Quando è l’anniversario
preciso?" mi chiede Kaede, dopo un breve silenzio.
"Dopodomani. Salterò gli allenamenti, kitsune,
per andare al cimitero e poi forse resterò un po’ con mia madre, non so…
dipenderà da come si sentirà. Da come ci sentiremo" gli spiego,
continuando ad osservare la pioggia.
"Vorrei sapere una cosa, ma se non volessi
rispondermi andrebbe bene lo stesso. Quei teppisti tanto coraggiosi da
mettersi otto contro uno, quel giorno… li avevi denunciati, poi? Per
aggressione, intendo".
A questa domanda, mi volto di scatto verso Kaede,
stupefatto: fra tutte quelle che avrebbe potuto farmi, a questa non avevo
proprio pensato…
"N…no. Niente denuncia. Perché?" mi sento
un po’ sulla difensiva, a dire il vero.
"Forse ti avrebbe fatto stare meglio. La colpa è
tutta loro".
Mi piacerebbe molto avere la sua stessa chiarezza di
idee a riguardo.
"E’ quello che dice anche mia madre – ammetto,
con una punta di nervosismo- Lo disse anche allora, ma mi disse anche che
non voleva rischiare che quelli tornassero in sedici per vendicarsi della
denuncia" gli racconto; è la prima volta che ne parlo con qualcuno:
neanche Yohei sa di questa conversazione fra me e mia madre. Non è che
non ci avessi pensato a denunciarli, o comunque a fargliela pagare cara,
ma mia madre aveva capito che ci stavo rimuginando sopra ed è riuscita a
dissuadermi, dopo lunghe discussioni… dopo liti, anche. Forse Yohei lo
aveva intuito: mi aveva fatto intendere che sarebbe bastata una mia
parola, un mio accenno, e sarebbe scattata la vendetta, che sarebbero
stati al mio fianco, per vendicarsi anche loro del torto subito dal loro
amico e capo, ma non ha mai detto nulla esplicitamente, immaginando che
tipo di discussioni potessero esserci state fra me e mia madre.
Noto che gli occhi di Kaede si dilatano leggermente:
forse non aveva pensato al fatto che ‘quelli’ sarebbero potuti tornare
più numerosi di prima: "Aveva ragione" si limita a dire, dopo
averci pensato sopra per un attimo.
Lo guardo per qualche istante e subito mi calmo: mi
rilassa vedere la sua figura accoccolata sul divano. Vicina, presente…
"Posso farti io una domanda? In che giorno è
morta tua madre?" gli chiedo all’improvviso, senza averlo realmente
premeditato.
Di nuovo Kaede mi fissa meravigliato, colto di
sorpresa, ma non mi risponde.
"Solo se me lo vuoi dire, naturalmente…" mi
affretto ad aggiungere io, mettendo le mani avanti.
"Sei giorni dopo l’anniversario di tuo
padre" mi dice brevemente, atono.
Mi schiarisco la voce: "Beh…se tu poi volessi
andare…" ma lui mi interrompe.
"Io non vado mai al cimitero" ed è una frase
definitiva.
Osservo il suo sguardo ferito sotto la durezza
apparente, mi ripeto mentalmente la sua frase decisa: no, non ci andrà,
ne sono sicuro… però…
"Ok. Ma se un giorno cambiassi idea, io verrò con
te. Ah, se mi vorrai, ovvio!".
Non aggiungo le frasi di rito che coloriscono ogni
nostro discorso, come che ‘non si può non volere accanto il tensai’,
e torno in silenzio; sono argomenti più grandi di noi, questi, basta una
parola sbagliata per ferirsi involontariamente, non c’è bisogno di
aggiungere arrabbiature ai ricordi, bastano questi ultimi…
Ma io non sono tipo da sopportare una simile atmosfera
troppo a lungo, ho bisogno di distrarmi, di stare con il mio volpacchiotto
e concentrarmi su di noi! Con un colpo secco, tiro le tende in modo che
Kaede non debba vedere la pioggia che scende, anche se continuerà a
sentirne il ticchettio, e poi lo raggiungo sul divano, abbracciandolo
forte. So perfettamente che lui non mi ha chiesto di farlo, che lui stesso
non lo fa mai nelle giornate di pioggia, ma ora mi sembra diverso.
"Sei stato gentile, Hana, ma non ce ne era
bisogno" mi mormora all’orecchio, indicando le finestre.
"No? Io dico di sì" gli passo una mano fra i
capelli e lo guardo negli occhi, poi gli sorrido; forse so anche come non
fargli sentire il rumore scrosciante dell’acqua.
"Che dici, volpetta: mettiamo su un po’ di
musica?".
Ed è così che ci rilassiamo di nuovo…
Alla fine il giorno è arrivato.
Ieri non ho voluto pensarci e ho voluto trascorrere la
giornata dimenticandomi la data, il mese, scordandomi che fosse la vigilia
della morte di mio padre, ma oggi non posso.
Alla fine delle lezioni ho salutato Kaede e lui mi ha
guardato intensamente e mi ha dato un bacio leggero, a fior di labbra,
senza dire nulla; poi ho fatto in tempo a tornare a casa per lasciarvi la
cartella e cambiarmi, prima di passare a prendere mia madre in ospedale.
Il tragitto è stato silenzioso: io non avevo voglia di
parlare e lei lo ha capito. Ed eccomi qui, al cimitero, ad osservare la
tomba di mio padre mentre lei sistema i fiori, l’incenso, la candela.
Credo che mia madre venga qui al cimitero più spesso di quanto non mi
dica: lo capisco notando quanto sia curata questa tomba e quanto si veda
che si tratta di una cura continua, non fatta in fretta, ogni tanto.
Quando lei finisce, rimaniamo in raccoglimento per
qualche minuto.
O meglio, ci rimane mia madre, perché io non ci riesco
molto: i miei occhi seguono le linee che formano gli ideogrammi del nome
di mio padre e mi accorgo che non riesco a concentrarmi, a salutarlo come
vorrei, a coordinare i pensieri… sento solo una grande rabbia, questo
sì, perché man mano che quel giorno si fa più lontano nel tempo, allo
stesso modo riesco a vedere tutto più nitidamente, a ricordare tutti i
particolari e allora la rabbia prevale sul dolore, perché non è stato
giusto! No, non lo è stato per niente… davvero non c’è stato niente
di giusto in quella giornata…
"Hana, vogliamo andare?".
La voce di mia madre mi scuote dai pensieri che mi
vorticavano in testa: non mi ero neanche accorto che avesse finito di
pregare. E io non ci sono riuscito per nulla… bah, non c’è niente di
buono neanche in questa giornata!!!
Annuisco facendo un cenno brusco con la testa e ci
incamminiamo; mi accorgo che per un paio di volte lei mi scruta di
sfuggita, accigliata quanto me adesso, finché non mi dice:
"Senti, Hanamichi, se anche in futuro conti di
venire qui con quella faccia arrabbiata e quello sguardo, allora farai
meglio a startene direttamente a casa".
Che cos… che diavolo sta dicendo?!
Mi fermo di blocco, in mezzo ad uno dei vialetti che
conducono verso l’uscita: "Oi che ti prende?" reagisco,
piuttosto malamente.
"A me? Che prende a te! Non sai quanto mi
avvilisca dover ammettere che ancora non hai capito, che vivi in questo
modo il rapporto con tuo padre! Vieni con me adesso: dobbiamo parlare,
temo che sia passato un po’ troppo tempo da quando abbiamo affrontato l’argomento!"
mi ingiunge, con un tono che non consente repliche e con uno sguardo
severo. Poi riprende a camminare e mi guida in un piccolo locale in una
stradina qui vicino; ci sediamo uno di fronte all’altra e ordiniamo del
tè caldo e per un po’ rimaniamo a scrutarci in silenzio, entrambi
accigliati.
Quando sto per parlare, mia madre mi precede:
"Allora, Hanamichi… delle due l’una: o non mi
hai mai realmente ascoltata in questi anni o non mi hai creduta e a me non
va bene nessuna delle due possibilità. Te l’ho già detto: non è stata
colpa tua! In che lingua te lo devo ripetere? In cinese, in
coreano?!".
E ora è il mio turno di sbottare, dopo aver anche dato
una manata sul tavolo: "Ma la smetti!! La vuoi piantare di cercare di
consolarmi, di giustificarmi? Forse vorresti aiutarmi, invece mi fa
sentire solo ancora più inca**ato, va bene? Che ne sai di come mi sento?
Io non gli sono stato di nessun aiuto, l’hai capito? Quando lui è
morto, io non ero lì!!".
"Perché, io c’ero forse?" mi interrompe
lei, spiazzandomi.
Per qualche secondo rimango senza parole, né lei ne
aggiunge altre. Me ne sto lì, con lo sguardo confuso e il respiro
affannato fin quando non le chiedo: "Che c’entra? Tu…".
"Io non c’ero, esattamente come te. Ma chi è
egocentrico nel bene lo è anche nel male, vero, Hanamichi? E tu sei
decisamente molto molto egocentrico e ti stai comportando così anche in
questo frangente. Ascoltami ora: io non voglio sminuire il tuo dolore, non
voglio dirti di non provare rabbia, perché non sarebbe giusto. Vorrei
solo che dopo tre anni tu imparassi a razionalizzare quanto è accaduto e
a saper capire quali siano le vere responsabilità e quali no. Tu ti senti
ancora in colpa, lo so… pensi che se fossi arrivato prima lui sarebbe
ancora fra noi; pensi che se avessi fatto un’altra strada lui avrebbe
avuto una possibilità in più e che se non ti fossi sempre comportato
come un attaccabrighe tutto questo non sarebbe successo. Ma non è colpa
tua se degli studenti più grandi, che neanche conoscevi, ti hanno preso
di mira perché avevano voglia di una rissa. E io, allora? Dov’ero io?
Non pensi che, se fossi stata in casa, tornando avresti semplicemente
trovato un avviso da parte mia, con cui ti dicevo di raggiungerci in
ospedale, piuttosto che tuo padre morente?".
La mamma ha parlato lentamente, con calma, ma io sono
sconvolto come se fosse scoppiata in lacrime davanti a me. Non avevo idea
che pensasse queste cose, non…
"Mamma, non c’entra niente, come avresti potuto
pensare…".
"Papà si era preso un paio di giorni dal lavoro
perché non si sentiva bene, te lo ricordi?".
"Sì, ma che significa?".
"Che avrei dovuto pensare di prendermeli anche io,
o almeno di prendermi un permesso per le ore pomeridiane, per stargli
vicino. Ma non l’ho fatto. Ero in ospedale, quando è morto, a prendermi
cura di altri e non di mio marito. Oppure… dov’era Yohei quel giorno,
perché non era con te?".
Oddio, mi sta venendo un grandissimo mal di testa!!!
"E dai, cosa c’entra adesso Yohei?! Non mi
ricordo dov’era… sarà stato al Pachinko con gli altri…".
"Sì, ma se fosse rimasto con te sareste stati in
due, sia per le risse che per provare ad aiutare tuo padre, no? Invece lui
non era con te. Che vorresti fare, allora: andare da Yohei e dirgli che è
anche colpa sua, perché quel giorno è andato in sala giochi?".
Scuoto energicamente il capo: "Ma no, come ti
viene in mente?! Che poteva saperne, lui?".
Mia madre annuisce: "E noi, che potevamo saperne?
Non tutto è prevedibile e la sfera di cristallo esiste solo nelle fiabe…
Gli uomini, quando prendono decisioni, non sanno nulla di quello che
accadrà. Non è stata colpa tua, va bene? – mi ripete per la millesima
volta- Non è stata colpa nostra –aggiunge- E sai cosa mi rende triste?
Sapere che il ricordo di tuo padre ti dà solo dolore, che non provi più
delle belle sensazioni quando pensi a lui…".
"Non è vero" provo a negare, ma non la
convinco affatto, lo vedo dal suo sguardo.
"Sì che lo è. Se pensi a lui, ripensi quasi
sempre a quella scena, non è forse vero?" domanda, incalzante.
Io mi sento un po’ sulle spine, non ero preparato a
questa conversazione: avevo creduto che saremmo stati semplicemente al
cimitero, non che… che mia madre avrebbe voluto improvvisare una terapia
familiare!!!
"Ok, forse hai ragione, ma… è naturale che sia
così, non ti pare?! O pensi che sia normale tornare a casa e trovare tuo
padre colto da infarto?".
Lei sospira, leggermente esasperata: "No, non è
normale, ma non sto dicendo che devi dimenticartene! Sto dicendo,
piuttosto, che non voglio che questo ricordo cancelli tutto il resto.
