il vento si alzò
ululando il suo dispiacere, trascinando con se nembi scuri che velarono
pietosamente il sole.
La luce non aveva più
ragione d’esistere se colui che l’alimentava si spegneva.
Il buio li avvolse nel
suo mantello di seta, come se, impedendogli di vedere, potesse in qualche
modo fargli dimenticare.
Alle sue lacrime il
cielo rispose con la pioggia.
Ai suoi singhiozzi con
il basso, profondo, sussurro del tuono.
La terra tremò con lui
spezzandosi con i suoi respiri soffocati dalle lacrime.
Mitsui gemette
crollando a terra incapace di trattenere il pianto.
Il dolore che
percepiva...
La disperata agonia di
quell’angelo che impazziva a pochi passi da lui era troppo forte, troppo
grande da sopportare.
La pioggia divenne una
cascata d’acqua argentea che sferzava i loro copri stanchi, frustandoli con
le sue dita trasparenti, rendendo gli alberi, la valle, loro stessi, un
indistinto acquerello che andava sciogliendosi nelle sue lacrime.
Con se, la pioggia
portò via le macchie di sangue, di terra, di cenere.
Lentamente nel grido
disperato del cielo, nel tremito convulso della terra, in quell’acqua
torrenziale che trascinava ogni cosa con se, le tracce della battaglia si
persero, lasciando che il terreno le assorbisse.
E così com’era iniziato
il temporale finì.
“Tutte le cose hanno
un inizio ed una fine Hanamichi” sussurrò nei ricordi del rossino la voce di
Key, in quel giorno lontano, su Vega Uno, quando per la prima volta il
piccolo Nucleo aveva pianto nel trovare un passero morto, nel giardino del
centro.
Hanamichi sollevò i
pugni e li battè impotente a terra con un singhiozzo.
“E’ la legge sulla
quale si basa tutto...” gli rammentò la voce del passato.
I raggi dorati
scintillarono sulle foglie umide mentre i fringuelli scuotevano le ali per
liberarle dell’acqua e gli steli d’erba si sollevavano ad accogliere quel
nuovo calore dopo la pioggia che li aveva abbattuti.
Il bosco rinasceva dopo
la pioggia.
Pulito.
Depurato da quell’acquazzone
che aveva portato via il sangue e la cenere.
Ricominciava a vivere.
“Non c’è davvero
modo?” aveva chiesto il piccolo Nucleo tra le lacrime.
“No, non c’è...”
aveva mormorato tristemente lo scienziato “...nessuno ha un potere
simile...”
Sakuragi restava
accasciato, a terra.
Ma aveva smesso di
piangere.
I capelli rossi, umidi,
appiccicati al volto stanco.
I vestiti bagnati
incollati al corpo ferito.
Lentamente, a fatica,
si alzò e raggiunse Rukawa.
“Ru...” sussurrò
inginocchiandosi accanto a lui.
“Perdonami... ” mormorò
chinandosi a sfiorargli le labbra.
Non fu un bacio.
Ma un timido, leggero,
sfiorarsi di labbra.
Un addio.
Anche se per una
frazione di secondo...
Per un momento
soltanto...
Hanamichi cullò la
folle speranza che nel riaprire gli occhi avrebbe potuto specchiarsi in quel
suo sguardo profondo, blu come il mare, e magari...
...magari Kaede gli
avrebbe sorriso.
Sollevò piano le
palpebre ritrovando l’immobilità che aveva lasciato.
“Trova qualcuno da
amare Kaede...” sussurrò.
“Qualcuno di speciale e
meno pasticcione di me...” mormorò piano.
“Che ti voglia bene per
il tuo essere scorbutico ed arrogante, premuroso e dolce.... trova qualcuno
che ti ami almeno la metà di quello che ti amo io...” gli soffiò sulle
labbra prima di alzarsi lentamente in piedi e fare un passo indietro.
Osservò i ragazzi,
immobili su quel prato di smeraldo, per un momento, e poi chiuse gli occhi.
Richiamando il suo
potere.
Per l’ultima volta.
Avrebbe infranto
l’ultima barriera.
