Noi Due

 

parte II

 

di Jivri'l

 


Un dolce tepore gli accarezzava i sensi, un profumo di lavanda lo stava inebriando. Si mosse piano, ma sentì un certo dolore alla gamba e spalancò gli occhi. Gli era tornato in mente di essere stato investito! Balzò su aspettandosi di ritrovarsi in una stanza d’ospedale, però quello che vide lo sconvolse: stava in un immenso letto in una camera lussuosa, della cui due delle quattro pareti erano costituite soltanto da vetro che lasciavano intravedere tutta la città di notte. Era abbastanza in alto. Si portò una mano alla testa, si sentiva fiacco, come se fosse stato imbottito di sonniferi o calmanti; cercò di scendere giù dal letto, ma ricadde subito indietro, poiché sentì un forte dolore alla gamba. Si lamentò piano, chiedendosi dove diavolo si trovasse e cosa fosse successo. Le risposte arrivarono nel momento in cui rialzò il capo e i suoi occhi si posarono su un uomo che lo fissava sulla soglia della porta.
Si osservarono a lungo; Gabriel non poteva togliere lo sguardo dalla sua figura, gli pareva di averlo già visto, anche se non ricordava dove o chi fosse. L’uomo si accese una sigaretta.
“ Chi sei?” domandò il ragazzo vedendo che quello non proferiva parola.
“Il mio autista ti ha investito” disse semplicemente socchiudendo gli occhi.
“Ah, si? Bene e allora cosa ci faccio qui? Perché non mi hai portato all’ospedale?” latrò irritandosi.
L’uomo si avvicinò e gli si parò davanti. Gabriel rimase impressionato da quanto fosse massiccio, era un uomo davvero ben fatto, indossava un completo nero, i capelli erano pettinati all’indietro. Due occhi di ghiaccio s’impossessarono dei suoi.
“Perché il pronto soccorso era pieno, ora fammi vedere la gamba” gli ordinò, però Gabriel non gli obbedì.
“Sto bene” mentì, ma l’uomo senza tanti complimenti gli prese con forza l’arto e lo esaminò.
“Ehi! Lasciami la gamba!” urlò Gabriel cercando inutilmente di tirarla indietro.
“Fermo, animaletto” sibilò l’uomo tastandogli la caviglia.
“Come mi hai chiamato?!” sbottò il ragazzo facendo una smorfia di dolore.
“Animaletto” ripeté quello torcendogli la caviglia e facendolo urlare dal dolore.
“Aaahhhhhhh! Che…?!” gli si mozzò il fiato in gola. Faceva troppo male, un calore violento gli inondò tutto il piede e la gamba. L’uomo si alzò.
“Ora dovresti stare a posto”.
“Starò a posto quando me ne sarò andato” replicò fissandolo.
“Sei liberissimo di andartene” affermò andando verso la porta.
“E’ quello che farò!” disse rialzandosi e, dolorante, lo raggiunse e andò oltre, ma si bloccò, quando sentì il tono sarcastico con una punta di divertimento nella voce dell’altro.
“Ti conviene vestirti, fuori fa freddo” l’uomo alzò il sopracciglio, segno d’immensa emozione per quel volto impassibile. Allora gli occhi di Gabriel ricaddero sul proprio corpo: indossava solo una vestaglia di seta nera! Arrossì come un ladro dall’imbarazzo.
“Cosa…? Chi..?” balbettò.
“Io, non volevo di certo sporcarmi il letto con i tuoi vestiti bagnati. Valli a prendere, sono di là” fece indicandogli la stanza da letto. Il ragazzo non replicò, con gesto di stizza andò nella camera adiacente e si rivestì, i suoi abiti erano stati lavati e stirati.
Quando fu pronto uscì dall’appartamento salutando piano l’uomo. Giunse al pianterreno e scoprì che quello era l’albergo più lussuoso della città e quella che occupava il suo investitore era la suite reale.
Imbronciato cercò di tornare al dormitorio, che si trovava dalla parte opposta della città; ma chi cavolo era quell’uomo? Stranamente ripensando a lui si sentì avvampare.