Quando è stata l’ultima volta che hai pensato ad una delle nostre
passeggiate domenicali? O a quando tuo padre giocava con te? Credi che lui
sia contento, sapendo che ti stai concentrando solo sul momento più
doloroso?".
Ok, adesso basta.
"Ma come fai? – esplodo, a metà fra l’incredulo
e l’arrabbiato- Come cavolo fai a dirmi queste cose, a non essere
arrabbiata con me, a parlarne quasi… quasi normalmente!! Eppure io so
bene che, se papà mi manca, a te manca ancora di più!" ecco, l’ho
detto finalmente. Detto un po’ rudemente, mi sono tolto un peso dallo
stomaco: erano tre anni che volevo chiederglielo!
Ora mi aspetterei un rimprovero da parte sua, anche
aspro, ma non arriva; la vedo invece rilassarsi, il suo sguardo
addolcirsi.
"Hanamichi, sei ancora un ragazzino per queste
cose… Tuo padre mi manca, sì, mi manca immensamente e non potrebbe
essere altrimenti. Ma sono una infermiera e, se non avessi ancora capito
cosa significhi, beh, significa soprattutto che conosco la morte e il
dolore di chi rimane. E so che non si possono evitare, che prima o poi ci
si dovrà scontrare con questa realtà. Non voglio dire che si diventa
fatalisti, ma forse un poco è così… e allora, per far sì che nasca
qualcosa dal dolore e che almeno non sia inutile, si deve spostare la
prospettiva e concentrarsi su ciò che quella persona ci ha lasciato di
bello e di caro. Mi hai capito? Voglio che lo faccia anche tu adesso. Io
non ti ho detto niente per mesi, perché capivo che dovevi elaborare i
tuoi sentimenti, il tuo dolore e anche i tuoi sensi di colpa, ma ora ho il
dovere di parlare con te, di darti una indicazione diversa da quelle che
ti sei dato tu finora, perché, scusa tanto, ma non mi sembra che il
risultato sia un granché" su questa parola mia madre fa una pausa,
beve un sorso di tè e per qualche istante volge gli occhi a guardare
fuori dalla grande vetrata del locale: il cielo grigio, le nuvole cariche
di pioggia, i passanti frettolosi.
"Grazie tante!" replico io, amareggiato.
Lei torna ad osservare me: "Non fraintendermi,
Hanamichi: io sono così fiera di te, di quanto tu abbia saputo essere
forte e continuare a vivere, a stare con gli amici, ad essere te stesso!
Ma c’è sempre quest’ombra, vero? Certo, non la si può cancellare, ma
si può renderla meno scura…Avanti, proviamo a parlare di tuo padre
senza pensare al giorno in cui è morto. Proviamo a ricordare lui.
Non c’è niente che vorresti chiedermi, di cui vorresti parlare?".
Sono io che sono fiero di mia madre, della sua forza.
È merito suo se anche io sono forte, è qualcosa che mi ha trasmesso lei,
fin da quando ero piccolo.
Da principio non le rispondo; ho bisogno di calmarmi,
bevo un sorso di tè ormai appena tiepido e respiro profondamente. Lei
aspetta con pazienza, comprendendo.
Poi, inizio: "Sai, in questi giorni mi sono
chiesto spesso cosa avrebbe pensato papà delle mie scelte. Del basket,
dell’America. E soprattutto, naturalmente, cosa avrebbe pensato di Kaede.
Ho anche cercato di immaginarmi un incontro fra loro due, ma non ci sono
riuscito e questo non mi è piaciuto" concludo, facendo una smorfia.
Mia madre medita per qualche istante, poi mi sorride:
"Oh, a tuo padre lo sport piaceva, penso che sarebbe stato fiero di
te e anche della decisone di andare in America. Lui non era il tipo che si
buttava e rischiava, ma sotto sotto proprio per questo gli piaceva chi era
capace di farlo. Quanto a Kaede…" e di nuovo si interrompe.
"Sì?" mi sporgo leggermente in avanti,
impaziente, come se così potessi sentire ancora prima e ancora meglio le
sue parole.
"Guarda, credo che all’inizio ne sarebbe rimasto
spiazzato. Forse avreste anche litigato, non voglio fingere il contrario,
perché lui era un po’ tradizionalista. All’inizio però, eh! Perché
alla fine, tuo padre aveva bisogno di tempo per abituarsi alle novità, ma
dopo sapeva accettarle bene. E poi Kaede gli sarebbe piaciuto, ne sono
sicura: si sarebbe accorto anche lui che, sotto quella patina di distacco,
è un ragazzo speciale. Io penso che sarebbero andati d’accordo. E poi,
avrebbe saputo riconoscere il vero amore: lo si riconosce sempre, quando
lo si è vissuto in prima persona" mia madre mi sorride e io mi
rilasso contro lo schienale della sedia.
"Il vero amore… sono contento di sentirti
parlare così di me e Kaede".
"Sai, ci sono dei segni… piccoli, magari anche
difficili da descrivere, ma che lo identificano… Io e tuo padre ci
amavamo davvero e quando dico ‘amore’ mi riferisco a quel sentimento…
beh, non solo alla passione e neanche soltanto all’innamoramento. È
quando ci sono queste cose e in più ami l’altro e gli vuoi bene, anche.
È quando, dopo venti anni di vita di coppia, hai ancora voglia di dirgli
‘buongiorno’ e salutarlo con un bacio al mattino. Ed è quando vedi
che il tempo passa e lascia tracce del suo passaggio, ma non ti importa
poi così tanto... Io in voi questi segni li vedo, per questo sono sicura
che li avrebbe notati anche lui".
Ci penso su e finalmente riesco a sorriderle: "Sì…
papà non era una persona che si basasse sulle apparenze, e neanche tu lo
sei mai stata. E questo mi è sempre piaciuto. Sono stato tanto contento,
sai, quando ho notato che non tendevi a sminuire il rapporto fra me e
Kaede, come avrebbe potuto fare qualcun altro e sono certo che non lo
avrebbe fatto neanche lui…".
Mia madre mi lancia un’occhiata stupita:
"Sminuirlo? In che senso?".
"Ma sì, sai, quei soliti discorsi che oggi vanno
tanto di moda, che non si può sapere mai se un amore durerà in eterno o
no. Oppure un altro genitore avrebbe potuto dire che siamo troppo giovani
e cose simili. Mi danno un fastidio!!" commento, accigliandomi al
solo pensarci.
Mi fa veramente piacere che lei annuisca con vigore:
"Sì, sì, anche a me!!! D’accordo, magari non sono tutti
fortunati, ma il vero amore esiste e, comunque, se lo si mette in dubbio
si parte già male in un rapporto di coppia: perché un legame comincia a
finire nel momento in cui si pensa che, in futuro, potrebbe finire. Chi
ama davvero, non lo pensa mai. Tu non lo hai mai pensato, vero, Hanamichi?".
"Uhm… - appoggio il mento sulla mano e cerco di
mettere insieme le parole per spiegarmi bene- Io non ho mai pensato che
con Kaede potrebbe finire per qualcosa che dipendesse da me. O da lui.
Anche il mio volpacchiotto è stato molto chiaro a riguardo e si arrabbia
se non lo prendo sul serio, sai come è fatto… Però, come dicevi anche
tu prima, non si può prevedere tutto e questo mi fa paura. Ho paura che
succeda qualcosa e che io non riesca ad evitarla" ammetto.
"L’imponderabile… - dice, pensierosa, mia
madre-… beh, l’imponderabile esisterà sempre. Ma, torno a dirti, non
pensare solo a questo o non riuscirai a vivere a pieno il presente".
"Già… mamma, perché non si riesce facilmente a
vivere con equilibrio il passato, il presente e il futuro?".
Lei ridacchia: "Mi hai fatto la domanda del
secolo! Perché siamo uomini, penso. La spiegazione, in fondo, è sempre
tutta lì".
"Sei davvero portata per la filosofia!"
scherzo.
"Ehi, non prendermi in giro!!- mi sgrida
scherzosamente, poi mi guarda in modo dolcemente serio- Anche tuo padre
sarebbe stato fiero di te: stai diventando proprio l’uomo che lui
sperava saresti stato. Hai un progetto e lo hai preso sul serio,
portandolo avanti e impegnandoti, anche quando ti è costato… So che non
ti piace studiare, ma adesso hai tutti voti decenti e lo hai fatto
pensando al tuo futuro. Sei affidabile, ma a modo tuo lo sei sempre stato,
in effetti. E non hai perso la voglia di ridere e fare lo scemo… Sì,
sono sicura che tuo padre non direbbe che bene delle tue scelte e di
te".
Non è il caso di commuoversi, vero? Non quando si è
alti quasi due metri e si ha l’aspetto di un teppista… ma mi sento
commosso in questo momento… non le rispondo subito, perché devo
aspettare che si sciolga il nodo che mi serra la gola e che mi farebbe
parlare con voce incerta. Intanto le sorrido, per ringraziarla.
Quando finalmente sto per aprire bocca, ecco che vengo
interrotto, ed è una voce maschile.
"Sakuragi-san? Lo dicevo che eri tu! Che ci fai da
queste parti?".
Alzo gli occhi e vedo un uomo che ha tutta l’aria di
essere un medico o comunque di lavorare in ospedale anche lui. Ormai
riconosco l’aura…
"Buona sera, Yamamoto-san! Che sorpresa… Io
vengo dal cimitero, ci sono andata con mio figlio. E tu?" risponde
lei, tranquillamente.
L’uomo mi osserva, poi fa un sorriso: "Ah, il
famoso Hanamichi! Tua madre parla spesso di te, sai? Comunque, io abito
qui vicino e anche Misaki-san e Taki-san, che infatti mi stanno aspettando
davanti alla porta. Devo andare, ci si vede in ospedale!" saluta lui,
facendo un piccolo inchino.
"Sì, a domani. Salutami Misaki-san e Taki-san"
ricambia mia madre, poi lui si allontana.
"Chi è?" non posso fare a meno di chiederle,
dopo che l’uomo si è allontanato.
Lei si stringe nelle spalle: "Oh, un collega…
ossia, lui è un medico del pronto soccorso. Invece Misaki-san e Taki-san
sono infermieri anche loro".
Istintivamente, guardiamo entrambi fuori dalla finestra
e scorgiamo due uomini e una donna che si stanno incamminando dalla parte
opposta a quella da cui siamo arrivati io e mia madre; la donna si gira a
sua volta e, notandoci, ci saluta con la mano.
"E’ una tua amica?" domando.
"Sì: si chiama Sakura, pensa che coincidenza!
Fino all’anno scorso era solo una conoscenza superficiale, ma poi
abbiamo seguito insieme quel corso di aggiornamento e allora abbiamo preso
più confidenza".
"Ho capito" mormoro; mi rendo conto che ho
perso un po’ di vista la vita di mia madre, che non conosco i nomi delle
sue nuove amiche, che non tutto è rimasto come prima… e poi… e poi…
"Cosa c’è, Hanamichi?" mi chiede lei,
cogliendomi di sorpresa.
Io alzo gli occhi di scatto, meravigliato: "Eh?
Non c’è niente! Cosa dovrebbe esserci?" reagisco d’istinto.
Mia madre sbuffa leggermente: "Risposta
affrettata, atteggiamento sulla difensiva: tipico di quando stai mentendo!
Sei proprio negato per le bugie. Avanti, dimmi…".
Temo sinceramente di stare arrossendo; è che… non
so, non è che mi piaccia parlarne con lei, ma…
"Pensi mai a rifarti una vita?" riesco a
borbottare, imbarazzatissimo.
La vedo accigliarsi, forse si è anche un po’ offesa:
"Che significa? Mi stai dicendo che non ho una vita mia?".
"No no! – mi affretto a correggermi, mettendo le
mani avanti- Intendevo una vita… sentimentale… una famiglia, ecco…"
l’ultima frase mi è uscita piuttosto pesantemente.
"Io ho già una famiglia: ho te e Kaede e questo
è quanto. E tuo padre era ed è la mia anima gemella e questo è di nuovo
quanto. Ok?" mi chiede, più dolcemente.
"Ehm… ok…" borbotto io; non so perché mi
sia venuto in mente di tirare fuori questo discorso e sono anche contento
che l’abbia chiuso qui o non avrei saputo bene che cosa dire…
Restiamo in silenzio per qualche minuto, finendo di
bere il tè che ormai si è raffreddato, poi io le sorrido:
"Mamma, hai fretta di tornare in ospedale o puoi
restare con me ancora un po’?".
"Posso restare, perché?".
