Questa bella ff presenta un Marshall Law ed un Paul Phoenix un po’ OOC nel tentativo di crescere Forest con dei principi sani! …Paul con dei principi sani…bah! Ah, un’altra cosa, per le date io mi regolo dal 2004 andando indietro. È inoltre necessario aver visto il filmato finale di Tekken 4 di quei due per capire l'ultimo pezzo. Enjoy
di Yu la pazza
4 dicembre 1977 Arriva la cicogna! Il suono del campanello svegliò i due ragazzi. “Paul, vai tu?” “Sì, non ti preoccupare, continua a dormire.” Paul si diresse verso la porta, con passo un po’ barcollante “Ah! Mary! Che ci fai qui?” “Marshall è in casa?” “Sì, ma cos…?” Paul notò il bambino che la ragazza aveva in braccio. E soprattutto notò che lo fissava. “Questo è suo figlio. È nato la settimana scorsa, io sono uscita dall’ospedale oggi. Non voglio sobbarcarmi il peso di un figlio nato da qualcosa di sbagliato, soprattutto ora che sono sposata.” Il ragazzo si vide costretto a fare buon viso a cattivo gioco. “Marshall, alzati, c’è una consegna per te, devi firmare!” “Firma tu! Sono stanco!” “Vogliono proprio te io non ci posso fare niente.” Le fece un falso sorriso carico di rancore e rientrò in casa. Marshall arrivò alla porta con aria particolarmente addormentata. “Mary?” “Questo è tuo figlio. Io non posso e non voglio tenerlo.” “Nh?” Law guardò il bambino, che lo squadrava dalle braccia della ragazza. “Mio figlio, dici?” “Patrick non lo vuole e neanch’io. Ma non ho voluto abortire, perché non credevo fosse tuo.” “Sei sicura?” “Patrick è biondo, nella mia famiglia le persone con i capelli più scuri sono castane e in ogni caso tutti di carnagione chiara. Guarda lui, invece.” Il ragazzo osservò suo figlio. Una massa di capelli neri, pelle non esattamente chiarissima e tratti orientali. “Sì, capisco, ma io non credo di poter…” Mary gli mise il pupo in braccio e se ne andò. Marshall guardò il bambino, poi la ragazza che si allontanava, poi di nuovo il bambino e di nuovo Mary, rivolgendole un cordiale saluto. “Ma vaffanculo! Troia!” Tornò in casa sbattendo la porta. Appoggiò il figlio sulla poltrona e si sedette sul divano, cercando di riordinare un attimo le idee. Paul si appoggiò allo stipite, guardandolo amareggiato. “Complimenti davvero, proprio un bel colpo!” “Paul aspetta! Io non volevo...Paul ascoltami!” Il ragazzo si era chiuso in camera, quella che almeno fino a poco prima era la loro camera. “Paul…” “Avevamo fatto un patto! E tu te ne sei fregato!” Il ragazzo si sdraiò sul letto dove poche ore prima avevano fatto l’amore. Dove stavano insieme senza preoccuparsi degli altri, il loro rifugio. “Paul…” “Non ho ancora finito! Ora cosa pensi di farne? Eh?! Ci eravamo giurati che non avremmo più fatto niente del genere!” “Eh, no! Aspetta un minuto! Il primo dei due che ha rotto il giuramento sei stato tu! Non Puoi rimproverarmi per essere andato con lei in un momento in cui mi avevi piantato in asso come al solito!” “Non è vero!” “Non è vero?! Paul! Adesso sei tu dalla parte del torto! Non puoi semplicemente ammettere che andare con diverse ragazze, strafottendotene di tutto e tutti, particolarmente di me, è una tua fottuta caratteristica? Per di più solo perché è più facile trovare un’oca da trombarsi piuttosto che chiedere scusa dopo un litigio!” Il bambino cominciò a piangere. Marshall andò a prenderlo in braccio, per tentare di calmarlo. “E tu cos’hai, eh? Dannazione, non so nemmeno se quella stronza ti ha dato da mangiare oggi, che ci posso fare io? Ehi, basta così poco a calmarti?” Paul uscì dalla camera e osservò il compagno. “Marshall…scusami. Io sono solo uno stupido che dà retta prima all’orgoglio e poi alla gelosia e non ascolta nessuno. Ti chiedo di perdonarmi.” Ora stava abbracciando Marshall per le spalle, affondando il volto nell’incavo del collo dell’altro. “Io ti perdono, Paul. Quello che mi chiedo è se tu potrai fare lo stesso.” “Non dubitarne nemmeno, sai? Ma guardalo, si è addormentato.” “Allora ha preso da te, io non ho il sonno così facile.” Questa frase riuscì a strappare un sorriso a Paul.