 
Stava camminando per raggiungere la fermata, quando una macchina lo seguì e gli si fermò accanto, Gabriel guardò i vetri scuri della limousine nera dalla quale scese l’uomo di prima, lo prese per un braccio e lo buttò all’interno dell’automobile.
Chiuse lo sportello e diede comando all’autista di andare al collegio del giovane.
“Ehi, cosa fai? Vado da solo!” tuonò il ragazzo, tuttavia l’altro non gli diede importanza, prese a parlare al telefono. Discuteva d’affari, il suo tono era glaciale, non ammetteva repliche, ogni tanto guardava l’orologio. Sembrava essere di fretta. Lui cercò di parlare, ma fu azzittito.
Dopo circa un’ora la limousine si fermò davanti alla scuola e l’uomo chiuse la chiamata rivolgendogli uno sguardo indagatore.
“Siamo arrivati, è questo il tuo collegio?” domandò a bassa voce, il ragazzo annuì piano.
“G- grazie” mormorò imbarazzato, infatti, proprio davanti alla limousine c’era il suo gruppo di amici che fissavano la lussuosa automobile.
L’uomo prese dal taschino del petto un foglietto e si sporse per darglielo, ma quando Gabriel volle prenderlo, l’altro gli passò rapido una mano sotto il mento e lo attirò a sé posando le proprie labbra su quelle del giovane che volle tirarsi indietro, però lui gli mise una mano dietro la nuca obbligandolo a subire il bacio. Piano, con la lingua, gli disegnò il contorno delle labbra, dopodichè lo costrinse a schiuderle e a lasciarlo penetrare al loro interno, ad essere ospitato nella sua bocca. Gabriel gemette, suo malgrado, lasciandosi travolgere in un bacio intenso e mozzafiato. Nel momento in cui le loro bocche si staccarono l’uomo sorrise ironico tornando a poggiare con la schiena al sedile. Il ragazzo gli volle mollare un pugno, però quello non glielo lasciò fare, poiché aprì la portiera rendendolo visibile agli altri, quindi Gabriel, dopo avergli lanciato uno sguardo omicida, uscì fuori sbattendo lo sportello.
Gabriel fu accolto dai suoi amici che gli fecero spazio all’interno del gruppo, dove si trovava Hegyron che lo accolse fra le sue braccia.
L’uomo all’interno della limousine alzò nuovamente un sopracciglio facendo cenno all’autista di tornare all’albergo. Rischiava veramente di battere il proprio record di espressioni emotive sul volto.
“Animaletto selvatico…”.
 



 


Hesediel van Haff.
Rigirava il biglietto da visita fra le mani fissando quel nome dorato scritto a caratteri grandi; uno degli uomini d’affari più importanti, deteneva una pregiata multinazionale di catene gioielliere e alberghi di lusso.
Ora sapeva perché quella figura gli fosse sembrata conosciuta. Si mise prono affondando il capo nel cuscino che strinse violentemente arrossendo dalla vergogna. Dio! Era stato baciato da un uomo! E in che modo era stato baciato!
Ancora poteva sentire le sue labbra possenti sulle proprie, la lingua imperiosa che gli violava la bocca.
Sentì degli strani movimenti nello stomaco; si stava eccitando a ripensare a quel bacio! Era vero che aveva diciannove anni e aveva fatto pure delle esperienze, ma quello scambio di saliva gli aveva confuso le idee. Affondò di nuovo la testa fra il cuscino, mentre qualcuno aprì la porta e gli si sedette accanto. Hegyron gli passò la mano fra i capelli; a lui aveva raccontato tutto, omettendo, ovviamente, il fatto di essere stato baciato a tradimento.
