Niente di male

parte 8

di bluejusttooblue

 

Hanamichi vorrebbe mettersi a urlare. E invece non riesce nemmeno a respirare. Se la situazione fosse diversa, magari gli verrebbe anche da ridere. Ma la situazione non è diversa, è questa, in cui lui si ritrova per caso dietro a un muro ad assistere a qualcosa a cui non avrebbe dovuto assistere, a qualcosa a cui non avrebbe voluto assistere, senza che sappia nemmeno spiegarsene il perché.

Daniel che bacia Rukawa e Rukawa che -

Hanamichi vorrebbe chiederlo a Rukawa, il perché, se l'altro non fosse così impegnato con - quello lì. E invece non riesce a nemmeno a intromettersi, non riesce a varcare la soglia del cancello accostato e farsi vedere e far capire che come loro vedono lui ora, lui ha visto loro prima.

- Rukawa che -

Hanamichi vorrebbe davvero. E invece si strappa via di lì e corre, veloce come il vento, prima che il respiro ancora bloccato in gola venga fuori in un inspiegabile eppure inequivocabile singhiozzo. Corre via e gli sembra di bruciare, c'è qualcosa che va a fuoco lì nel petto e Hanamichi non è sicuro che siano solo i suoi polmoni.

Ma continua a correre, l'unica cosa che gli sembra avere un senso ora. Lontano da qualla casa, da quel cancello, da loro, oltre la strada, ignorando l'automobilista che gli bestemmia contro inchiodando a un metro dalla sua fugace apparizione. Oltre l'angolo e i binari dal tram. Oltre la videoteca e il take away cinese e poi – poi si ferma. Si ferma perché non ce la fa più. Si sente svenire e ancora non riesce a respirare e si trova così, a boccheggiare mani sulle ginocchia fissando le punte graffiate e impolverate delle sue vecchie adidas e a cercare di decidersi a lasciarli andare, quell'aria stantia e quel male che tiene con sé.

- che -

Singhiozza. Senza lacrime, ma con tutta la disperazione che comporta quell'atto. Gli sembra di strozzarcisi. Singhiozza ancora e quando sembra che non debba più fermarsi sbatte il pugno contro il muro, e sentire quello di male, irradiarsi dalla mano, controllato, tangibile, lo aiuta a contenere l'altro, irrazionale, incomprensibile.

- bacia Daniel.

E a contenere la domanda, la più pericolosa che abbia mai dovuto affrontare: perché fa così male?

*

Si rende conto solo il giorno dopo, nel cambio fra la prima e la seconda ora di lezione, che Rukawa non sa. Lo capisce dallo sguardo interrogativo che gli lancia quando si incrociano in corridoio.

E come potrebbe? Hanamichi è scappato. Una fuga drammatica e solitaria. Senza spettatori. Inutile.

Hanamichi quasi scoppia a ridergli in faccia. Ma poi riesce a controllarsi, a ignorare lo sguardo di Rukawa che diventa confuso quando lo supera senza salutare, senza nemmeno mostrare di essersi accorto della sua esistenza.

Le lezioni ricominciano e Hanamichi riesce a non pensare a Rukawa per il resto della mattinata. Con un po' di fortuna e di buona volontà, continua a ignorare i suoi sguardi carichi di domande per tutto l'allenamento. E' più difficile ignorare Mitsui invece, quando lo prende da parte:

"Sei insolitamente silezioso. E' successo qualcosa?"

Hanamichi ride, forzatamente.

"Niente di che. Ho solo dormito poco."

Mitsui gli lancia un'occhiata scettica, ma molla la presa e non indaga oltre. Hanamichi torna in campo, a finire gli allenamenti, a continuare a ignorare Rukawa.

E ci riesce almeno fino a quando non si ritrovano soli negli spogliatoi.

Gli altri sono andati via. Hanamichi è insolitamente lento nel farsi la doccia, nella speranza che Rukawa si decida ad andarsene. Ma Rukawa aspetta, senza dire niente per tutto il tempo, quasi infinito, che Hanamichi impiega a uscire dalla doccia, ad asciugarsi e a vestirsi.

Lo guarda e basta.

Hanamichi si sente sempre più nervoso e non sa perché. Non lo vuole sapere. Ne verrebbero fuori tutta una serie di domande simili a quelle che lo hanno torturato per tutta la notte. Domande pericolose, domande a cui non è bene rispondere, a meno che non si abbia voglia di incorrere in drastici cambiamenti nella percezione della propria realtà.