“Marshall…” I due si sdraiarono sul divano, tenendo il bambino con le mani intrecciate. “Paul, promettimi che resterai con me, che cresceremo questo figlio insieme.” “Te lo prometto, Marshall. Te lo prometto.”
27 febbraio 1978 All’anagrafe! “Come ha detto che si chiama questo bambino?” “Forest Law.” “…rest Law. Bene, luogo e data di nascita?” “San Francisco, 27 novembre 1977.” Il funzionario alzò lo sguardo dal certificato. “Mi sta forse prendendo in giro?” “No!” “Mi spiega per quale oscura ragione questo marmocchio è stato denunciato con tre mesi di ritardo?!” “Vede, la madre l’ha ripudiato e l’ha lasciato a me e personalmente non sapevo ancora cosa farci con lui e…” “E ci ha messo tre mesi per decidere se tenerlo o abbandonarlo?!” “Più o meno.” “Incredibile! Faccio questo lavoro da quarant’anni e non mi era mai capitato un caso del genere. Madre?” “Marianne Peterson.” “Il padre è lei, signor Law. Nome?” “Marshall.” “Bene. Segni particolari?” “Nessuno.”
25 luglio 1980 Non si possono seguire le olimpiadi con lui in giro! “…e Stevenson va a chiudere l’incontro! Che lottatore! Il primo atleta a vincere il terzo oro consecutivo nella categoria pesi massimi…” “Peccato che non abbiamo potuto seguire l’incontro!” “Paul smettila di urlare! Lo sveglierai!” “Uff! Però non è giusto, ti preoccupi più di lui che di noi sono già due settimane che non mi degni della minima attenzione!” “Paul! Non è vero! E comunque è normale, ha solo due anni e mezzo!” “Sì, ma comincio a temere che tu ti dimentichi di me!” “Come posso dimenticarti? Abitiamo insieme!” “Non basta! Non basta!” Il ragazzo lo bloccò sul divano. “Dai! Stai facendo casino! Si sveglia Forest!” Disse Marshall ridendo. I due si scambiarono un bacio. Forest entrò nella stanza, stropicciandosi gli occhi e trascinandosi dietro il fedele sir Cush Inone, il suo compagno di avventure. “’Ffatto ù’ brutto shogno.” Marshall fece uno scatto improvviso per tirarsi a sedere, facendo cadere a terra il povero Paul. “Come sono sfortunato!” “Che-che brutto sogno era?” “Un moshto viola con le ali da topo e le gambe pelosisshime cogli attigli e le conna gialle e un punto ossho i’ffonte voea mangiae u’vvecchio coi capelli shtani.” “Ali da topo?” “Shì, i’ttopo volante, quello co’ada nelle oecchie.” “Con il radar nelle orecchie? Ah, un pipistrello.” “Shì, chello. Poi c’ea i’vvecchio coi capelli coshì.” Il bambino fece segno con le mani di due spuntoni che partivano dai lati della testa. “Peò i’mmessho ea pelato.” “Un vecchio con i capelli molto strani davvero.” “Papi?” “Dimmi.” “Pecchè Pol è pe’ttea coa faccia tishte?” “Ehm…non lo so!” “Coa facevate pima?” “Prima? Prima quando?” “Cando io e se’Cush siamo ‘llivati. Ea sddaiato su di te.” “No, ti sbagli! Non era affatto così!” “Ma io ho vitto che…” “Devi andare a dormire adesso! Niente discussioni! È tardissimo! Fila!” “Buo’otte tutti!” “Buonanotte.” “’Notte!” Il bambino tornò in camera. “Adesso però non mi scappi!” “Ma dai! Scemo!” Forest rientrò. “Papi! Ho shete!” “Va bene, arrivo.” “Perché? Signore dimmi, perché?” Nella testa di Paul riecheggiò una frase. <E perché no?