“Com’è andata con Mister Orso?” gli chiese riferendosi al loro preside. Il ragazzo fece spallucce.
“Una bella sgridata, mi ha fatto la morale e poi si è preoccupato se stessi bene”.
“Gli hai detto di essere stato investito?”.
“Se no come avrei giustificato la mia mancanza di quasi due giorni? In ogni modo mi ha dato una settimana di assenza dagli allenamenti, quindi dovrai fare a meno di me per un paio di giorni” lo informò, la carezza di Hegyron si fermò alcuni secondi, poi ricominciò.
“Se vuoi cambieremo partner, cosi anche tu ti potrai allenare meglio”, Gabriel girò il capo per guardarlo, l’altro lo fissava morsicandosi il labbro inferiore.
“No, preferisco farlo con te, almeno tu mi insegni molte cose”.
“Va bene, prometto di metterci meno forza”.
“Ma che dici?! Cosi sembra che io sia un pappamolle!” esclamò Gabriel lanciandosi sull’amico e provocando la caduta di entrambi dal letto, cominciarono a tirarsi calci e pugni giocando.
Dopo una decina di minuti, si fermarono stanchi e, in silenzio, osservarono il soffitto fino a quando Hegyron non si voltò dalla parte dell’amico.
“Chi era quello che ti ha accompagnato?” gli domandò con una strana nota nella voce.
“Ah, nessuno di importante” rispose subito cercando di non far trapelare l’imbarazzo che provava. Si diede dello stupido, perché gli nascondeva la verità? In fondo lui non aveva fatto nulla di male, era stato quello a baciarlo! Lo guardò sottecchi; non se la sentiva di dirglielo, la sua reazione sarebbe stata imprevedibile, sapeva bene come guardasse male chi fosse gay. Improvvisamente arrossì, ma lui non era mica gay! Si alzò inaspettatamente, non aveva più voglia di stare in quella stanza con Hegyron, aveva bisogno di aria e di farsi meno pipe mentali.
Una volta uscito, si rese conto di aver il biglietto di Hesediel nella tasca, lo prese e, in un moto di stizza, lo accartocciò e lo volle gettare, tuttavia lo rimise nel posto dove stava prima.
Non oltrepassò ancora il cancello del collegio, quando udì due voci chiamarlo, esasperato si voltò verso i due ragazzoni che gli si avvicinavano. Naturalmente erano i gemelli Arael e Ariel, perennemente insieme. Uno lo prese sottobraccio da una parte e l’altro dall’altra parte.
“Ehi, bello addormentato nel bosco! Che fai tutto solo?” gli chiese Arael.
“Ciao…” mormorò Gabriel osservandoli, erano praticamente come due gocce d’acqua, con l’unica eccezione che Arael era più alto.
“Sai, Arael sostiene che ultimamente sei un po’ giù, soprattutto dopo l’investimento” intervenne Ariel.
“Già, chi è lo stronzo che ha osato investirti?!” chiese Arael scandalizzato.
“Ragazzi, va tutto bene, davvero… e poi è stata colpa mia perché volevo attraversare la strada senza assicurarmi…” mormorò stancamente.
“Secondo me non stai poi tanto bene, dai vieni con noi e vedrai che ti passerà tutto!” esclamò Arael trascinandolo verso il dormitorio.
“Ragazzi! Che state facendo?” gridò Gabriel allarmato, non voleva tornare al dormitorio!
“Ci divertiremo, vedrai” lo tranquillizzò Ariel facendogli l’occhiolino. Chissà perché, invece, il ragazzo non si sentiva per nulla rasserenato dal tono di voce dell’amico.
 