"Vorrei riandare al cimitero e concentrarmi
davvero stavolta. Prima non sono riuscito a pregare neanche per un
secondo: ero nervoso e arrabbiato. Ma adesso mi sembra di avere lo stato d’animo
adatto e… vorrei tornare, insomma! Mi accompagni?".
Sì, è questo il momento giusto, devo tornare da lui…
"Andiamo…" mormora lei, alzandosi.
"Kitsune, sono a casa!".
Hanamichi sbuca dalla porta del salotto con una
espressione infinitamente più rilassata e con un tono più energico e
vivace di quelli che aveva quando ci siamo salutati, a scuola.
"Bentornato" lo saluto, osservando
attentamente il suo volto.
"Faccio in tempo a farmi un bagno prima di cena?
Non è troppo tardi, vero? No, non lo è… Comunque ci metterò un
attimo, volpetta!" prosegue, sparendo di nuovo nel corridoio dopo
avermi dato un bacio sulla fronte.
Sono contento di vederlo così, forse perché,
sinceramente, non me lo aspettavo: credevo avrebbe avuto ancora quell’espressione
cupa che ha avuto in questi giorni e che se la sarebbe portata dietro per
un altro po’ di tempo. Comprensibilmente, tra l’altro.
Ma se c’è una cosa che ho imparato, stando con lui,
è a non dar mai niente per scontato e me lo ha dimostrato ancora una
volta.
Quando Hanamichi mi raggiunge di nuovo si è fatta l’ora
di cena; mentre mangiamo, in cucina, parliamo di scuola, degli
allenamenti, mi chiede che cosa abbiamo fatto oggi… se lo conosco,
preferirà affrontare il racconto di questa giornata soltanto dopo, quando
saremo nuovamente in salotto o, comunque, quando avremo finito di
mangiare, di sparecchiare e la nostra attenzione potrà essere tutta
soltanto per le parole.
Io gli parlo degli allenamenti, del fatto che dovrei
portare i miei gatti dal veterinario per una visita di controllo… cose
così… poi, a dimostrazione del fatto che lo conosco bene, dopo che
abbiamo finito di sistemare i piatti e le pentole nella lavastoviglie e
mentre ci spostiamo in salotto, lui si schiarisce la voce.
"Uhm… senti, kitsune… pensi che tuo padre stia
con un’altra ormai?".
Ma davvero questa domanda non me l’aspettavo!!! Il
mio do’aho sta raggiungendo nuove vette nell’arte dell’imprevedibilità!
Mi volto a guardarlo senza nascondere la sorpresa che
mi ha suscitato.
"Come, scusa?".
"Ok, forse sono stato indelicato! Non importa…"
fa retromarcia lui, mordendosi un labbro nervosamente.
Io mi siedo sul divano, raccogliendo le gambe al petto
e ci penso per qualche secondo, superato il primo momento di stupore:
"No, non è un problema… in realtà me lo sono chiesto anche io,
talvolta".
"Ah!- esclama lui- E che cosa ne pensi?"
torna a domandare, lasciandosi cadere sul divano a sua volta, accanto a
me.
"Non lo so. Sono passati tanti anni, sarebbe anche
comprensibile… Ma non sono pronto a giurare di sì- mio padre è un uomo
freddo, duro, privo di slanci o almeno io non glieli ho mai visti e l’unica
persona che li ha potuti vedere se ne è andata tanti anni fa; a prima
vista sarebbe il classico tipo che si prende un’amante per svagarsi un
po’ una volta fuori dall’azienda, eppure… ha amato profondamente mia
madre, così tanto che se avesse potuto le avrebbe sacrificato me… ed è
costante, mio padre, nel bene e nel male, proprio come me… - Potrebbe
anche aver deciso di rimanere da solo, sarebbe da lui" dico
semplicemente.
"Ma… a te darebbe fastidio, sinceramente?"
insiste Hanamichi.
Eppure, per quanto do’aho, la mia testa rossa non è così
tanto do’aho: se ha tirato fuori l’argomento vuol dire che ha un
valido motivo e che sta cercando un modo per arrivarci attraverso queste
domande fatte a me.
"Sinceramente…e comunque io sono sempre sincero…
no, non mi darebbe fastidio. Forse un poco, all’inizio…".
Non gli chiedo il perché dei suoi quesiti, aspetto che
me lo spieghi lui, cosa che puntualmente avviene dopo qualche secondo in
cui lo percepisco un po’ teso, sulle spine.
"E’ che… oggi mentre io e mia madre stavamo
parlando in un locale, le si è avvicinato un collega dell’ospedale e l’ha
salutata" dice. Mi sembra anche un po’ imbarazzato.
"E…" lo esorto a continuare io. Ho capito a
cosa stia pensando.
"No, niente. Si sono solo salutati, lui stava con
altri colleghi… Guarda, non è successo niente, però osservare quella
scena mi ha fatto pensare che, tra qualche tempo, mia madre potrebbe
incontrare qualcun altro e allora…" Hanamichi si stringe nelle
spalle, senza continuare.
"Ti darebbe fastidio?" gli domando
apertamente.
"No, no!- si affretta a precisare lui; sembri
sulla difensiva, amore mio…- Cioè, non lo so! Mi sembrerebbe strano.
Però non voglio neanche fare il figlio geloso che vuole che la madre viva
nel ricordo del padre. Ossia, mi piacerebbe, ma… Sai cos’è, da una
parte mi piacerebbe, ma poi quando le sento dire che non ci sarà nessun
altro per tutta la sua vita mi fa impressione e penso che in fondo lei
potrebbe essere di nuovo felice, però poi mi arrabbio se la immagino con
un uomo diverso da mio padre!!! Che casino!! Non so che pensare, kitsune!
Tu che dici?" Hanamichi ha parlato in fretta, in tono concitato,
sporgendosi verso di me.
"Dico che è presto per pensarci, se tua madre per
prima non riesce a vedere un altro accanto a sé… Ma se tra qualche anno
ci riuscisse, sarebbe bello se non le facessi notare una tua contrarietà.
Non credi che si sentirebbe in colpa già da sola?" gli faccio
notare.
"Sì, lo so. Ah, non capisco perché mi sia venuto
in mente!!" sbuffa il mio Hana e mi accorgo che vuole cambiare
discorso.
Io allungo una mano per sfiorare i suoi capelli rossi e
lui la ferma nella sua.
"Come stai?" domando semplicemente.
"Bene- Hanamichi mi guarda negli occhi
dicendomelo, come a volermi convincere al di là di ogni dubbio- Siamo
andati al cimitero, ma poi abbiamo litigato…".
"Litigato? Al cimitero?!".
"… e mia madre ha deciso che dovevamo parlare,
così siamo entrati in questo locale di cui ti dicevo per prendere un tè
caldo e infatti abbiamo parlato e adesso… adesso va meglio"
conclude lui, riprendendo fiato.
"Sicuro?".
"Uhmmmm… sì! Beh, più o meno! Sai, la mamma
aveva ragione in una cosa: stavo perdendo i ricordi di mio padre, perché,
ogni volta che mi veniva in mente, lo vedevo solo steso a terra,
sofferente. E anche se pensavo a qualcos’altro, subito tornava questa
scena a sovrapporsi al ricordo bello e alla fine… - sospira
pesantemente-… ho preferito non pensare più tanto a lui. Io non penso
spesso a mio padre, sai, Kaede? Che non vuol dire che non ci stia male,
però. Il risultato è che stavo davvero perdendo i suoi ricordi. Ora mi
piacerebbe recuperarli, diciamo così…" e mi sorride, il mio Hana.
Un sorriso diverso dai suoi soliti, un po’ triste.
"Io non so niente di lui, non mi hai mai
raccontato nulla…" glielo dico sapendo che, se era quello che
voleva gli dicessi, sarà pronto a cogliere l’invito; e infatti accade
proprio questo.
"E’ vero, non ti ho parlato di lui" ammette
Hanamichi.
"Un pochino gli assomigli, da quanto ho visto
dalle fotografie" considero e il suo sorriso si fa più disteso.
"Sì, sì!! Nel taglio degli occhi e poi anche la
forma del naso è simile! Lui ne era contento, sai? Perché c’è questa
faccenda che i figli maschi somigliano di più alla madre e… ok, tu per
esempio somigli a tua madre!… però non è sempre così e a lui faceva
un sacco piacere che io avessi il ‘marchio di fabbrica dei Sakuragi’!!".
E qui inizia il racconto di quattordici anni di vita
insieme; forse il mio Hana si è preoccupato troppo di star perdendo i
ricordi del padre: dalla sua memoria ne stanno uscendo di remotissimi, di
quando era ancora un bimbo, che erano solo sopiti…
Domeniche passate con i genitori, quelle estive
trascorse al mare, a nuotare e a divertirsi sulla spiaggia.
"Io ero più veloce di lui in acqua: quando
facevamo le gare vincevo sempre!! E lo sai chi è stato ad insegnare a me
e a Yohei a giocare a Pachinko? Mio padre!!! A lui aveva insegnato un
collega e quindi… cioè, ci ha insegnato la teoria perché allora non
potevamo mica entrare in sala giochi, ma non è questo l’importante…".
Io cerco di ricordarmi qualcosa che mi abbia insegnato
mio padre: un gioco, un passatempo, un modo per divertirmi, ma non mi
viene in mente assolutamente niente. Mi ha insegnato prestissimo ad usare
un assegno, questo sì, e, grazie a lui, la prima cosa che ho imparato a
fare con una segreteria telefonica è stato come cancellare i messaggi,
per non dover sentire i suoi, freddi e brevi.
"…e comunque mi capiva quando dicevo che il cibo
è fondamentale! Lui non mangiava molto, veramente, però gli piaceva
vedere un piatto realizzato bene. Pensa che una volta aveva deciso di fare
una sorpresa alla mamma che sarebbe tornata tardi dal turno serale e
allora…".
A me non pare di aver mai visto mio padre non dico
pranzare, ma neanche cenare a casa, nei giorni feriali, e mia madre,
finché la salute glielo ha permesso, spesso lo raggiungeva per mangiare
con lui, mentre io restavo a casa con Yuriko-san.
Era affettuosa, mia madre, ma non è stata di quelle
donne che quando nascono i figli mettono da parte il marito e diventano
solo e soltanto delle madri: per lei mio padre è sempre venuto prima di
me, probabilmente anche perché era quello che lui voleva e si aspettava
da lei. Però posso capirli… sì, li capisco adesso che sono innamorato
anche io. Hanamichi viene di gran lunga prima di mio padre, viene prima di
tutto, e se dovessi scegliere fra loro, come avrebbe voluto poter fare
lui, non avrei dubbi…
"… beh, di sicuro avrebbe preferito dei voti
migliori a scuola, ma non ne ha mai fatto un dramma! Cioè, magari qualche
predica me l’ha fatta, però alla fine non mi sgridava mai se stavo in
giro con Yohei e la Sakuragi Gundan. Vedi, sia lui che mia madre avevano
turni di lavoro molto lunghi e un po’ pesanti e quindi tutto sommato
erano contenti che avessi degli amici! Amici veri, intendo, perché non
sarebbero stati bene sapendomi a casa, da solo e…" Hanamichi si
ferma d’improvviso, guardandomi con una nota di impaccio e io ne capisco
il motivo.
"Per me non è mai stato un problema" gli
ricordo, tranquillamente.
"Eeehm… sì, dunque…Stavo dicendo? Ah, a mio
padre piaceva leggere! Lo trovava rilassante…" e mi elenca i titoli
che preferiva e scopro che magari Hanamichi non li avrà ancora letti, ma
che si ricorda tutte le osservazioni che aveva sentito da lui…
In questo modo passa un bel po’ di tempo, durante il
quale è praticamente solo Hanamichi a parlare e, dopotutto, è così che
deve essere; io lo ascolto attentamente, senza distogliere lo sguardo dal
suo viso, per fargli capire che sto sentendo davvero le sue parole, quelle
dette e quelle non dette, finché non si ferma, abbassando lentamente la
voce.
Per qualche secondo Hanamichi mi guarda quasi stupito
di essere riuscito a ricordare tanto, mi sembra emozionato anche, oltre
che contento. Contento, sì… in fondo si è sfogato: chissà da quanto
tempo avrebbe voluto riuscire a parlare così pacificamente del padre,
distogliendosi da quella sensazione amara e pungente che gli provoca il
rammentare la sua morte.
Mi dispiace di sentirmi io un po’ triste, dopo il suo
racconto. Per tutti e due: per lui che ha perso qualcosa di così bello e
per me che non l’ho mai avuto.
"Grazie, Kaede".
È la sua voce calda e affettuosa a scuotermi e a farmi
di nuovo prestare attenzione a lui.