> “Signore, mi stai pigliando per il culo?” <No, è una tua impressione.> “Signore…le auguro le stesse cose che sta facendo passare a me.” <Quando verrà il momento non terrò conto della tua insolenza.>
15 giugno 1991 E’ tuo figlio, che pretendevi?! “Papà, posso parlarti?” “Di che cosa vorresti parlare?” “Bè…ecco…” “Avanti! Non sarà niente di così vergognoso! O sì?” “Credo…credo di sì.” “Spara.” “Ieri
sera stavo pensando…” “…pensavo a Paul…” “!!!” “…e…” “…e…e…e mi toccavo…” “!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” “…e poi…” <Non ha ancora finito?!?> “…è…stato così tutta la notte. Non…non riesco a togliermelo dalla testa…” “Però! Proprio una cosina da niente perdere la testa per uno come lui!” “Papà, non infierire, io non posso farci niente. Poi…” Suonarono alla porta. “Che altro c’è adesso?”
Marshall andò ad aprire e si ritrovò di fronte l’oggetto della discussione. Law gli sbatté la porta in faccia, andò brontolando alla ricerca di un mazzo di chiavi e le buttò dalla finestra. “Vattele a prendere!” “Stronzo! Che bisogno c’era di fare tutto questo?” “Sto parlando con mio figlio, non rompere!” Forest guardò suo padre con aria preoccupata. “Stavi dicendo?” “Io? Niente! Proprio niente!” Rispose. <Poi secondo me tu e lui state insieme!> Lo pensò ma non lo disse, timoroso di fare la stessa fine delle chiavi.
23 giugno 1991 Regola numero uno: si guarda ma non si tocca! Paul stava dormendo sul divano, come faceva sempre quando c’era caldo. Forest rientrò dal dojo, trovando il suo più grande desiderio addormentato. Si avvicinò a lui con circospezione ed a bassa voce lo chiamò. “Paul?” In risposta giunse un grugnito scocciato, ma l’uomo non si svegliò. Dopo qualche attimo di esitazione si chinò a posare un bacio sulle sue labbra. Con sua grande sorpresa, l’altro sembrava partecipare, per di più volentieri. Durante il bacio, Paul, ancora addormentato, pronunciò un nome. “…Marshall…” Il ragazzo si ritrasse, come morso da un serpente. Suo padre! Aveva chiamato suo padre! Che fosse per quello che sembravano così legati? Per un momento lo sfiorò il pensiero di suo padre e Paul che facevano l’amore, e subito lo soppresse. <Non è possibile!> Improvvisamente gli vennero in mente le parole che suo padre aveva pronunciato qualche giorno prima, uscendo di casa: “Sta’ alla larga da ciò che è mio.”
