Noi Due
parte I
di Jivri'l
Il bambino cercò a fatica di trattenere le
lacrime, si soffiò fortemente il naso sentendo un forte groppo alla gola. Una
mano piccola e allo stesso tempo più grande della sua, si posò sulla sua testa
e cercò goffamente di carezzarlo, allora alzò lo sguardo sull’altro bambino
dai capelli corvini che lo guardava tristemente. Sapeva di avere un’aria
patetica, tuttavia non poté far a meno di lasciar cadere le prime lacrime.
Il grande edificio di marmo si stagliava alto
contro il cielo plumbeo, come se fosse un’unica grande colonna che voleva
andare oltre i limiti umani, e, del resto, quella scuola rappresentava
proprio ciò: continuo sforzo e perseveranza per giungere oltre i traguardi
della gente normale; non bastava essere colti e forti, ma bisognava aspirare
a cose superiori, si doveva essere geni e invincibili, si doveva diventare
perfetti.
“Mens sana in corpora sana”. Era questo il motto del Frejus, collegio militare per giovani gentiluomini; studiare e combattere, essere intelligenti e difendersi, amare e odiare, rispettare gli amici e piegare i nemici: diventare un leader. Gabriel si passò una mano fra i capelli che recentemente aveva tinto di castano osservando una delle grandi finestre della scuola. Quel giorno era venerdì, il che equivaleva a dover scegliere fra seguire le lezioni per un giorno intero oppure andare in palestra e combattere. Non voleva fare nessuna delle due cose. Studiare lo annoiava e ormai sapeva gli argomenti che stavano trattando quasi a memoria, per quanto gli aveva ripetuti, ma, dall'altra parte, non voleva allenarsi in quanto, poi, la sera sarebbe tornato con un mucchio di lividi, inferti dall’amico Hegyron, un ragazzo maggiore di un anno e anche più muscoloso che in quella scuola era uno dei più temuti, ma anche dei più ambiti. Sbuffò; giacché erano amici poteva benissimo evitare d’essere tanto duro con lui! Non che fosse debole, ma semplicemente non era al suo livello. Un colpo secco sulla spalla lo fece voltare e incontrò i denti bianchissimi di Hegyron che gli sorrideva con aria maliziosa. “Lupus in fabula” commentò il ragazzo dandogli nuovamente le spalle e incamminandosi verso la scuola. “Si? Stavi pensando a me? Ne sono commosso” ribatté l’altro seguendolo. “Che vuoi?” tagliò corto Gabriel continuando a camminare. “Ehi! Che hai? Sembri di malumore!” notò trattenendolo per un braccio. “Lo sono, infatti”. “E perché?”. “Perché non mi va di andare a lezione, né di allenarmi: mi faresti diventare tutto un dolore, come succede sempre” parlò sinceramente mettendo il broncio, invece Hegyron si accigliò. “Davvero?”. “Si”. Lo sguardo di Hegyron divenne cupo e gli lasciò andare il braccio girandosi verso la palestra che si trovava nell’ala destra della costruzione della scuola. “Perciò, in pratica, mi stai dicendo che ti rendo la scuola un incubo” concluse a bassa voce. “Ma no! Solo che tu sei troppo forte… e ti sfoghi con me” sbottò cercando un contatto con l’amico, sapeva, infatti, di averlo offeso dicendogli quelle parole, ma lui non gli lasciò fare e si scostò. “Potevi dirmelo prima, no? Ti saresti potuto cercare un compagno… meno forte!” sibilò allontanandosi velocemente. “Hegyron!” lo richiamò allora Gabriel, ma quello non si voltò “Hegyron! Fermati!” lo supplicò andandogli dietro e, quando lo raggiunse, gli tirò la tuta blu che usavano durante i combattimenti. “Gabriel! Falla finita! Lasciami solo” gli ordinò liberandosi dalla mano dell’amico stupefatto da quel suo tono. Quando si fu allontanato abbastanza, si portò una mano sul petto, aveva il fiatone. Perché si era arrabbiato? Era vero che negli incontri corpo a corpo usava tutta la forza senza riserve, ma aveva sempre pensato che Gabriel non ne soffrisse, almeno cosi gli avrebbe dimostrato che non si tratteneva e, quindi, non lo stava sottovalutando. Si passò una mano fra i capelli chiari entrando in palestra. Più tardi gli avrebbe chiesto scusa per il proprio comportamento irascibile. Gabriel bevve il caffè con un’unica sorsata; fuori, nonostante fosse solo il tardo pomeriggio, era già buio, sia a causa della stagione autunnale sia per la tempesta che stava per abbattersi sulla metropoli. Alla fine non era andato a nessuna lezione e sapeva benissimo che il preside non avrebbe tollerato un simile comportamento, poiché non aveva chiesto alcun permesso per esentarsi da scuola. Sospirò abbattuto. Era stanco e non aveva la concentrazione giusta per affrontare la scuola. Da quando era tornato da casa, quasi due mesi prima, non faceva che provare strane sensazioni di oppressione, come se un sentimento volesse emergere, oppure un ricordo. Non capiva, infatti, come mai sognava sempre tre bambini. Uno dei tre era lui, ne era certo, ma poi c’erano due gemelli, un bambino che lo abbandonava sempre e una bambina che guardandolo piangeva, poi la scena cambiava e giocavano tutti e tre in un giardino primaverile. Sempre, prima del risveglio, vedeva un’ombra alle spalle dei due gemelli e poi più nulla, la sua coscienza prendeva la supremazia. Stette ancora un po’ lì e poi uscì fuori, sentiva il bisogno di camminare. La città era affollata di gente frettolosa, che cercava di andare a casa, finire le ultime spese della giornata, trovare un rifugio per l’imminente bufera. Una goccia fredda cadde dal cielo nero sul suo viso, ma cercò di non farci caso e cominciò a passeggiare in un parco deserto; il freddo cominciava a entrargli nei vestiti, ad arrivargli sulla pelle, farlo rabbrividire. Si strinse nel capotto nero. Doveva tornare a casa; no, a casa no, per quella notte sarebbe tornato al dormitorio della scuola, cosi poteva scusarsi con Hegyron. Finalmente cominciò a piovere, perciò accelerò il passo e infine si mise a correre, ma lo squillo del telefono lo fece rallentare. “Idiota! Dove cacchio sei? Mister Orso è incazzato nero con te! Ha assicurato che se non ti presenterai entro le otto da lui in ufficio chiamerà tuo padre” la voce di Hegyron era dura e agitata, Gabriel allontanò un po’ il cellulare altrimenti gli avrebbe spaccato il timpano. “Sai chi se ne frega…” commentò sottovoce. “Gabriel non fare il bambino e torna al dormitorio” gli chiese abbassando la voce. “Certo che torno, dove vuoi che vada, imbecille?”. Hegyron sorrise piano. Avevano fatto pace. “Va bene, allora sbrigati” gli raccomandò e riattaccò. Gabriel, invece, volle rimettere il cellulare nella tasca del cappotto, ma un colpo forte lo fece volare a mezz’aria per poi atterrare sull’asfalto. Sentì un dolore atroce al fianco sinistro e vari doloretti dovuti alla caduta. Volle rialzare la testa, ma perse coscienza, mentre gocce fredde di pioggia gli tagliavano la pelle.
continua...
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