"Hn? Per cosa?".
"Per avermi ascoltato con così tanta attenzione!
Io… sono davvero contento di averti parlato di mio padre: in questo modo
mi sembra che vi siate conosciuti. Ok, non voglio esagerare con l’enfasi,
ma ho questa sensazione e mi fa piacere averla, ecco!! E tu? Non senti il
bisogno di parlarne?" mi chiede, con circospezione, probabilmente
temendo di irritarmi.
"Parlare di cosa? Di mio padre?" replico,
senza nascondere l’amarezza che provo.
"No, di tua madre" mi spiega lui,
avvicinandosi a me. La sua mano si posa sulla mia, poi la prende,
intreccia le nostre dita. Vuole farmi capire che posso confidarmi, che mi
ascolterà a sua volta, ma io non voglio. Scuoto il capo.
"No, non lo sento. Non adesso; magari lo sentirò
fra qualche anno" dico, deciso.
Ma Hanamichi, che di solito lascia perdere sull’argomento,
stavolta insiste: "Ma perché? Io non ti capisco! Secondo me ti stai
privando di qualcosa non volendo parlare di lei, non volendo nemmeno
guardare le sue foto!! Prima, mentre ti raccontavo di papà, mi sentivo
bene, lo sentivo vicino: non credi che ti sentiresti così anche tu?"
lo dice con un tono incoraggiante, ma io di nuovo scuoto il capo.
"No" ripeto, un po’ più seccamente di
prima.
"Sai cosa sembra? – continua lui, imperterrito-
Che tu sia arrabbiato con lei… Cioè, magari non è così, però
potrebbe sembrarlo. Io sono arrabbiato con me stesso e tu, invece, sei
arrabbiato con tua madre".
Adesso mi innervosisco sul serio!
"Ti sarei grato se non tirassi fuori questa
psicologia ‘mordi e fuggi’, Hanamichi. Non sono tanto infantile o
stupido da non sapere che mia madre non ha deciso lei di morire! O pensi
che sia di quelle persone che inconsciamente portano rancore a chi se ne
va, perché si sentono abbandonate? Comprensibile, non dico il contrario,
ma non è il mio caso, perché so che lei per prima non voleva lasciare
soli me e mio padre".
Vedendomi scuro in volto e accigliato, Hanamichi fa
marcia indietro, anche se proprio non ne vuole sapere di cambiare
argomento: "Ok, mi sono sbagliato, scusa! Ma allora ti capisco ancora
di meno!!! Non credi che a tua madre dispiaccia sapere che non vuoi
neanche vedere il suo volto in una fotografia?".
Alla sua domanda spalanco gli occhi e, di rimando, lo
fa anche lui. Sicuramente si è stupito del mio stupore.
"A mia madre… dispiaccia? Hana, parli di lei
come se ci fosse ancora…".
"Beh, sì… certo, non qui, però… Insomma, io
credo che ‘loro’ ci siano ancora da qualche parte, non so se chiamarlo
cielo o in un altro modo, ma il concetto è quello! E li rivedremo,
quindi, e loro possono vederci e starci vicino!" Hanamichi ha parlato
seriamente, so che ne è convinto. Ma io e lui siamo molto diversi per
certi aspetti.
Scuoto leggermente il capo, in un movimento quasi
impercettibile: "Mi spiace, ma io non credo in niente" dico a
voce bassissima. Che poi, non è proprio così, ma prima che riesca a
spiegargli meglio il concetto il mio Hana decide di partire in quarta.
Adesso è lui quello alterato ed irritato.
"Come sarebbe, in niente?! Kaede, ma come diavolo
fai a dirlo e a pensarlo?!" sbotta.
"Non ti sto chiedendo di pensarlo anche tu: ti
sarei grato se mi lasciassi avere le mie idee e comunque…" replico
gelidamente; vorrei chiarire l’equivoco, ma lui non me ne lascia il
tempo e io non riesco a fermarlo.
"Prima mi sono espresso male, molto
superficialmente anche, ma so che hai capito cosa intendessi dire. Io so
che mio padre c’è ancora, da qualche parte, lo sento con una chiarezza
incredibile in certi momenti e non lo dico perché è consolatorio.
Probabilmente sarebbe consolatorio anche pensare il contrario: una bella
pietra su tutto e stop! Ma che vorrebbe dire? Tutti i nostri giorni, i
nostri momenti insieme, andrebbero a finire nel nulla? Mio padre, che fine
farebbe? La sua essenza svanirebbe con la morte delle persone che lo hanno
conosciuto e che possono ricordarlo e parlare di lui? E io? Mi stai
dicendo che dopo la mia morte mi considererai solo polvere? No, è inutile
che fai quella faccia, le cose stanno così, sai?- mi ricorda, anticipando
le mie proteste; non voglio neanche pensare a cosa farei se lui dovesse
morire- Che accidenti di significato avrebbe tutto questo?! E sai una
cosa, kitsune? Se ‘dopo’ non ci fosse niente, e noi e i nostri
genitori ed ogni cosa andassimo a finire nel nulla… beh, non sarebbe
solo crudele. Sarebbe peggio: sarebbe inutile e stupido" Hanamichi
finalmente si zittisce; ha quasi il fiatone per la foga con cui ha difeso
le sue convinzioni e lo ammiro per questo, ma non può credere che
diventeranno le mie così facilmente.
"Hai finito?" gli chiedo, fissandolo negli
occhi.
Lui annuisce, sulle spine, perché evidentemente
stavolta non riesce a prevedere la mia reazione.
"Prima mi sono spiegato male. Non è esatto che
non credo in niente: più precisamente non credo niente" mi correggo
da solo, scegliendo più attentamente le parole.
Mi appoggio meglio contro il cuscino e solo ora mi
accorgo del ticchettio delle gocce d’acqua contro i vetri delle
finestre. Dannata pioggia!!!
"C’è differenza?" replica in fretta
Hanamichi, con espressione arrabbiata.
"Non so, secondo te?" mi sta venendo mal di
testa…
Hana coglie la mia nota polemica e rimane in silenzio
per qualche minuto prima di rispondermi.
"Cioè…non hai le idee chiare?" tenta,
comunque già più sollevato.
"Semplicemente non ci ho mai pensato- sospiro, poi
stringo la sua mano, che ancora avvolge la mia- Senti, Hanamichi: non mi
sono mai soffermato a pensare a cosa credere, non so neanche se voglio
farlo. Tu credi che qualcosa degli uomini sopravviva, io non ti sto
dicendo che non sono d’accordo… ma non posso nemmeno dirti che hai
ragione. Non lo so e non voglio pensarci adesso. E non mi va di
parlarne" aggiungo, in conclusione.
Deve esserci stata una sfumatura particolarmente triste
nella mia voce, una sfumatura che però non avrei mai voluto si sentisse,
ma che fa cambiare improvvisamente l’atteggiamento del mio Hana : i suoi
lineamenti si rilassano, il suo sguardo non è più arrabbiato e si
addolcisce nel guardarmi. Di colpo, con un movimento fulmineo, mi attira a
sé e mi stringe contro il suo torace.
"Scusa, kitsune- mormora al mio orecchio- Non mi
sono reso conto che questi discorsi non ti piacevano… Scusa, davvero. E
grazie, per avermi ascoltato" e continua a stringermi forte, forte,
come se avesse paura di lasciarmi andare…
"Non devi ringraziarmi" ribatto io, in un
soffio.
Rimaniamo abbracciati per qualche minuto, rilassandoci,
confortandoci silenziosamente; quando decidiamo che siamo stanchi, che la
giornata è stata lunga e che è meglio andare a dormire, ci alziamo e
controlliamo che qui sia tutto a posto prima di salire al piano superiore.
La porta dello studio di mio padre è socchiusa: sono entrato io, questo
pomeriggio, perché ho iniziato ad usare i suoi scaffali per i miei libri
e volevo recuperare il corso d’inglese.
Mi basterebbe semplicemente chiudere la porta, ma
invece, non so perché, la apro del tutto e accendo la luce.
Il mio sguardo si posa subito sui pesanti volumi di
fotografie, sistemati sul primo ripiano della libreria. È stato Hana a
sfogliarli ultimamente, io non ricordo più quando è stata l’ultima
volta che li ho aperti; sono i volumi con le foto di mia madre.
Tra poco un altro anniversario della sua morte
arriverà e se ne andrà e quegli album rimarranno così, nel ripiano.
Scuoto leggermente il capo, in un gesto che parrebbe
esprimere disapprovazione anche se non saprei dire rivolta a chi, quando
Hana mi viene vicino e ferma la mia mano che stava per spegnere la luce.
"Puoi sempre cambiare idea, sai, Kaede?" è
il suo ennesimo consiglio, più discreto stavolta, a riguardare dopo anni
quelle immagini.
"Quel mondo non esiste più da tempo…"
mormoro.
"Sì, però…" la sua voce si spegne quando
mi vede scuotere di nuovo il capo, con più decisione rispetto a prima.
"Ci sono vari modi di vivere il lutto: questo è
il mio" dico, semplicemente; poi, però, mi giro verso di lui, prendo
il suo volto fra le mani e gli sorrido: "Quando sarà arrivato il
momento di viverlo in un altro modo, sarai il primo e l’unico a
saperlo" gli prometto.
La mano di Hanamichi sale a sfiorarmi la guancia con
una carezza:
"Sì…".
Ed io spengo la luce e chiudo la porta…
Odio novembre.
Stavolta, nel pensarlo, non sono nel salotto di casa e
non sto osservando la pioggia dal vetro della finestra: se fosse così
già sarebbe meglio, maledizione!
Mi trovo, invece, nello spogliatoio della palestra, a
scuola, da solo; cioè, Kaede e gli altri compagni dello Shohoku stanno
ancora correndo sul parquet, si stanno allenando e anche io dovrei essere
lì con loro, mentre invece ho trovato una scusa qualsiasi per
allontanarmi un attimo e tutto questo perché… perché… dannazione!!!
Per un maledetto dolorino che ha iniziato a farsi sentire. Alla schiena.
Alla schiena: lo capite cosa significa per me?
Prendo un respiro profondo per cercare di calmarmi e di
capire se sia proprio lo stesso punto di allora, se sia… qualcosa
di simile…
Mi sembra di no, non direi, ma se mi sbagliassi? Se
fosse una… una cazzo di ricaduta, o come accidenti si chiama?!
Eppure non sono caduto, non ho sbattuto contro niente e
nessuno, non… almeno non mi pare… no, ne sono sicuro…
Forse ho fatto qualche movimento brusco? Forse…
insomma, cosa cazzo posso aver fatto?!
Ok, devo restare calmo!!
Io sono uno sportivo, un atleta, giusto? Giusto. Quindi
è normale che un muscolo possa essere indolenzito per lo sforzo o che si
possa avvertire una fitta, no? È senz’altro così…
E poi, il mese scorso, tutti noi giocatori convocati
dalla Nazionale Juniores ci siamo sottoposti alle visite mediche di
routine: il medico se ne sarebbe accorto, se ci fosse stato qualcosa di
sbagliato nella mia schiena, no? Lui sa del mio infortunio… Sìsì, se
ne sarebbe accorto…
Già già… devo rilassarmi…
Ora inspiro profondamen… cazzo!!! L’ho sentita di
nuovo, la dannatissima fitta!!!!!!
Però… però, non è forte come allora… Sì,
però neanche allora iniziò con un dolore insopportabile: lo era
diventato dopo…
Stringo i pugni: inutile voler fingere il contrario, mi
sto agitando da morire e la mia testa riesce a formulare una sola,
stupidissima domanda.
E ora? Ora che faccio?
Lo dico a qualcuno? Al nonnetto Anzai, a Kaede? Mi
obbligherebbero ad andare dal medico, ne sono sicuro… ma io penso che
non ce ne sia bisogno: in fondo ho appena detto che non mi è successo
niente nelle ultime ore, vero? Nessuna caduta, nessun colpo in partita…
insomma, non ho sbattuto contro nessun maledettissimo tavolo stavolta!!!!
Mi sto preoccupando troppo: tra poco finirà l’allenamento, tornerò a
casa e starò tranquillo, al caldo, mi riposerò a dovere fino a domattina
e allora sono sicuro che, quando mi sveglierò, queste fitte così veloci
non ci saranno più. Ecco, farò così! Ci dormirò su.
Questo stasera, ma adesso?
Non posso restare in eterno in questo spogliatoio,
prima o poi dovrò tornare di là, ma non voglio, non…
Toc toc.
Che cavolo, già mi stanno cercando?!