23 luglio 2004 Perché sei andato via? Il 4° Tekken si era concluso da poco e durante il torneo, Paul e Law non si erano mai nemmeno visti. Tutto questo accadde una sera. Paul era stanco di combattere per nulla, non era necessario pagare per venire umiliati da un animale. No, non avrebbe più combattuto. L’uomo alzò lo sguardo dal marciapiedi e si ritrovò a fissare un edificio. Sulla fiancata, una scritta: Marshall dojo. Ebbe un attimo di esitazione, il cuore mancò un battito, le sue gambe si mossero senza il suo consenso e si ritrovò davanti all’entrata. Marshall sentì la porta d’ingresso che si apriva. “Voi continuate questa serie, guai a voi se quando torno non state facendo niente.” Arrivò all’ingresso e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Nessuno dei due disse nulla, rimasero a guardarsi in silenzio per un po’. “Quanto tempo, eh?” “Due anni, da quando hai riportato a casa Forest.” Ancora un attimo di silenzio, poi si abbracciarono. “Mi sei mancato Paul. Perché sei andato via?” “Non lo so, ma so che era una stupidaggine. Voglio solo poter restare con te ora.” I due si baciarono, Paul scese a baciare il collo di Law. “Aspetta! Aspetta solo un minuto, ok?” Marshall tornò nella palestra. “Ok, ragazzi, per oggi può bastare. Ci vediamo domani.” Gli allievi uscirono brontolando. Law guardò il poster appeso alla parete. “Alla fine sei ritornato davvero.” Sospirò, mentre sulle sue labbra si formava un sorriso. Il primo vero sorriso dopo anni. Paul lo strinse per le spalle, come faceva spesso, quando abitavano insieme. “Allora? Hai intenzione di tenermi alla porta in eterno?” “Scemo! Non potevi aspettare un attimo?” “Ho aspettato due lunghi anni! Non puoi farmi aspettare ancora!” “Come vuoi. Sei tu il più forte, no?” “Non me ne parlare! Battuto da uno stupido sacco di pulci! Non è giusto! Odio gli orsi!” “Lo so, è così da sempre.” “E tu?” “Oh, a me non è andata tanto male…” “Cioè?”
“Battuto da Chaolan.” “Già. Ed ha la nostra stessa età. Niente di meno. Però sembra un ragazzino!” “Mh…La vogliamo piantare di cianciare di cose inutili? Altrimenti non rispondo più delle mie azioni!” L’altro rise piano. Sapeva che quando faceva così, andava preso con le molle, era molto rischioso farlo arrabbiare in certe circostanze, ci si poteva veramente rimettere il culo. Nel senso pratico della cosa. Lo sapeva, era già successo una volta, e non era stata un’esperienza piacevole. Fecero l’amore come non credevano fosse possibile fare. Lo fecero lì, sulla pedana da judo. Non era tanto per il modo, ma questa volta…questa volta, sembravano cercare avidamente i baci e le carezze più del resto. C’erano solo loro, il resto non contava. Nessuno dei due disse “ti amo”, quella notte; ma quando pronunciavano il nome dell’altro, l’intonazione faceva diventare quella parola più appassionata e sincera di un semplice “ti amo”.
“Marshall…” “…abbiamo fatto del casino.” “Fa lo stesso.” “E Forest?” “Forest cosa?” “Se ci ha sentito?” “No, è andato a farsi i suoi giri.” “Vado a fare una doccia.” “Vai, vai.” Forest rientrò dai suoi giri. “Ciao papà. Lo so che è tardi, ma non ho potuto evitarlo, c’era una coda! Papà cosa ci fai seduto lì nudo? Cos’è tutto questo macello? Di chi sono questi vestiti?” “Troppe domande tutte insieme.” Marshall si stiracchiò e si stese. Forest capì allora la situazione. “Papà!” “Mh.” “Dimmi immediatamente chi altro c’è qui dentro!” Paul fece capolino dalla porta dello spogliatoio. “Ehilà piccolo Forest!” Forest fissò in silenzio suo padre, poi Paul, poi di nuovo suo padre. “Eccheccavolo! Dirlo prima che stavate insieme no, eh?” “Pensavo che l’avessi capito, ormai.” “Capire che cosa? Ti ricordo che sono almeno due anni che non vi vedo insieme e quando ero un ragazzino non ho avuto che pochi indizi che mi hanno sconvolto