"Non sei venuto."

Hanamichi quasi lascia cadere il flacone dello shampoo per terra. Quasi.

"Ho avuto da fare," dice e si rende conto solo dopo che le sue parole implicano pesantemente che ha avuto di meglio da fare. Ma non si preoccupa di chiarire, che Rukawa pensi quello che vuole pensare.

Rukawa non commenta, ma dal modo in cui stringe i pugni riesce a dedurne l'ira controllata. Bene, si dice, ben ti sta.

"Spero che tu non ti sia annoiato in mia assenza," aggiunge prima di poter provare pena o rimorso.

Rukawa incassa, sempre più confuso.

"Sabato... pensi di venire?"

Rukawa è alle strette. E' la prima volta che Hanamichi lo sente pronunciare una richiesta diretta. Gli fa piacere, ma non quanto gliene procura il tenerlo sulle spine. Il negarsi.

Hanamichi alza le spalle con sufficienza.

"Perché, vuoi che venga?"

Rukawa guarda via. Hanamichi è contento di sapere che ora è lui quello nervoso.

"Vorrei parlarti."

Hanamichi interrompe la conversazione bruscamente, gettandosi la borsa in spalla: "Stiamo già parlando."

Si avvia verso la porta.

"Comunque può darsi che venga. Tu aspettami, se non trovi di meglio da fare."

E se ne va, senza voltarsi a cogliere lo sguardo ferito di Rukawa.

*

Hanamichi continua a ignorare Rukawa per il resto della settimana. All'inizio pensava che sarebbe stato difficile, con Rukawa che sembrava intenzionato ad insistere sulla linea inquisitoria del primo giorno. Ma finalmente, all'ennesima risposta fredda e circoscritta di Hanamichi, si arrende, e per il resto del tempo che li separa dal loro incerto appuntamento si limita a guardarlo, il che, alla lunga, riesce a condurre Hanamici, per il sabato in questione, a livelli di nervosismo e malcelato furore mai sperimentati prima.

Arriva da Rukawa con ampio ritardo. La realtà è che non aveva alcuna intenzione di andare. Aveva iniziato la serata con Mito e gli altri in un locale tranquillo. Ma poi Mito aveva cominciato a fare domande e al terzo rhum e coca Hanamichi non poteva più fidarsi della propria lingua. E allora ciao-ciao, aveva salutato i suoi amici con l'intenzione di andarsene a casa. E lì sarebbe ora, se le sue stesse gambe traditrici non lo avessero portato davanti a un ben noto e ora temuto cancello.

E così alle tre meno venti Hanamichi si trova con un dito incollato al citofono di Rukawa.

Rukawa ci mette un po' ad aprire. Non è in pigiama, ma dal modo in cui la sua maglietta è stropicciata e arricciata nei punti più strani, Hanamichi non ha bisogno delle sue piene facoltà mentali per dedurne che l'altro deve essersi addormentato sul divano.

"Pensavo non venissi più," Rukawa esordisce, voce ancora più bassa del solito e impastata dal sonno, ma che riesce comunque a far salire di un altro grado il livello di rabbia di Hanamichi.

"Non avevamo mica deciso a che ora dovessi venire."

Rukawa si stropiccia la fronte con un gesto stanco e lascia entrare Hanamichi senza rispondere. Hanamichi avanza lungo il corridoio senza fermarsi ad aspettare Rukawa.

A mezzo metro dalla porta del salone, gli occhi gli cadono sul mobile scuro che conosce fin troppo bene. Più di una volta ha usato il telefono che c'è sopra per chiamare a casa e avvisare che avrebbe mangiato fuori e tutte le volte si era chiesto perché il vaso di cristallo accanto al telefono fosse sempre vuoto. Ma non aveva mai notato il cappello, prima.

D'altra parte Rukawa non aveva mai baciato Daniel, prima. Non di sua iniziativa. Non davanti ad Hanamichi. Non dopo tutto quello che -

La mano di Hanamichi si muove prima ancora che il suo cervello se ne accorga. Si calca il cappello in testa e lo trova un po' stretto.

Sente i passi di Rukawa, dietro di sé, spegnersi.