"Che c’è?!" ringhio contro la porta, più
aggressivamente di quanto non avessi intenzione di fare, ma mi sento
davvero i nervi a fior di pelle.
"Hana? È tutto a posto?".
Kaede…
Sorrido senza rendermene conto, quando mi raggiunge la
domanda preoccupata del mio amore. Oh, non che grondi ansia, eh! Lui non
userebbe mai un tono simile, però… quella nota preoccupata e affettuosa
nella sua voce la so riconoscere soltanto io!!!
Apro la porta dello spogliatoio.
"No, tutto a posto – rispondo velocemente, forse
troppo- Perché?".
Kaede è entrato e mi sta guardando dubbioso: "Ti
sei chiuso dentro quasi un quarto d’ora fa" mi spiega
semplicemente.
Io mi passo una mano fra i capelli ed è un errore,
perché lo faccio solo quando sono molto nervoso e questo la mia volpe lo
sa benissimo. Il suo sguardo, infatti, si fa più intenso…
"Sì, beh…avevo sete e mi sentivo accaldato…
mi girava la testa!!" invento lì per lì, di getto. E forse sbaglio,
ma non potevo starmene ancora per molto a pasticciare con le parole sotto
i suoi occhi indagatori.
Osservandolo, mi rendo conto che il mio volpacchiotto
è un po’ meravigliato: e certo… il grande tensai ha ammesso di non
sentirsi più che bene…
"Hai di nuovo la febbre?" mi chiede subito,
evidentemente ripensando allo scorso ottobre, quando siamo stati male
tutti e due.
"No no – mi affretto a negare io- E’ stato
solo… oh, lo sai, no?! Cioè, volevo bere, ero disidratato!" ecco,
questo suona più convincente. Almeno mi pare…
Dal suo silenzio capisco che Kaede non mi ha creduto,
non del tutto per lo meno, ma non mi fa altre domande; aspetterà che sia
io a volergli dire qualcosa di più, lo so: lui è fatto così…
Poi dà un’occhiata all’orologio della parete e mi
dice: "Si è fatta l’ora di tornare a casa. Vado a salutare il
coach Anzai".
"Ah! Sì, ok… allora vado a farmi la doccia…"
gli rispondo, mentre mi dirigo verso il borsone per recuperare lo shampoo
e il bagnoschiuma. Cerco di muovermi nel modo più disinvolto possibile,
anche se avverto ancora quel dolore. Un po’ attenuato rispetto a prima,
forse…
Kaede annuisce con un movimento rapido della sua
bellissima testolina mora ed esce dallo spogliatoio; io per qualche
istante rimango fermo, di fronte alla panca, gli occhi infastiditi dalla
luce fredda della lampada e da quella cupa che viene dalla finestra: il
cielo è nuvolo e la dannata pioggia ha ricominciato a cadere!
Perché deve sempre succedere qualcosa di brutto a
novembre?!
Mi spoglio della divisa dello Shohoku con movimenti
spazientiti: cosa diavolo sto pensando? È indegno di me, non è ancora
successo assolutamente niente di brutto!!! NIENTE!!!
Domani starò bene…
Il giorno dopo non sono stato bene e neanche quello
dopo ancora e neanche oggi, se è per questo.
Il dolore è sempre lì, quando mi muovo, e la cosa che
mi fa uscire di testa è che non è insopportabile!! No, non sto
impazzendo… ma se lo fosse, sarei costretto a prendere una decisione:
che so, dirlo al nonnetto, andare dal medico… cose così… invece in
questi due giorni sono riuscito a dissimulare o almeno credo: sono sempre
andato agli allenamenti, mi sono sforzato e ho corso… ho preso pochi
rimbalzi, questo sì, ma mi faceva davvero male ricadere a terra! Penso di
essere riuscito a muovermi con più cautela, ecco… A casa, sono stato
attento: mi secca oltre ogni dire, ma non ho neanche fatto l’amore con
Kaede! E normalmente tre giorni senza farlo sono tanti per me!!! Kaede lo
sa, ma non ha detto niente a riguardo… non ha parlato molto in questi
giorni, ogni tanto mi sembra che mi osservi di sfuggita, ma non faccio in
tempo a guardarlo che lui si è già voltato e, quando chiacchieriamo,
parliamo d’altro, con una noncuranza voluta, almeno da parte mia.
Uhm… ripensandoci, non credo abbia molto senso quello
che ho detto finora.
Volete la verità?
È che ho paura da morire!!
Il dolore non è fortissimo, questo no, ma non se ne è
andato, nonostante le cautele, nonostante sia stato riguardato… ho anche
convinto Kaede a non andare al campetto per gli allenamenti extra
scolastici, dicendogli che tanto avremmo trovato solo un sacco di fango
fastidiosissimo con tutta la maledetta pioggia che sta cadendo in questi
giorni, e tutto per non farlo insospettire se mi fossi rifiutato di andare
con lui…
Ok, non sono stato esattamente e completamente a
riposo, però… però perché diavolo non passa?! Il dolore non passa e
la mia paura aumenta e non so che fare…
Cioè, in realtà lo so.
Dovrei andare dal medico; se mi confidassi con Kaede,
con mia madre, pure con Yohei, lo so benissimo che tutti loro mi darebbero
l’unico consiglio valido e ragionevolissimo, ossia di farmi visitare. È
che io non posso… e loro non sanno cosa significhi avere la schiena
fuori uso!!! E se fosse davvero una ricaduta? Se da allora, comunque,
qualcosa si fosse compromesso per sempre?! Che cosa significa, che ogni
tanto dovrò fare i conti con fitte simili? Anche dopo tanto tempo, anche
ora che… ora che l’America è così vicina??!!! Significa che la mia
schiena non tornerà MAI PIU’ COME PRIMA?!
Maledizione!!
Non posso andare dal medico, NON POSSO stare lì a
sentirmi dire che sì, la schiena è compromessa, mi spiace, però vedrai
che la fisioterapia darà i suoi risultati!
E lo so che è un pensiero sbagliato! C’è una vocina
nella mia testa che ogni tanto prova a ricordarmi che non posso essere
sicuro di niente finché non mi sarò fatto visitare, che sto facendo
tutto da solo, che magari è una scemenza e mille altre cose logicissime e
saggissime e bla bla bla…
Ok, può essere, ma può darsi di no. Non posso esserne
sicuro, ma può darsi di no.
E io non ce la faccio: non posso andare dal medico e
veder crollare in pezzi tutto quello che ho costruito finora!!! Se mi
dicesse che ho bisogno di uno stop… l’altra volta la riabilitazione è
durata mesi… e Kaede che direbbe, che farebbe?
Noi dobbiamo partire… e se non… SE NON POTESSI
PARTIRE?! Se…
Dannazione, dannazione, dannazione!!!! La mia mente
diventa buia al solo pensiero!!!
Sferro con violenza un pugno contro l’armadietto,
nello spogliatoio, e subito il dolore si fa più forte per il movimento
brusco.
Dannazione…
Che scena patetica per il tensai Sakuragi, vero? Eccomi
qui ad angosciarmi da solo… Sto anche dicendo un sacco di bugie a Kaede
e questa cosa non mi piace, non mi piace per niente!! Anche oggi, sono
arrivato in ritardo dopo aver perso apposta un po’ di tempo parlando con
Yohei e gli altri; mi sto addirittura attaccando ad un quarto d’ora in
meno di allenamento.
Di nuovo quella vocina sensata mi suggerisce di
saltarli del tutto gli allenamenti, per oggi, e di andare a farmi
visitare, ma non la ascolterò: ce la faccio, ce la farò! Questo è
niente rispetto a come sono stato altre volte!!! Che volete che siano un
po’ di fitte per me? Basta stringere i denti e non pensarci, ecco!!!
Faccio così, cerco di non pensarci neanche quando
inspiro profondamente prima di entrare in palestra, facendo intensificare
il dolore anche con un’azione scema come il respirare!!!!
Spalanco bruscamente la porta della palestra e grido:
"Allora, com’è che battete la fiacca? –veramente stanno tutti
correndo, ma insomma…- Ah, siete incapaci di cominciare decentemente
senza di me, vero?" rido, ma il mio autocompiacimento suona forzato
alle mie stesse orecchie.
"Che diavolo stai dicendo, imbecille? –borbotta
Saito, con una faccia da schiaffi più unica che rara, ignorando lo
sguardo di disapprovazione di Miura- Stai pure arrivando sempre in ritardo
in questi giorni: se c’è qualcuno che batte la fiacca, quello sei
tu!".
Ora lo polverizzo!!!
"CHECCOSA??!!! – il mio grido paralizza anche
tutti gli altri giocatori- COME OSI, STUPIDA MATRICOLA? IMPARA A
RISPETTARE I SENPAI!!! ADESSO TI TOCCHERA’ ESERCITARTI TUTTO IL
POMERIGGIO SUI RIMBALZI, FILA SOTTO CANESTRO!!!!".
È consolante notare come il mio genio non mi abbandoni
mai: per controllare i suoi rimbalzi, non dovrò farli io!!!
Mi porto in mezzo al parquet e solo ora mi accorgo
degli occhi di Kaede, fissi su di me e assolutamente insondabili: lo
guardo e non riesco a capire cosa stia pensando, se gli abbia dato
fastidio la mia sparata o se ci sia altro…
Per fortuna che non c’è il coach Anzai!!! Ma c’è
una strana atmosfera, in compenso… Haruko non dice niente, grazie al
cielo, ma mi osserva dubbiosa; Ishi, Kuwata e Sasaoka mi sembrano a
disagio, ma in fondo loro lo sono sempre quando do in escandescenze…
Alla fine è il mio Kaede a spezzare la tensione.
"Ricominciamo ad allenarci, adesso: abbiamo perso
fin troppo tempo. Saito, fai come ti dice Sakuragi" dice la kitsune,
brevemente.
"Ehm… sì, dunque… - mi schiarisco la voce,
raggiungendo il canestro- …pensiamo ai rimbalzi…".
Per tutto il pomeriggio sono riuscito ad evitare di
muovermi troppo: le correzioni che ho fatto a Saito sono state solo
vocali, gli ho detto che non avevo proprio intenzione di sprecare energie
per un cretino come lui!!! Ma questo lo ha toccato nell’orgoglio: il
risultato è stato che si è impegnato e io non ho dovuto alzare un dito
per un bel po’ di tempo…
Allenamenti tranquilli, tutto sommato.
Solo che io ci sto male: non mi piace dover stare così
attento, così fermo, dovermi controllare e non potermi comportare
spontaneamente… ci sto male, non lo sopporto!!!
E poi non potrò andare avanti così ancora per molto,
arrivando in ritardo, arrampicandomi sugli specchi per fare il meno
possibile… che devo fare? Cosa cavolo devo fare?
Andare dal medico, mi ripete la vocina, insistente.
Ma sono diventato bravo a metterla a tacere…
Pure il tragitto verso casa è stato silenzioso: andare
in bici non è il massimo della vita, in queste condizioni, ma il percorso
è relativamente breve e me la prendo comoda, pedalando lentamente. Ogni
tanto sbircio Kaede per capire se sia arrabbiato, se sospetti qualcosa…
in un altro momento, lo avrei già tempestato di domande, sul perché e
sul percome stia così zitto, ma ora non me la sento: qualcosa mi dice che
ne verrebbe fuori una discussione moooolto spiacevole… ho la coda di
paglia, lo so!!!
Arriviamo a casa, ci cambiamo, facciamo quel po’ di
compiti che ci sono stati assegnati per domani, ceniamo e lui sempre
zitto, tranne pochi monosillabi. Un po’ come quando ci siamo conosciuti,
insomma. E io comincio a sentirmi sulle spine. Spine acuminate, tra l’altro!!!
Anche perché la kitsune continua a fissarmi, ogni tanto… mi guarda
intensamente, ma non riesco a decifrare il suo sguardo… cioè, è
incavolato, questo lo vedo, ma non solo… c’è anche preoccupazione e
qualcos’altro che non saprei descrivere…come il ricordo di qualcosa
lontano nel tempo…
Ok, non lo sopporto più questo esame minuzioso!!!
Mi alzo di scatto e mi volto altrettanto velocemente
per nascondere una smorfia: mi sono mosso troppo bruscamente!!!
"Ehm… c’è un film interessante stasera,
kitsune! –non mi ricordo nulla dei programmi della serata, in realtà!-
Sistemiamo dopo la cucina, eh?" gli annuncio, con voce il più
possibile noncurante, mentre cammino verso il salotto.
Alle mie spalle, sento il rumore della sua sedia che si
sposta.