Distruggere il Cosmo e
permettere che dalla cenere il tempo e le situazioni dessero vita ad un
nuovo Universo non era stato difficile.
Quello che stava per
fare...
... era impossibile.
Avrebbe sciolto la sua
anima senza neppure sapere se sarebbe davvero servito.
Ma infondo...
...Rukawa giaceva a
terra privo di vita.
Yohei, Akira, Key,
Ayako.... erano morti.
E lui...?
Lui era vivo e li aveva
visti morire.
Senza poter fare
niente.
Anzi....
Avrebbe potuto
salvarli... ma non aveva fatto abbastanza.
Ancora una volta.
Li voleva semplicemente
indietro.
Era davvero chiedere
troppo?
Che almeno loro in
quella vita fossero felici.
Era un desiderio
assurdo?
Reclinò il capo e
lasciò che il suo respiro rallentasse.
Il vento fece
volteggiare la camicia bianca dietro di lui mentre il Nucleo apriva le
braccia offrendosi a quel cielo terso il cui azzurro diveniva di momento in
momento più vivido e intenso.
Il sole tese i suoi
raggi sul modo che rilucè di nuovo splendore mentre la terra prendeva un
lento, profondo respiro, insieme a lui.
E la luce prese a
pulsare dolcemente, attorno a lui, nascendo in lui, nutrendosi di lui,
mentre la brezza lo avvolgeva, sollevandolo.
Le fronde si scossero
con forza, cantando, mentre nel cielo gli uccelli spiegavano le ali
intonando inni dimenticati, troppo a lungo soffocati dal suono dei clacson e
della frenesia moderna.
In quel momento, mentre
la sua luce dorata avvolgeva in una materna carezza l’Universo, l’uomo smise
per un momento di far rumore per ascoltare.
Smise di guardare e
cominciò a vedere.
E ciò che scoprì lo
lasciò senza fiato.
Gli alberi avevano
tantissime foglie, e ognuna di loro era diversa dall’altra.
Ognuna era di un verde
differente.
Ognuna di loro aveva
contorni più o meno marcati.
Venature più o meno
scure.
Più o meno profonde.
Alcune di loro avevano
il bordo seghettato.
Alcune erano un po’
strappate, alcune storte e bruttine, altre bellissime e perfette.
Certe stavano strette,
strette sullo stesso ramoscello, ma ce n’erano anche che spiccavano
solitarie.
Quelle appena nate
erano fragili e morbide, di un colore tenuo e lucente.
Quelle vecchie erano
ingrigite e un po’ rigide sul loro ramo.
Eppure se accarezzate
dal vento esse producevano, insieme, lo stesso, antico, magnifico,
canto.
E quella melodia
ritrovò la voce perduta, dimenticata, sepolta dalla fretta e
dall’indifferenza, la ritrovò in quella radura, dove un ragazzo speciale
aveva scelto di giocarsi tutto per un amore unico.
Sollevandosi e pulsando
insieme alla sua luce dorata, quell’inno ancestrale si stese ad avvolgere,
scaldare, proteggere.
Mitsui ne avvertì la
leggera, calda, carezza sul volto, sulle braccia, e dove quella luce
sfiorava, la pelle formicolava, si tendeva come se rispondesse al suo
richiamo.
Come se ogni cellula
del suo corpo non agognasse che ad abbeverarsi di quella forza che si
riversava su di loro.
Il tiratore dal tre
punti abbassò incredulo lo sguardo quando sentì i muscoli indolenziti dal
combattimento rilassarsi.
Le sue ferite....
stava svanendo.
Quella luce lo
inebriava di forza e di... vita.
“Hana!” gridò
sollevando il volto di scatto.
Vita!
Quella luce
scintillante..
Quel calore
splendente...
Era la sua vita!
Hanamichi strinse le
braccia attorno alle gambe, rannicchiandosi a mezz’aria mentre quella calda
aura si allargava attorno a lui, lambendo il cielo azzurro.
Pulsando piano, al
ritmo profondo del suo cuore, essa continuava ad espandersi lentamente.