 
La discoteca più grande della città.
“Che diavolo fate? Lo sapete che in teoria non dovremmo neanche mettere piede qui?!” chiese Gabriel guardandosi intorno. Il locale si estendeva su ben cinque piani e aveva ancora due piani sotterranei; c’erano pub, discoteche, casinò.
“In teoria!” lo apostrofò Arael “Mica in pratica!”.
“Eddai, rilassati, non ci scoprirà nessuno” fece Ariel andando verso il bar.
Gabriel respirò profondamente cercando di calmarsi. In fondo era da tanto che non si divertiva e, se anche lo avessero visto lì, cosa gli poteva fare il preside? Giusto fare una telefonata al padre e sorbirsi tutti i lavaggi del cervello che potessero esistere.
Arael lo prese per mano trascinandolo verso il centro della pista, dove si stava ballando, molti ormai erano quasi a petto nudo, le ragazze erano poco vestite.
Faceva caldo, l’atmosfera era intossicante, si sentivano profumi di ogni tipo, l’odore dell’alcool e della pelle, era tutta una mischia di carne in movimento. Il ragazzo rimase come impietrito, ma Arael se lo avvicinò.
“Non fare quella faccia!” gli gridò all’orecchio per farsi sentire “Stasera sei uno schianto!”.
Gabriel rimase a bocca aperta. Sapeva di fare un certo effetto, però solo dopo le parole dell’amico si rese conto di come gli altri lo guardassero; infatti, i due gemelli lo avevano obbligato ad indossare dei pantaloni di pelle neri e stretti con una canottiera del medesimo colore e sopra un capotto bianco. Ora si era spogliato mettendo in risalto i giovani muscoli, frutto d’anni di allenamento.
Arael lo prese per le mani per indurlo a ballare. Non ci volle molto e lo seguì in quel vortice di musica, di giramento di testa, di pelle, di carne, di pazzia.
Chiuse gli occhi lasciandosi andare completamente. Qualcuno gli si accostò, però non ci badò e continuò a ballare; ballava indistintamente con uomini e con donne. Un uomo stava dietro di lui e una bella ragazza dai lunghi capelli gli si strusciava sul pube. Decise di continuare come se nulla fosse. E continuò. Continuò a ballare per ore che gli sembravano secoli; andò con i gemelli al bar dove bevvero una tequila, poi tornarono in pista; Ariel si era accostato con una ragazza con la quale, dopo un pò, era sparito; invece, nella foga della danza, Arael si era tolto la maglietta rimanendo a torso nudo. Un bel torso nudo.
Gli si avvicinò e cominciarono a danzare insieme. Le loro mani si sfioravano, le gambe si incontravano, si scostavano, si intrecciavano, le pelli si strusciavano; Arael passò una mano dietro alla nuca di Gabriel e se lo accostò; muoveva il proprio corpo flessuosamente, come se fosse un serpente. Il ragazzo arrossì rendendosi finalmente conto di quella situazione, che ormai era andata oltre la confidenza di due amici, tuttavia sentiva di non potersi tirare indietro. Ricambiò i movimenti di Arael, lo toccava dappertutto e si meravigliò nel constatare che non gli faceva schifo carezzare il corpo di un altro uomo, anzi era una cosa eccitante.
Si avvicinarono talmente tanto che le loro labbra quasi si toccavano, molti li osservavano estasiati, erano due ragazzi belli e lo spettacolo doveva essere alquanto provocante.
Gabriel mise una mano sulla spalla dell’amico.
“Torno subito…” parlò e gli leccò il lobo facendogli sfuggire un gemito. Sorrise compiaciuto mentre si faceva spazio fra la folla.
Una volta uscito dalla mischia, cercò i bagni, ma non li trovava, e quindi finì da qualche parte al quinto piano, dove stranamente non c’era nessuno. Dopo un attimo di indugio finalmente, in fondo a un corridoio, vide una targa che indicava da quale parte si trovassero i servizi.
Solo in seguito si rese conto di quanto fosse stanco; ormai era passata l’una, pensò che fosse meglio tornare al dormitorio poiché, nel caso in cui il preside o qualche professore avesse scoperto la loro scappatella, li avrebbe punito severamente, in fondo quella era una scuola militare, nella quale l’obbedienza era fondamentale.
Si passò una mano bagnata fra i capelli osservandosi nello specchio: era leggermente accaldato, i capelli erano scompigliati, nulla a che vedere con la pettinatura alla quale erano sottoposti a scuola, la canottiera gli si era attaccata alla pelle e anche i pantaloni gli davano fastidio.
Già, era sicuramente tempo di tornare indietro, tuttavia, nel momento in cui si avvicinò all’ascensore una mano forte si appoggiò al muro davanti a lui, facendolo restare fra la parete e un corpo alle sue spalle; un dolce alito lo fece rabbrividire.