Sto per sedermi sul divano, quando finalmente Kaede si
decide a parlare, e sono le ultime parole che avrei voluto sentirmi dire.
"Sono tre anni che ti chiamo ‘do’aho’: la
maggior parte delle volte l’ho detto senza crederci davvero, ma ora mi
tocca accorgermi che in realtà lo sei sul serio".
Freddo, secco. Sì, è proprio arrabbiato.
Mi volto a guardarlo ed il suo sguardo cupo non mi
piace per niente; il suo viso è pallido, accigliato.
"Che ti prende, kitsune?" replico
nervosamente, accigliandomi.
"Mi prende che sei un cretino incosciente! –scatta
lui, alterato come non lo vedevo da moltissimo tempo- Allora, dov’è che
ti fa male?" mi chiede a bruciapelo.
Anche se non posso vedere la mia faccia, so di essere
sbiancato.
"Eh? Che cosa…" non è un granché come
risposta, ma non riesco a dire niente di meglio. Il panico, forse… la
consapevolezza che allora avevo visto giusto, che Kaede aveva intuito…
Per un attimo mi sento attraversare da un moto di
contentezza, perché mi sto accorgendo una volta di più che la mia volpe
mi conosce proprio bene, e lo so che è stupido e che adesso non dovrei
avere proprio nessun motivo per essere contento, ma non posso farci
niente, lo sono e basta…
Comunque, questa sensazione dura soltanto un attimo,
appunto: mi basta guardare di nuovo l’espressione arrabbiata di Kaede
perché svanisca.
"Ti sei fatto male, vero? Credevi che fossi
talmente addormentato o stupido da non accorgermene?- il suo tono è
gelido e basso, eppure dimostra appieno quanto sia adirato con me, più
che se stesse urlando; però, per qualche istante, si ammorbidisce- Io ti
guardo sempre, Hana… non te ne sei mai accorto? È da due giorni che ti
muovi in modo… diverso… Sei rigido, anche quando stai fermo. Neanche
allora ti rilassi. E cerchi di muoverti il meno possibile durante gli
allenamenti. Quindi non provare nemmeno a negarlo, perché potrei
prenderla male!!!".
"Ah, perché invece adesso la stai prendendo bene,
vero?- ribatto io, scattando come se mi avesse dato un pugno- Beh, se non
te ne fossi accorto, neanche io sono del mio umore migliore e…".
Kaede alza la mano e mi fa cenno di tacere ed io,
incredibilmente, invece di incavolarmi ancora di più, mi interrompo.
Talvolta, questa stupida volpe, questa adorabile volpe, ha il potere di
calmarmi perfino mentre stiamo litigando.
"Ci credo, Hana, e posso immaginare il perché.
Non sei andato dal medico, vero? E nemmeno all’infermeria dello Shohoku,
no?" continua Kaede; ho già capito, non mi lascerà tranquillo
finché non avrò risposto a tutte le sue domande, finché… al
diavolo!!!! Sapevo che non avrei potuto rimandare in eterno questa
discussione!!! Lo sapevo!! Ma averlo saputo non aiuta…
"No… cioè, non ancora… pensavo di aspettare
qualche giorno per capire…" borbotto una risposta che possa
sembrare ragionevole e, con rabbia, mi rendo conto di aver abbassato gli
occhi, istintivamente. Tipico di quando mi sento a disagio!!! Mi odio
quando faccio così!!!
"Per capire cosa? Se potesse peggiorare o
meno?" commenta lui, con amaro sarcasmo.
Ecco, questo mi manda in bestia!
"Oi kitsune, facciamo a capirci! Mi stai urtando
con questo modo di fare stasera! Non ho chiesto i tuoi commentini né il
tuo parere, ok?" alzo la voce, stringendo i pugni; se dirà un’altra
parola fuori posto, mi scatterà un pugno, già lo so… sono tre giorni
che ho i nervi a fior di pelle e non credo di sapermi controllare oltre…
Quello che sto cominciando a capire solo adesso, però,
è che forse anche lui ha avuto i nervi a fior di pelle, per colpa mia.
Kaede fa un passo verso di me, gli occhi blu socchiusi e minacciosi.
"Ah, no, infatti… non hai chiesto niente da
nessuno. Il tensai risolve sempre tutto da solo, giusto? –un attimo di
silenzio, poi riprende, facendomi sussultare con il suo tono amareggiato-
Imbecille!!! Non si scherza con la salute! Perché non sei andato subito
dal medico?".
Io sbuffo, fissandolo male: "Sei l’ultima
persona che mi possa parlare di medici, kitsune! Tu e la tua fissa per l’omeopatia…"
gli rinfaccio, con una punta di cattiveria nella mia voce.
"Non c’entra niente… - il suo respiro è più
veloce: sta cercando di non esplodere; ora l’ho fatto davvero
arrabbiare- … questa non è una semplice febbre! Quando un atleta si fa
male ci sono di mezzo i muscoli, le ossa… E ora dimmi, dove accidenti ti
fa male?".
"Domani andrò dal…" cerco di eludere la
domanda, ma lui non me ne dà modo.
"DOVE DIAVOLO TI FA MALE, HANA?!" scatta.
"ALLA SCHIENA, OK?! SEI CONTENTO ORA CHE TE L’HO
DETTO?!!" alla fine sono sbottato, gridando più forte di lui.
Per qualche istante, ci osserviamo in silenzio,
entrambi con il fiato corto; poi scorgo un lampo nei suoi meravigliosi
occhi, segno che ha compreso appieno quel che gli ho detto e anche quel
che non gli ho detto. Non era necessario che aggiungessi altro, la parola
‘schiena’ basta a se stessa come spiegazione…
"Alla schiena? È lo stesso punto di allora?"
mi chiede subito. Non si è scomposto, eppure ho potuto cogliere un
tremito nella sua voce.
"Non lo so: a volte mi sembra di sì, altre mi
vengono dei dubbi. Senti, kitsune, domani penserò…".
"Domani andremo dal medico- taglia corto lui,
avvicinandomisi- Perché non ci sei andato da subito, da quando ti ha
fatto male la prima volta?".
Che cosa dovrei dirgli? Che avevo paura? Che HO paura
di quello che potrei sentirmi dire? Preferirei tagliarmi la lingua
piuttosto che ammetterlo davanti a lui!
"Poteva non essere niente, avrebbe potuto passare
con un po’ di riposo. Comunque, decido io quando andare a farmi
visitare" alzo le spalle, mentre cerco di giustificarmi.
"Idiota…".
Proprio l’ultima cosa che avrebbe dovuto dirmi…
"KAEDE, VEDI DI PIANTARLA CHE MI STO STANCANDO DEI
TUOI INSULTI!" non ce la faccio più a sentirli, non adesso, non
stasera!!! Ma lui, ovviamente, non fa marcia indietro e in fondo non me ne
meraviglio: se la facesse, non sarebbe la mia volpe.
"Mille volte idiota!!! – e insiste, dannazione!-
Te lo dico anche per tutta la sera, se voglio! Non si scherza con la
salute, mi hai capito, Hana? Non ci si scherza!- ormai ha perso la calma
anche lui- Se mia madre non avesse aspettato a fare le analisi, se si
fosse curata prima, forse sarebbe ancora viva!!! Volevi sapere qualcosa di
più, no?, e ora lo sai! Avrebbe potuto farcela, se si fosse fatta
visitare prima!!!" la sua voce si spegne lentamente, ma la mia si
alza d’improvviso e non riesco a controllarla, perché quello che ha
detto mi ha spaventato:
"CHE CAVOLO C’ENTRA? CHE RAZZA DI PARAGONE E’?!
Non è una questione di vita o di morte, ok? Non è niente, ne sono
sicuro, non voglio perdere tempo in ospedale…".
Mi fermo per riprendere fiato dopo aver urlato e solo
adesso mi rendo conto delle sue parole, del loro significato. Sua madre…
ha aspettato troppo prima di decidere di farsi visitare? Ha iniziato in
ritardo le cure… lei si è… trascurata…
Per questo avevi quello sguardo, Kaede?
"Passano gli anni e io continuo ad essere
circondato da gente che non vuole farsi visitare!!! Perché ti stai
comportando in questo modo scemo, do’aho?" gli occhi di Kaede non
sono più solo arrabbiati, sono anche tristi, delusi… e mi rendo conto
che è spaventato anche lui…
"Smettila di darmi del do’aho, non lo
sopporto!!!" gli ripeto, con un ringhio.
"PERCHE’ TI STAI COMPORTANDO COSI’???!!!".
"PERCHE’ HO PAURA, VA BENE!!! –ecco, sono
sbottato! E ora, lo so già, non riuscirò a fermarmi e dirò tutto quello
che ho pensato in questi giorni!- Era questo che volevi sentirmi
ammettere? Ho paura e non riesco a farmela passare, a vincerla! Ci ho
provato, ma poi i pensieri vanno sempre in quella direzione e…".
"Se me ne avessi parlato prima…" prova lui,
ma questo mi fa scattare ancora di più.
"AH, MA ALLORA NON CAPISCI!!! Non POTEVO parlarne
prima, va bene? Scusa, Kaede, ma tu che ne sai? Che ne sai di come mi sono
sentito io, quando ho avvertito quella fitta? Che ne sai di come mi
sentivo tre anni fa, quando mi sono infortunato?! Quando ero in ospedale,
i primi tempi, non potevo neanche chinarmi per raccogliere una penna, se
mi cadeva, te lo immagini? Lo sapevi questo? Una piccola, idiotissima
penna mi faceva sentire da schifo!!! Sai quanto mi è costato mettere da
parte la paura di rifarmi male, quando sono tornato in squadra? Ma poi era
andato tutto bene, non avevo avuto più problemi… avevo dimenticato…
mi ero scordato di come ci si senta, quando la schiena non è a posto…".
"Solo i dottori ti aiuteranno a farla tornare a
posto" insiste Kaede; a voce bassa stavolta, e triste, infinitamente
triste…
"NON CI VADO DAL MALEDETTO MEDICO!!! –insisto
io; non vorrei parlare, ma non posso frenarmi, non ora. Anche perché, in
realtà… ho bisogno di parlarne con lui, tutte queste cose me le sono
tenute dentro in questi giorni, ma ormai non posso più farlo- Non… non
starò lì a sentirmi dire che ci sono di nuovo dei problemi, che devo
rifare la fisioterapia…".
"Ma non lo sai che cosa ti diranno, magari è una
scemenza…" prova la mia volpe. Ma la paura è la paura, lo sai,
Kaede? Forse no, tu non sei tipo da avere paura…
"Non starò lì a sentirmi dire che forse avevano
sottovalutato l’infortunio…".
"Questo non può essere e lo sai: sono passati tre
anni".
Io continuo, come se il mio amore non avesse parlato:
"Non starò a sentire un medico distruggere in pochi secondi, con
poche parole, tutto quello che ho messo insieme in questi due anni!!! E se
mi dicesse che sarà sempre così? Che tutto sommato hanno fatto male a
dirmi che potevo riprendere a giocare a basket??!! Se mi dicessero che non
posso più giocare? E l’America? E i nostri sogni? Sono così vicini,
Kaede, così vicini…Non posso lasciarmeli sfuggire proprio ora, lo
capisci??!!".
"Hana, se fosse così grave non staresti così,
staresti peggio, te ne rendi conto? Ti stai preoccupando troppo" mi
fa notare lui, e sì, lo so che ha ragione, però… però…
"E tu ti rendi conto di come mi senta? Non ho
fatto altro che pensarci, in questi giorni, in ogni momento… Se non
potessi partire… se perdessi il basket… allora perderei anche te,
Kaede!! Mi dici come faccio a sopportarlo??!!" eccolo il punto
fondamentale, alla fine glielo ho detto.
Gli occhi di Kaede si spalancano in una sorpresa
dolorosa; lo vedo trattenere il fiato per qualche istante, poi incupirsi
più di quanto già non sia:
"Perché perderesti anche me? Come fai a dire una
cosa simile?" chiede, con voce soffocata.
"Perché senza basket… cosa potrei fare?"
ammetto, con uno sforzo terribile, il respiro ormai pesante.
"Che cosa c’entra con ‘noi’ ?" domanda
lui, è impallidito da far paura.
"Perché io non potrei venire in America… non ce
ne sarebbe più motivo, non sarebbe più come lo avevamo sognato, quindi
cosa verrei a fare? Ma quello è il tuo sogno e tu lo seguiresti, ed è
giusto così! Mica sto dicendo il contrario… lo so che è la cosa più
importante per te… Ma per me non ci sarebbe più posto, né spazio e
così ti perderei… e allora…" mi sta venendo da piangere, ecco…
massì, completiamo l’opera!! Ci mancavano solo queste stupidissime
lacrime!!! Ma non posso farci niente e loro cominciano a scendere,
rigandomi il volto…
Il viso di Kaede mi appare un po’ appannato, ma anche
in questo modo riesco a vedere il lampo di dolore che lo attraversa:
"Hana, perché devi sempre pensare il peggio di
me?" mormora, con un filo di voce.