e non penso proprio che nessuno dei due abbia fatto molto per aiutarmi a capirlo!” “Non urlare, qui c’è gente molto provata.” “No, fammi capire ti lasci mettere i piedi in testa da Paul?” “No, il contrario.” “Eh? Paul tu ti lasci mettere sotto da mio padre?” “Non è tanto il farsi mettere sotto è farsi mettere il…” “Sì! Ho capito! Lo so per dio! Anche perché pure io sono…” “Sì?” “Hai capito papà, non rompere!” “Ti vedi ancora con quel tipo? Io non voglio un allievo di Baek in giro per casa.” “Papà! Io e Hwoarang non siamo mica come tu quell’altro!” “Me lo auguro per il tuo bene, non sarebbe bello se il tuo ragazzo tentasse di ucciderti.” “Uff! Comunque, siete due irresponsabili!” “Eh già! Però è stato bello vederti crescere!” “Sì, Paul ha ragione. È stata una bella avventura! Possiamo dormire adesso?” I tre risero. “No, a parte gli scherzi, io dicevo sul serio. Il signorino stanca.” “Sua signoria mi perdonerà se fumo una sigaretta, vero?” “Solo se ne hai due.” Forest scosse la testa. “Io me ne vado.” “Dove?” “Indovina.” “Mi sa che non lo trovi a casa sua, sai?” “Perché no?” “Sembrava che volesse a tutti i costi ritrovare quel tipo, il figlio di Mishima, Kodama, o come diavolo si chiama.” “Kazama. Jin Kazama.” “Paul non osare far la punta a quello che dico.” “Nonnò.” “Mi stai pigliando per il culo?” “Ma figurati.” Marshall si alzò, raggiunse l’armadio delle armi. “Papà, le chiavi dell’armadietto sono su, sono due giorni che sono sotto il divano.” “Tu raccoglierle no, vero?” “Tu vestirti no, vero?” “Dio come si vede che è tuo figlio.” Squillò un cellulare. “Mio!” Prima che Paul potesse uscire dal bagno, Forest era già uscito di corsa, preoccupato per Hwoarang. (Il ragazzo ha un tempo di reazione lento, no?) Paul rispose al telefono. “Pronto?...fottiti. Non chiamarmi più, sono due settimane che mi stressi. Vedi di finirla.” “Chi era?” “Boh…una tipa come tante altre, solo più rompiballe.” L’uomo cominciò a radunare i suoi vestiti. “Abbiamo fatto un buon lavoro, no?” Disse poi, allungando una sigaretta a Marshall. “Eh?” “Con Forest, intendo.” “Già. Sono riuscito a addestrare un figlio a spendermi tutti i soldi facendo shopping.” “Dai! Alla sua età tu eri…noi eravamo peggio. Dico male?” “Hai ragione da vendere, se non altro non l’ho ancora visto farsi una canna, né andare a puttane. D’accordo che è gay, ma non ci sono mica solo le donne a fare quel lavoro.” “Pensa se fosse lui a fare quel lavoro.” “Vaffanculo, non potresti evitare di farmi venire di questi accidenti?” Paul, che nel frattempo era riuscito addirittura a mettersi i pantaloni, gli si avvicinò e fece qualcosa che di solito faceva quando erano piccoli. Gli mise una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli. “Non sei cambiato per niente.” “Nemmeno tu sei tanto diverso, a parte che da giovane eri anche più bello.” La carezza divenne un cucco. “Ahia.” “Te lo sei meritato, non sono cose da dire a qualcuno che potrebbe vincere in un incontro onesto senza nemmeno arrivare a sudare.” “Vedremo.” Law fu di nuovo vestito in un batter d’occhio. L’incontro cominciò. Nessuno dei due voleva fare sul serio, ma così le cose andavano per le lunghe, così quando cominciarono a darsele per davvero erano troppo stanchi per reggere ancora a lungo. Si colpirono nello stesso momento e crollarono a terra, ansanti. “Visto?...ci sono riuscito…a farti…sudare…” “Se…se è per questo…anche tu sei crollato…” Marshall si infilò tra le braccia dell’altro, quel tepore di quando si erano appena messi insieme c’era ancora, non era tanto il corpo, era il calore sprigionato dall’anima. Lo sapevano, potevano sentirlo entrambi. Paul intrecciò la sua mano con quella del compagno. “Marshall…” “Mh.” “…ti amo.” “Anch’io Paul, anch’io.” Fine!
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