"Bel cappello," commenta ugualmente, prima di voltarsi. Rukawa lo sta guardando e se Hanamichi non lo conoscesse come crede, penserebbe che potrebbe scagliarglisi contro.

"Toglitelo," dice invece, prevedibilemente piano mentre copre la distanza breve che li separa, ma con una decisione nella voce che fa intestardire Hanamichi nella sua posizione.

"Come mi sta?" insiste infatti.

La mano di Rukawa scatta verso la visiera, ma Hanamichi la blocca prima che la dita la raggiungano, prendendolo per il polso, stringendo, volontariamente cercando di fare male, almeno tanto male quanto ne sente lui. Rukawa non fa una piega.

"Toglitelo," insiste invece, quasi ringhiando. Hanamichi sorride. Rukawa arrabbiato, fuori controllo è uno spettacolo a cui non ha mai assistito e che non vorrebbe perdersi per niente al mondo. Decide di alzare un po' la posta in gioco, di riscaldare ulteriormente l'atmosfera.

"Perché?" chiede, sarcastico. "Perché mi sta male?" lascia andare bruscamente il polso di Rukawa e si sfila il cappello. "O perché è l'unico ricordo che ti ha lasciato il tuo amichetto prima di tornarsene a Boston?"

Hanamichi glielo sbatte contro il petto con una smorfia. Rukawa lo guarda con tanto d'occhi. Il cappello cade in terra senza che Rukawa faccia la minima mossa per prenderlo.

"Vi ho visti," Hanamichi dice. "Ti ho visto," sibila, come se non fosse già tutto così chiaro.

Rukawa lo sta fissando.

"E allora?"

"Allora cosa?"

"Che te ne frega?"

Hanamichi corruga la fronte, irritato da una domanda a cui non sa trovare risposta.

"Guarda che non me ne frega niente. Non in quel senso." Guarda Rukawa. "Sei un ipocrita. Tutta quella storia di te che non sai, che non capisci. Tutte cazzate. Ora so che erano tutte cazzate."

Ora Rukawa sembra quasi divertito. Hanamichi non lo ha mai visto così con nessuno. Lo fa arrabbiare ancora di più che riesca ad essere così con lui.

"Tu sai?" lo sfida. "Tu non sai niente. Niente."

"Ah no? Allora illuminami! Perché l'hai baciato se non te ne fregava niente di lui?"

"Perché mi andava. Volevo farlo," dice con sufficienza. "E comunque non devo rendere conto a te di cosa faccio e con chi. Non sono affari tuoi."

L'eco delle sue parole non si è ancora spento che Rukawa si ritrova contro il muro. Hanamichi non sa chi sia più sorpreso dal suo gesto se Rukawa, che si porta una mano dietro alla testa, dolorante ed incredulo, o se stesso.

"Che cazzo credi di fare?"

Ecco la domanda, di nuovo. Ma Hanamichi la ignora, ignora Rukawa e quando lo vede cercare di staccarsi dal muro ce lo sbatte di nuovo contro, le mani sulle spalle, decise.

"Sì che sono affari miei. Tu non puoi –"

Rukawa cerca di divincolarsi, spingerlo via. Le sue mani si chiudono intorno ai polsi di Hanamichi, cercando di costringerlo a lasciare la presa. Ma Hanamichi non cede.

"Non posso cosa?" Rukawa insiste.

Hanamichi non sa, non risponde. Rimangono così per un tempo che sembra eterno, le dita di Rukawa che lasciano lividi sui polsi di Hanamichi e quelle di Hanamichi che lasciano lividi sulle spalle di Rukawa. Rukawa contro il muro, unico movimento il suo respiro, contratto, che fa da eco a quello di Hanamichi, agitato, contro di lui.

"Che cos'è che vuoi da me, Sakuragi?" Rukawa dice infine, lasciandolo andare, lasciandogli il vantaggio di tenerlo ancora lì contro un muro, contro le sue accuse. Hanamichi non ne approfitta. Resta così, fermo, a guardarlo negli occhi, vicini come non sono mai stati, a cercare lì una risposta che può trovare solo dentro di sé.

"Io... non lo so," Hanamichi ammette, abbassando le mani, scuotendo la testa.

Rukawa guarda via, e forse è solo un'impressione di Hanamichi, ma sembra deluso. Disperato.

"Allora vattene," conclude, piano.



*

continua...