Io mi passo una mano sulla faccia, cercando di
asciugare le lacrime: "Che diavolo stai dicendo? Io non penso affatto
il peggio di te. Per me sei meraviglioso, e lo sai: te l’ho detto tante
volte".
Lui fa un altro passo verso di me: "Allora perché
credi che potrei comportarmi così? Ops, il do’aho si è fatto male: non
importa, io devo partire, troverò dozzine di basketmen in America!! È
questo che direi, secondo te?!".
Inspiro profondamente, cercando di trovare un filo
logico nei miei pensieri, ma non ne sono capace e tutto ciò che riesco a
dire è: "Detesterei esserti d’intralcio!" affermo con
decisone. Ed è la verità.
"Decido io che cosa mi sia d’intralcio- replica
lui, con altrettanta decisione- E detesto che si facciano mille
costruzioni mentali senza aver sentito prima un parere medico!!!".
"Non ci vado dal maledetto medico!! Non ci vado a
sentirmi dire che…" sto per ripetergli il discorso di poco fa, ma
lui mi interrompe, furibondo.
"NON LO SAI COSA TI DIRANNO, MALEDIZIONE!!!!"
scatta, gli occhi animati da un fuoco blu di rabbia.
"Sì che lo so! È sempre così… Perché succede
sempre qualcosa a quello che ho di più caro ed importante?… sempre…-
non puoi rispondere a questa domanda, vero, Kaede?- … sempre…"
sento di nuovo il calore delle lacrime sulle guance.
"Hana, non…".
"NON DIRMI CHE NON E’ VERO!!! Perché devo
sempre perdere quello a cui tengo di più??!! Tu riesci a spiegarmelo?!
Dannazione, perché?!" e a questo punto non ho più voglia di
parlare, sono esausto; mi siedo pesantemente sul divano (sarebbe più
esatto dire che mi ci lascio cadere sopra) e porto le mani alla faccia.
Detesto che Kaede mi veda piangere, non lo sopporto…non…
Oh! Al diavolo tutto…
Mi si stringe il cuore mentre me ne sto a guardare Hana
che si siede sul divano, coprendosi il volto e piangendo silenziosamente.
Nella testa, continuo a sentire una frase dettami da mio padre tanti anni
fa, una delle poche cose giuste mai sentite da lui…
"C’è solo una cosa peggiore del proprio dolore,
Kaede, ed è guardare quello della persona che ami e non poter far
niente".
Aveva ragione, lo sento ora sulla mia pelle: sto male a
vederti così, Hana, a non saper trovare le parole adatte per calmarti…
per farti ragionare…
Ho sempre cercato di non piangere mai, soprattutto
davanti agli altri, perché il mio orgoglio non lo avrebbe sopportato, e
anche le lacrime altrui mi mettono a disagio; penso di poterlo ammettere:
non so come affrontare il dolore delle persone… so affrontare soltanto
il mio. Eppure, tutto questo adesso è in secondo piano: perché davanti a
me non c’è una ‘persona’ qualsiasi, ci sei tu, Hana… Ripenso a
tutte le volte che il mio adorato do’aho mi è stato vicino, al calore
con cui mi ha ripetuto ogni volta che ce n’è stato bisogno che lui per
me ci sarebbe sempre stato… che quando avessi voluto parlare lo avrei
avuto accanto, ora come fra dieci anni. È vero, spesso Hanamichi ha
insistito un po’ troppo perché mi confidassi, ma lui è fatto così:
gli piace parlare e, soprattutto, è convinto che parlare faccia bene o
che, se non altro, faccia stare meglio. Ma, di fronte al mio muto rifiuto,
ha saputo ascoltare anche il mio silenzio.
Magari ha sbuffato o ha scosso il capo con palese
disapprovazione, ma ha capito e si è comportato nel modo migliore per me;
ora è giusto che sia io a comportarmi nel modo migliore per lui: che
sappia trovare le parole, un gesto per consolarlo… forse non ci
riuscirò subito, forse non sarò bravo, ma non importa: adesso l’unica
cosa di cui mi importa è che Hana avverta la mia vicinanza.
Mi siedo al suo fianco sul divano, sfioro la sua spalla
per richiamare la sua attenzione e, infatti, ci riesco.
Lui volta verso di me il volto congestionato, gli occhi
rossi e gonfi su cui si passa rapidamente una mano per asciugare le ultime
tracce di lacrime.
"E’ tutto a posto, Kaede, ok?" mi dice con
quello che vorrebbe essere il suo solito borbottio, ma il suono che sento
è incrinato, non ha niente dell’energia con cui di solito mi parla…
Scuoto il capo: "Non fingere con me, Hana"
gli sussurro, guardandolo fisso.
Hanamichi si morde le labbra alle mie parole, prende un
respiro profondo, poi: "Mi sento uno schifo…" ammette, a
fatica. Io continuo ad osservarlo e mi rendo conto che non lo avevo mai
visto con uno sguardo così spaventato, così addolorato.
Quando è morto suo padre, non ci conoscevamo.
Quando si era infortunato, due anni e mezzo fa, eravamo
ancora lontani.
Ma ora ci sono, sono qui, e sarà diverso.
"Lo so" gli sussurro, e poi gli tendo le
braccia, lo attiro a me e me lo stringo contro con tutta la forza che ho.
Hanamichi mi abbraccia a sua volta, mi cinge stretto…quasi si aggrappa
alle mie spalle… mi accorgo che si sta sforzando di controllarsi per non
rimettersi a piangere… la sua guancia umida preme contro la pelle del
mio collo…
"Sfogati pure, Hana…" mormoro, con il mio
viso che sfiora il suo.
"Non mi sarei mai aspettato un simile consiglio da
te… volpetta artica…" replica il mio do’aho, ma poi nasconde
maggiormente il capo nell’incavo della mia spalla.
Non voglio mica che tu ti adatti ad i miei limiti,
amore mio…
Avverto le sue lacrime su di me, ma non sta
singhiozzando… forse i singhiozzi non possono riuscire ad esprimere un
dolore che nasca da così lontano… o forse sentirmi vicino lo ha
rassicurato, perché in realtà si calma dopo pochissimo tempo: lo capisco
dal suo respiro che torna pian piano regolare…
Rimaniamo a lungo così: abbracciati, stretti, il volto
dell’uno appoggiato alla spalla dell’altro, lasciandoci pervadere
dalla intensissima consapevolezza della reciproca vicinanza che ci
avvolge. Non so perché, ma d’improvviso mi viene in mente che i
cuccioli fanno così, che hanno bisogno di stare vicini, di riconoscere il
loro familiare odore per stare bene, per tranquillizzarsi. È questo che
stiamo facendo? È per questo, amore mio, che ti sento inspirare
profondamente? Hai bisogno del profumo della mia pelle, che conosci così
bene? È per questo che, anche io, istintivamente passo una mano fra i
tuoi capelli e respiro l’aria che ha il tuo odore? Non so se riuscirò a
spiegarlo bene, ma è la prima volta in cui avverto nitidamente e
completamente che la vicinanza del corpo può essere davvero non il fine,
ma il mezzo, per manifestare quella dello spirito…
Le braccia di Hana continuano a stringermi forte, così
come io sto stringendo forte lui, ma ora la nostra stretta non è più
convulsa.
"Ti amo, Hanamichi" gli sussurro all’orecchio,
e la sua presa si fa di colpo più salda.
"Io mi fido di te, Kaede. Non… non intendevo
mica dire che saresti capace di…" inizia lui, con una voce un po’
arrochita dal pianto, ma lo interrompo.
"Lo so- una pausa, poi proseguo- Domani mattina
andremo dal medico: ti accompagnerò io e la mia non è una proposta"
preciso, giusto perché capisca che non glielo sto chiedendo, perché gli
entri in testa che non lo lascerò da solo.
Hanamichi si allontana leggermente da me: i suoi occhi
sono cupi e si sta mordendo il labbro inferiore, ma la sua espressione sta
pian piano ritrovando quell’energia che mi è sempre piaciuta tanto in
lui.
Ha ancora delle riserve (lo so, lo capisco dal suo
atteggiamento), ma stavolta annuisce, anche se gli costa fatica. Per
qualche istante restiamo entrambi in silenzio, poi mi fissa negli occhi e
mi dice: "Kaede, io non sono una persona debole".
Ha parlato lentamente, come se avesse voluto scandire
le parole il più possibile per farmele capire meglio.
"Lo so" gli assicuro, in un soffio.
"Ok, non mi sono comportato bene in questa
circostanza e ho preferito… come si dice?… mettere la testa sotto la
sabbia o qualcosa del genere. Mi sono scoraggiato, lo ammetto, ma non
vorrei che questo ti facesse dimenticare che non sono un debole. Non lo
sono mai stato" e stavolta riesce a parlare nel suo tono migliore,
quello di quando è serio e convinto.
Io accenno un sorriso, poi gli rispondo con decisione:
"Lo so. Non sono tipo da dire qualcosa solo perché un altro vuole
sentirla, quindi se ti dico così è perché lo so davvero. E non sono
neanche tipo da capire le persone deboli: non ci riesco, ecco tutto. Non
so essere indulgente o comprensivo, come non lo sarei con me stesso per
primo. Tu sei forte, Hana, l’ho sempre pensato: non avrei mai potuto
amare un debole, né stare con lui".
Lui non mi risponde subito, per qualche istante
riflette su quello che gli ho detto e poi mi assicura: "Domattina
andremo dal medico: che potrà mai dirmi, in fondo? Ho passato di peggio e
ne sono venuto fuori! E anche nel caso peggiore…- la sua voce si incrina
leggermente-… se dovesse dirmi che ci sono dei problemi…".
"Li affronteremo in due –gli ribadisco, perché
sento che ne ha bisogno- Ma non pensarci adesso, concentrati sulla visita
e basta: una cosa per volta… Anche perché non credo che il tuo cervello
da do’aho ne regga di più" aggiungo, con un tono volutamente più
leggero, per riportare un po’ di quotidianità nella nostra
conversazione e farlo rilassare. Ci riesco: le nostre schermaglie hanno
sempre questo effetto su di noi…
Hanamichi finalmente mi sorride, di nuovo mi stringe
forte a sé: "Volpaccia antipatica…-borbotta con una sfumatura
dolce, mentre mi accarezza la schiena; poi prosegue- Domani saprò essere
forte come sempre, Kaede, qualsiasi cosa mi diranno, te lo prometto. Ma se
non bastasse…" la sua voce si abbassa fino a spegnersi.
"Se non dovesse bastare la tua forza, ci sarà la
mia" gli mormoro in un soffio.
Avverto un suo bacio, veloce e morbido, appena sotto l’orecchio;
mi sembra che il battito del suo cuore si stia normalizzando.
Dopo essersi scostato, Hana mi osserva per qualche
istante, poi mi sorride: "Grazie per non aver detto che tutto andrà
bene, kitsune: non mi piacciono gli incoraggiamenti a vuoto, che danno
false speranze".
La mia mano cerca la sua, le nostre dita si
intrecciano.
"Da quanto ho visto non dovrebbe essere grave, do’aho,
ma non sono un medico e non potrei mai dirti con certezza che andrà tutto
bene. Posso solo dirti che io sarò con te" voglio che gli sia ben
chiaro, che rimanga impresso nella sua mente.
"Ok, direi che è abbastanza" annuisce
Hanamichi; è molto più calmo adesso.
"Andiamo di sopra, ora: domattina dovremo alzarci
presto" gli mormoro, poi alzo una mano a scostargli un ciuffo rosso
dagli occhi, mentre lui si protende a baciarmi sulla fronte, sulla punta
del naso, sulle labbra.
"Sì, andiamo".
Ci siamo cambiati e preparati per la notte, abbiamo
steso il nostro futon e ora siamo stesi anche noi; Hanamichi si è
sdraiato supino, io sono chino su di lui, il mio corpo di fianco al suo
per non stargli addosso e rischiare così di fargli male alla schiena.