Piccole, scintillanti,
onde concentriche che si scioglievano in profonde vibrazioni mentre il suo
corpo diveniva sempre più luminoso.
Gemette piano
affondando il volto contro le braccia tramutandosi in un’unica sfera di luce
in cui le sue forme a malapena si distinguevano.
“A.. Akira...”
boccheggiò Koshino, incredulo.
Era impossibile
eppure...
Gli era parso....
Si avvicinò a passi
esitanti al corpo dell’amante, reso sordo dal battito del suo stesso cuore
che gridava di speranza.
La sua mano...
Gli era parso che la
mano di Akira si fosse mossa...
Ma non poteva...
“Hi.. ro..” due occhi
scuri fremettero piano e poi si socchiusero fissandosi su di lui.
Carichi di dolcezza ed
amore.
E Koshino non potè fare
nulla se non cadere in ginocchio accanto a lui e scoppiare nuovamente in
lacrime.
“Kami sama...” ansimò
Mitsui senza fiato.
Quello che stava
succedendo...
Tra le braccia di
Myaghi, Ayako emise un piccolo lamento.
Yohei si mosse piano, a
terra.
Dalla gola di Key uscì
un flebile respiro.
E Rukawa...
... Rukawa socchiuse le
palpebre, fissando il cielo.
Le gambe non ressero
l’ex teppista che cadde a terra con un ansimo mentre quella luce dorata
cresceva ancora e ancora divenendo sempre più calda, più forte, scivolando
dentro di loro.
E al centro di quella
luce la sagoma di Hanamichi lentamente si scioglieva in scintillii,
rimpicciolendo.
“Hana...” sussurrò
Rukawa ormai abbastanza in forze da cercare di alzarsi.
“Hana!” gridò correndo
il più vicino possibile al punto in cui, ormai, del suo ragazzo non rimaneva
che una piccola sfera di luce incandescente.
“Do’hao non voglio un
mondo dove tu non ci sei!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Con tutta la forza che
aveva in corpo.
Quella forza che
Hanamichi gli aveva dato.
Dall’interno della
sfera giunse solo un piccolo lamento e poi la luce esplose, accecandoli per
un lungo, interminabile, momento.
Quando essa si spense
nella radura cadde il silenzio.
Nessuna ferita segnava
il corpo dei ragazzi.
Akira stringeva Koshino
che singhiozzava di gioia aggrappato a lui come se non volesse staccarsi mai
più.
Key raggiunse con passo
lento Yohei e Rukawa mentre Ryota aiutava Ayako ad alzarsi anche se questa,
con sua somma sorpresa, riuscì a mettersi in piedi senza nessuna difficoltà,
seppure ella lasciò intrecciate le loro mani.
Mitsui rimase fermo
dov’era, incapace di credere a ciò che era appena accaduto di fronte a lui.
“Di quale potere era
dotato...?” sussurrò Key incredulo.
Lui aveva creato il
Nucleo eppure...
Ciò che era appena
accaduto...
... andava oltre ogni
umana concezione.
“Hana...” sussurrò
piano Rukawa avvicinandosi con passo lento, debole, a tutto ciò che gli
restava di lui.
Una camicia e un paio
di pantaloni raggomitolati a terra, tra l’erba ancora umida di pioggia.
Si chinò lentamente, in
quel silenzio immobile e sfiorò piano la camicia bianca.
Conservava ancora il
suo calore.
Il suo profumo.
“Alla fine mi hai
lasciato davvero..” mormorò piano mentre restituiva alla terra quell’unica
lacrima che il suo amante aveva lasciato cadere sulla sua guancia.
Il piccolo cristallo
rilucè d’oro accarezzato dal sole e poi s’infranse con un fruscio sul
tessuto candido.
E allora... con sua
enorme sorpresa... la camicia si mosse.
Sbarrò gli occhi senza
capire, scostandola incerto, con attenzione.
E rimase senza fiato.
Tra i vestiti informi,
tra il candore del cotone... dormiva un neonato...
...un neonato dai
capelli rossi come il fuoco.
Continua....
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions
|
|