 
“Non pensavo fossi il tipo da luoghi del genere” sussurrò una voce profonda in modo sensuale.
Gabriel si voltò e si trovò davanti gli occhi glaciali di Hesediel che lo osservava serio.
“Attento a non rovinarti il viso dalle tante espressioni che manifesti” commentò il ragazzo sarcastico “Dopo potresti avere bisogno di una plastica facciale”.
“E anche divertente” mormorò l’altro “Non ti preoccupare per la mia faccia, ma hai ragione tu, penso proprio che fra poco avrò bisogno di una plastica” affermò con fare misterioso.
“Bene, conosco un buon chirurgo” fece lui cercando di divincolarsi da quella stretta “E levati”.
“Hey, animaletto… ma non ti hanno insegnato l’educazione? Una volta al Frejus tipi maleducati come te non potevano neanche metterci piede” sussurrò senza scomporsi minimamente e, soprattutto, senza farsi da parte.
“Educato sono con le persone che lo sono con me” ribatté l’altro.
“Uhm… e perché non sarei stato educato? Poiché ti ho preso dal bel mezzo della strada?”.
“Mi hai investito!”.
“Sei stato tu il colpevole”.
“E il tuo autista avrebbe dovuto aprire gli occhi quando guidava!”.
“Quindi ce l’hai con me…” parlò prendendogli il mento con due dita e costringendolo a guardarlo “… per questo” affermò prima di posare le labbra su quelle di Gabriel che gli mise le mani sul petto per allontanarlo da sé.
“Cosa accidenti credi di fare?!” urlò tentando di tirargli un pugno che venne ben intercettato dall’uomo, il quale gli afferrò i polsi delle mani e li portò sopra la testa di Gabriel.
“Mio… farti mio” gli bisbigliò all’orecchio addossandolo al muro.
“Lasciami! Che… che fai?!” gridò con voce roca quando Hesediel gli toccò con la punta delle dita il pube. Si guardarono negli occhi.
“Te l’ho detto, animaletto” rispose ironico prendendolo di peso su una spalla, inutilmente il ragazzo gli tirava calci e pugni e strillava.
“Risparmia il fiato per dopo, tanto non ti sente nessuno qui…” lo avvertì avviandosi verso la sua suite.
“Lasciami maledetto! Ti ho detto di lasciarmi!” sbraitava continuando a tirare pedate e cazzotti.
“Femminuccia” lo prese in giro.
“Ehhh?! Come hai detto, pervertito?”.
“Stai zitto”.
“Col cavolo! Quando mi lascerai giù ti riempirò di botte!” gridò ancora, l’uomo alzò il sopracciglio sorridendo sarcastico, mentre apriva una porta blindata.
Fece pochi passi in un ambiente completamento buio e lo buttò su un letto soffice. Il ragazzo, dopo un primo momento di meraviglia, cercò di tirarsi su, ma Hesediel non lo lasciò fare e lo premette sul materasso col proprio corpo.
“Che fai?!” chiese allarmato.
“Ti spoglio”.
“Non voglio!”.
“Se vuoi farlo con i vestiti per me va bene, ma non sarebbe cosi divertente” continuò quello scoprendogli il petto, però il ragazzo era deciso a non lasciargli fare i suoi comodi e cominciò a dibattersi cercando di allontanarlo da sé.
“Buono, animaletto” gli sussurrò con un sorriso truce sciogliendosi la cravatta e con forza gliela strinse attorno ai polsi per farlo stare fermo.
“Ti prego…non farlo” implorò vedendosi ormai in trappola. Hesediel lo osservò un momento, poi, senza una parola, lo baciò. Lo costrinse a rispondergli, nel frattempo gli toglieva i pantaloni e i boxer denudandolo. Il ragazzo sentì un brivido lungo il corpo. Certamente per il freddo, pensò.
La stanza si riempì ben presto dei lamenti di Gabriel che cercava ancora di sciogliersi dall’uomo che, invece, spogliatosi, lo baciò nuovamente nel momento in cui con una mano già iniziava a prepararlo all’atto sessuale.
“Ahi! Fa… fa male! Hese… ah, fermati!” cercò di gridare, ma la sua voce era troppo roca e fioca.
“Perché ti opponi tanto?” gli chiese senza interesse.
“Perché sono un… ah!...ragazzo!”.
“Motivo stupido” mormorò aprendogli le cosce e facendosi spazio in lui.
Gabriel trattenne il fiato con gli occhi sbarrati per il dolore, sentiva di essere stato appena squarciato.
“Ora puoi pure respirare” commentò beffardo Hesediel fissando il suo volto arrossato. Gabriel obbedì constatando che la fitta lacerante di poco si stava trasformando in un dolore più gestibile, tuttavia sentiva di star bruciando, e trattenne l’amante quando volle muoversi.
“Hesediel… fa male, non farlo…” mormorò respirando affannosamente.
“Rilassati, sentirai meno dolore” cominciò a muoversi piano con le mani che scioglievano il nodo della cravatta, era ormai sicuro che il ragazzo non lo avrebbe respinto. Gabriel cercò di affrontare la cosa almeno non lamentandosi come una femminuccia, ciò nonostante non poté far a meno di afferrarsi alle sue spalle mordendosi le labbra.
Si sentivano solo i loro respiri veloci, lo struscio dei corpi, delle lenzuola, i sospiri.
Gabriel aprì gli occhi e si sorprese nel vedere Hesediel nel momento in cui stava raggiungendo l’apice del piacere: il suo viso si era trasformato, aveva gli occhi chiusi e le labbra socchiuse, i capelli gli ricadevano sul volto, il suo corpo prestante era teso.
Chiuse gli occhi cercando di stare zitto.
Lo abbracciò graffiandolo sulla schiena con le unghie, mentre nascose il viso nell’incavo fra il collo e la spalla mordendolo violentemente. Hesediel emise un grido di dolore e di piacere insieme e si accasciò al suo fianco.
 
continua...
 
 
Ebbene si! Nella scena del sesso non-tanto-consensuale mi sono ispirata a Viewfinder della grande Ayano Yamane, anche se naturalmente non sono nè sarò mai alla sua altezza(sigh sigh). Allora grazie ancora a chi continua a leggere questo racconto senza tirarmi i pomodori in faccia e a presto.