Ci stiamo baciando: le sue mani mi accarezzano le
spalle, poi i fianchi, salgono di nuovo fino a giocare con le ciocche di
capelli che mi sfiorano la nuca… le nostre lingue si cercano e si
intrecciano in un bacio lungo e sensuale, seguito da altri più lievi,
dati a fior di labbra…
Quando ci separiamo, gli rivelo un particolare che
prima avevo tralasciato: "C’è stata anche un’altra cosa che ti
ha tradito, sai, Hana? Per tre giorni non abbiamo fatto l’amore e tu non
hai protestato neanche un po’ e non ti sei fatto avanti: l’ho trovato
strano e mi ha dato la certezza che qualcosa non andasse".
Il volto di Hanamichi si incupisce un poco, diventa
leggermene triste: "Mi dispiace un sacco anche per questo, kitsune…
scusa…".
"Scusa di che? Non devi scusarti, do’aho, hai
fatto bene a non fare niente!" e lo penso davvero.
"Temevo che la mia schiena… beh, che ne avrebbe
risentito troppo…" mi spiega ancora, con una punta di imbarazzo.
"Lo so… hai fatto bene…" gli ripeto,
dandogli un rapido bacio.
"Non è stato facile, non lo è neanche adesso…
vorrei tanto fare l’amore con te, Kaede, ma…" il mio do’aho
sembra deluso di se stesso, ma non ne ha motivo e voglio dimostrarglielo.
Gli chiudo la bocca con un altro bacio, poi mi
accoccolo contro di lui, il capo nell’incavo della sua spalla, il
braccio a cingergli il torace per stringerlo a me, e gli mormoro:
"Non dispiacerti, Hana, non ce ne è motivo. Anche questo è fare l’amore…".
Hanamichi non mi risponde subito, ma sento il suo corpo
percorso da un brivido mentre mi stringe forte, e la sua mano è
leggermente tremante mentre passa fra i miei capelli, facendoli scorrere
fra le dita; alzo un poco il viso per guardare il suo: mi sembra che i
suoi occhi siano insolitamente lucidi.
"Oi do’aho…" lo chiamo.
"Ti adoro, Kaede, lo sai, vero? Più di quanto si
possa esprimere a parole" mi dice lui, a bassa voce, cercando di
dominare l’emozione.
"Le parole non sono indispensabili" gli
ricordo, mentre torno ad appoggiare il capo sulla sua spalla per attendere
il sonno.
"Ti peso addosso?" gli chiedo; voglio che
stia il più comodo possibile.
"Non mi peserai mai, kitsune" Hanamichi mi
parla con un tono più leggero e rilassato e io capisco il significato
della sua frase…
Rimaniamo a lungo in silenzio e poi, d’un tratto, mi
rendo conto che la stanchezza ha prevalso e lo ha fatto addormentare
incredibilmente prima di me: lo capisco dal suo respiro regolare, dal
battito costante del suo cuore. Quanto a me, il sonno si sta avvicinando
ma la mia mente è ancora lucida; lo è abbastanza da farmi ammettere,
solo con me stesso ma questo va da sé, che pure io ho paura, anche se ho
preferito non farglielo capire, perché non si preoccupasse ancora di
più.
Di natura sono ottimista: sono convinto che se ci si
impegna con tutte le proprie forze si può sempre raggiungere l’obiettivo
che ci si è prefissati, ma allo stesso tempo sono anche realista e so che
certe cose, come lo stare bene o male, non dipendono soltanto da noi e
dalla nostra volontà.
E se fosse qualcosa di grave? Se dovesse di nuovo fare
la fisioterapia, se fosse di nuovo… doloroso? E non mi importa del
basket, non sto pensando alla partenza per l’America o a cose simili!!
Ma non voglio che stia male, non voglio vederlo costretto, trattenuto nei
suoi movimenti, nella sua vita! E c’è anche il basket, sì, ma non per
me… è per lui: si è appassionato davvero, il basket è importante per
lui, ci tiene tantissimo… certo, il rapporto che io e lui abbiamo con
questo sport è diverso, ma non è questo il punto… lo è, invece, che
anche Hanamichi ha scommesso sul basket per la sua vita e ci tiene!
Starebbe malissimo se dovesse fermarsi un’altra volta… e non se lo
merita, non se lo merita affatto!!!!
Mi stringo di più a lui, accarezzo lievemente il suo
corpo e mi ritrovo a pensare a quanto sia perfidamente ironica la sorte:
è sempre stato più forte di me… più alto, più muscoloso… eppure è
proprio questo suo corpo forte che si è infortunato di più… Non è
giusto…
Rimango stupefatto quando mi rendo conto che vorrei
pregare che tutto vada bene… non ho mai pregato in vita mia, non saprei
neanche ‘chi’ pregare, né se poi possa davvero servire a qualcosa…
mi torna in mente la conversazione che io e Hana abbiamo avuto qualche
giorno fa, quando avevamo parlato di mia madre e di suo padre, e ho la
conferma di non avere le idee chiare a riguardo. So cosa voglio chiedere
(voglio solo che Hana stia bene!), ma non so come né da dove cominciare…
Forse non importa… se non c’è nessuno ad
ascoltare, le preghiere sono inutili, ma se davvero c’è Qualcuno allora
senz’altro saprà capire il mio desiderio anche senza chissà quali
formule o invocazioni…
Voglio che Hana stia bene, nient’altro.
È la frase che continuo a ripetere finché non mi
addormento.
Io e Hanamichi rimaniamo immobili per qualche istante
davanti all’entrata dell’ospedale, lo stesso dove aveva seguito la
fisioterapia dopo l’infortunio; non abbiamo parlato molto lungo il
tragitto e neanche prima, a casa, mentre facevamo colazione, e a dire il
vero restiamo in silenzio anche adesso.
Ci scambiamo una rapida occhiata e poi, alla fine,
entriamo…
… La porta della stanza del dottor Kitamura si è
appena richiusa alle nostre spalle e noi due siamo uno di fronte all’altro,
nel bel mezzo del corridoio.
Guardo Hanamichi dritto negli occhi, mentre gli sibilo:
"Imbecille!!".
"Ok" borbotta lui, con un suono a metà fra
uno sbuffo e un sospiro.
"Do’aho!" insisto, con tono ancora più
deciso.
"Ho capito" ora Hana sbuffa teatralmente.
"Una contrattura! Una semplice, dannata
contrattura!! Capita a tutti gli atleti, un paio di volte è capitato
anche a me, lo sai… Ti sei angosciato tre giorni per niente e avresti
potuto risparmiartelo, e hai anche perso tempo prezioso in cui avresti
potuto già stare a riposto totale e sentirti meglio! Te…" ma lui
mi interrompe, bruscamente.
"Non mi dire ‘te lo avevo detto’ o ti
scaravento giù dalla finestra, kitsune! Ok, è vero, me lo avevi detto
che poteva essere una scemenza, ma non potevamo saperlo con certezza e
questo ragionamento continua ad essere valido, come lo è sempre quello di
un genio!!" si difende il mio do’aho, parlando in fretta e
passandosi una mano dietro la nuca, come usa fare quando è nervoso.
Lo è ancora adesso, pure se non ce ne sarebbe più
motivo: il medico lo ha visitato a lungo e accuratamente e alla fine la
diagnosi è stata, appunto, ‘contrattura’.
Gli è stata prescritta una pomata da applicare due
volte al giorno e riposo assoluto per almeno una settimana, cosa che
peserà tantissimo ad una persona piena di energia e vivace come lui, ma
baderò io a che rispetti la ‘cura’…
Se penso che abbiamo passato più tempo del dovuto ad
angosciarci mi viene un tale nervoso!!
Io ed Hana ci fissiamo imbronciati per lunghi momenti,
ma poi non mi importa più di fare il sostenuto, né di dove siamo: il mio
do’aho sta bene e voglio concentrarmi solo su questo… gli sorrido,
rivelandogli tutta la mia gioia, poi faccio un passo verso di lui, gli
getto le braccia al collo e lo stringo forte.
"Meno male, Hana! Sono così felice…" gli
mormoro all’orecchio.
Il suo cuore accelera il battito, lo sento, ma
Hanamichi sembra confuso: "Sono felice anche io, Kaede, ma… ah…
ehm… siamo in ospedale…" so che gli stanno tornando in mente
tutte le raccomandazioni che gli ha sempre fatto sua madre in tutti questi
anni, di comportarsi bene in ospedale, di essere discreti, ma ora non me
ne frega niente e gli intimo: "Abbracciami, idiota!" e
finalmente lui, lo fa, ridendo, ormai rilassato e contento.
"Volpetta dispotica…" mi mormora.
Attorno a noi passano alcune infermiere, qualche
paziente, ma si limitano a lanciarci occhiate curiose e nessuno decide di
rimproverarci: dopotutto, potremmo sembrare semplicemente due amici che
abbiano ricevuto una bella notizia dal medico sportivo e, in un certo
senso, questa è una mezza verità…
Dopo poco il nostro abbraccio si scioglie, poi io e
Hanamichi ci dirigiamo verso le scale, per tornare al piano inferiore e
uscire quindi dall’ospedale; dobbiamo subito andare a comprare la
pomata.
Mi sento incredibilmente leggero, il peso che sentivo
sul petto da ieri sera è svanito e sono sicuro che anche il mio do’aho
si senta nello stesso modo, per cui, quando mi volto verso di lui, rimango
sorpreso nel notare che il suo viso, la sua espressione, sono ancora seri.
"Oi, do’aho, che cos’hai?" non posso fare
a meno di chiedergli.
Hanamichi mi guarda per qualche secondo, poi alza le
spalle quasi a voler sminuire ciò che sta per dirmi e si mette le mani in
tasca: "No, niente… cioè, non proprio… Ecco, stavo pensando che
stavolta il malessere si è rivelato una semplice contrattura, una cosa
non grave, e forse avrei anche potuto capirlo da solo se fossi stato più
lucido. Ma non lo ero, non potevo esserlo, perché… beh, perché c’era
il ricordo di due anni fa e… Insomma, mi stavo chiedendo se d’ora in
poi, per me, sarà sempre così: se mi agiterò per ogni contrattura, per
ogni stiramento… se sarò sempre così ansioso al minimo dolore. Se
inizierò a stare sul chi vive ogni volta che si avvicinerà novembre,
perché in un modo o nell’altro questo è un mese sfortunato per me.
Cioè, è vero che l’infortunio l’ho avuto in agosto, ma è solo l’eccezione
che conferma la regola! D’accordo, sto dicendo cose irrazionali e
novembre non c’entra niente e magari la sfortuna non esiste, non c’è
bisogno che mi guardi in questo modo, kitsune!! Ma non è questo il punto…
intendevo dire… mi hai capito, no?".
Hana ha parlato a voce bassa, il tono realmente
impensierito.
Sì, ti ho capito, amore mio…
Gli rispondo dicendogli quel che penso:
"Probabilmente per molto tempo ancora ti preoccuperai con
facilità" e credo sia normale.
Lo vedo sussultare appena: di sicuro avrebbe preferito
sentirsi dire altro.
"Già, me lo sentivo…" borbotta, il volto
di nuovo imbronciato.
"E’ inevitabile: capita anche a me"
aggiungo; ripenso alle reazioni che ho quando mi trovo davanti a
scatolette di medicinali, al senso di angoscia che mi prende e che devo
impegnarmi a soffocare, a come mi sia sentito anche oggi, dovendo entrare
in un ospedale. Le immagini di tanti anni fa si sovrappongo sempre, nella
mia mente, a quelle che vedo adesso…
Per fortuna ormai siamo in strada: non è una bella
giornata, ma ha smesso di piovere… il cielo è di un color cenere che
non mi dispiace e dalle nuvole grigie riesce a filtrare un riflesso della
luce del Sole…
"Sì, lo so- annuisce Hanamichi- E mi sa che per
una volta hai ragione tu, stupida volpe. È inevitabile. Queste
sensazioni, questi sentimenti che ci tiriamo dietro, sono come dei massi
che il passato ha gettato sul nostro percorso. Forse per essere sicuro di
non essere dimenticato, chissà…".
Mi piacciono le parole di Hana; gli sfioro la mano con
la mia, mentre gli dico:
"Hn… è vero: il passato ci ha lasciato questi
ostacoli. Questi, e la forza per sollevarli".
Fine (per ora? ^^)
Nota: Le frasi finali che si scambiano Hanamichi e
Kaede mi sono state suggerite da un bellissimo film di Bertrand Tavernier,
"Ricomincia da oggi", con Philippe Torreton e Maria Pitaressi.
Il testo esatto, che poi è la frase su cui il film finisce, recita:
" Lo racconteremo ai nostri figli. Diremo loro che era dura, ma che
erano dei signori i nostri padri, e che da loro abbiamo ereditato questo:
mucchi di pietre e il coraggio di sollevarle". L’ho sempre trovata
meravigliosa…